21 Settembre 2024, sabato
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Catapano Giuseppe: il morale degli Italiani ?

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Il processo di disperazione purtroppo si va aggravando. Un anno fa infatti i disperati erano il 20%, adesso sono il 30%. Il 73% degli interpellati dice di non riuscire più a governare la sua vita. La barchetta della sua famiglia non solo è in mezzo ai marosi ma è anche immersa nella nebbia più fitta. Il pessimismo dilaga dato che il 56% degli italiani, pur essendo già molto depresso, prevede un ulteriore peggioramento della sua condizione di vita da qui all’anno prossimo. E questo dato è confermato anche dal bassissimo tasso di italiani che, nonostante tutto, nutrono ancora speranza nel futuro. Infatti solo il 18% degli interpellati crede in una imminente possibilità di ripresa economica.

Di fronte a questo quadro desolante, i partiti fanno finta che ci sia ancora tempo da perdere. Se il pessimismo è così diffuso non c’è manovra economica che tenga. Ci vogliono pochi ma potenti e visibilissimi interventi che dimostrino agli italiani che, in Parlamento, c’è la voglia di scuotere l’Italia. Il paese è in attesa di elettrochoc mentre la classe politica sta distribuendo delle tisane. Bisognerebbe, ad esempio, retrocedere il patrimonio immobiliare pubblico ceduto agli enti locali. E che ci vuole a privatizzare delle caserme nei centri delle città con licenze edilizie generose, da realizzare in tempi ristretti, concesse direttamente dallo stato, scavalcando tutti i livelli di governo intermedi? In tempo di guerra si fa la guerra, con strumenti di guerra. Ed ora siamo in tempo di guerra. Senza bombe ma con tutto il resto.

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Catapano Giuseppe: L’Europa” il maggiordomo è sicuramente più colto del padrone”

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Ormai è certo che la tecnologia del provocare microfratture negli strati geologici profondi, in cui sono all’avanguardia, permette loro di liberare lo shale gas, il metano imprigionato nel sottosuolo americano, ove sono stati scoperti immensi giacimenti. Il prezzo previsto per i prossimi vent’anni sarà di 4-5 dollari per 1000 piedi cubici, contro quello europeo di 10-13, in Asia 15-20. Già oggi alcune aziende, specie di processo, come la chimica, la metallurgica, notoriamente a grande impatto energetico, hanno ricuperato costi competitivi, e gli Stati Uniti stanno facendo insourcing di lavoro, con buona pace di coloro che considerano gli imprenditori degli idioti che trasferiscono il lavoro altrove solo per fare un dispetto ai sindacati.

Prima opzione. Non esportare il surplus, quindi mantenere alti i prezzo internazionali dell’energia, favorire indirettamente le rinnovabili (osservare gli europei che nel frattempo si dissanguano per mantenerle). Gli Usa ricupererebbero grande competitività, avrebbero crescita, piena occupazione. Di certo la Cina si comporterebbe nello stesso modo con le cosiddette terre rare, cioè i materiali indispensabili per l’altissima tecnologia dei nuovi prodotti, unica che li possiede, soprattutto l’unica che accetta di estrarli, pagando in termini di inquinamento ambientale.

Seconda opzione. Esportare il gas facendolo diventare uno strumento di potere, da un lato favorendo gli alleati europei (Ue) e asiatici (Giappone, Sud Corea, Sud-Est), dall’altro trovare un compromesso con la Cina (gas in cambio di terre rare), riducendo anche l’attuale pesante deficit commerciale. E mettendo nel contempo a cuccia le miserabili dittature arabe o di stampo chavista (sarà forse l’occasione buona per cui questi popoli ricomincino anche loro a lavorare per campare?). e così pure il ricatto psicologico dei produttori delle costose rinnovabili. Il ruolo degli Stati Uniti tornerebbe centrale nel mondo, e Dio sa quanto abbiamo bisogno di una leadership forte dell’Occidente, visto che come europei ci siamo ridotti a tanti miserabili bottegai tedesco-scandinavi.

La seconda opzione ,  avrebbe due vantaggi: a) fermerebbe lo scivolamento culturale degli Stati Uniti verso lo scialbo modello di vita centro-nord europeo; b) confermerebbe un mondo tripolare, governato da Stati Uniti – Cina – Russia, lì relegando l’Europa in zona servitù, dove il maggiordomo è sì più colto del padrone, ma sempre servo è.

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Catapano Giuseppe: la novità del libero investimento “ crowdfounding”

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Allargare i possibili investitori nelle start up innovative ai clienti professionali <su richiesta>, semplificare le modalità di iscrizione nel registro dei gestori dei portali online, ridurre i tempi per avere la conferma dell’iscrizione, sono questi alcuni dei suggerimenti di Assonime per rendere più appetibile lo strumento dell’equity crowdfunding. Se verranno recepiti i suggerimenti anche gli investitori non professionali potranno investire i propri risparmi in progetti lanciati da start up innovative tramite un portalo online, come introdotto dall’art. 30 del cosiddetto decreto crescita-bis. I suggerimenti di Assonime, riportati sulla circolare n. 3 del 2013 sono riferiti al documento di consultazione Consob sul regolamento in materia di <Raccolta di capitali di rischio da parte di start up innovative tramite portali online. Una volta che le disposizioni Consob entreranno in vigore, lo strumento finanziario diverrà operativo.

I clienti professionali su richiesta. L’inserimento tra gli investitori qualificati dei clienti professionali <su richiesta> è sicuramente uno dei suggerimenti più significativi fra quelli proposti da Assonime. Secondo Assonime è opportuno allargare la platea dei possibili investitori anche ai clienti professionali <su richiesta>, che si dovrebbero aggiungere agli investitori professionali, questo consentirebbe ai progetti innovativi delle start up di avere un bacino di investitori più ampio. I clienti professionali su richiesta sono coloro che non rientrano nella definizione di clienti professionali privati di diritto prevista dal paragrafo I, Allegato 2 del regolamento Intermediari finanziari della Consob, ma che possono diventarlo se rispettano determinati requisiti e se presentano apposita richiesta. I clienti professionali di diritto, che sono attualmente ammessi, presenti nel Regolamento della Consob sono le banche, le imprese di investimento, le imprese di assicurazione e imprese di grandi dimensioni. Il cliente può essere annoverato tra quelli professionali quando una volta che ha avanzato una richiesta, questa viene accettata. Quindi l’esaminatore ritiene che il cliente richiedente, sia in grado adottare consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti e di comprendere i rischi che assume. Per l’ammissibilità devono essere soddisfatti almeno due dei seguenti requisiti: il cliente deve aver effettuato operazioni di dimensioni significative sul mercato in questione con una frequenza media di dieci operazioni al trimestre nei quattro trimestri precedenti, e il valore del portafoglio di strumenti finanziari del cliente, inclusi i depositi in contante, deve superare 500 mila euro. Inoltre il cliente deve lavorare o aver lavorato nel settore finanziario per almeno un anno, in una posizione professionale che presupponga la conoscenza delle operazioni o dei servizi previsti. In caso di persone giuridiche, la valutazione di cui sopra è condotta con riguardo alla persona autorizzata ad effettuare operazioni per loro conto e/o alla persona giuridica medesima.

La procedura per diventare clienti professionali. I clienti devono comunicare per iscritto all’intermediario che desiderano essere trattati come clienti professionali, a titolo generale o rispetto a un particolare servizio o operazione di investimento o tipo di operazione o di prodotto. L’intermediario deve avvertire i clienti, in una comunicazione scritta e chiara, di quali sono le protezioni e i diritti di indennizzo che potrebbero perdere. I clienti devono dichiarare per iscritto, in un documento separato dal contratto, di essere a conoscenza delle conseguenze derivanti dalla perdita di tali protezioni. Gli intermediari, comunque, devono adottare per iscritto misure interne appropriate per classificare i clienti. Spetta ai clienti professionali informare il prestatore del servizio di eventuali cambiamenti che potrebbero influenzare la classificazione raggiunta. Se l’intermediario constata che il cliente non soddisfa più le condizioni necessarie per ottenere il trattamento riservato ai clienti professionali, deve adottare provvedimenti appropriati.

A cura del Prof. Giuseppe Catapano

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I dipendenti dalla droga monetaria

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L’impressione è quella che il Qe abbia dato vita a una sorta di nuova economia, una new economy nella quale non sono più le nuove tecnologie a produrre la crescita economica ma dove la quantità di massa monetaria disponibile è una variabile chiave per il modello di sviluppo economico. Pil, quindi, irreversibilmente agganciato anche nel post crisi a strategie di politica monetaria che nel ‘900 non erano mai state pensate o adottate. Una sorta di prigione monetaria nella quale le economie di questo scorcio iniziale del ventunesimo secolo devono navigare per poter evitare che, con meno quantità di moneta a disposizione, il livello della disoccupazione o la tenuta della finanza pubblica raggiungano livelli di non sostenibilità. Una trappola della liquidità molto originale, perché senza il Qe il cavallo non beve e non beve a sufficienza.

I recenti interventi in materia di Qe della BoJ in attuazione della cosiddetta Abenomics dalla dimensione quantitativa ancora più espansiva in termini di concentrazione temporale dell’intervento di quelli Usa e la decisione della BoE di estendere gli aiuti britannici anche all’acquisto di titoli emessi da imprese private, segnalano quanto la via di uscita dal Qe sia tutt’altro che scontata in termini di timing e di possibili effetti collaterali.

Dalle ceneri della peggiore crisi post secondo dopoguerra è nata  una new economy? Sono emersi nuovi squilibri e condotte di politica economica destinate a perdurare ben oltre il ciclo successivo? Domande più che legittime alla luce della comprovata dipendenza dei mercati dalle politiche monetarie non convenzionali che vanno sotto l’acronimo di quantitative easing, cioè produzione di nuova massa monetaria tramite l’acquisto di titoli di stato o di altri asset. Le borse e gli investitori sono appesi alle mosse del numero uno della Fed, Ben Bernanke, proprio in materia di Qe. Una interruzione della politica di iniezione mensile di moneta da parte della Banca centrale Usa sarebbe interpretata oggi male dai trader e sicuramente indici azionari e prezzi dei bond ne risentirebbero non poco. È come se, senza la spinta e il supporto del Qe, i mercati non siano più in grado di avere sufficiente fiducia per decidere investimenti più o meno rischiosi. Si tratta di una evidente distorsione creata dalle politiche pubbliche sulle normali funzioni decisionali dei privati: oggi gli investitori per sentirsi al sicuro <pretendono> che una parte del rischio del loro investimento sia implicitamente assicurato dalle banche centrali con i loro Qe. Si è prodotta, quindi, dopo quasi cinque anni di politica monetaria ultra espansiva una originale attitudine alla socializzazione di parte dei rischi sistemici dei mercati finanziari.

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Tortora, i martiri delle nuove democrazie

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Sono passati trent’anni e ancora oggi, forse ancor più di prima, è bene interrogarsi sui perché un <uomo perbene venga crocifisso da un’Italia perbenista>. E nessuno, se non Tortora, abbia poi pagato alcun prezzo. <Nel caso Tortora>, <fecero una brutta figura i magistrati che non vollero guardare alle tesi della difesa, ma dobbiamo riconoscere che neanche la stampa fece un buon lavoro. Col senno di poi tutti si sono scoperti garantisti, ma il libro mette in rilievo che il 90 per cento della stampa fu indifferente, sciatta e colpevolista in un primo lungo momento. Poi si rese conto della gravità della cosa, ebbe un sussulto>. Per il presidente di Rcs libri <sul caso Tortora ha pesato anche il fatto che fosse un uomo di destra. E in Italia equivale ad avere un trattamento giudiziario diverso da quelli di sinistra. In questi anni non esistono intercettazioni di quelli di sinistra, è curioso>. Come Tortora anche Lelio Luttazzi ebbe lo stesso trattamento per lo stesso motivo, <solo perché non era dichiaratamente di sinistra>. Pochi anni dopo, scoppiò Tangentopoli e i magistrati continuarono a utilizzare procedure al limite e sono stati guardati in maniera benevola. Il risultato è che, 30 anni dopo Tortora e 20 anni dopo Mani Pulite, la situazione della giustizia in questo Paese è imbarazzante: ci sono magistrati meritevoli ma ci sono carceri sovraffollati, la nostra giustizia è condannata dall’Unione Europea e tutto questo senza che la classe politica sappia affrontare questa situazione>. L’ipergarantista, anzi <innocentista>, senatore Luigi Compagna ha ricordato come il caso Tortora sia arrivato sulla scia <di una legislazione premiale del pentitismo nata all’indomani del terrorismo. A me non interessa accusare la magistratura di allora ma è chiaro che la legislazione premiale porta inevitabilmente alla batteria dei pentiti.

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Catapano Giuseppe: Equitalia dilazione sdoppiata

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Restano fuori dai benefici della dilazione  i contribuenti in stato di insolvenza. Per tutti gli altri il decreto del fare prevede due distinte tipologie di piani di rateazione delle imposte iscritte a ruolo, a seconda del più o meno grave stato di difficoltà finanziaria. Accanto a quelli ordinari di durata massima fino a 72 rate, concedibili ai debitori in temporanea difficoltà di adempiere ai versamenti, il decreto legge varato dall’esecutivo prevede, infatti, anche i piani di dilazione straordinaria, con durata massima fino a 120 rate, concedibili in caso di grave difficoltà del debitore.

La decisione di ricorrere a un piano ordinario o straordinario di dilazione delle imposte iscritte a ruolo dipende dunque dalla situazione più o meno grave di crisi in cui si trova il debitore al momento della domanda originaria di rateazione o della richiesta di proroga di una dilazione già in atto. Il decreto del fare individua, dunque, una ulteriore e più grave situazione di difficoltà del debitore che può comunque ancora consentire la concessione di una dilazione di pagamento su un arco temporale ben più ampio. Dopo la grave situazione di difficoltà c’è evidentemente l’insolvenza e il dissesto finanziario, situazioni nelle quali il concessionario non può concedere al debitore alcun tipo di dilazione.

La necessità di introdurre un ulteriore e più pesante presupposto per la concessione delle rateazioni da parte dei concessionari è un chiaro segnale dello stato di difficoltà attraversato dall’economia italiana. La norma introdotta prevede la necessità di un vero e proprio accertamento in ordine al presupposto della grave situazione di difficoltà del debitore, che con molta probabilità verrà regolato attraverso una specifica direttiva da parte della società capogruppo dei concessionari della riscossione. Accertamento che, tuttavia, la norma individua già almeno nei suoi tratti principali. Dopo aver precisato, infatti, che lo stato di grave difficoltà che consente la richiesta di un piano straordinario di dilazione deve avere ragioni estranee alla volontà del debitore ed essere collegato alla congiuntura economica (circostanze che di per sé appaiono difficilmente dimostrabili, se non in astratto), il nuovo comma 1-quinques dell’articolo 19 del dpr 602/73, specifica quali sono le due condizioni al verificarsi delle quali sussiste tale stato di grave difficoltà.

La prima delle due è rappresentata dall’accertata impossibilità per il debitore di assolvere il pagamento del credito tributario secondo un piano di rateazione ordinario. Il concessionario deve cioè verificare che l’importo del debito spalmato sul numero massimo di 72 rate concedibili con le rateazioni ordinarie sia finanziariamente sopportabile dal debitore. Se tali esborsi sono insostenibili per il debitore allora il concessionario può valutare l’ipotesi di ridurre l’importo su base annuale aumentando il piano fino ai dieci anni previsti dalla norma.

Il piano straordinario di dilazione potrà tuttavia essere concesso soltanto nell’ipotesi in cui sia ulteriormente verificata la solvibilità del contribuente in relazione agli importi e alla durata delle rate concedibili. Solo se entrambe le verifiche richieste dalla norma verranno superate il debitore potrà accedere a un piano di dilazione originario o in proroga, con durata temporale fino a dieci anni. Uno dei parametri per valutare la sostenibilità o meno di un piano ordinario o straordinario potrebbe essere costituito dai volumi d’affari o dai redditi conseguiti dal debitore.

In assenza del nuovo presupposto normativo della grave difficoltà del debitore la giurisprudenza di merito non aveva esitato nel considerare legittimo il diniego di Equitalia alla dilazione nei confronti di un contribuente il cui valore della produzione era inferiore all’importo su base annua del debito esattoriale complessivo spalmato sulle 72 rate del piano (Ctp Cremona, sentenza n.14/2/12 del 6 febbraio 2012). In una situazione del genere i giudici tributari, avallando l’operato del concessionario, avevano affermato, infatti, che il debitore non era in una temporanea situazione di obiettiva difficoltà, come prevede il summenzionato articolo 19 per ottenere la dilazione del pagamento delle imposte a ruolo, ma in una situazione ben più grave e duratura.

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Catapano Giuseppe: lo stato vende!

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Lo stato mette in vendita i suoi «gioielli»: nei prossimi mesi, infatti, finiranno sul mercato ben 350 immobili, per un valore complessivo di un miliardo di euro. E la lista dei beni da dismettere, tutti individuati nel corso del 2012, sarà presto divulgata, per poi conferire le proprietà, «potenzialmente, ai fondi di investimento» che cureranno le cessioni. Ad annunciarlo è Stefano Scalera, direttore dell’Agenzia del demanio, nel corso di un’audizione tenutasi ieri, in commissione finanze, a Montecitorio. Selezionate per il mercato, inoltre, 22 strutture non più utili per le finalità istituzionali del ministero della difesa .

Stessa procedura (di ricognizione) è stata effettuata per i terreni, tuttavia la messa in vendita in questo caso, sottolinea, è «condizionata dall’emanazione», da parte del dicastero dell’agricoltura, di un decreto ministeriale che deve determinare, oltre ai beni coinvolti (dello stato e degli enti pubblici nazionali), anche i meccanismi con cui saranno concretizzati il trasferimento e la locazione. Il patrimonio immobiliare pubblico, riferisce, è stimabile in 320 miliardi: riconducibile agli enti territoriali è l’80%, mentre nel caso dei terreni si tratta della quasi totalità (il 98%). La fetta di beni amministrata dall’Agenzia è pari al 15% (e ammonta a 56,7 milioni), scenario da cui si desume come l’amministrazione e l’ottimizzazione dei beni attualmente siano, dice il direttore, «caratterizzate da una elevata frammentazione di ruoli e di responsabilità».

Eppure, Scalera vanta un’attività in crescita di contenimento della spesa per locazioni passive, nell’ambito della razionalizzazione degli spazi in uso alla pubblica amministrazione: nel 2010, il risparmio cumulato era stato di 10 milioni, salito a 22,5 l’anno successivo e giunto a 37,5 nel 2012; un trend che potrebbe fruttare ulteriori, migliori risultati di taglio ai costi, poiché si stanno portando avanti altre iniziative «mediante l’acquisizione in favore dello stato, tramite permuta, di immobili di proprietà di terzi condotti in locazione dalle amministrazioni statali per le esigenze istituzionali», considerato che con la recente la conversione del decreto 35/2013 (sul pagamento dei debiti della p.a. divenuto legge 64/2013) «le operazioni di permuta sono state sottratte al divieto di acquisto di immobili da parte delle amministrazioni pubbliche» previsto per l’anno in corso dall’ultima legge di stabilità (228/2012). Per ciò che concerne, inoltre, la manutenzione degli stabili (esclusi, ministero della difesa, beni culturali, esteri per gli immobili situati in paesi stranieri, ed istituti penitenziari) per il 2013, a fronte di esigenze per circa 600 milioni, «risultano stanziati fondi per circa 107».

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Catapano Giuseppe: Mediazione obbligatoria

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La mediazione ritorna a essere obbligatoria, con qualche sorpresa. Il c.d. decreto Fare approvato sabato scorso dal governo non si è limitato a sanare i vizi di delega denunciati dalla famosa sentenza della Corte costituzionale del 24 ottobre 2012, ma ha aggiunto delle significative novità. È stato infatti previsto che per ottenere l’esecutività dell’accordo di conciliazione serva anche la sottoscrizione degli avvocati che assistono le parti e la c.d. mediazione delegata dal giudice da volontaria è diventata obbligatoria. La mediazione obbligatoria non sarà poi più tale per le cause per danni derivanti dalla circolazione di veicoli e natanti e per i procedimenti di consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 696-bis c.p.c. e durerà molto meno (è stato infatti diminuito da quattro a tre mesi il termine massimo oltre il quale si può depositare la domanda giudiziale).

È stato quindi introdotto una sorta di incontro preliminare in cui il mediatore è chiamato a verificare con le parti le possibilità di proseguire il tentativo di mediazione e, qualora ciò non avvenga, il costo del procedimento è stato diminuito considerevolmente. Da ultimo, occorre evidenziare come sia stata estesa la qualifica di mediatore a tutti gli avvocati iscritti nel relativo albo professionale, a prescindere o meno dalla frequenza di uno specifico corso abilitante.

Le novità, come visto, sono davvero tante e sembrano seguire due sostanziali fili conduttori. Da una parte, infatti, si è voluto reintrodurre uno strumento sul quale da tempo si è scommesso per stabilire una sorta di filtro all’accesso di nuovo contenzioso nelle aule dei tribunali (unitamente ad altre misure, quali ad esempio l’aumento del contributo unificato) e che, adesso, con il passaggio della c.d. mediazione delegata dal giudice da semplice invito a vera e propria condizione di procedibilità per il prosieguo della causa, potrebbe diventare anche un modo per eliminare parte del contenzioso giudiziario già in essere (parallelamente si è però deciso di lasciare fuori da detto ambito il gran numero di cause derivanti dalla circolazione stradale e nautica, nelle quali la mediazione ha sostanzialmente fallito per l’ostilità delle compagnie di assicurazione).

Dall’altra si è forse voluto ricucire lo strappo con l’avvocatura, che ha sempre denunciato i limiti dell’obbligatorietà della mediazione, ma le nuove disposizioni non sembrano colpire nel segno e forse rischiano di creare nuovi problemi. Non è infatti del tutto chiaro il portato della disposizione che sembra subordinare l’efficacia esecutiva dell’accordo di conciliazione alla sottoscrizione del medesimo «dagli avvocati che assistono tutte le parti». La norma sembra infatti niente altro che uno escamotage per fare in modo che le parti vadano in mediazione accompagnanti dai legali, pur senza l’espressa introduzione dell’obbligo del relativo patrocinio (conferma di ciò si trae dalla lettura della relazione di accompagnamento al c.d. decreto Fare).

Davvero poco utile e discutibile appare poi la norma che parifica di diritto gli avvocati ai mediatori e che sembra sposare il luogo comune per cui i legali sarebbero già di per sé mediatori, senza bisogno alcuno di prendere parte a corsi sulle tecniche di mediazione. D’altra parte non si sentiva certo la necessità di un aumento del numero dei mediatori, visto che quelli a oggi formati sono di molto superiori al numero dei procedimenti di mediazione, tanto che molti di essi hanno fatto davvero fatica a seguire il numero minimo di procedure imposte dalla legge al fine della continuità dell’iscrizione al relativo registro.

Molto positiva, invece, l’introduzione di un incontro preliminare in cui il mediatore è chiamato a verificare con le parti le possibilità di proseguire il tentativo di mediazione, che evita alle stesse di perdere tempo, ove non siano interessate alla procedura, fissando un tetto massimo di spesa (80 euro per le liti fino a mille euro, 120 fino a 10 mila euro, 200 fino a 50 mila euro, 250 per le liti di valore superiore), per non aggravare i costi che le stesse dovranno sostenere per il futuro processo.

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SACRO il diritto alla difesa

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I colloqui con i propri difensori dei detenuti in regime speciale è sacro e non va limitato . E’ infatti costituzionalmente illegittimo l’articolo 41-bis, comma 2-quater, lettera b), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui pone limitazioni al diritto ai colloqui con i difensori nei confronti dei detenuti sottoposti alla sospensione delle regole di trattamento, in particolare prevedendo che detti detenuti possono avere con i difensori, «fino a un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari» (pari, rispettivamente, a dieci minuti e a un’ora). Lo ha affermato ieri la Corte costituzionale con la sentenza n. 143, ricordando innanzitutto come la legge n. 94 del 2009 abbia irrigidito il regime speciale del 41 bis prevedendo tra l’altro che con i difensori possano effettuarsi, fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari, ossia della durata massima di un’ora, quanto ai colloqui visivi e di dieci minuti, quanto ai colloqui telefonici.

Ma secondo la Corte le restrizioni in questione, per il modo in cui sono congegnate, “si traducono in un vulnus del diritto di difesa”. Questo, dicono i giudici, è sì suscettibile di bilanciamento con altre esigenze di rango costituzionale, così che il suo esercizio può essere variamente limitato dal legislatore ma non compromesso, in modo particolare quando incida sul diritto alla difesa tecnica delle persone ristrette in ambito penitenziario.

Non è insomma possibile presumere, in termini assoluti, che tre colloqui visivi settimanali di un’ora, o telefonici di dieci minuti, consentano in qualunque circostanza una adeguata ed efficace predisposizione delle attività difensive. Né si può presumere che l’avvocato difensore si presti a fungere da tramite fra il detenuto e gli altri membri dell’organizzazione criminale, il che richiederebbe una limitazione dei contatti tra i due. In sintesi, dunque, alla compressione – per la Corte indiscutibile – del diritto di difesa indotta dalla norma del 41 bis “non corrisponde, prima facie, un paragonabile incremento della tutela del contrapposto interesse alla salvaguardia dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini”. Di qui la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), ultimo periodo, della legge n. 354 del 1975, limitatamente alle parole «con i quali potrà effettuarsi, fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari».

A cura del Prof. Giuseppe CatapanoImmagine

Le proteste sono ritenute inutili

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«La pressione fiscale sta massacrando le imprese- il 75 % del ricavo se ne va in tasse, servono 280 giorni l’anno per pagare il fisco. E la burocrazia fa da padrona : ogni tre giorni c’è una scadenza fiscale a cui far fronte».

Tutto inutile organizzare incontri,convegni,dibattiti : il trend del prelievo fiscale cresce inesorabile.

Secondo recenti dati , la pressione fiscale media nazionale per un piccolo imprenditore è al 69,48 %, e chi si trova vicino al dato medio deve pure essere contento. Perché a Bologna, solo per fare un esempio, il carico fiscale è arrivato al 77,23 %, Rimini è a ruota mentre Roma è al 76,54 % e Bari al 74,91 %.

Il governo ha stanziato un contributo per aiutare chi ha avuto il capannone distrutto dal sisma. Ebbene chi non aveva l’assicurazione sul capannone ritira il contributo e ringrazia, chi aveva firmato (e pagato) una polizza assicurativa (era stato cioè previdente) riceve l’indennizzo (anziché il contributo statale)  ma su di esso deve pagare le tasse.

Un fisco troppo vorace, che in tempo di crisi è diventato insostenibile. Un laboratorio artigianale con tre dipendenti deve adempiere, adempimenti divisi in 70 scadenze tributarie in un anno: autocertificazioni Iva, fatturazioni differite, Tares, Irap, presentazioni modelli di studi di settore, ritenute alla fonte dei redditi, Imu, libro degli inventari, e così via. «Sì, una scadenza ogni tre giorni – Il fatto è che non c’è consapevolezza del danno che questa situazione provoca all’economia. Qualcuno dice: sì, ma c’è l’evasione. Bene, colpiamola l’evasione, tutti dobbiamo remare in questa direzione, ma non si può distruggere chi non evade perché c’è chi evade».

Il fatto è, che si sta aprendo un contenzioso abnorme tra i contribuenti e il fisco. Si  calcola che un’azienda su dieci non pagherà l’acconto Irpef di luglio perché non ha i soldi, e così sarà per l’Imu .E gli insoluti aumentano in maniera piramidale: «delle due l’una   se l’azienda non ha i soldi, o paga le tasse o paga i dipendenti e i fornitori».

Tra il 20% e il 30% delle aziende non sarà in grado di saldare l’acconto Irpef 2013 e il conguaglio 2012.  Un altro dato che fa riflettere . «Si muore  di fisco- e c’è pure chi si accanisce, mi riferisco a un sistema bancario che ha costi sempre più elevati e per di più non eroga credito».

«I piccoli imprenditori sono con l’acqua alla gola ma attenzione: se non si salvano le piccole imprese va tutto a rotoli».

A cura del Prof. Giuseppe Catapano

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