23 Settembre 2024, lunedì
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Al Sud i carabinieri del Nas hanno sequestrato più di 280 tonnellate di alimenti

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Controlli del Nas dei Carabinieri di Napoli competente sui 15 Nuclei del Sud Italia: nell’ultimo mese, sono state ispezionate 1300 strutture, rilevati 390 casi di irregolarità, sequestrate circa 280 tonnellate di alimenti e vino. Sequestrate o chiuse inoltre, 48 strutture. Le ispezioni hanno riguardato stabilimenti di produzione, depositi all’ingrosso, ristoranti, panifici, supermercati. Nel corso del servizio, sono state accertate 634 violazioni alle leggi di settore (di cui 80 penali) con sanzioni amministrative pari a 630.000 euro.

Gli alimenti sottratti al consumo sono stati trovati in cattivo stato di conservazione, insudiciati, depositati in strutture sprovviste dei requisiti igienico-sanitari e privi della documentazione utile per la loro rintracciabilità. Sono state segnalate alle Autorità Giudiziarie, Sanitarie ed Amministrative 400 persone.

In particolare, il NAS di Reggio Calabria, nell’ambito di un’ispezione presso un supermercato della provincia, ha sottoposto a sequestro due celle frigo in pessime condizioni igieniche completamente invase da ruggine e muffe, anche sulle scaffalature e circa 1 tonnellata di alimenti scaduti da 3 – 5 anni (2008) tra cui insaccati, formaggi, panna, pasta fresca, conserve, ecc. visibilmente alterati per la presenza di muffe e liquidi maleodoranti. Sono stati rinvenuti salumi e formaggi privi di etichetta e/o con etichetta abrasa, contraffatta o cancellata. I Carabinieri dei NAS insieme a personale del SIAN della ASP di Reggio Calabria, hanno accertato anche le gravi carenze igienico sanitarie e strutturali di tutti i locali, scrostature dell’intonaco, umidità persistente e sporco,e pertanto hanno proceduto all’immediata chiusura dell’attività. Il titolare del supermercato è stato denunciato.

Il NAS di Bari, invece, presso un’azienda vitivinicola della provincia,in un deposito non autorizzato e privo dei requisiti previsti dalla normativa ha sottoposto a sequestro amministrativo 28.000 bottiglie di vino a denominazione di origine controllata privi di capsule di imbottigliamento e della documentazione certificante “DOC” e “IGT”, immagazzinati, tra l’altro,in pessime condizioni igieniche con accumulo di sporcizia su pavimenti e pareti.

Il NAS di Palermo, presso un’industria di produzione di gelati e di pasticceria surgelata, ha sequestrato 1 tonnellata circa di materie di lavorazione (pan di spagna, rollè cacao, glasse, cioccolato) scadute da diversi mesi. Inoltre, i militari del Nucleo in collaborazione con i Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo, hanno arrestato un pregiudicato 43enne ed un 24enne che vendevano abusivamente alimenti utilizzando come deposito un locale, già sottoposto a sequestro dalla Polizia Municipale di Palermo, all’interno del quale venivano rinvenuti e sequestrati oltre 6 quintali di interiora di bovino (c.d. stigghiole) congelate abusivamente all’interno di alcuni frigocongelatori allacciati alla rete elettrica pubblica. Ai locali di deposito venivano posti nuovamente i sigilli.

I Carabinieri del NAS di Taranto, Lecce e Bari, collaborati da militari del Comando Provinciale di Taranto, e da personale medico delle ASL di Taranto e Brindisi, hanno proceduto alla chiusura, per gravi carenze igieniche e inadeguatezze strutturali,di 6 attività (depositi prodotti ittici e alimenti, azienda agricola con stabilimento di produzione conserve vegetali, caseificio, ristorante) ed al sequestro di uno stabilimento vinicolo risultato privo di autorizzazione allo scarico dei reflui. Inoltre, i militari dei Nuclei hanno sottoposto a sequestro: circa 600 Kg tra prodotti ittici (cozze, calamari, seppie, polpi) in parte privi di documentazione attestante la rintracciabilità, altri detenuti in cattivo stato di conservazione e sottoposti ad arbitrario procedimento di congelazione e prodotti caseari (cacio ricotta, formaggi, ricotta) privi di etichettatura; oltre 1.600 confezioni tra pasta, pomodori pelati, biscotti, bibite, acque minerali, liquori, detenute in locali non autorizzati ed interessati da carenze igienico sanitarie e strutturali (ragnatele, scaffali metallici con ruggine, pavimento disconnesso, finestre sprovviste di mezzi idonei ad impedire l’accesso di insetti ed animali).

Può un uomo, affrontare poteri consolidati e Mafia – e vivere?

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Può un uomo, cioè Rosario Crocetta, presidente della Sicilia, affrontare poteri consolidati e la Mafia – e vivere?

Se lo chiede il New York Times, edizione europea, presentando in prima pagina un articolo di Marco De Martino per il magazine della edizione americana.

Ha scritto De Martino: “Rosario Crocetta fuma da due a tre pacchetti di sigarette al giorno, le accende senza nemmeno aspirare, guardando di continuo i tre cellulari allineati davanti a lui”.

La vita di Crocetta non è facile né appare probabile che il suo “modello” di governo possa durare: “Il Partito democratico (Pd), che lo sosteneva a pieno all’inizio dell’anno, chiede più potere”. C’è una pagina satirica su Facebook intitolata: “Crocetta può farlo” ed è pesantemente sfottente: “Trasformare l’acqua in vino, dare la vista a un cieco, risorgere dopo tre giorni? Il presidente della Sicilia non è un dilettante! Crocetta può farlo!”. Riporta De Martino la replica di Crocetta: “Quando sono entrato in carica, la Sicilia era sull’orlo della bancarotta. Abbiamo tagliato due miliardi e mezzo di euro di spese senza significative perdite di posti di lavoro e abbiamo sbloccato 850 milioni di fondi europei che erano bloccati dalla burocrazia”. Ma ha anche messo le mani avanti: “Non possiamo fare miracoli, nemmeno Obama lo ha fatto”.

Diciannove agenti speciali per “arrestare” tre cagnette

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Presente il questore di Catania in persona, Salvatore Longo, il vicario del questore, Giovanni Signer, 5 dipendenti della polizia Scientifica, 6 della locale Digos, 2 della locale Squadra mobile e 4 della locale zona TLC per acciuffare non tre mafiosi o appartenenti ad una qualche consorteria criminale operante nel catanese o chissà quale altra ignobile razza di malviventi, ma tre cagnette di taglia piccola, di cui una anziana e sdentata, colpevoli di intrufolarsi tra le sbarre del Commissariato di polizia Nesima e di accettare di farsi sfamare dal personale di buon cuore che mostra esempio di civiltà.

Sarà di certo colpa di quelle tre furbette di quartiere – e sì, perché usufruiscono già dello status di «cane di quartiere» con tanto di cuccetta messa a disposizione dal Comune – se Catania è sprovvista di canile municipale e su quello privato esistente è in corso una laboriosa indagine. Il blitz, sbalorditivo per l’impiego di forze e degno della ricerca del più sanguinario latitante, si è svolto tra gli sguardi increduli della cittadinanza nonchè dei curiosi che stavano alle finestre per assistere a quanto accadeva, come riferisce Valter Mazzetti, segretario nazionale della Ugl. Addirittura si è assistito alla misurazione, da parte di personale specializzato, della distanza tra le sbarre del cancello per fare poi chissà quale oculato calcolo in ufficio e capire se le cagnoline «mafiosette» riuscissero davvero da sole a entrare e uscire dal cortile, come riferito dai poliziotti, o se fosse questa, una spregevole bugia.

Fatto sta che quelle bestiole, un tempo abbandonate e seviziate, si sono prese il dito con tutta la zampa, accontentandosi di una ciotola di zuppa. E mentre il personale del Commissariato, con il vice questore aggiunto Adriana Muliere, si è macchiato «evidentemente» del reato di favoreggiamento della latitanza canina aggravato dalla sussistenza delle bestiole, la Muliere è stata sollevata seduta stante dall’incarico, trasferita in sottordine presso la locale Divisione Anticrimine, accusando un malore, tanto che si è reso necessario l’intervento del 118. «Una gratuita e pubblica umiliazione professionale e personale, nonché una grave e immotivata violenza morale e psicologica in presenza di molti appartenenti alla Polizia di Stato – commenta Mazzetti in una missiva all’indirizzo del capo della Polizia, direttore generale del Dipartimento di Polizia di Stato, prefetto Pansa -. Tutto questo è più che sufficiente a farmi dubitare dell’idoneità del dottor Longo e del suo vicario a dirigere in un contesto così delicato come quello catanese. Questo atteggiamento mi indigna e mi fa vergognare di essere rappresentato istituzionalmente da tali dirigenti dello Stato, ai quali, personalmente, non darei nemmeno la responsabilità di un piccolo condominio».

Parolisi : “Tradivo Melania ma non l’ho uccisa io”

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Con un ergastolo sulle spalle, il caporale degli Alpini, istruttore di reclute donne nella caserma «Emidio Clementi», casa del 235esimo Reggimento Piceno e terra di conquista per i maschi in divisa, anche davanti ai giudici Appello continua a proclamarsi innocente. Era il 18 aprile 2011 quando Melania Rea, che in realtà si chiamava Carmela, procace bellezza del sud, venne massacrata in un bosco a Ripe di Civitella (Teramo), diciotto chilometri dal pianoro di colle San Marco da dove era sparita mentre si trovava con figlioletta e marito. La trovarono due giorni dopo sotto un albero, la gola tagliata, una trentina di coltellate a straziarle il corpo, una siringa conficcata in un seno. All’apparenza il delitto di un maniaco. Una messinscena secondo gli investigatori. Un tentativo di depistaggio.

Le ombre del sospetto giorno dopo giorno si addensarono proprio su quel marito in mimetica che partecipava alle ricerche con un paio d’occhialoni neri così simili a quelli della moglie, freddo, arrabbiato coi giornalisti, anzi con chiunque si avvicinasse. Muto fino alla reticenza. E bugiardo, a dispetto delle evidenze. Aveva un’amante, ormai fissa, l’ex recluta Ludovica Perrone. A lei giurava che presto avrebbe lasciato la famiglia, che il loro amore avrebbe finalmente potuto crescere alla luce del sole. Telefonate, sms, e-mail incontrovertibili.
Per la prima volta, ieri Parolisi ha trovato il coraggio di alzare gli occhi verso la faccia dei genitori e del fratello della vittima. Più volte, tanto da essere richiamato dal presidente della Corte. Alla fine è riuscito a sibilare qualche parola, quasi supplichevole: «Grazie per quello che fate per la bambina».
Già Vittoria, figlia sua e di Melania, affidata ai nonni materni, altra vera vittima di questo noir ancora non completamente definito. Aveva un anno e mezzo allora la piccina e se il teorema elaborato dall’accusa fosse esatto, lei si sarebbe trovata in quel bosco il giorno dell’omicidio. Probabilmente allacciata nel seggiolone dell’auto del soldato.
Nessuno, nella famiglia di lei, crede all’innocenza del vedovo. Lo ribadisce Gennaro Rea, padre della ventinovenne uccisa: «Salvatore è indifendibile».
Eppure i suoi avvocati non demordono. Nonostante ci si trovi di fronte a un rito abbreviato nel quale le parti tecnixamnete non possono chiedere altre perizie e altri approfondimenti. Solo la Corte ha la facoltà di deciderli.
La difesa di Parolisi, invece, punta a rivedere le prove. «Abbiamo dimostrato attraverso la documentazione di orari, di celle, di testimonianze, di telefonate, che non può aver commesso né l’omicidio, né il depistaggio, non era presente sul luogo dell’ omicidio perché non c’è niente sul luogo dell’omicidio che possa ricondurre a lui», spiega uno dei due legali di Parolisi, Walter Biscotti. Restano poi dubbi sul movente. Questione di soldi e di «ricatti» o il desiderio di una nuova vita? L’ostacolo forse una moglie esasperata pronta a vendicarsi.

Udine, morto lo scrittore Carlo Castellaneta

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Lo scrittore Carlo Castellaneta è morto nella notte fra il 28 e il 29 settembre a Palmanova (Udine). Ne ha dato notizia la famiglia. Carlo Castellaneta, 83 anni, milanese, viveva in Friuli da una decina d’anni. È deceduto in ospedale per una complicazione sopraggiunta durante una polmonite.

I suoi numerosi romanzi sono stati tradotti in inglese, francese, spagnolo e tedesco. Il primo,Viaggio col padre è stato pubblicato da Mondadori nel 1958, e l’ultimo Gridando: avanti Savoia!, sempre di Mondadori, è del 2007.
L’annuncio della morte è stato dato dai figli, Dario e Paola, e dalla seconda moglie, Caterina.

Vince il toxoplasma tra gatto e topo

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I gatti saranno anche notoriamente furbi ma c’è qualcuno che sembra aver capito come raggirare anche loro, sfruttando semplicemente la catena alimentare: il toxoplasma gondii.

Questo protista parassitario è il responsabile dellatoxoplasmosi, una malattia infettiva che nei casi più gravi, come ad esempio in persone immunodepresse, può portare alla morte. Il toxoplasma riesce a vivere all’interno di molti mammiferi ma è solo nell’intestino dei felini che il parassita è in grado di riprodursi in maniera sessuata, invadere i tessuti dell’ospite infetto e maturare le oocisti, le cisti che sono espulse dall’animale e sono il veicolo di trasmissione dell’infezione.

Il toxoplasma è uno dei parassiti più diffusi al mondo ed è in grado di passare da ospite a ospite, ad esempio dai topi ai gatti, grazie anche alla sua capacità di causare cambiamenti nel comportamento dell’ospite: una volta infettato il topo smette di aver paura dei gatti. Questa caratteristica dell’infezione da toxoplasma era già nota ma si supponeva durasse quanto la permanenza del parassita. Uno studio dell’Università di Berkeley, pubblicato sulla rivista PLOSOne il 18 settembre, ha mostrato invece come queste modifiche comportamentali possano essere permanenti.

Oltre il danno la beffa: anche dopo essersi ripreso dall’ infezione, che si manifesta come un’influenza, il topo non riacquisisce la sua naturale diffidenza verso il suo predatore naturale. Mentre precedenti studi avevano mostrato come i topi infetti da toxoplasma non mostrassero paura verso i gatti anche nelle settimane successive alla guarigione, questa nuova ricerca è riuscita a provare come questa inibizione arrivi a durare anche fino a quattro mesi; un periodo non indifferente viste le aspettative di vita di un topo.

 

 

Perché sarebbero inutili i braccialetti elettronici contro la violenza sulle donne

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La panacea del giorno contro la violenza domestica è questa favola del braccialetto elettronico. Gli stessi braccialetti che non hanno mai funzionato per i detenuti, per evitare il sovraffollamento delle carceri. I braccialetti che voleva la Cancellieri, quelli a tecnologia Telecom, l’azienda della cui rete ci si occupa solo un nanosecondo prima che passi in mani straniere a insaputa dei suoi stessi dirigenti. E la Cancellieri è sempre la stessa Cancellieri il cui figlio siede ai vertici di Telecom. E l’appalto di questi congegni è costato allo Stato quasi 100 milioni in quasi 10 anni e in questo periodo di tempo non sono stati nemmeno una quindicina i bracciali applicati ai detenuti; cosa ci fa pensare che si farà in modo di renderli efficaci in situazioni che richiedono risposte urgentissime, dove pochi secondi decidono una vita?

Poi c’è questa deputata PD soddisfatta dell’emendamento al decreto legge che ci si ostina a chiamare“sul femminicidio” ma che non è nato affatto pensando alle donne. E quindi dichiara giuliva che sull’uso del braccialetto “ci sono esperienze già in Spagna e in Francia in questo senso che hanno dato buoni risultati e visto che, tra l’altro, in Italia c’è una carenza di organico sia per quanto riguarda i carabinieri sia la polizia, dare la possibilità di usare le nuove tecnologie sarà un aiuto per le forze dell’ordine”. Unasuperficialità da brivido.

Il braccialetto elettronico è (dovrebbe essere) l’ultimo anello della catena, in un Paese che vuole occuparsi seriamente di combattere la violenza sulle donne. In Spagna, dove esiste una legge integrale sulla violenza di genere, l’applicazione ed il controllo del funzionamento di questi dispositivi sono decisi in sinergia tra il Governo ed i più alti organi della magistratura. I braccialetti si applicano in casi di rischio alto o estremo, dopo che i giudici hanno valutato le perizie che determinano questo rischio. Ed è una decisione che prende corpo in un massimo di 72 ore. Esistono protocolli di coordinazione tra giudici e polizia e stiamo parlando di unità specializzate sulla violenza di genere per entrambe le categorie.

I braccialetti elettronici sono costosi, sono una misura di controllo degli aggressori che altrove la crisi economica ha falciato. Richiedono una prassi di applicazione agile e mastodontica al tempo stesso, che le nostre istituzioni disastrate non sono evidentemente in grado di maneggiare. I prossimi cento milioni, prima di essere spesi in braccialetti che potrebbero risultare inutili orpelli, andrebbero assegnati a quei centri anti-violenza che lo Stato, la politica e i titoli dei giornali sistematicamente dimenticano.

Il Cav a Napolitano non gli risponde. Oramai lo chiama “Quello là”

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Sembrava essere tornata la pace, sembrava che forssero tornate a volare colombe tra Arcore e il Colle. Ma dopo le durissima presa di posizione di Giorgio Napolitano contro la decisione dei parlamentari azzurri di presentare la dimissioni di massa in caso di decadenza,  tra Giorgio e Napolitano è di nuovo gelo. Un gelo che l’ex premier non nasconde ai suoi. In pubblico, come scrive la Stampa in un retroscena, Berlusconi si rivolge al Capo dello Stato chiamandolo “quello là”. Ma il segnale più evidente della rottura è il gran rifiuto che Berlusconi ha opposto a una telefonata del Presidente. Napolitano, stanco delle ormai inconcludenti intermediazioni di Gianni Letta e delle colombe del Pdl avrebbe telefonato a Silvio Berlusconi ma questi gli ha risposto picche. Era un tentativo disperato del Colle di rimettere insieme quel poco che resta delle larghe intese, un tentativo (dopo il colloquio) con Enrico Letta di prolungare la vita a un governo ormai in stato comatoso.  In mattinata il Quirinale smentisce che il Presidente abbia telefonato al Cavaliere.

Ghedini regalò l’aranceto a Berlusconi, gli azzurri: “E’ uno iettatore”

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Un aranceto per Silvio Berlusconi. E’ questo il curioso regalo che il Cav ha ricevuto dal suo avvocato Niccolò Ghedini qualche anno fa. L’ex premier da sempre ha il pollice verde e non ha mai nascosto la sua passione per piante e fiori. Ma adesso dopo la condanna dellaCassazione, quel regalo è diventato una sorta di beffa. Una serie di alberi, piantati e ormai cresciuti nell’immenso parco di villa Certosa. Così Ghedini è finito nel mirino delle malelingue pidielline che lo etichettano come “iettattore”. Qualcuno dell‘inner circle di Berlusconi sottolinea come sia “facile fare simili regali se chi li riceve ti paga parcelle milionarie”. Poi c’è chi attribuisce una dose di preveggenza all’avvocato penalista: “Sapeva che prima o poi lo avrebbero spedito ai domiciliari e al posto di portargli le arance in carcere, gliele ha piantate in casa”, ironizza un azzuro.

Parkinson: idrocarburi solventi e pesticidi confermati fattori di rischio

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Risale a pochi mesi fa la pubblicazione sulla prestigiosa rivista americana Neurology di una metanalisi di 104 studi, che dimostra che l’esposizione ad idrocarburi solventi o a pesticidi è associata ad un aumento del 60% del rischio di sviluppare la malattia di Parkinson.

Gli idrocarburi solventi sono contenuti nel petrolio e suoi derivati presenti nella vita quotidiana, come la benzina, la vernice, le colle e la trielina, mentre i pesticidi comprendono composti organoclorurati e organofosfati.

I ricercatori hanno preso in esame la letteratura pubblicata su fattori ambientali sospettati di avere un ruolo nello sviluppo della malattia di Parkinson appartenenti alle categorie dei pesticidi, erbicidi, insetticidi, fungicidi ed idrocarburi solventi. Dopo aver analizzato più di 3.000 lavori, sono state identificate 104 pubblicazioni che hanno studiato l’associazione tra esposizione a queste sostanze e rischio di sviluppare la malattia di Parkinson. I dati sono stati usati per effettuare una metanalisi che ha permesso di giungere a conclusioni riguardo a tali associazioni. 

I risultati: L’esposizione ad idrocarburi solventi e pesticidi è associato ad un rischio più elevato del 60% di sviluppare la malattia, mentre i fungicidi non sono associati ad un aumento del rischio.  Questo vale anche per il famoso DDT.  Gli erbicidi sono associati ad un aumento del rischio del 36% (che aumenta fino al 72% nel caso dell’erbicida paraquat) e gli insetticidi in generale ad un aumento del 24%.

La ricerca si è anche occupata del contesto dell’esposizione ed ha confermato che i contadini e le persone che vivono in campagna presentano un rischio lievemente aumentato di sviluppare il Parkinson (rispettivamente del 18% e del 14%), presumibilmente perché possono essere esposti a pesticidi ed erbicidi.

il lavoro è stato svolto dal Dottor Emanuele Cereda, Medico nutrizionista, ricercatore presso la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo (Pavia) e collaboratore della Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson e dal Prof. Gianni Pezzoli,Direttore del Centro Parkinson, ICP, Milano, nonché Presidente della Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson e Presidente della Associazione Italiana Parkinsoniani, AIP.

La Fondazione Grigioni sponsorizzò uno studio per valutare il ruolo di questi fattori tossici ambientali. I risultati vennero pubblicati nel 2000, sempre su Neurology, documentando che una storia di esposizione prolungata agli idrocarburi solventi è correlata ad un’anticipazione dell’insorgenza della malattia ed ad una maggiore gravità dei sintomi. Questo lavoro può essere considerato una conclusione definitiva delle indagini in merito al ruolo degli idrocarburi sul rischio d’insorgenza di malattia di Parkinson. E’ vero – conclude Pezzoli – che molte di queste sostanze non sono più utilizzate nel mondo occidentale, ma vengono ancora usate massicciamente nei paesi poveri”.

La tecnica: La metanalisi è una tecnica clinico-statistica che permette di analizzare una serie di studi condotti sullo stesso argomento, consentendo una sintesi quantitativa dei risultati. Prima vengono cercati tutti i lavori potenzialmente di interesse in banche dati, poi vengono passati al setaccio e vengono identificati quelli che hanno affrontato l’argomento di interesse, riportando dati sufficienti per un confronto, e che soddisfano determinati criteri qualitativi. Infine si ricorre ad una tecnica matematica che permette di condensare tutte le informazioni in un unico dato numerico.