Questa volta Berlusconi ha sbagliato, e la disponibilità a votare la legge di stabilità è un modo come un altro per recuperare una situazione compromessa, che gli sta sfuggendo di mano. Un gesto irresponsabile? Certo ma soprattutto un atto di ritorsione contro gli avversari politici, contro i magistrati che lo hanno condannato, contro il PD e Napolitano che non lo hanno salvato.
Berlusconi è un uomo disperato, rincorso dagli incubi di probabili mandati di cattura successivi alla sua decadenza da senatore. In preda al terrore del carcere, ha imboccato, sulla pelle degli italiani e sulla sua pelle, una via senza uscita, che non lo libera dalla situazione in cui è impelagato. La crisi non risolve i suoi problemi, non gli dà il condono, non gli da consensi, ma apre la strada al suo isolamento politico e al dissenso interno, a defezioni di autorevoli membri del suo partito.
Berlusconi ha sbagliato, ma questo errore lo paghiamo tutti noi. Se non viene approvata la legge di stabilità e la legge elettorale questo Paese a sbattere, perde la sua indipendenza politica, sarà governato dalla troika finanziaria (BCE Fondo monetario, Commissione UE), e non da un governo scelto dagli italiani. Ma queste cose non importano al cavaliere, a cui preme solo di evitare la decadenza, le sue aziende, la prossima campagna elettorale. Per questo tenta di far cadere il governo, senza subire contraccolpi negativi. I suoi interessi prima di tutto, a spese degli italiani. E per questo obiettivo utilizza qualsiasi mezzo, anche se porta alla rovina l’Italia.
La crisi è l’ultimo atto di un ventennio in cui Berlusconi ha sempre anteposto i suoi interessi a quelli del Paese. Tutti i governi di Berlusconi non hanno pensato a governare, ma ad accorciare i tempi di prescrizione, ad eliminare il falso in bilancio, insomma ad adottare provvedimenti atti ad aiutare il cavaliere nelle sue vicende giudiziarie, a fare condoni e ad eliminare l’IMU per acquisire consensi. All’inizio della crisi non erano all’attenzione del governo di allora i provvedimenti per tamponarla, ma il lodo Alfano. E come ultimo atto fa cadere il governo, come ritorsione alla probabile pronuncia di decadenza da senatore della commissione parlamentare sulle immunità. E in questa operazione fa sentire in pieno il pugno del comando. Le dimissioni dei ministri non vengono discusse negli organi di partito. I ministri non vengono preventivamente avvertiti. Quando sono in ballo i suoi interessi non si comporta da statista, da leader, dapadrone che dà ordini ai suoi servi senza consultarli.
Ma poi avverte che questa volta il gioco è troppo scoperto per poter reggere. I suoi elettori nonostante la campagna mediatica di Mediaset, del Giornale, di Libero, di Panorama, sanno benissimo che la crisi è figlia degli interessi personali del cavaliere e che anteporre gli interessi personali a quelli del Paese non è accettabile. Così le motivazioni personali diventano motivazioni economiche, le sua responsabilità per lo strappo addossata ai suoi avversari. E come ha giustamente rilevato Letta, copre una iniziativa nata da una vicenda personale con una vicenda economica. Le ragioni vere della crisi sono collegate alla decadenza.