24 Settembre 2024, martedì
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Dati, un magazzino per tutta l’azienda

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Il termine tecnico è data warehouse, il magazzino di dati da cui attingere per le attività aziendali. Di soluzioni che permettono di costruire il proprio data warehouse si parla da tempo, ma è negli ultimi anni che i dati hanno acquisito un’importanza crescente dal punto di vista strategico parallelamente all’incremento delle loro dimensioni, tanto che oggi si parla di big data.

«Dieci anni fa, quando abbiamo cominciato, il data warehouse era ancora un concetto da visionari», ha raccontato Franco Vittone, amministratore delegato di Teradata Italia, «ora è una filosofia largamente diffusa anche nelle aziende. La sua realizzazione, però, non è un fatto scontato. Avere un unico ambiente, un’unica versione dei dati che alimenta tutte le divisioni, è un processo non ancora completato». Nelle aziende, sottolinea il manager, tradizionalmente le diverse divisioni erano concepite come silos e così gli archivi a cui attingevano per la propria attività. Ancora oggi è così, e il processo di consolidamento non sempre è avvenuto: un certo numero di database convive e può capitare che lo stesso dato presenti valori differenti: «L’univocità è un valore enorme.

Credem, già dieci anni fa pensò di preparare un magazzino di dati il cui utilizzo si sarebbe sviluppato nel tempo. In pratica Credem si trovò nella necessità di dotarsi di un sistema evoluto di customer relationship management, ma colse la palla al balzo per innestarlo su di un archivio che poi avrebbe servito le altre attività fino ad arrivare oggi alla business intelligence. «All’epoca avevamo già un data warehouse», ha spiegato Fabrizio Iotti, It manager di Credem, «ma ritenemmo che quel tipo di organizzazione tecnica non fosse la migliore. Ci importava che il sistema consentisse la scalabilità e in un modo non troppo oneroso. Così abbiamo preso il primo appliance Teradata, che ci ha seguito nel tempo. Oggi abbiamo un ambiente dati costituito da un nucleo centrale di enterprise data warehouse che comprende tutte le informazioni del gruppo bancario, nessuna esclusa».

I silos, incredibilmente, esistono anche in ambienti che utilizzano la business intelligence perché non è scontato che il carburante per questa attività si trovi raccolto in un unico posto. E se la qualità e unicità del dato sono elementi fondamentali, non è da sottovalutare il dispendio di risorse per allineare la stessa informazione su un certo numero di database, con il rischio di errore che questo comporta.

Prospettive a parte, Teradata si è dotata nel tempo di applicativi che si innestano sul proprio data warehouse pur continuando a realizzare magazzini virtuali utilizzati dalle più disparate soluzioni di terzi. La crescita del portafoglio spesso è avvenuta con acquisizioni, come con Aprimo, eCircle e Aster. «Con Aprimo ci siamo dotati di applicazioni di marketing, con eCircle di digital messaging visto che l’e-mail è tutt’ora il mezzo più efficace per fare campagne di marketing, e con Aster abbiamo ampliato la nostra offerta nel big data nei dati non strutturati.

Microcredito FSE Campania

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La Regione Campania ha pubblicato il settimo gruppo di elenchi relativi alle risultanze istruttorie del Fondo Microcredito FSE.
E’ disponibile sesto elenco di beneficiari dei micro prestiti agevolati, fino a 25.000 euro, per creare nuove imprese in Campania.

La misura, di cui ci siamo ampiamente occupati su Campania Europa, è stata dotata di risorse per a 100 milioni di euro. Permetterà a giovani, donne, disoccupati, disabili di avviare ed ampliare nuove imprese e costituire realtà associative.

 

Alitalia, prossima ragione di una crisi di governo

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di Michele Imperio

ayr france 2Ricordate i dileggi sul salvataggio di Alitalia disposto nel 2008 dall’ex premier Silvio Berlusconi, su sollecitazioen dell’ex ministro Raffaele Fitto?
Ebbene correva l’anno 2008 e la nostra compagnia di bandiera era sull’orlo del fallimento. Air France-Klm propose di rilevarla offrendo allo Stato italiano l’acquisto di azioni di minoranza per un controvalore di 140 milioni di euro, investimenti per un miliardo di euro nell’azienda, l’accollo di 1,4 miliardi di euro di debiti. In tutto quindi 2,540 miliardi di euro. Il ministro dell’Economia dell’epoca, Tommaso Padoa-Schioppa, s’era rassegnato alla soluzione francese, dicendo di sentirsi «come il guidatore di un’ambulanza che sta correndo per portare il malato nell’unica clinica disposta ad accettarlo».

1Ma il sovranista e autonomista Silvio Berlusconi si oppose, come sempre faceva quando c’era di mezzo la Francia, accusò la sinistra di voler «svendere» l’Alitalia ai francesi, ne fece il tema dominante della sua campagna elettorale e in uno con la critica alla monnezza di Napoli vinse le elezioni (santa monnezza), superate le quali respinse al mittente l’offerta di Ayr France, mise in liquidazione la vecchia Alitalia e diede vita a una nuova Alitalia guidata da Roberto Colaninno (D’Alema). e composta da altri soci imprednitori italiani amici suoi. Il disegno però non sarebbe andato a buon fine senza l’appoggio determinante del futuro ministro Corrado Passera, il quale collocò la sua Banca Intesa-San Paolo (Elkan-Agnelli) in prima fila fra gli azionisti. Ma i tre commisero un errore. Lasciarono che Alitalia continuasse a essere un’azienda romana che operava su un hub romano anziché trasformarla in un’azienda milanese che avrebbe operato su un hub milanese (Malpensa) . Per cui a cinque anni di distanza, i nodi sono tornati al pettine. Nonostante 3,2 miliardi di investimenti dei capitani coraggiosi, Alitalia è tornata a essere un’azienda piena di debiti. E Ayr France è tornata alla carica. Vuole di nuovo acquistare Alitalia ma questa volta senza spendere soldi. Perchè nella crisi generale che travolge l’euro e l’Europa anche Ayr France ora ha problemi. In Francia ha già allontanato 5 mila dipendenti e ora ne sta tagliando altri 3 mila. Di fronte all’opinione pubblica francese non potrebbe permettersi il lusso di non usare la stessa scure anche in Italia. Anche perchè la società è pubblica in quanto appartiene alla società francese dei depositi e prestiti.

E quindi mentre prima tutti i giornali stavano a dire che Berlusconi sbagliava, che Prodi era nel giusto perchè bisognava vendere ad Ayr France, ora invece tutti si sono messi a dire: vade retro Ayr France! Tutti o quasi tutti: perché c’è un signore che ancora continua a tifare per Ayr France. Questo signore è il noto europeista Letta Enrico premier dell’attuale governo e garante insieme agli altrettanto noti Napolitano Giorgio, Amato Giuliano, Draghi Mario, Boldrini Laura e Monti Mario tutti ai vertici dello Stato, degli interessi degli squali francesi, tedeschi e americani.
Anzi c’è di più! Non solo il Letta vorrebbe cedere Alitalia ai francesi ma vorrebbe pure che il secondo salvataggio della compagnia lo paghino i contribuenti italiani. Una contrapposizione netta quella fra Letta e il resto dello schieramento politico dalla quale potrebbe venir fuori una crisi di governo ancor più rovinosa e acida di quella che voleva procurare Silvio Berlusconi.

roitte alitalia 1 rotte air france Ma esaminiamo più dettagliatamente le singole posizioni. Tra quelli che non vogliono più Ayr France prima di tutto si sono fatte strda ragioni strategiche di rilievo nazionale. Se Air France riuscisse ad impadronirsi di Alitalia – si dice – trasformerebbe la nostra compagnia in una società satellite regionale che servirebbe a imbarcare passeggeri in Italia (bacino potenziale di 60 milioni di persone) per destinarle a Parigi onde poi farli salire sugli aerei Air France diretti verso tutti gli altri scali intercontinentali. Air France più Alitalia in posizione ancillare, si rafforzerebbe come terzo polo europeo dei voli aggiungendosi a British-Iberia e Lufthansa-Sas.

Poi c’è l’atteggiamento di Ayr France verso l’aeroporto romano di Fiumicino. Alcune settimane fa Aeroporti di Roma (gruppo Benetton), la società che gestisce gli scali capitolini e che ha interessi (dopo diremo quali) nel raddoppio dell’aeroporto, ha messo nero su bianco la grande paura: se Alitalia dovesse finire nelle mani francesi, il Leonardo da Vinci sarebbe ridimensionato e non avrebbe più senso l’ampliamento, con tutto ciò che ne consegue. in questo “ciò che ne consegue” vi sono principalmente due cose. Da un lato la grande delusione del gruppo Benetton (una volta P.R.I. oggi P.D.) e del binomio Montezemolo-Renzi (sempre P.D.) i quali da un lato sono ansiosi di vedere raddoppiare l’aeroporto di Fiumicino sui terreni di proprietà delle due famiglie (Montezemolo e Benetton), dall’altro controllando, i Benetton, Aeroporti di Roma, la società che gestisce lo scalo di Fiumicino, hanno bisogno che su Fiumicino Alitalia continui a convogliare gli scali internazionali, usandolo come “hub”, e non diversificando i voli internazionali su altri hub, primo fra tutti quello di Parigi.
Dall’altro lato c’è il problema del diretto e dell’indotto romano. Air France non nasconde affatto la sua intenzione di voler entrare da padrona in Alitalia ma a condizioni definite dallo stesso amministratore della compagnia Alexandre de Juniac “molto severe”. Gli ambasciatori della compagnia hanno illustrato queste intenzioni una decina di giorni fa al Letta durante un incontro a Palazzo Chigi di cui non è stata data alcuna comunicazione e in cui non erano presenti gli altri azionisti della compagnia. Secondo indiscrezioni circolate nei giorni successivi, i francesi riterrebbero che in Alitalia ci siano 4 mila dipendenti di troppo su 14 mila e venti aerei da lasciare a terra .
E’ chiaro quindi che l’economia locale ne risentirebbe pesantemente perché il sindacato ha calcolato che per ogni milione di passeggeri scattano 1000 posti di lavoro nell’indotto». E se venissero messi a terra venti aerei, si perderebbero di colpo circa 5 milioni di passeggeri, quindi altri 5 mila posti di lavoro nell’indotto, più quelli diretti, cioè dentro Alitalia.

alitalia quote di mercatoLa compagnia del resto già negli ultimi anni ha ridotto sensibilmente la forza lavoro (e anche le retribuzioni medie dei dipendenti): oggi i dipendenti Alitalia sono 12 mila (a fronte dei 18 mila di pochi anni fa), di cui 1200 in Cassa integrazione o comunque sotto ammortizzatori sociali.
Il taglio dei voli di Alitalia potrebbe poi causare un pericoloso effetto domino: meno lavoro nella compagnia, meno lavoro nell’indotto, meno soldi all’economia del territorio. Se poi salta il piano di ampliamento di Fiumicino ciò avrebbe importantissime ricadute sull’occupazione romana: 250 mila posti di lavoro in vent’anni. Se calano i volumi di traffico, per tagli all’operatività di Alitalia, diminuiscono anche gli introiti di Aeroporti di Roma e quindi la capacità di investimento della società di gestione.
«L’economia di Roma e del Lazio, già colpita duramente dalla crisi, non può permettersi di perdere Alitalia o di vederne ridotta l’operatività – dice Claudio Di Berardino della CGIL-, tanto più in un periodo in cui anche le vicende di Telecom rischiano di portare alla perdita di 5-6 mila posti di lavoro nel territorio. Per questo noi chiediamo che venga istituito un tavolo fra Regione, Roma Capitale, Comune di Fiumicino e parti sociali per lanciare un appello al governo e chiedere 3 cose: prima di tutto di impedire il fallimento, poi di trovare una soluzione in cui chiunque intervenga per salvare la compagnia non ponga condizioni capestro; e infine che si prenda seriamente in considerazione una forma di intervento pubblico per tutelare Alitalia, che non va vista come una semplice azienda, ma è un patrimonio di tutti ed è vitale per l’economia del territorio e del Paese».

zingarettiAnche il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti (D’Alema) si è rivolto al governo (Letta) con un appello per scongiurare il declassamento di Alitalia a compagnia regionale, con tutto quello che ne consegue. Appelli destinati a rimanere inascoltati. Vediamo perchè.

moreti ferrovieC’è in verità una proposta che rilancerebbe Alitalia come compagnia nazionale che è quella di Moretti manager di successo delle Ferrovie il qaule ha azzerato l’immane debito delle Ferrovie e ha ripoortato in attivo (500 milioni di euro l’anno) l’ex azienda di Stato.

Ma Moretti pone precise e rivoluzionarie condizioni e precisamente:
1. dove c’è l’alta velocità, gli aerei non devono volare, partendo dalla Roma-Milano (essendo ormai dei doppioni del’alta velocità);
2. Alitalia va riposizionata sul medio raggio tra grandi poli metropolitani, per esempio Napoli-Parigi, e soprattutto sul lungo raggio verso il Medio e l’Estremo Oriente.
3. Servono stazioni ferroviarie e aeroporti intercontinentali ben collegati”.
Una bella idea che riposizionerebbe i tanti aerei della tratta Roma-Milano su altri territori che sono compltamente sprovvisti di collegamenti aerei pur avendo dispoonibili gli aeroporti come per esempio Taranto e Foggia. E Roma continuerebbe a essere centrale.tratte aeree
tratte aeree 2 Seguono poi altre condizioni.
4. isolare in una società a se stante la parte di Trenitalia che lavora a prezzi di mercato e dedicarla agli aerei.
5. nemmeno un euro agli attuali soci di Alitalia compresa Air France. Insomma Ferrovie entra nel capitale e gli altri fanno la loro parte o le loro quote comnprese quele di Air France scenderanno”.
Racconta Antonella Baccaro (Corriere della Sera) che di fronte a questa proposta il Letta è apparso un pò spiazzato. E ha replicato così: 1. i soci dovranno deliberare un aumento di capitale più importante di quello già disposto che induca Air France-Klm a esserci; 2. Air France-Klm resta comunque un partner internazionale indispensabile; 3. quanto al soggetto pubblico destinato a entrare nel capitale di Alitalia, è ancora da scegliere, restando aperte tutte le ipotesi. (Cassa depositi e prestiti, Fintecna, F2i, e poi anche Ferroivie). Tuttavia è apparso fermo e irremovibile su un punto:
“Non faremo nulla senza l’impegno di tutti i soci, compresa sopratutto Air France-Klm”.
Air France. Air France. Air France.

Uhm………..sento odore di nuova crisi di governo………..e questa volta con le dimissioni non più soltanto dei ministri di Berlusconi, ma anche di altri……………………….

Michele Imperio

B. Mps, ora si attende solo l’ok di Bruxelles

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Il cda di B. Mps ha licenziato il piano di ristrutturazione 2013-2017, dopo che venerdì scorso si era conclusa la trattativa con la Commissione europea. L’ultimo passaggio, scrive Mf, sarà l’ok di Bruxelles, atteso entro il 14 novembre quando sarà presentata la trimestrale. L’impianto generale rispecchia le nuove norme sui salvataggi bancari, che pure arriveranno a regime soltanto nel 2018. In sostanza, il nuovo modello di bail-in punta a tutelare i contribuenti, scaricando gran parte degli oneri della ristrutturazione sugli azionisti, sui possessori di obbligazioni subordinate, poi sugli obbligazionisti senior, fatta salva la tutela dei correntisti sotto i 100 mila euro. In questa direzione va l’innalzamento dell’importo dell’aumento di capitale da 1 a 2,5 miliardi. La maxi-ricapitalizzazione dovrà essere lanciata entro la fine del 2014 per ripagare così entro quello stesso anno 3 miliardi di Monti-bond, cioè più del 70% del totale, mentre il resto sarà rimborsato entro il 2017 mediante generazione interna di capitale.

Pensioni: nel 2014 confermato blocco rivalutazione

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Nel 2014 verrà confermato il blocco della rivalutazione rispetto all’inflazione delle pensioni superiori a 6 volte il minimo, quelle di circa 3 mila euro al mese. Lo ha annunciato il ministro del lavoro Enrico Giovannini, nel corso di un’audizione alla camera. Giovannini ha aggiunto che si sta studiando un meccanismo di maggiore flessibilità nell’accumulo dei contributi per coloro che entrano tardi nel mercato del lavoro o hanno carriere discontinue. Sarà inoltre costituito un «gruppo di riflessione per stimolare un’inclusione sociale di chi già gode del reddito pensionistico». Il ministro ha poi sottolineato che «il governo ha trovato le risorse» per gli esodati «e il decreto è firmato da me». «Complessivamente», ha detto Giovannini, «con la quarta salvaguardia si è arrivati a un importo di 10,4 miliardi per il tema degli esodati». Quanto alle proposte presentate in parlamento sulle modifiche alla riforma Fornero in termini di maggiore flessibilità di uscita, esse, ha ribadito Giovannini, sono «incompatibili» con i conti pubblici. Eventuali penalizzazioni, ha aggiunto il ministro, non basterebbero a compensare le uscite. «Al di là dei salvaguardati e degli esodati, la domanda da porsi», ha osservato il ministro, «è se l’età del pensionamento deve essere flessibile o va bene quello che prevedono le norme» e se «vogliamo provare a trovare una soluzione finanziariamente compatibile che consenta a chi è a ridosso dell’età pensionistica di avere un margine» di manovra per anticipare l’età.

Ocse: italiani fanalino di coda per competenze alfabetiche e matematiche

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Adulti italiani agli ultimi posti tra i paesi Ocse per le competenze «fondamentali» per muoversi nel mondo del lavoro e nella vita sociale. Questo il risultato dell’indagine Isfol-Piaac (Programme for the International Assessment of Adult Competencies), svolta nel periodo 2011-2012, al fine di analizzare il livello di competenze della popolazione tra i 16 e i 65 anni. L’indagine, realizzata in 24 paesi, è stata promossa dall’Ocse e realizzata in Italia dall’Isfol su incarico del ministero del lavoro. «Il nostro paese», si legge nello studio, «si colloca all’ultimo posto della graduatoria nelle competenze alfabetiche (competenze fondamentali per la crescita individuale, la partecipazione economica e l’inclusione sociale), anche se rispetto alle precedenti indagini Ocse la distanza dagli altri paesi si è ridotta. Inoltre l’Italia risulta penultima nelle competenze matematiche (numeracy), fondamentali per affrontare e gestire problemi di natura matematica nelle diverse situazioni della vita adulta». In particolare, nelle competenze alfabetiche il punteggio medio degli adulti italiani è pari a 250, contro una media Ocse di 273. Nelle competenze matematiche la media italiana è pari a 247 rispetto a 269 di quella Ocse. I punteggi sono riconducibili a 6 diversi livelli di competenze e il livello 3 è considerato il minimo indispensabile per «vivere e lavorare nel XXI secolo». In riferimento alle competenze alfabetiche il 29,8% degli adulti italiani si colloca al livello 3 o superiore, il 42,3% al livello 2 e il 27,9% non supera il livello 1. Quanto alle competenze matematiche il 28,9% è al livello 3 o superiore, il 39% a livello 2 e il 31,9% al livello 1 o inferiore. Il divario Nord-Sud è stabile per tutti i livelli di istruzione considerati ed è più ampio, in particolare, per i livelli di istruzione universitaria.

I sindacati: i numeri non ci sono

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Si è concluso ieri sera tardi con sostanziale soddisfazione l’incontro a palazzo Chjigi tra i leader sindacali e il presidente del consiglio, Enrico Letta, sulla legge di stabilità. “Nessuna cifra, una pagina bianca”, hanno riferito i leader di Cgil, Cisl e Uil, ma è stato comunque un “incontro positivo”, nel corso del quale è stato confermato che il taglio del costo del lavoro sarà al centro della legge di stabilità con un mix di misure a vantaggio sia dei lavoratori sia delle imprese. Interventi da finanziare con il taglio della spesa pubblica. “Il presidente del consiglio ha detto che è interessato ad aprire la discussione fiscale nella legge di stabilità, che per noi è la questione cruciale: ridurre le tasse su lavoratori, pensionati e imprese che investono”, ha commentato il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, aggiungendo che “naturalmente ci sono problemi di risorse.

“Abbiamo spiegato che una riduzione delle tasse sul lavoro è fondamentale anche per l’economia del Paese”, gli ha fatto eco il leader della Uil, Luigi Angeletti, che comunque ha ribadito il “no ad operazioni simboliche”. In assenza di cifre e di proposte concrete si tratta solo di intenzioni”, ha aggiunto la leader della Cgil, Susanna Camusso. “Tutto quello che abbiamo letto sui giornali non esiste: siamo di fronte a una pagina bianca, nessuna cifra. L’impressione è che abbiamo perso un mese”, ha sottolineato Camusso, riferendosi al tempo passato dal documento di Genova e dalla richiesta di un confronto con il governo. Poco dopo il commento di Letta che ha definito positivo l’incontro con le parti sociali, sostenendo  la necessità di “recuperare il tempo perduto a causa della crisi politica” e “procedere a ritmi forzati” sulla legge di stabilità.

Carceri, Napolitano invia messaggio alle camere

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Il segretario generale della Presidenza della Repubblica, Donato Marra, ha consegnato questa mattina ai presidenti di Camera e Senato un messaggio del capo dello Stato, ai sensi dell’articolo 87 della Costituzione, sulla situazione carceraria. Una nota del Quirinale specifica che il messaggio è controfirmato dal presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta. Al Senato sarà il presidente, Pietro Grasso, a leggere il messaggio del Capo dello Stato. Lo farà all’inizio di seduta aula, oggi alle 16. Alla Camera è previsto che prenda la parola, sempre nel pomeriggio, la presidente Laura Boldrini. L’iniziativa era stata preannunciato proprio da Giorgio Napolitano lo scorso mese durante una visita nel carcere napoletano di Poggioreale. In quell’occasione Napolitano aveva chiesto al Parlamento di prendere in considerazione «la necessità di un provvedimento di clemenza, di indulto e di amnistia». Si tratta del primo passo di questo tipo compiuto da Napolitano nei suoi due mandati da presidente della Repubblica

Nuovo stabilimento in Malesia per Magneti Marelli

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Magneti Marelli, società di componentistica auto del gruppo Fiat, ha inaugurato a Batu Kawan, nello stato di Penang, in Malesia, un nuovo impianto industriale della divisione Magneti Marelli automotive lighting per la produzione di proiettori e fanali. L’impianto è stato realizzato in sostituzione della sede di Bayan Lepas, con un incremento sostanziale della capacità produttiva, che passerà da 1,7 milioni di unità l’anno a 2,2 milioni di componenti, con un potenziale di ulteriore sviluppo fino a 2,9 milioni. Il nuovo sito, che si estende su una superficie di 56.600 metri quadrati, vede già impiegate mille persone, che potranno crescere ulteriormente del 50% con il progressivo aumento della capacità produttiva. L’impianto malese di Batu Kawan produrrà proiettori anteriori, fanali posteriori e luci antinebbia, introducendo anche la tecnologia Led. La produzione sarà rivolta a case giapponesi (Honda, Mazda e Suzuki) e appartenenti all’ambito Asean (Proton & Perodua in Malesia, Ford e Gm in Thailandia e Indonesia).

Imu, Pd ritira tutti gli emendamenti

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Troppe polemiche, tante pressioni. Alla fine il Partito democratico ha deciso di ritirare tutti gli emendamenti al decreto legge Imu-Cig riferiti alla prima rata dell’Imu sulla casa. Lo ha annunciato  il capogruppo del Pd in commissione Bilancio,Maino Marchi, nel corso delle votazioni degli emendamenti al decreto Imu. Marchi è il primo firmatario dell’emendamento che chiedeva di restringere la platea delle esenzioni per la prima rata Imu agli immobili con rendita catastale inferiore ai 750 euro.

E proprio a una domanda sulla presentazione di emendamento da parte dei deputati renziani che ha creato malumori nel Pd, il presidente ha replicato così: “Non fatemi addentrare in questa foresta”. L’Imu sta offrendo un nuovo terreno di scontro tra i due partiti che sostengono l’esecutivo di Enrico Letta. Contro l’emendamento dei democratici che fissa la soglia a 750 euro di rendita catastale si era scagliato il Pdl. “Non può passare l’emendamento del Pd sulla prima casa. Semmai dovesse passare, noi chiederemo al Governo di mettere la fiducia sul’intero provvedimento, secondo la formulazione originaria proposta dal governo, per risolvere la questione”, aveva affermato il capogruppo del Pdl alla Camera, Renato Brunetta, intervenendo a Prima di tutto su Radio 1. “L’emendamento e’ sbagliato, non riguarda i ricchi, riguarda la maggioranzza delle rendite catastali di Roma, ad esempio, tocca il ceto medio. Quindi questa è una follia del Partito democratico, che si ritorcerà contro chi l’ha fatta. Letta si dia una regolata, e sulla tenuta del Governo si rivolga ai suoi pasdaran, a Fassina, all’ala fondamentalista del Partito democratico.