25 Settembre 2024, mercoledì
Home Blog Page 2234

I vincitori del “Premio Italia Diritti Umani 2013”

0

La drammaturga Doriana Vovola, il giornalista Rai Marcello Ugolini e  il portale web “Frontiere news” hanno vinto il “Premio Diritti Umani 2013” organizzato dalla Free Lance International Press, in collaborazione con Amnesty Italia, presso l’aula magna della facoltà valdese di Roma, per ricordare il vice presidente dell’associazione, Antonio Russo, ucciso in Georgia nel duemila mentre indagava sulla tragedia cecena per radio radicale. Queste le motivazioni, per Doriana Vovola: “Doriana Vovola svolge da anni una preziosa operazione culturale volta a restituire al teatro la sua forza, il suo perché originario in quanto efficace amplificazione dell’ attualità, contrastando lo scollamento degli autori teatrali stessi dalle tematiche di carattere sociale, ambientale e civile, invogliandoli ad utilizzare il mezzo e la poetica teatrali per favorire l’ascolto dell’Altro ed ampliare lo sguardo, oltre i tanti strappi e le tante zone d’ombra, verso una reale consapevolezza della rete di interdipendenza di diritti e doveri di tutti gli individui e di tutti i popoli.

Particolarmente degna di nota è poi la sua ferma volontà di salvare dall’oblìo la figura e l’opera di Antonio Russo, da lei   suggestivamente definito “un essere umano senza serrature”, una “gola instancabile” che “non poteva non gridare insieme ai bambini o ricordare insieme ai vecchi” o “non sperare insieme a madri e padri”. A lui Doriana ha voluto dedicare il Premio di drammaturgia Etica in Atto da lei stessa creato, giunto quest’anno alla sua quinta edizione.” Per Marcello Ugolini:” per il libro Retroscena di un inviato speciale (Fontana di Trevi edizioni) Rischiando spesso la propria vita per il suo lavoro pluridecennale di inviato, anche con questo volume Marcello Ugolini testimonia i retroscena di guerre che hanno martoriato il nostro pianeta nell’ultimo ventennio. Incontri con personalità forti come Madre Teresa di Calcutta, scuotono il lettore imponendo un momento di riflessione su ciò che veramente è accaduto e soprattutto su come, a volte superficialmente, ci viene raccontato dai mass-media.” Per il portale web Frontiere news: “Per la passione e la costanza con cui racconta ogni giorno storie di diritti umani, privilegiando il punto di vista e l’esperienza umana, di sofferenza e di lotta, di chi non ha voce, di chi non ha potere e lotta quotidianamente per la riaffermazione dei suoi diritti e della sua dignità”.

Prima della premiazione, molto attesa quest’anno, come negli altri anni, presentati da Neria De Giovanni, giornalista e Presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari, presentatrice del Premio, si sono succeduti interventi sullo stato dell’informazione, sul rispetto dei diritti umani e alcuni tesi a ricordare la figura di Antonio Russo: Luigi De Salvia –  Segretario generale di Religions for peace/sezione italiana, “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza pace”, 50 anni dopo la Pacem in terris; Sergio Di Cori Modigliani, giornalista e scrittore, direttore di “ libero pensiero: la casa degli italiani esuli in patria”: “Diritti civili e libertà mediatica”; Antimo della Valle: giornalista, saggista e direttore di Editorpress:“Digital Media nelle zone di guerra”; Mariano Giustino: giornalista e direttore della rivista “Diritto e Libertà”: “La ricerca della verità nel giornalismo di Antonio Russo”; Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, sezione Italia: “Raccontare il mondo dei senza voce”; Roberto Fantini, formatore EDU di Amnesty International, responsabile per i diritti umani della Flip: “I diritti umani fra passato e futuro”; Virgilio Violo, giornalista, presidente della Free Lance International Press: “Informazione e diritti umani in Italia”; Andrea D’Emilio – neo-laureato in filosofia: “Antonio Russo: un abruzzese raccontato da un abruzzese”. Dopo un ottimo rinfresco offerto dalla ditta “I genuini sapori di Puglia di Morea Domenico”, a seguire una commovente “Orazione civile per Antonio Russo” di e con Ferdinando Maddaloni. Le motivazioni del Premio sono state lette dagli attori: Giuseppe Lorin, Chiara Pavoni, Rita Gianini mentre  opere d’arte sono state donate ai premiati dagli artisti Barbara Berardicurti, Silvio Parrello e Luca Baronchelli.

Partito dieci anni fa per ricordare il giornalista, il premio va acquisendo di anno in anno sempre più consenso e notorietà, nonostante Antonio Russo sia stato un giornalista scomodo per l’ordine precostituito in quanto non iscritto all’ordine dei giornalisti di cui ne contestava l’esistenza, ma solo alla Free Lance International Press di cui ne era il Vicepresidente. Lo scopo è quello di voler dare un giusto riconoscimento a coloro che, per la loro attività, si sono distinti nel campo dei diritti umani. In un mondo in cui il profitto sembra essere lo scopo ultimo di ogni intento, bisogna sostenere chi lotta veramente, sacrificando spesso gran parte (o del tutto) la propria esistenza per aiutare il prossimo.

 

nella foto, partendo da sinistra, il Presidente della Free Lance International Press Virgilio Violo con i vincitori del premio: la drammaturga Doriana Vovola, il giornalista Rai Marcello Ugolini e  Joshua Evangelista, direttore del portale web “Frontiere news”.

 

diritti umani

LA NASCITA DEL MONDO “DE-AMERICANIZZATO” di Pepe Escobar

0

di PEPE ESCOBAR

Volentieri riceviamo e pubblichiamo:

dlaro yuanCi siamo. La Cina ne ha avuto abbastanza. La sfida (diplomatica) è aperta. È arrivato il momento di costruire un mondo “de- Americanizzato”. È arrivato il momento che una “nuova valuta di riserva internazionale” rimpiazzi il dollaro statunitense. È tutto qui, in un editoriale di Xinhua, direttamente dalla bocca del dragone. E l’anno a cui si riferisce è solo il 2013. Allacciatevi le cinture di sicurezza- specialmente voi dell’elite di Washington. Sarà un viaggio difficile.

Sono passati i giorni del basso profilo di Deng Xiaoping. L’editorale di Xinhua indica nella recente minaccia di uno shutdown statunitense il pretesto per il ritorno del dragone. Dopo la crisi finanziata causata da Wall Street, dopo la guerra in Iraq, un “mondo confuso”, e non solo la Cina, desidera un cambiamento. Il seguente paragrafo non potrebbe essere più esplicito: Piuttosto che onorare i suoi doveri da potenza leader responsabile, Washington ha abusato egoisticamente del proprio status di super potenza e ha, semmai, apportato ulteriore caos al mondo intero allargando ovunque l’incertezza finanziaria, istigando le tensioni regionali nel mezzo di dispute territoriali e combattendo guerre ingiustificate mascherate grazie a totali falsità. La soluzione, per Pechino, è “de- Americanizzare” l’attuale equilibrio geopolitico- a partire da una partecipazione più attiva al Fondo Monetario Internazione e alla Banca Mondiale per le economie emergenti e i paesi in via di sviluppo, che conduca a una “nuova valuta internazionale di riserva creata allo scopo di rimpiazzare il dollaro statunitense oggi predominante”.

Bretton WoodsDa notare come Pechino non stia promuovendo una rottura completa del sistema Bretton Woods– almeno per adesso- ma, piuttosto, reclami maggior potere decisionale. Suona ragionevole, considerando che la Cina esercita all’interno dell’Fmi un peso lievemente più alto di quello dell’Italia. La riforma dell’ FMI- più o meno- va avanti dal 2010, ma Washington, prevedibilmente, ha posto il veto su qualsiasi intervento sostanziale. Quanto all’abbandono del dollaro, esso è un processo già avviato, a diverse velocità, specie per quanto riguarda il commercio fra i paesi membri dei BRICS, gruppo di potenze emergenti (Brasile, Russia, Cina, India e Sud Africa), che si svolge oggi preponderatamente nelle rispettive valute. Il dollaro americano sarà lentamente ma sicuramente rimpiazzato da un paniere di valute.

Xi JinpingAnche la “De-Americanizzazione” è già iniziata. Si prenda la recente offensiva diplomatica cinese nei confronti del Sud-Est asiatico, mirata a una maggiore collaborazione di tali stati con il loro principale partner commerciale, la stessa Cina. Il presidente cinese Xi Jinping ha concluso una serie di accordi con Indonesia, Malesia e anche Australia, solo poche settimane dopo averne siglati altri con gli stati dell’ Asia centrale, i cosiddetti “stans” (Kazakhistan, Kyrgyzistan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan n.d.r.).

L’impegno cinese per il miglioramento dell’ “Iron Silk Road” (il Trans-Asian Railway, progetto finalizzato alla creazione di una rete ferroviaria tra Europa e Asia) ha ricevuto forti incoraggiamenti, grazie alla partecipazione delle compagnie ferroviare cinesi al progetto di una linea ferroviaria ad alta velocità che attraversi la Thailandia- parte integrante del piano- e che comincia, adesso, a materializzarsi. In Vietnam, con ancora più il premier cinese Li Kequiang ha siglato un’intesa che stabilisce il non intervento cinese nelle dispute fra i due paesi del Mar Cinese Meridionale con conseguenze economiche ancora più forti. Prendete nota, puntate sull’Asia.

Tutti sanno che Pechino detiene montagne, Himalaya si potrebbe dire, di bond emessi dal Ministero del Tesoro statunitense- merito dell’enorme surplus commerciale accumulato nei tre decenni passato accoppiato a una politica ufficiale di stabilità dello yuan dal lento sviluppo ma sicura.

Allo stesso tempo, Pechino ha agito. Lo yuan è diventato, gradualmente ma costantemente, più convertibile nei mercati internazionali (solo la scorsa settimana, la BCE e la People’s Bank of China hanno accettato di impostare una currency swap line (è un contratto stipulato fra due controparti che si scambiano nel tempo un flusso di pagamenti denominati in due diverse valute. Si pone quale scambio a pronti di una determinata valuta e nel contempo in uno scambio di eguale ammontare e cambio, ma di segno opposto, a una data futura prestabilita. Ndt- fonte Wikipedia) che aumenterà la forza internazionale dello yuan e ne migliorerà l’accesso al mercato finanziario dell’Euro zona.

La data ancora non ufficiale di una piena convertibilità dello yuan potrebbe cadere all’incirca fra il 2017 e il 2020; l’arresto d’accumulazione di debito americano implicherebbe, a lungo termine, l’allontanamento di Pechino da quel mercato- e con ciò l’aumento del costo del debito americano. Il processo verso una piena convertibilità dello yuan è inesorabile come quello dei BRICS verso un paniere di valute che progressivamente rimpiazzerebbero il dollaro come valuta di riserva. Fino a quando, prima o poi, non si sarà materizzata la vera catastrofe: l’avvento del petroyuan- destinato a sorpassare il petrodollaro una volte le petro-monarchie del Golfo si saranno accorte da che parte il vento soffi. Allora, si aprirà una situazione geopolitica completamente diversa.

Deng XiaopingPotrebbe volerci tempo, ma ciò che è certo è che la celebre lista di istruzioni di Deng Xiaoping verrà man mano cestinata: “Osserva tranquillamente; stabilizza la nostra posizione; fronteggia gli affari con calma; nascondi le nostre capacità e attendi gli eventi; sii bravo nel mantenere un basso profilo; non pretendere mai la leadership”. Un mix di cautela e furbizia questo era il classico Sun Tzu, ancorato alla storica fiducia in sé propria dello spirito cinese e all’alta considerazione rivolta alle ambizioni impegnative a lungo termine. Finora, Pechino si è mantenuta in disparte; lasciando che gli avversari commettessero errori fatali ( e che collezione d’errori da migliaia di miliardi di dollari) e accumulando “capitale”.

Il momento della capitalizzazione è ormai arrivato. Dal 2009, dopo la crisi finanziaria provocata da Wall Street, si sono susseguite numerose lamentele cinesi riguardo il “malfunzionamento del modello occidentale” ultimamente allargate anche alla “cultura occidentale”. Pechino ha ascoltato Dylan (con sottotitoli in mandarino?) e ha concluso che sì, i tempi sono cambiati. (The times they-are- a- changing, uno dei brani più celebri del cantautore americano, ndt). Senza progressi immediati sul piano sociale, economico e politico- lo shutdown è un ulteriore esempio della situazione, qualora qualcuno ne avesse bisogno- la decadenza degli USA è tanto inesorabile quanto l’ascesa, passo dopo passo, della Cina che finirà per spiegare le sue ali dominando la post-modernità del XXI secolo.

Nessun errore: l’elite di Washington combatterà questo processo come se fosse l’ultima piaga. Ancora, occorre ora aggiornare l’intuizione di Antonio Gramsci: il vecchio ordine è morto, e il nuovo è a un passo dal nascere.

Pepe Escobar

RAFFAELE FITTO ESPONENTE POLITICO EQUILIBRATO E SERIO di Mario Guadagnolo

0

di Mario Guadagnolo

Volentieri riceviamo e pubblichiamo:

fittoHo ascoltato Raffaele Fitto da Fazio. Mi è sembrato equilibrato e serio poichè ha argomentato le sue tesi con molta pacatezza e sobrietà. E’ stato netto nella sua lealtà nei confronti di Berlusconi ed ha preso correttamente le distanze dai guastatori quando ha detto che a prescindere dalle loro opinioni (condivisibili o meno) i rappresentanti delle istituzioni vanno rispettati (il riferimento era alle discutibili espressioni di Santanchè nei confronti di Napolitano). Persino sulla giustizia è stato chiaro e fermo nella condanna dell’anomalia rappresentata dal comportamento di questa magistratura nei confronti di Berlusconi ribadendo le tesi che sono le tesi del centro destra ma non ha mai perso la misura dell’equilibrio. Eppure egli ne avrebbe avuto la ragione per essere stato vittima di un processo e di una condanna per un contributo elettorale dichiarato ufficialmente nei bilanci della campagna elettorale a fronte di nessun favore o privilegio nei confronti di chi quel contributo aveva erogato. Una tangente a fronte di un favore o un appalto non dovuto non si mette ufficialmente nel bilancio di una campagna elettorale perchè sarebbe da cretini farlo. Io non sono un iscritto al PDL e non sono un sostenitore di Fitto che ho visto una sola volta nella mia vita per un attimo nel corso di una riunione. Per questo posso dire senza infingimenti o sospetti di nessun genere che, siano o non siano condivisibili le sue opinioni, da questa intervista emerge la fisionomia di una persona seria.

Mario Guadagnolo

L’Unione Europea farà la fine dell’Unione Sovietica? (2)

0

di Michele Imperio

Syriza Se la destra europea è spaccata nell’attaccare o nel difendere l’euro, questa discrasia è meno evidente nella Sinistra, dove l’euro piace di più soprattutto nei paesi del Nord, nei quali l’euro. raffreddando il valore di monete tendenzialmente forti, contribuisce ad abbattere il costo della vita, a favorire le esportazioni a mantenere l’integrità dei salari. Ma anche a Sinistra non mancano i mal di pancia perché non si può contemporaneamente difendere i sistemi di welfare e avallare le politiche di austerità dell’Unione Europea che intaccano il welfare. Ecco perché grosse quote di consenso in funzione anti-euro si stano dilatando anche nella Sinistra.

In Grecia per esempio il malcontento anti-euro si manifesta oltre che a destra con Alba Dorata, anche a sinistra, come evidenziato dall’arretramento dei partiti moderati (Nuova democrazia e Pasok) e dall’avanzare di forze più radicali sopratutto a sinistra. Syriza (Coalizione della sinistra radicale), nata nel 2004 come coalizione dei partiti politici greci di sinistra, si dichiara contraria alle politiche di austerity, patrocinate dalla Unione Europea ritenute favorevoli a banche e a grandi imprese. Benchè sull’euro le posizioni non vadano al di là di un marcato scetticismo, la coalizione ritiene necessario un cambiamento nel ruolo della Bce nella direzione del finanziamento diretto degli Stati e dei programmi di investimento pubblico. Syriza è al 26,9% dei consensi.

In Italia il Partito Democratico è decisamente a favore dell’euro. Il partito di Niky Vendola non si esprime se non attraverso un valoroso ex sindacalista Giorgio Cremaschi molto critico nei confornti dell’euro, ma recentemente Niky Vendola ha detto di voler appoggiare Matteo Renzi il baciamano dela Merkele, così sconfessando il suo valoroso economista.

diego fusaro Segnaliamo però al lettore le acute osservazioni di Diego Fusaro, un giovane ricercatore universitario, saggista e fondatore del sito “filosofico.net.” le cui opere già numeorse e interessanti nonostante la giovane età, mirano principalmente ad una rivalutazione ed attualizzazione del pensiero di Karl Marx. Secondo Diego Fusaro l’euro è servito a portare avanti un progetto che di fatto disarticola la forza sovrana della politica tramite la dissoluzione degli stati nazionali, contribuendo ad avviare i processi di privatizzazione selvaggia. Basti pensare che nel Trattato di Lisbona c’è scritto nero su bianco che se un’ azienda decide di delocalizzare, i lavoratori non hanno diritto a scioperare. Anche in Italia – sostiene Fusaro – abbiamo assistito ad un processo lento d questo tipo, che è partito con Mani Pulite, un colpo di Stato giudiziario. La Prima Repubblica aveva dei valori politici, pur con tutti i suoi difetti. Senz’altro c’era corruzione. Ma spazzata via la Prima Repubblica c’è stato un cedimento totale all’ideologia neoliberale, con Berlusconi, con i governi di sinistra e poi con il governo Monti, il primo governo composto interamente da economisti e non da politici. Dal mio punto di vista – dice Fusaro – uscire dall’euro non significa esaltare il nazionalismo selvaggio del ’900 che ben conosciamo. Ma se non altro poter riconquistare quella sovranità nazionale sufficiente a garantire i diritti sociali, che con euro e austerità dell’Ue sono stati cancellati. Oggi la politica italiana non decide nulla. L’Europa decide, l’Italia esegue, ed essendo l’Ue un club di burocrati, significa che la politica italiana è stabilita dai burocrati. Non sono chiaramente un berlusconiano – prosegue Fusaro – Ma non sono neppure un anti-berlusconiano. Ciò che penso è che berlusconismo e anti-berlusconismo sono stati due facce di un teatrino che ha tenuto bloccata l’Italia per 20 anni. Ma ciò che è più grave è che la sinistra ha cambiato la sua identità per l’antiberlusconismo. Il problema della sinistra era Berlusconi, di conseguenza i temi più cari alla sinistra sono diventati legalità e questione morale, anziché la questione sociale, i diritti dei lavoratori, la difesa delle classi sociali più deboli economicamente, lavoratori ed operai. Il problema della sinistra quindi non era più l’attuale sistema economico e sociale, che anzi viene accettato integralmente, ma solo Berlusconi. L’antiberlusconismo quindi ha permesso alla sinistra di abbandonare il diritto sociale a favore di altri temi come diritti civili e legalità, che possono essere lodevoli finché si vuole, ma sicuramente sono meno importanti e anche meno impellenti vista la situazione attuale. Ecco perché l’antiberlusconismo, a mio parere – conclude Fusaro – è stato un idiozia totale.

TSUNAMI TOUR ROMA Tuttavia se la Sinistra tradizionale ha praticamente baypassato il problema dell’euro o addirittura ha assecondato la moneta unica, un forte contributo al consenso anti-euro arriva da altre aree di Sinistra e segnatamente dall’area cosiddetta Grillo. Nonostante tutte le ditorsioni che si cercano di fare del pensiero del comico passato alla politica. Benchè il giornale filoamericano “Il fatto Quotidiano” si picca di interpretare il pensiero grillino e si sforzi di dipingere il M5S come un movimento europeista (che quindi sostiene che è sbagliato vedere nelle elezioni europee un modo per combattere la Bce, che è giusto vedere nelle elezioni europee un modo di rafforzare il ruolo del Parlamento europeo; che è sbagliato vedere nelle elezioni europee un mezzo per uscire dall’euro; che è giusto vedere nelle elezioni europee un modo di rafforzare il fronte politico di chi oggi in Europa vuole vedere l’entrata in vigore di legislazioni come la Tobin Tax, una più stretta regolamentazione dei mercati finanziari, criteri più severi per la stabilità delle banche, l’emissione di obbligazione di debito comune (eurobond) e l’affermarsi di una più equa integrazione politica), nel suo blog Beppe Grillo scrive esattamente il contrario: “Quando si mette in discussione l'euro – scrive Grillo -, la reazione indignata e corale è "Non possiamo uscire dall'Europa", come se l'Europa si identificasse con l'euro. Si può rimanere tranquillamente nella UE – scrive Grillo – senza rinunciare alla propria moneta. Su 27 Stati aderenti alla UE, dieci hanno mantenuto la loro divisa, tra questi Gran Bretagna, Svezia, Polonia, Repubblica Ceca, Danimarca che non rischiano alcun default. Un altro trucco è l'utliizzo ripetitivo del termine "moneta unica", non vi è assolutamente alcuna moneta unica europea, l'euro è limitato a 17 Stati e chi è fuori si guarda bene dall'entrare nella zona euro. Chi è oggi in crisi in Europa? In assoluta prevalenza i Paesi che hanno adottato l'euro con economie cosiddette "deboli". La domanda è "Deboli rispetto a chi?", ovviamente rispetto alla Germania. Stati come Portogallo, Italia, Irlanda, Spagna, Grecia e forse in futuro Francia e Olanda non possono reggere il passo dell'economia tedesca. Una moneta dovrebbe riflettere il valore dell'economia di un Paese, ma l'euro rappresenta al più il valore del marco. E' necessario un piano B nell'eventualità che si debba tornare alla lira. Non si tratta di essere ostili in principio all'euro, ma di poterselo permettere. Per rimanere nell'euro stiamo affamando il Paese, strangolando le aziende, trasferendo la ricchezza privata a copertura degli interessi sul debito pubblico che è (purtroppo) in euro. Se fosse in lire potremmo risolvere il problema del debito con la svalutazione della nostra moneta. Da quando Rigor Montis ha deciso di applicare la sua manovra di lacrime e tasse per salvare l'Italia siamo sprofondati, hanno chiuso circa 140.000 aziende nel primo trimestre, la disoccupazione è alle stelle e gli imprenditori suicidi non si contano più, il valore degli stipendi è ritornato al 1983. L'IMU, l'IMU bis e il Super IMU sono alle porte. L'Italia boccheggia come una balena spiaggiata. Lo ha capito persino Mario Draghi che di fronte alla possibile serrata del Paese ha invocato meno tasse e forti tagli alla spesa pubblica. Se per rimanere nell’euro e pagare gli interessi sul debito alle banche, in prevalenza tedesche e francesi, dobbiamo uccidere l’economia del nostro Paese – coclude Grillo – forse è il caso di fermarsi a riflettere”.

a href=”https://www.lanotteonline.it/wp-content/uploads/2013/10/letta-2.jpg”>letta 2Sempre più isolate e deboli e non suportate da consenso appaiono quindi le voci sul tema euro della Sinistra tradizionale come quelle dell’attuale premier italiano Enrico Letta il quale dice: “Siamo pronti anche in Europa ad affrontare e combattere i movimenti populisti antieuropei, i Tea Party di casa nostra… sappiamo già che avremo di fronte partiti capaci di bucare il video con i loro messaggi antieuropeisti. Noi ci dobbiamo attrezzare ricordando a tutti che, a Washington come in Europa, questi movimenti non risolvono i problemi!”

Già. Ma a parte che bisognerebbe vederli all’opera questi movimenti, prima di giudicarli, ma lui come pensa di risolvere i problemi dell’Italia? Con l’austerità dell’Unione Europea che ha già fallito in Grecia? Con la crescita zero (nel migliore dei casi) ammesso che riesca a raggiungerla? Con l’aumento ogni anno di cento miliardi del debito pubblico? Come pensa?

Michele Imperio

L’Unione Europea farà la fine dell’Unione Sovietica? (1)

0

di Michele Imperio

Spagna, continuano le proteste contro il nuovo piano di austerità Sia la destra che la sinistra europea sono praticamente spaccate sulla questione del’euro, in bilico fra il convincimento di dover dare sostegno alle misure di austerità patrocinate dalla troika (U.E., B.C.E. e F.M.I.) che nel tempo arginerebbero la crisi (ma risultati in questo senso non se ne vedono, anzi laddove l’austerità viene applicata la situazione peggiora) e il convincimento contrario cioè quello che ritiene che proprio la moneta unica e le sue rigide regole sono la fonte dell’attuale disastro socio-economico europeo e che l’euro altro non sia che uno strumento monetario adottato per favorire la Germania e coltivare gli interessi dei grandi banchieri internazionali anglo-americani.

Nel REGNO UNITO cuore della finanza globale, il Partito conservatore, pur essendo critco nei confronti della U.E., non ha una situazione elettorale rosea. Il parito ha aderito ai piani di austerità voluti dalla U.E. ma queste politiche per bocca del suo stesso ministro delle Finanze, sono state definite un fallimento. Cameron ha annunciato ulteriori tagli alla spesa pubblica dell’1 per cento per il 2013 e del 2 per cento per il 2014, e un milione di posti di lavoro in meno nei servizi pubblici. Ma il p.i.l. non cresce e sale sempre di più nei sondaggi il consenso all’altro partito di destra il partito nazionalista dell’Ukip diretto dal noto europarlamentare anti-euro Nigel Farage e maractamente anti-euro e anti-U.E.

Mariano RajoyIl PARTITO POPOLARE di Spagna, tornato al governo poco più di un anno fa, ha dovuto affrontare crisi economica, bolla immobiliare, una disoccupazione che oscilla attorno al 25 per cento, un Pil in caduta libera, e il risanamento degli asset tossici o “problematici” individuati nei bilanci delle banche spagnole, che sono pari a 176 miliardi di euro per cui ha dovuto chiedere aiuti all’Unione Europea per avere i quali, il partito guidato da Mariano Rajoy ha dovuto accettare le imposizioni dell’Unione Europea e varare gravose misure di austerità. E per questo è già in forte perdita di consensi.

In Grecia ALBA DORATA partito di estrema destra nato nel 1993, alle elezioni parlamentari del 1996 ottenne lo 0,07% dei voti. Da allora, è cresciuto vorticosamente grazie soprattutto alla forte opposizione contro i provvedimenti della Troika (Ue, Bce, Fmi) e le politiche di austerity varate dal governo greco di Papandreou (fino al novembre 2011), di Papademos (fino al maggio 2012) e di Samaras (da giugno 2012). E’ al 6,9% dei consensi. Il leader del Movimento è oggetto di una feroce aggressione da parte di Polizia e Magistratura greca eed è stato addirittura arrestato.

In Italia alla domanda se l’appartenenza all’Unione europea sia una “buona cosa” solo il 38% degli italiani si riconosce in questa affermazione. Però contrariamete che in altri paesi manca un partito anti-euro di destra, se si sclude la Lega Nord la quale però chiede e raccoglie consensi solo nelle regioni settentrionali.

Solo in GERMANIA la destra filo-europeistia può sorridere. Il suo leader Angela Merkel è osannato dai tedeschi perchè ha fatto della Germania una nazione forte che ha imposto la sua leadership a tutta l’Europa. La situazione economica tedesca è stabile e, rispetto al resto d’Europa, un paradiso. La disoccupazione si attesta al 6,9 per cento, la produzione industriale è soltanto in leggera decrescita, il tasso di crescita dell’economia stazionario, ma il costo sui titoli di stato è un affare per la Germania, con i bund a 10 anni appena al di sopra dell’1 per cento (rispetto al 4 – 5 per cento di Italia e Spagna, e al 3,5 per cento della Francia). E tuttavia la CDU ha presidposto un piano B per l’uscita dall’euro se gli Stati Uniti e gli altri paesi europei dovessero insistere troppo per gli eurobond, ossia per l’accollo sulla Germania di tutto il debito pubblico europeo. Nel qual caso l’Unione Europea potrebbe dissolversi proprio per l’uscita del suo primo paese fondatore, appunto la Germania.

le pen Questo dominio tedesco sull’Europa contribuisce sicuramente a far sì che la situazione più critica per la destra filo-europeista sia in Francia. In FRANCIA i consensi del partito gollista (favorevole all’euro) calano giorno dopo giorno a fronte dell’inesorabile e prorompente aumento dei consensi stando ai sondaggi dell’altra destra della Francia, quella guidata da Marine Le Pen, rigidamente contraria alle politiche di austerità della U.E., che lei definisce ”Unione sovietica europea”. In Francia per la prima volta nella storia politica di questo paese, una coalizione diversa dal centro-destra moderato (i Gollisti dell’UMP) o dal centro-sinistra ufficiale (quella condotta dal Partito Socialista attualemnte al potere) è primo nei sondaggi elttorali. In realtà il Front Nationale riscuote soltanto il 23% dei consensi ma nei ballottaggi per le elezioni negli enti locali la tendenza è che i socialisti, generalmente esclusi dal secondo turno, optano in maggioranza per il Front Nastionale, piuttosto che per i gollisti. Quindi la vittoria della Le Pen alle prossime elezioni politiche del 2014 appare sempre più probabile, E poichè se la Le Pen vincesse, il suo primo impegno sarebbe quello di far uscire la Francia dall’euro, ecco che il castello dell’euro potrebbe cominciare a sgretolarsi proprio a partire dalla Francia.

Marine Le Pen è molto attiva nel suo impegno anti-europeo. Vuole chiaramente prendere in mano tutto il movimento anti-euro. In questo senso ha già coltivato legami con la destra austriaca del partito per la libertà, che ha conseguito un lusinghiero 21 per cento dei voti alle ultime elezioni politiche del mese scorso in Austria. Presto si recherà in Olanda per coltivare un’alleanza con Geert Wilders, leader del PVV, che al momento è in testa nei sondaggi in Olanda in vista delle prossime elezioni europee di maggio 2014. Wilders, a sua volta ha già creato collegamenti con Vlaams Belang in Belgio, il partito democratico in Svezia e con la Lega Nord in Italia. “Vogliamo fare tutto ciò che possiamo per trasformare le prossime elezioni europee in una frana elettorale europea contro Bruxelles,” ha detto Wilders.

Nigel Farage.Il nuovo blocco anti-UE si andrebbe ad aggiungere al gruppo euroscettico già esistente a Bruxelles, Europa, libertà e democrazia, che è dominato dal partito Indipendente del Regno Unito condotto da Nigel Farage (25% dei consensi in Gran Bretagna e sopravissuto a un grave attentato nel 2009, il suo elicotero precipitò mentre era in volo con lui salvo per mero miracolo).

orban attentato Anche in Ungheria si è registrato un attentato al leader del partito anti-euro e attuale premier Viktor Orban., il che va a riprova -se ce ne fosse bisogno – del carattere criminale di alcuni interessi che si celano dietro l’Unione Europea. In Ungheria l’area anti-euro è straripante grazie alla presenza di due partiti di centrodestra Fidesz e Jobbik, rigidamente ostili all’auro. Fidesz è un partito di centro-destra guidato da Viktor Orbán, al governo dall’aprile 2010. In un discorso pubblico tenuto il 15 marzo 2012, Viktor Orbán ha apertamente paragonato i burocrati europei ai membri dell’apparato sovietico, lasciando intendere un grande senso di disprezzo per l’ l’Unione europea. il suo partito ha raggiunto in Ungheria addirittura il 52% dei consensi. Il secondo partito anntieuropeista ungherese Jobbink è un movimento espressione dell’estrema destra, attivo nel panorama politico ungherese dal 2003. Jobbik è attualmente il terzo partito ungherese e detiene 47 seggi al Parlamento. Nei confronti dell’Unione Europea nutre una diffidenza ancora più forte di quella espressa da Fidesz: il 14 gennaio 2012, dopo una marcia per chiedere l’uscita dell’Ungheria dall’Ue, un parlamentare di Jobbik ha addirittura bruciato in pubblico una bandiera europea.

Michele Imperio 1. continua

LONDON SCHOOL OF ECONOMICS: NON RIMARRA’ NULLA, DELL’ITALIA. NEI PROSSIMI 10 ANNI SI DISSOLVERA’ di Roberto Orsi

0

di ROBERTO ORSI

Volentieri riceviamo e pubblichiamo:

crisi-“Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all’Italia come un caso perfetto di un Paese che è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale in soli vent’anni in una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di un completo caos politico istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato italiano sta crescendo, con i ricavi dalla tassazione diretta diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil maggiore del 3% e un debito pubblico ben al di sopra del 130%. Peggiorerà.

Il governo sa perfettamente che la situazione è insostenibile, ma per il momento è in grado soltanto di ricorrere ad un aumento estremamente miope dell’IVA (un incredibile 22%!), che deprime ulteriormente i consumi, e a vacui proclami circa la necessità di spostare il carico fiscale dal lavoro e dalle imprese alle rendite finanziarie. Le probabilità che questo accada sono essenzialmente trascurabili. Per tutta l’estate, i leader politici italiani e la stampa mainstream hanno martellato la popolazione con messaggi di una ripresa imminente. In effetti, non è impossibile per un’economia che ha perso circa l’8 % del suo PIL avere uno o più trimestri in territorio positivo. Chiamare un (forse) +0,3% di aumento annuo “ripresa” è una distorsione semantica, considerando il disastro economico degli ultimi cinque anni. Più corretto sarebbe parlare di una transizione da una grave recessione a una sorta di stagnazione.

manifestazione-cgil-a-roma-nel-2009Il 15% del settore manifatturiero in Italia, prima della crisi il più grande in Europa dopo la Germania, è stato distrutto e circa 32.000 aziende sono scomparse. Questo dato da solo dimostra l’immensa quantità di danni irreparabili che il Paese subisce. Questa situazione ha le sue radici nella cultura politica enormemente degradata dell’élite del Paese, che, negli ultimi decenni, ha negoziato e firmato numerosi accordi e trattati internazionali, senza mai considerare il reale interesse economico del Paese e senza alcuna pianificazione significativa del futuro della nazione. L’Italia non avrebbe potuto affrontare l’ultima ondata di globalizzazione in condizioni peggiori. La leadership del Paese non ha mai riconosciuto che l’apertura indiscriminata di prodotti industriali a basso costo dell’Asia avrebbe distrutto industrie una volta leader in Italia negli stessi settori. Ha firmato i trattati sull’Euro promettendo ai partner europei riforme mai attuate, ma impegnandosi in politiche di austerità. Ha firmato il regolamento di Dublino sui confini dell’UE sapendo perfettamente che l’Italia non è neanche lontanamente in grado (come dimostra il continuo afflusso di immigrati clandestini a Lampedusa e gli inevitabili incidenti mortali) di pattugliare e proteggere i suoi confini. Di conseguenza , l’Italia si è rinchiusa in una rete di strutture giuridiche che rendono la scomparsa completa della nazione certa.regolamento di dublino

L’Italia ha attualmente il livello di tassazione sulle imprese più alto dell’UE e uno dei più alti al mondo. Questo insieme a un mix fatale di terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia inefficiente, il sistema di giustizia più lento e inaffidabile d’Europa, sta spingendo tutti gli imprenditori fuori dal Paese . Non solo verso destinazioni che offrono lavoratori a basso costo, come in Oriente o in Asia meridionale: un grande flusso di aziende italiane si riversa nella vicina Svizzera e in Austria dove, nonostante i costi relativamente elevati di lavoro, le aziende troveranno un vero e proprio Stato a collaborare con loro, anziché a sabotarli. A un recente evento organizzato dalla città svizzera di Chiasso per illustrare le opportunità di investimento nel Canton Ticino hanno partecipato ben 250 imprenditori italiani.

emigrazioneLa scomparsa dell’Italia in quanto nazione industriale si riflette anche nel livello senza precedenti di fuga di cervelli con decine di migliaia di giovani ricercatori, scienziati, tecnici che emigrano in Germania, Francia, Gran Bretagna, Scandinavia, così come in Nord America e Asia orientale. Coloro che producono valore, insieme alla maggior parte delle persone istruite è in partenza, pensa di andar via, o vorrebbe emigrare. L’Italia è diventato un luogo di saccheggio demografico per gli altri Paesi più organizzati che hanno l’opportunità di attrarre facilmente lavoratori altamente, addestrati a spese dello Stato italiano, offrendo loro prospettive economiche ragionevoli che non potranno mai avere in Italia.

tecnocratiL’Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale. Perché i politici di partito hanno portato il Paese ad un quasi – collasso nel 2011, un evento che avrebbe avuto gravi conseguenze a livello globale. Il Paese è stato essenzialmente governato da tecnocrati provenienti dall’ufficio del Presidente Repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la Banca d’Italia. Il loro compito è quello di garantire la stabilità in Italia nei confronti dell’UE e dei mercati finanziari a qualsiasi costo. Questo è stato finora raggiunto emarginando sia i partiti politici sia il Parlamento a livelli senza precedenti, e con un interventismo onnipresente e costituzionalmente discutibile del Presidente della Repubblica , che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell’ordine repubblicano. L’interventismo del Presidente è particolarmente evidente nella creazione del governo Monti e del governo Letta, che sono entrambi espressione diretta del Quirinale. L’illusione ormai diffusa, che molti italiani coltivano, è credere che il Presidente, la Banca d’Italia e la burocrazia sappiano come salvare il Paese. Saranno amaramente delusi. L’attuale leadership non ha la capacità, e forse neppure l’intenzione, di salvare il Paese dalla rovina. Sarebbe facile sostenere che Monti ha aggravato la già grave recessione. Letta sta seguendo esattamente lo stesso percorso: tutto deve essere sacrificato in nome della stabilità. I tecnocrati condividono le stesse origini culturali dei partiti politici e, in simbiosi con loro, sono riusciti ad elevarsi alle loro posizioni attuali: è quindi inutile pensare che otterranno risultati migliori, dal momento che non sono neppure in grado di avere una visione a lungo termine per il Paese. Sono in realtà i garanti della scomparsa dell’Italia.

In conclusione, la rapidità del declino è davvero mozzafiato. Continuando su questa strada, in meno di una generazione non rimarrà nulla dell’Italia nazione industriale moderna. Entro un altro decennio, o giù di lì, intere regioni, come la Sardegna o Liguria, saranno così demograficamente compromesse che non potranno mai più recuperare. I fondatori dello Stato italiano 152 anni fa avevano combattuto, addirittura fino alla morte, per portare l’Italia a quella posizione centrale di potenza culturale ed economica all’interno del mondo occidentale, che il Paese aveva occupato solo nel tardo Medio Evo e nel Rinascimento. Quel progetto ora è fallito, insieme con l’idea di avere una qualche ambizione politica significativa e il messianico (inutile) intento universalista di salvare il mondo, anche a spese della propria comunità. A meno di un miracolo, possono volerci secoli per ricostruire l’Italia.

Roberto Orsi

Anche il Qatar all’Expo

0

Il padiglione del Qatar all’Expo di Milano avrà una superficie di 2.451 metri quadrati e sorgerà in posizione strategica, vicino all’ingresso Est del sito espositivo. Ieri il commissario generale del paese, l’ambasciatore del Qatar in Italia Soltan Saad Al Moraikhi, ha firmato con il commissario unico per Expo Milano 2015 Giuseppe Sala il contratto di partecipazione all’evento del 2015. Il documento che ufficializza la presenza del Qatar è il 75esimo contratto di partecipazione che la società Expo 2015 sottoscrive con i paesi che prenderanno parte alla manifestazione.

Carceri, 4.500 posti in meno disponibili

0

Sono circa 4.500 in meno i posti in carcere disponibili rispetto al dato ufficiale, che indica come capienza regolamentare un totale di 47.599 posti. Sono 64.564 i detenuti nelle carceri italiane, di cui 24.744 in custodia cautelare e 38.625 condannati in via definitiva. A queste due categorie vanno, inoltre, aggiunti 1.195 internati. Per quanto riguarda, invece, i detenuti in attesa del primo grado di giudizio le cifre ammontano a circa 12.348, mentre 6.355 sono stati condannati in primo grado e sono in attesa della decisione di appello e 4.387 sono condannati in uno od entrambi i gradi di giudizio di merito e sono in attesa della decisione della Cassazione. Su un totale, poi,  di 38.625 detenuti condannati, 9.598 hanno una pena residua inferiore ad un anno, 7.735 tra uno e 2 anni e 5.689 da due a tre anni. Complessivamente, quindi, sono 23.022 quelli che devono scontare una pena residua inferiore ai tre anni. Questi i dati resi noti, ieri, dal Ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri durante le audizioni che si sono svolte in Commissione giustizia alla Camera.

Autogrill conquista l’Eurotunnel

0

Il gruppo Autogrill, attraverso la divisione HMSHost International, si è aggiudicato due nuove concessioni per le attività food & beverage nelle stazioni dell’Eurotunnel e all’interno dell’aeroporto britannico di East Midlands. Il primo accordo prevede la gestione per dieci anni di otto punti vendita che dal 2013 al 2023 si stima genereranno ricavi complessivi per circa 105 milioni di sterline. Il secondo contratto ha una durata di otto anni e riguarda sette locali dai quali si attendono ricavi totali per circa 70 milioni di sterline nel periodo 2013-2021. Il gruppo, con cinque locali sul versante britannico e tre su quello francese, sarà il principale fornitore dei servizi di ristorazione in entrambi i terminal del tunnel ferroviario che collega l’Inghilterra alla Francia.

Abu Mazen dal Papa

0

E’ durato circa 30 minuti il colloquio privato tra papa Francesco e il presidente palestinese Abu Mazen nella Sala della Biblioteca, in Vaticano, alla presenza di un interprete dall’arabo all’italiano.”Spero di firmare con questa penna l’accordo di pace con Israele”, ha affermato il presidente palestinese, ricevendo in dono da papa Francesco la penna di rappresentanza a forma delle colonne tortili del baldacchino di San Pietro. “Certamente lei ha molte cose da firmare”, gli ha risposto il Papa mostrandogli il dono, al che Abu Mazen ha espresso la sua speranza di usare la penna per l’accordo con Israele. “Presto, presto”, ha quindi commentato il Pontefice. Nell’udienza in Vaticano, il presidente palestinese ha invitato papa Francesco a visitare la Terra Santa. Lo ha riferito lo stesso Abu Mazen al “ministro degli esteri” vaticano monsignor Dominique Mamberti: “E’ stato un piacere – ha detto commentando l’incontro – e l’ho invitato in Terra Santa”.