21 Settembre 2024, sabato
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Berlusconi, Grasso decide per il sì: il Senato sarà parte civile nel processo. Forza Italia attacca: venga a spiegarsi in aula

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Acque agitate in Senato dopo la decisione del presidente Piero Grasso di far costituire il Senato parte civile nel processo sulla compravendita dei senatori che vede coinvolto Silvio Berlusconi. Una decisione arrivata ieri sera, dopo che nel pomeriggio – con dieci voti contrari e otto a favore – il Consiglio di Presidenza ha dato parere negativo.Forza Italia annuncia le barricate. E anche il Ncd non nasconde la sua irritazione.

Romani (Fi): Grasso venga in aula a spiegarsi
Il capogruppo di Fi Paolo Romani pretende da Grasso piegazioni formali in Aula e lascia intendere che in assenza di esse Palazzo Madama conoscerà altre ore difficili. «Chiedo che sia il presidente a venire a spiegare le regioni giuridiche della sua scelta e del suo comportamento. In assenza di questo è difficile immaginare che i lavori possano mantenere quello spirito di serenità», avverte Sacconi (Ncd), venuta meno sua terzietà Forti malumori anche in casa Ncd. «Mi associo alla richiesta del collega Romani, Grasso venga a riferire in Aula. Da oggi questa istituzione è diversa, qualcosa di grave è accaduto: quella terzietà che deve caratterizzare il ruolo del presidente è venuta meno», ha affermato Maurizio Sacconi, capogruppo di Ncd al Senato. Mentre per Fabrizio Cicchitto la decisione di Grasso «arriva in un momento politico delicatissimo e complica ulteriormente le cose».

Il processo si apre martedì a Napoli Grasso ieri una nota ha spiegato che «dopo aver ascoltato i diversi orientamenti espressi dai componenti del Consiglio di presidenza, ha dato incarico all’Avvocatura dello Stato di rappresentazione il Senato della Repubblica quale parte civile nel processo sulla cosiddetta “compravendita di senatori” che inizierà il prossimo 11 febbraio presso il tribunale di Napoli».

Dovere morale di partecipazione In particolare, il presidente del Senato «ha ritenuto che l’identificazione, prima da parte del pubblico ministero, poi del giudice, del Senato della Repubblica italiana quale “persona offesa” di fatti asseritamente avvenuti all’interno del Senato, e comunque relativi alla dignità dell’istituzione, ponga un ineludibile dovere morale di partecipazione all’accertamento della verità, in base alle regole processuali e seguendo il naturale andamento del dibattimento».

Il no del consiglio di presidenza Durante il Consiglio di presidenza che si è svolto nel pomeriggio, la senatrice di Scelta Civica, Linda Lanzillotta, e l’esponente del Partito Popolare per l’Italia, Antonio De Poli, hanno deciso di esprimersi insieme a Forza Italia, Gal, Ncd e Lega contro la possibilità. Hanno dato invece parere positivo alla costituzione di parte civile i componenti del Consiglio di presidenza del Senato che fanno parte del centrosinistra: Alessia Petraglia (Sel), cinque senatori del Pd (Valeria Fedeli, Silvana Amati, Maria Rosa Di Giorgi, Angelica Saggese e Luciano Pizzetti), Laura Bottici (M5S) e Hans Berger (Gruppo Autonomie). Per un totale di 8 senatori.

Svezia imputata per violenza sessuale

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Più di 1/3 delle svedesi tra i 18 e i 29 anni è stata vittima di un atto sessuale contro la sua volontà. Sono questi i dati scioccanti di un recente sondaggio realizzato dall’Università di Lund, inviato a 7.000 giovani donne della Scania, la contea più meridionale del Paese. Che hanno ammesso di aver accusato pesanti contraccolpi emotivi dopo la violenza subita, dice la dottoressa Anette Agardh, responsabile dello studio: periodi di terrore, mancanza di fiducia verso il futuro, insonnia, perdita di interesse per l’altro sesso, profondo senso di colpa per l’accaduto e pensieri suicidi. Affatto supportate dalla comunità. Un dato confermato dal 36% delle giovani che hanno deciso di rispondere al sondaggio, ma che, a sorpresa, è stato denunciato anche dal 17% delle vittime di sesso maschile dello stesso gruppo d’età.

Attilio Manca: La strana morte dell’Urologo

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Attilio Manca aveva 34 anni, era un medico, un urologo. Aveva studiato a Roma e poi a Parigi, dove aveva appreso le tecniche più innovative per operare il tumore alla prostata, per poi finire a lavorare all’ospedale Belcolle di Viterbo. Un giorno Attilio non si presenta al lavoro. È il 12 febbraio 2004. I suoi colleghi lo troveranno riverso sul letto in una pozza di sangue. Dopo dieci anni, per la prima volta, abbiamo recuperato nel fascicolo processuale le foto del cadavere, così come sarebbe stato ritrovato. Sono foto impressionanti: faccia in giù sul letto, il naso appare deviato e il volto è una maschera di sangue. Lungo il corpo molte ecchimosi (i lividi vengono solo da vivi!) e macchie ipostatiche (che invece compaiono sui cadaveri). Sul polso c’è una ferita e lo scroto, gonfio in modo innaturale, presenta delle lesioni, come se avesse ricevuto dei calci. LA PROCURA di Viterbo non ha dubbi: si tratta di un’over – dose. In bagno e nel cestino della cucina sono state ritrovate infatti due siringhe con un mix letale di eroina e tranquillanti e tanto basta per archiviare il caso e derubricare la fine di un brillante medico come quella di un tossico, probabilmente suicida. Un tossico che non aveva però vene indurite, infatti presentava un solo segno di agopuntura. Dove? Sul braccio sinistro. Attilio Manca era completamente mancino e nessuno, nemmeno un chirurgo esperto, riuscirebbe in questo intento. Eppure il caso è chiuso, ma tante cose non tornano. È quello che mi dicono anche i due periti di Medicina legale, a cui abbiamo fatto vedere le foto. Quel naso che se ne va da un’altra parte e quei segni rossi sullo scroto potrebbero raccontare un’altra storia, ma il referto dell’autopsia è talmente lacunoso che non è possibile farsi un’idea più precisa. Tante cose ancora non tornano. Quando ci si inietta una dose da cavallo, come quella che ha ucciso Attilio, non si arriva nemmeno a staccarsi la siringa dal braccio, si muore subito. Per la Procura, Attilio invece non solo avrebbe addirittura avuto il tempo di rimettere il tappo alle siringhe, ma avrebbe anche lavato il cucchiaino con cui avrebbe sciolto l’eroina e fatto poi sparire il resto dell’occorrente. Una ricostruzione poco verosimile, che viene giustificata dagli inquirenti con il fatto che il medico, proprio per la sua professione, era un maniaco dell’igiene. Insomma, un drogato o un aspirante suicida avrebbe avuto tempo e lucidità per dar sfogo a preoccupazioni igieniche? E le impronte sulle siringhe? Non esistono. Anche qui la spiegazione della Procura lascia perplessi: sono oggetti troppo piccoli, difficile rilevarle. Forse Attilio Manca si è davvero autoiniettato la dose che lo avrebbe ucciso. O forse no. Per la famiglia e per gli avvocati, Antonio Ingroia e Fabio Repici, si tratta di omicidio. Un delitto che sarebbe stato insabbiato con indagini approssimative per coprire tutta un’altra storia. Una storiache inizia altrove, in Sicilia, a Barcellona Pozzo di Gotto, dove Attilio Manca è cresciuto. Una cittadina a 40 chilometri da Messina, in quella che un tempo era considerata la provincia “babba”, ingenua, perché la mafia lì non c’era o era debole. Poi i fatti hanno smentito questa leggenda, tanto che negli anni 90 la città era soprannominata Barcellona Pozzo di sangue, per i tanti morti di mafia che ci sono stati. È qui che mafia, servizi deviati e massoneria hanno trovato un ospitale terreno d’incontro. È qui che, secondo un’ipotesi investigativa, il destino di Attilio Manca, urologo esperto di operazioni alla prostata, si sarebbe incrociato con quello di un paziente pericoloso, ammalato proprio di tumore alla prostata: Bernardo Provenzano, che avrebbe trascorso una parte della latitanza proprio a Barcellona, nel 2003, sia prima che dopo l’ormai nota operazione a Marsiglia. Esiste un’informativa dei Ros (numero di protocollo 50/3 13-1-2005), in cui si parla della “presunta presenza di Bernardo Provenzano all’interno del convento di S. Antonio da Padova di Barcellona P.G.”. Difficile però ottenere informazioni, i cinque frati minori che c’erano in quel periodo sono stati tutti trasferiti. Secondo alcune testimonianze, raccolte dal giornalista Luciano Mirone, Attilio avrebbe visitato il boss proprio in queste zone. LE COINCIDENZE inquietanti non sono finite. Provenzano viene operato di tumore alla prostata il 23 ottobre 2003, presso l’ospedale Ciutad di Marsiglia. Per l’equipe medica Binnu si chiama Gaspare Troia. In quegli stessi giorni Attilio, invece di scendere in Sicilia come era solito, chiama sua madre e le dice di trovarsi nel sud della Francia “per vedere un intervento”. Un’informazione che alla signora Manca non sembra importante, fino a quando Ciccio Pastoia, uomo di Provenzano, durante un’intercettazione ambientale in carcere racconta che a operare il suo capo è stato un urologo siciliano. È il 2005 è la madre implora la Procura di Viterbo di cercare quella telefonata che le fece il figlio nei tabulati. Ma nessuno cerca un riscontro alle sue parole. Perché? Anzi Sebastiano Gava, l’allora capo della squadra mobile di Viterbo, si sbriga a firmare un verbale in cui si dice che nel periodo in cui Provenzano è stato a Marsiglia (dal 22 ottobre al 4 novembre 2003), Manca era regolarmente in servizio a Viterbo. Dopo dieci anni, il programma Chi l’ha visto ha trovato un documento che smentisce quanto affermato dal poliziotto e cioè il foglio di presenze dell’ospedale Belcolle di Viterbo, che dimostra che Attilio in quei giorni non è sempre stato presente in ospedale. Sebastiano Gava è lo stesso che firmò i verbali falsi che avrebbero dovuto giustificare la macelleria messicana nella scuola Diaz durante il G8 e per questo ora è agli arresti domiciliari. Nell’inchiesta sulla strana morte di Attilio Manca si mischiano approssimazioni, lacune e presunti depistaggi. Come accadde in un’altra vicenda, quella di Binnu. Da chi è stata coperta per più di 40 anni la latitanza di Bernardo Provenzano? La sua era una “latitanza di Stato”? E se fosse vero che Attilio ne è stato testimone nel ruolo di medico, quali segreti e chi avrebbe dovuto coprire?

Virginia, i farmaci non bastano Si ritorna alla sedia elettrica

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Il boicottaggio delle case farmaceutiche contro la pena di morte negli Stati Uniti fa tornare la sedia elettrica. In Virginia, uno dei 32 Stati americani che prevede la condanna capitale, la Camera ha votato a favore della sua reintroduzione. La parola passa ora al Senato che dovrebbe esprimersi già entro questa settimana. Il provvedimento nasce dalla «crisi dei farmaci letali» con cui viene preparata la miscela da iniettare ai condannati del braccio della morte. Molti produttori farmaceutici europei, e almeno uno negli Stati Uniti, si rifiutano da tempo di vendere tali preparati, e il cocktail di tre farmaci usato comunemente da quando la Corte Suprema Usa ha reintrodotto la pena di morte, nel 1976, è introvabile. Questo ha spinto gli Stati che praticano l’esecuzione a sperimentare altri tipi di medicinali per l’iniezione letale, causando però problemi e contenziosi legali.

A causa di una di queste miscele sperimentali, un detenuto dell’Ohio è morto di recente solo dopo 13 minuti trascorsi tra atroci sofferenze. Oltre al fatto che i produttori dei farmaci alternativi si sono a loro volta rifiutati di vendere i preparati. «Non abbiamo ancora trovato una alternativa adeguata», spiega Debra Gardner, vicedirettore del dipartimento penitenziario.

Ecco allora che lo Stato della Virginia è stato costretto a valutare il ritorno della sedia elettrica, un metodo che seppur rimasto in vigore in diversi Stati americani è stato sempre meno usato nel corso degli ultimi venti anni. «Si tratta di un metodo che causa solo piccole bruciature, scarsamente visibili», sottolinea la Gardner. La legge della Virginia consente ai detenuti del braccio della morte di scegliere tra l’iniezione letale e la sedia elettrica, ma di fatto quest’ultimo metodo era stato sospeso, facendo diventare il primo l’unico praticato.

Nel caso tuttavia che il Senato bocci la proposta o il governatore (democratico) Terry McAuliffe ponesse il veto, si verificherebbe una moratoria di fatto alla pena di morte, dal momento che i condannati potrebbero bloccare la propria esecuzione optando per un metodo di fatto non disponibile. La crisi dei farmaci letali ha spinto politici di altri Stati, come Missouri e Wyoming, a chiedere la reintroduzione dei plotoni di esecuzione, mentre in alcuni casi si è auspicato un ricorso a impiccagioni e camere a gas.

Catania: cede un balcone durante Sant’Agata. Donna precipitata da 6 metri miracolosamente salva

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Catania, la città è gremita di gente durante la festa della sua patrona, una festa che attira fedeli e curiosi da tutto il mondo, è la terza festa più grande al mondo per numero di fedeli che vi partecipano, e proprio durante la processione della Santa, una donna 75enne che dal balcone di casa sua attendeva l’arrivo ed il passaggio del fercolo della patrona, (contenenti le reliquie di Sant’Agata), è precipitata dal secondo piano.

Parte del ballatoio del balcone di un palazzo di piazza Cutelli, in via Monsignor Ventimiglia ha improvvisamente ceduto, facendo precipitare la donna nel vuoto.

Fortunatamente la caduta è stata attutita dal balcone sottostante al suo, che a sua volta con il peso delle macerie in parte è ceduto, ma ha consentito comunque alla donna di non precipitare sull’asfalto. Immediati sono partiti i soccorsi, con il personale del 118 che l’ha repentinamente condotta nel pronto soccorso dell’ospedale Cannizzaro. I vigili del fuoco, assieme a polizia e vigili urbani hanno subito transennato l’area e rimosso altri pezzi di ballatoio che potevano cadere.

La donna è ricoverata nel reparto di ortopedia con una frattura composta al calcagno destro, e non è in pericolo. Il bilancio sarebbe potuto essere assai più grave, visto che i detriti che sono precipitati fortunatamente non hanno colpito nessuno dei numerosissimi passanti.

Molte delle persone che hanno soccorso l’anziana hanno definito l’accaduto “un miracolo della Santuzza”, come i catanesi chiamano la Patrona Sant’Agata.

Maltempo, Veneto in ginocchio. Roma: danni per 243 milioni di euro. Trovato nel Modenese cadavere di un disperso

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Il Veneto è stato messo in ginocchio da un’ondata di maltempo, che ha colpito l’Italia negli ultimi giorni e che potrebbe dare una breve tregua per poi ripresentarsi con nuove precipitazioni fino alla prossima settimana.

In pianura, la pioggia non ha mai cessato ingrossando paurosamente i principali corsi d’acqua. Sorvegliati speciali Brenta, Bacchiglione e Retrone. La seconda ondata di piena del Bacchiglione ha creato notevoli problemi nella Bassa Padovana dove da ieri è stato evacuato il popoloso comune di Bovolenta. E il bilancio degli sfollati è salito: sono 400 gli sfollati di Bovolenta e oltre 200 a Battaglia, altra località prossima all’area termale. Anche a Montegrotto la situazione è delicata, un’anziana è morta scivolando sul pavimento bagnato della sua abitazione battendo la testa.

Nel pomeriggio è stato ritrovato a Bastiglia, accanto al canale Naviglio, il corpo di Giuseppe ‘Oberdan’ Salvioli, disperso durante l’alluvione del fiume Secchia nel Modenese.

E negli ultimi giorni anche la montagna sta soffrendo incredibilmente. Sono caduti oltre 3 metri di neve e Protezione Civile, Vigili del Fuoco e soccorso alpino sono al lavoro per togliere la neve dai tetti, si sono registrati black out oltre 30 mila utenze senza energia elettrica e molti comuni dell’Alto Bellunese sono rimasti isolati. Il governatore del Veneto, Luca Zaia ha parlato di una situazione peggiore dell’alluvione del 2010 e ha chiesto lo stato di calamità stanziando un milione di euro per i primi soccorsi. “Il governo intervenga – ha tuonato il presidente – al più presto”.

Il maggior pericolo è adesso legato alle temperature. Se non si abbasseranno il rischio è che l’enorme massa di neve in montagna possa sciogliersi e riversarsi sui fiumi ingrossandoli ulteriormente. Se ciò avvenisse sarebbe alluvione sicuro, come ha ricordato lo stesso presidente del Veneto. “Gli argini sono fragili e necessitano di interventi, abbiamo realizzato oltre 900 cantiere per rinforzare il territorio mettendolo in sicurezza del rischio idrogeologico ma adesso è il governo che deve dare corso al nostro piano”, un piano che vale 2 miliardi di euro.

ALTO RISCHIO VALANGHE – Il pericolo di valanghe sulle Dolomiti venete è molto forte, grado 5, il più alto della scala. Secondo l’Agenzia regionale per l’ambiente del Veneto (Arpav) nelle ultime ore si è registrato un apporto di neve fresca 20-30 cm a 2000 metri, 15 cm a 1600 metri di quota che si sono aggiunti ai tre metri caduti nell’arco di una settimana. Anche per le Prealpi il pericolo di valanghe e’ molto forte (grado 5) con la neve fresca che è di 10-35 cm a 1600 metri.

FIUMICINO – Di nuovo pioggia nella notte a Fiumicino, che si è risvegliata al sesto giorno di emergenza allagamenti. Ieri l’acqua nei canali, con le pompe idrovore al massimo regime,è scesa di 10 cm. I danni dal maltempo a Roma nei giorni del 30 e 31 gennaio scorsi ammontano a 243 milioni di euro. La stima è stata fornita ed elaborata dal Campidoglio dopo una ricognizione sul territorio.

Previsioni del tempo in Italia fornite dal Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare.

VENERDI’ 7 – Al NoRD cielo molto nuvoloso o coperto con precipitazioni dapprima sul settore occidentale, in estensione pomeridiana alle restanti aree, quando tenderanno ad intensificarsi, con quota neve al di sopra dei 500-600 metri; dalla tarda serata graduale miglioramento a partire da Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria di ponente. Al centro la giornata si aprirà all’insegna del cielo sereno o poco nuvoloso, in attesa di un rapida intensificazione della nuvolosità durante il pomeriggio a partire dal versante tirrenico, con le piogge che dapprima interesseranno Toscana, Sardegna e Lazio settentrionale e solo dalla serata anche le restanti zone; un po’ di neve si vedrà sui rilievi appenninici maggiori. Al Sud- iniziali condizioni di bel tempo con qualche nube sparsa; dal tardo pomeriggio-prima serata gli addensamenti diverranno compatti sulle regioni tirreniche con fenomeni sparsi.

TEMPERATURE – Minime in diminuzione un po’ su tutte le regioni; massime in flessione al nord, generalmente stazionarie altrove.

VENTI – Moderati meridionali sulla Sardegna; – deboli di direzione variabile sulle restanti regioni, con tendenza a rinforzare ed a disporsi dai quadranti occidentali sul versante tirrenico e da quelli meridionali sul versante adriatico. MARI: molto mossi il Ligure, il mare e il canale di Sardegna, il Tirreno occidentale; da poco mosso a mosso il medio ed alto Adriatico; mossi i restanti bacini.

SABATO 8 – Al mattino residua instabilità sul basso Tirreno e sul Triveneto con cielo ancora molto nuvoloso o coperto e deboli precipitazioni sparse, ma con tendenza ad un graduale miglioramento; sulle restanti aree cielo poco o irregolarmente nuvoloso, con un peggioramento previsto sul nord-ovest dalla serata.

DOMENICA 9 – Deciso maltempo al centro-nord con precipitazioni diffuse; nuvolosità compatta sulle regioni peninsulari tirreniche meridionali con fenomeni sparsi su Campania, Basilicata tirrenica e Calabria settentrionale in intensificazione serale, sparsa sulle restanti zone.

LUNEDI’ 10 e MARTEDI’ 11 – Al mattino locali addensamenti interesseranno le regioni adriatiche, più compatti risulteranno sul versante tirrenico meridionale e sulla Sardegna con precipitazioni associate; dal pomeriggio nuovo peggioramento un po’ su tutto il territorio. Nella giornata di martedi’ il maltempo interesserà tutte le regioni, in particolar modo quelle settentrionali e tirreniche, con le precipitazioni che tenderanno ad attenuarsi solamente in nottata.

Maltempo, mezzo miliardo di danni Zaia: «Questo è il "made in Italy"»

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«E’ una tragedia. Che ci costerà almeno mezzo miliardo di euro. Quanto abbiamo pagato per i danni dell’alluvione del 2010. E per fortuna da allora abbiamo realizzato 925 opere in Veneto per una spesa di 107 milioni altrimenti saremmo ancora di più in ginocchio. I lavori che abbiamo fatto di consolidamento degli argini e creazione delle vasche di laminazione in parte ci hanno salvato. Ma spendere mezzo miliardo di euro per pagare i danni dell’alluvione 2010 e contare di spenderne altrettanti 3 anni dopo, a fronte di investimenti per soli 100 milioni, è un paradosso, però questo è il “made in Italy!» ironizza il presidente del Veneto Luca Zaia.

Il rapporto è di 1 a 5. Si investe 1 milione e se ne buttano al vento 5 per pagare i danni. Se si invertisse l’ordine dei fattori, in pochi anni il Veneto sarebbe a posto visto che con un paio di miliardi si riuscirebbe a mettere in sicurezza l’intero territorio. «Ogni anno l’Italia spende mediamente due miliardi di euro per queste emergenze, finché non capiamo che non ha senso spendere per pagare i danni di più di quanto si spende per evitare quei danni, non andremo mai da nessuna parte. Ecco perchè parlo di “Piano Marshall” per il territorio. E poi, quando ero ministro avevamo lavorato ad una assicurazione contro le calamità maturali sul territorio nazionale, come si fa in tutti i Paesi europei, che fine ha fatto quella proposta?» attacca il governatore che ieri ha scritto a etta per dire chiaro e tondo che ci vogliono soldi per pagare i danni, ma soprattutto per gli investimenti.

L’eroina torna a colpire anche a Torino

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I sanitari del 118 li hanno trovati distesi per terra o rannicchiati dentro un’automobile. Bava alla bocca, occhi sbarrati e una siringa vicino al braccio. Due notti, tre morti. Moncalieri, Beinasco, Torino, quartiere Mirafiori.
Nei referti dei medici legali chiamati dai carabinieri c’è scritto: «Edema polmonare a seguito di overdose da sostanza stupefacente» che è poi eroina. Tagliata male, letale, mischiata con chissà quali altre sostanze, forse troppo concentrata, forse “allargata” con dosi eccessive di stricnina. Eroina killer.

Il primo episodio
Il primo morto a Beinasco, la notte dell’1° febbraio. Lo hanno trovato in un’auto che era diventata da tempo la sua casa, in una traversa interna della centralissima via Torino. Una storia alle spalle fatta di solitudine e disperazione. Aveva 40 anni ed era già stato segnalato per consumo di eroina alle banche dati. Alcuni passanti hanno notato il corpo senza vita, hanno chiamato il 118, pochi minuti dopo sono arrivati i carabinieri. La vittima aveva ancora la siringa infilata nella vena.

Dramma a Moncalieri
Il secondo morto è di Moncalieri e risale al 3 febbraio. E’ un ex benzinaio del centro storico D.L, molto conosciuto in città. Per anni aveva gestito un distributore di benzina (lo aveva ceduto non molto tempo fa) insieme al padre. La sua compagna lo ha trovato riverso per terra rientrando a casa in strada San Michele.
Non un respiro, non un segno di vita. Accanto al corpo c’era una siringa con la quale si era iniettato una dose mortale di eroina. I carabinieri l’hanno sequestrata e il pm ha ordinato l’autopsia che verrà effettuata nei prossimi giorni.

L’ultima vittima
La terza vittima è un trentenne residente nel quartiere Mirafiori. Stesse dinamiche, stessa morte, stessa droga. Anche la mappa geografica dei decessi indica che nella zona sud di Torino qualcuno spaccia “robaccia”. Su quest’ultimo caso indaga la polizia, ma è il lavoro dei carabinieri che in queste ore è diventato frenetico su questo fronte.

Caccia al pusher
Si cercano gli spacciatori che la vendono a 13 euro a dose negli anfratti delle periferie urbane. Contatti, indagini a caccia di un indizio per risalire alla catena della distribuzione al dettaglio.
Gli investigatori della compagnia di Moncalieri sono convinti, infatti, che dietro queste tre morti ci sia una sola droga, tagliata male e mortale per chi la assume. E che ad agire sia un solo pusher soprattutto. Il lavoro di ricerca da parte delle forze dell’ordine è in corso, fors’anche ad un punto di svolta decisivo, lo si intuisce dal massimo riserbo sui fatti. Nulla trapela dagli uffici del nucleo operativo dell’Arma di corso Savona. Resta la certezza di un unico scenario dietro i tre morti.

Casi in aumento
Il numero di decessi non è comunque l’unico caso che sta catturando l’attenzione dei carabinieri. Nel solo mese di gennaio il 118 ha effettuato 40 interventi per abuso di sostanze stupefacenti del tipo associabile all’eroina.
Più di un caso al giorno. Il ritmo è raddoppiato nei primi quattro giorni di febbraio: otto interventi (decessi a parte). La stragrande maggioranza di coloro che vengono soccorsi dal personale in ambulanza rifiuta il ricovero in ospedale dopo aver ricevuto le prime cure disintossicanti.

Terra dei fuochi: Senato approva il decreto, è legge

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L’Aula del Senato approva il decreto sulle emergenze ambientali ed industriali: è legge. Il provvedimento, che sarebbe scaduto l’8 febbraio, dispone su Terra dei fuochi e Ilva. Il Senato non ha apportato modifiche al testo licenziato dalla Camera.

Il provvedimento è passato con 174 voti favorevoli, 58 contrari e 12 astenuti. Il M5s ha votato ‘no’, così come Lega nord. Sel si è astenuta. Tutti gli altri gruppi hanno votato a favore.

Orlando, ok decreto è riscossa area

Una “riscossa” per la Terra dei fuochi, per affrontare “l’emergenza” in quell’area. Questo il pensiero del ministro dell’Ambiente Andrea Orlando a proposito dell’approvazione da parte del Senato del decreto sulle emergenze ambientali ed industriali, diventato legge, e ritenuto un “punto di partenza” di un percorso. Ora sarà avviato un confronto con i territori per valutare come poter usare al meglio questo provvedimento.

Don Maurizio è contento, la legge è un punto di inizio

Che il decreto legge sulla Terra dei Fuochi sia stato approvato e sia diventato legge, don Maurizio Patriciello, che da anni porta avanti una lotta per riconoscere l’emergenza ambientale di quell’area, lo definisce un “punto di inizio, non certo di arrivo”. Si dice “contento” perchè “la terra dei Fuochi finalmente è diventato un problema nazionale e questo è avvenuto grazie al lavoro dei volontari”. “Ha vinto anche la linea del dialogo – aggiunge – l’unica strada che noi conosciamo”

Senatori Pd, è legge che la Campania attende

“La conversione in legge del decreto sulla Terra dei Fuochi è un provvedimento che la Campania e i cittadini campani attendono da tempo. Dispone le misure fondamentali per cancellare il fenomeno dei roghi e cominciare ad affrontare il fenomeno dello smaltimento illegale di rifiuti nella regione e le sue drammatiche conseguenze: prevede uno screening sanitario della popolazione e il controllo di sicurezza del territorio; introduce il reato penale di combustione illecita di rifiuti, punito con la reclusione da 2 a 5 anni; stanzia risorse per le bonifiche, impiegando una parte dei fondi confiscati agli ecomafiosi campani e mutuando i severissimi protocolli previsti per l’Expo 2015 per evitare le infiltrazioni della criminalità organizzata”. Lo dicono i senatori del Pd eletti in Campania Angelica Saggese, Pasquale Sollo, Vincenzo Cuomo e Rosaria Capacchione. “I roghi nella Terra dei Fuochi – proseguono i senatori del Pd – sono un’emergenza che il Partito Democratico aveva assunto come priorità. Questo decreto, rapidamente convertito in Senato, comincia a dare risposte concrete ai cittadini. Ora va subito affrontata la questione del censimento delle fabbriche del falso, che producono illegalmente e dunque smaltiscono illegalmente. E’ un fenomeno ingente, e colpirlo è la prossima sfida: secondo stime dell’Ispra relative al 2009, in un anno si smaltiscono in Campania oltre 1 milione di tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi”.

I cantanti della ‘ndrangheta chiedono i diritti d’autore

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Mettono in musica il culto dell’omertà e la venerazione per i boss, il fascino della lupara e l’odio contro le vittime di mafia. Ospitano strofe composte dai latitanti che infatti si firmano «anonimo». Mandano avvertimenti nemmeno poco espliciti ai collaboratori di giustizia: copertine dei cd a loro dedicate con disegno (sagome impiccate a un albero) e slogan («Siete sbirri figli di p…»). Eppure adesso i cantanti di ‘ndrangheta chiedono perfino il rispetto e il conseguente pagamento dei diritti d’autore. L’hanno chiesto per esempio a un laboratorio anti-cosche che insegna ai bambini e ai ragazzini di Reggio Calabria a non cadere nel tranello, a non mitizzare la ‘ndrangheta. Men che meno a prestarle ascolto.Mettono in musica il culto dell’omertà e la venerazione per i boss, il fascino della lupara e l’odio contro le vittime di mafia. Ospitano strofe composte dai latitanti che infatti si firmano «anonimo». Mandano avvertimenti nemmeno poco espliciti ai collaboratori di giustizia: copertine dei cd a loro dedicate con disegno (sagome impiccate a un albero) e slogan («Siete sbirri figli di p…»). Eppure adesso i cantanti di ‘ndrangheta chiedono perfino il rispetto e il conseguente pagamento dei diritti d’autore. L’hanno chiesto per esempio a un laboratorio anti-cosche che insegna ai bambini e ai ragazzini di Reggio Calabria a non cadere nel tranello, a non mitizzare la ‘ndrangheta. Men che meno a prestarle ascolto.

L’AGGUATO – Dalla Germania, dove hanno un successo incredibile, un cantante e un manager sono volati a Reggio Calabria, hanno noleggiato in aeroporto la macchina più vistosa che c’era, hanno puntato il laboratorio, ospitato dal Museo della ‘ndrangheta, e giù offese e minacce. Un avvertimento mafioso. Un’azione intimidatoria. I due sono stati indagati. E per la prima volta una Procura, quella di Reggio Calabria, metterà occhi e mani dentro un fenomeno di business, spettacolo e apologia, di messaggi in codice nascosti nei testi, di controllo del territorio. Le indagini potrebbero allargarsi e daranno fastidio alle cosche, che oramai consideravano questo tipo di musica sacra quanto la famiglia: e dunque inviolabile.

SPETTACOLI, INCASSI, TITOLI – Gli indagati si chiamano Francesco Sbano e Demetrio Siclari. Hanno 50 e 62 anni. Uno cosentino, l’altro reggino. Il personaggio chiave è Sbano. Sulla ‘ndrangheta ha girato anche un film: «Uomini d’onore». Se le cosche esistono, è il messaggio in sintesi, è tutta colpa dello Stato assente. Sbano ha fatto i soldi vendendo canti di ‘ndrangheta e di mafia. Il titolo «Ammazzaru lu generali», sul generale dalla Chiesa, è roba sua. Vive, lavora e incassa in Germania. Quella Germania che, nonostante la colonizzazione silenziosa delle cosche e nonostante certi vistosi manifestarsi (la strage di Duisburg, nel 2007, sei morti ammazzati, il mondo intero che scopriva la ‘ndrangheta), continua a sorridere delle canzoni di malavita, perché a dire dei tedeschi sono melodie capaci di raccontare l’animo romantico della criminalità.

LA VIOLENZA E IL SANGUE – Di romantico non c’è niente. Dice Claudio La Camera, a capo dell’Osservatorio: «La grande forza suggestiva dei canti di malavita potenzia la mitologia mafiosa». E alimenta, prosegue il combattivo La Camera, «la convinzione che il modello culturale da scegliere sia quello rappresentato dalla violenza e dall’odio verso lo Stato». Nel laboratorio dell’Osservatorio i testi vengono ascoltati, analizzati, commentati. A volte un canzone viene spogliata delle sue parole, rimodellata con altre strofe: nello stesso tempo i ragazzi imparano a cancellare un testo e farlo tornare a nuova vita.

LA GALERA COME PREMIO – Fra i tanti in commercio c’è un cd, s’intitola «Il Vangelo di malavita» e contiene uno slogan che non necessita di traduzione. Eccolo: «Cu senti e taci avi sempri paci. Cu senti e dici avi sempri nemici». Non ci girano intorno, questi sedicenti artisti. Le parole parlano di sgarbi da lavare a ogni costo, del carcere che diventa un premio, una medaglia, dei lupi dell’Aspromonte, del sangue che chiama sangue, di ergastolani e di «cu sgarra paga». C’è il fascino del male che viene emanato da canzoni e album, che ha facile presa sui ragazzini e finisce nelle suonerie dei cellulari. Sapete cosa ha urlato Sbano una volta arrivato ai cancelli del Museo della ‘ndrangheta? Che «ci state causando un sacco di danno. In Germania, in tutto il mondo i nostri concerti sono acclamati, abbiamo proiezioni e concerti nei più grandi teatri… Grosse orchestre…». Ad avvisare Siclari e Sbano di quanto avviene nel laboratorio, a raccontare per filo e per segno, a elencare nomi e cognomi, insomma a far da spie e aizzare cantante e manager, sono state delle insegnanti che hanno accompagnato le scolaresche al Museo della ‘ndrangheta.