23 Settembre 2024, lunedì
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Lite con la ex, 40 coltellate. Lei lo accusa, entra in coma e muore

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Prima di entrare in coma ha fatto nome del suo compagno. Poi è scivolata in coma ed è morta: uccisa da 40 coltellate. A infliggerle è stato Steven Williams, 30 anni, chef disoccupato gallese.
Williams è stato condannato all’ergastolo accusato, sul letto di morte, da quella vittima, Joanna Hall, che era anche la sua fidanzata. La storia la racconta il Daily Mail, ed è una storia surreale. Steven e Joanna hanno una storia che dura più o meno sei mesi. Poi un giorno qualcosa va storto: l’uomo torna in casa ubriaco, con una bottiglia di whiskey in mano. E accusa la compagna di avergli trasmesso una malattia sessuale.

Quindi parte il raptus omicida: 40 coltellate e la donna che, ancora viva, è in una pozza di sangue e lo supplica di chiamare i soccorsi. Lui,però, esce e va a comprare altro whiskey non prima di aver detto alla donna: “Aspettami, qui eh”.
La chiamata alla polizia arriva ore dopo: Steven racconta di un improbabile accoltellatore misterioso. Ma sono le ultime parole di Joanna a incastrarlo. Un resoconto dettagliato di un’aggressione brutale, con tanto di sigaretta fumata con tutta calma, in casa, mentre Joanna sanguinava in terra.

Pavia come Bollate: nuova rissa tra ragazze finisce in rete e poi viene rimosso

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Pavia come Bollate: nella città lombarda si è verificato un nuovo caso di bullismo fra ragazzine finito su Internet. Proprio come nel caso di Bollate, anche qui le immagini di una ragazza che viene picchiata da una coetanea davanti a decine di compagne e compagni sono state girate da un ragazzo, con un telefonino, lo scorso 17 gennaio alla stazione delle corriere di Pavia. Il video poi finisce prima su Facebook e poi su YouTube che dopo qualche ora lo rimuove.

Anche in questo caso, come in quello di Bollate, la rissa è scattata per motivi di gelosia per un ragazzo “rubato”. Ma, a differenza di Bollate, in questo caso la vittima riesce ad allontanarsi grazie a compagni e compagne che tengono ferma, tentando di calmarla, la giovane che continuava a rincorrerla.

Rissa a Bollate, a scuola tutti con la bulla: “Ha fatto bene”

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“Ha fatto bene”. Nella scuola di Bollate gli studenti si schierano dalla parte della “bulla” che ha picchiato la compagna di scuola. “Spero che abbia capito la lezione”, scrive la ragazzina sui social network rivendicando il pestaggio. Un pestaggio eseguito davanti ad una folla di ragazzini che hanno incitato e ripreso la rissa, ma non hanno fatto nulla per aiutare la ragazza picchiata.

“Lorenzo chiacchiera con due amici. Dice: “Io so tutto e le cose non sono andate proprio come è stato scritto. A iniziare con gli insulti anche pesanti è stata Sara”. Si riferisce alla 14enne del Levi picchiata da una coetanea davanti ad almeno venti ragazzi che al posto di intervenire hanno riso, incitato, filmato e messo l’intera sequenza su Facebook. Giovanna, bionda, tuta grigia. E Sara, jeans, giacca marrone”.
Il filmato e la rissa, secondo Lorenzo, sarebbero solo la conclusione di una lite nata tempo prima, spiega Milosa:
“Alla base di tutto c’è un ragazzo: l’ex di Giovanna è l’attuale fidanzato di un’amica di Sara. “Lei non c’entrava niente, eppure si è messa di mezzo”. Insomma, dopo che il caso è finito sul tavolo dei carabinieri di Rho con una denuncia querela nei confronti della ragazzina bionda, le versioni degli studenti, pur condannando la violenza, ribaltano i fatti. E come spesso avviene, il giorno dopo la colpa ricade sulla vittima che ha provocato”.
Il preside, scrive Milosa, interrompe l’intervista a Lorenzo mentre gli insegnanti tacciono:
“Fuori dal portone, sotto la tettoia che conduce al parcheggio, gli insegnanti scappano. Non parlano. Chi lo fa non dice il nome e nemmeno la materia che insegna. Solo si limita a dire: “I nostri studenti sono rimasti molto colpiti, è un fatto grave, ma certamente isolato”. Parla un po’ di più la preside Rosaria Pulia. “Ci siamo accorti giovedì del video e subito abbiamo chiamato i carabinieri”. E i genitori di Sara che fino a quel momento nulla sapevano. Si punta il dito contro “l’indifferenza” di chi non è intervenuto e contro “la non consapevolezza dell’uso dei social network”.
Altri ragazzi sostengono che la ragazzina picchiata se la sia “cercata”:
“Gli schiaffi – dice un alunno di prima – quella se li è cercati”. Dalle aule ci si sposta davanti al cancellone giallo che separa il parcheggio da via Varalli. Qui i ragazzi parlano a ruota libera e tutti ripetono la stessa cosa. Sandy, origini calabresi, faccia tonda, occhi brillanti, ombrellino rosa sotto la pioggia è stata l’unica a intervenire dopo il primo calcione. “A quel punto stava esagerando”. Va avanti: “Non dico che Sara se l’è cercata, però nei confronti di Giovanna ha usato parole grosse”. Le dà della “troia e puttana”. Le dice: “Domani ti aspetto fuori dalla scuola”.
Nonostante la denuncia per il pestaggio, la “bulla” rivendica sul web le sue ragioni:
“Giovanna non cambia idea e dal suo profilo su Ask rilancia: “Se lei non faceva la buffona, non mi insultava, non si intrometteva, tutto ciò non succedeva! Spero abbia capito la lezione!”. Il discusso social network, per molti il vero paradiso dei cyber-bulli, torna così al centro della cronaca”.
Ora si cerca chi ha girato il video e lo ha messo in rete, spiega Milosa:
“Ora sta cercando chi ha girato il video e lo ha messo in rete”. Perché il vero squallore di questa vicenda sta nell’assistere alla violenza senza intervenire filmando tutto come fosse un gioco”.

Ravenna. Muratore stucca un buco nel muro: era un’opera d’arte…

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Un buco disegnato nel muro talmente realistico da ingannare non solo il pubblico, ma anche un operaio addetto a lavori di muratura, che lo ha stuccato. E’ accaduto al ‘Mar‘, il Museo dell’arte di Ravenna, dove il riminese Eron, al secolo Davide Salvadei, aveva realizzato un’opera per una mostra del progetto ‘Critica in arte’.
Su una delle pareti espositive, racconta l’artista al Resto del Carlino, aveva disegnato l’ombra lasciata da un grande specchio, posizionato sul pavimento come se fosse caduto. Per rendere ancor più realistica la scena aveva realizzato persino il buco del chiodo che avrebbe dovuto sostenere la cornice dello specchio.
Un’esecuzione così ‘reale’ che i visitatori della mostra più volte si sono chiesti se quel foro fosse vero o invece fosse soltanto dipinto. La mostra si è chiusa poco meno di un mese fa e lo specchio è stato rimesso al suo posto. Restava da ridipingere la parete con il buco. Eron e il museo avevano già concordato che a quel punto non c’era più bisogno di mantenere il disegno del buco, che era propedeutico all’installazione.
Ma quando l’operaio incaricato di sistemare le sale del Mar, in vista della nuova esposizione, ha cominciato a riverniciare, di fronte al buco non ha avuto dubbi: ha preso lo stucco bianco e lo ha coperto. Eron ha commentato:
“Ci sarei rimasto peggio se l’operaio si fosse accorto che era un buco finto. Stuccandolo, invece, in un certo senso mi ha aiutato a ‘completare’ l’opera”.

“Il trucco del concorso per docenti”: Carlo Di Goggia sul Fatto quotidiano

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Anche nel concorso per docenti “c’è il trucco”. Carlo Di Goggia su il Fatto quotidiano riporta la denuncia di Gianluca Vacca, deputato del Movimento 5 stelle, che a gennaio ricevette una lettera con i nomi dei professori risultati vincitori. Nomi che il Miur ha pubblicato però solo nei primi giorni di febbraio e di cui 37 idonei su 40 coincidono con i nomi “in anteprima” consegnati al deputato M5s.
Di Goggia spiega sul Fatto quotidiano:

“Diffondere in anticipo i risultati sembra ormai essere una consuetudine nelle commissioni per l’abilitazione universitaria, in violazione del segreto d’ufficio. Dopo le rivelazioni del Fatto sul settore di Storia Antica, dove i nomi degli abilitati erano stati spediti al ministero mesi prima che fossero resi pubblici, anche in Diritto costituzionale gli aspirati docenti hanno saputo prima della pubblicazione di aver conseguito l’idoneità. Informazioni in possesso dei soli commissari. Cosa che fa sospettare che la selezione sia stata pilotata”.

I sospetti prendono forma dalla denuncia di Gianluca Vacca di M5s, che in una raccomandata ha ricevuto i nomi di 40 candidati, di cui 37 poi effettivamente idonei:
“Tra questi risulta anche l’assistente di studio del giudice della Corte costituzionale, Giuliano Amato. Un’idoneità che ha scatenato le ire di molti candidati bocciati. La missiva è datata 17 gennaio, ma i risultati sono stati pubblicati dal ministero solo due giorni fa”.
E questo non sarebbe il primo scandalo per il diritto costituzionale, che già in altre occasioni era finito al centro di discussioni:
“Nel 2008 il concorso nazionale per i costituzionalisti è finito nel mirino della Procura di Bari e della Guardia di Finanza, che ha denunciato – con l’accusa di associazione per delinquere, corruzione, falso e truffa – ben 38 docenti universitari, tra i quali i 5 saggi nominati a suo tempo dal premier Enrico Letta per riformare la Costituzione. Una cupola avrebbe infatti pilotato i concorsi in diversi atenei”.
A niente è servito il nuovo meccanismo di reclutamento voluto da Maria Stella Gelmini e basato sull’abilitazione nazionale, spiega Di Goggia:
“Ma, anche in questo caso, un collegio fantasma avrebbe operato al fianco della commissione nazionale (5 membri) prevista dal nuovo meccanismo. Tutto denunciato a suo tempo dal commissario esterno (proveniente dai paesi Ocse), Francisco Balaguer Callejon, professore di Diritto costituzionale all’Università di Granada. I criteri adottati sarebbero stati di volta in volta cambiati, modifiche di cui Balaguer veniva informato solo al momento di doverle ratificare, e a cui si è opposto inutilmente. A luglio del 2013, si è dimesso denunciando tutto in una lettera alla comunità accademica, già sconvolta dalle inchieste giudiziarie”.
E con l’arrivo dei risultati delle proroghe, che hanno riguardato tutta la prima tornata di assegnazioni di cattedere dal 2011, tornano i sospetti di irregolarità, scrive Di Goggia:
“Ad oggi, mancano ancora i risultati di numerosi settori. L’onorevole Vacca di M5S depositerà nei prossimi giorni un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Istruzione, per verificare il rispetto dei tempi massimi previsti dal bando. Tempi che secondo i deputati non sarebbero stati rispettati. Se fosse confermato l’intera selezione sarebbe a rischio”.

Marò, no pena di morte: rischiano 10 anni. Bonino: “Indignata, ci faremo valere”

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Marò, niente pena di morte per loro ma rischiano 10 anni di carcere. Il ministro degli Esteri Emma Bonino sbotta: “Sono indignata, ci faremo valere”.
La stampa indiana oggi scrive che il governo sarebbe intenzionato a commutare l’accusa per i due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre da omicidio a violenza davanti alla Corte suprema Indiana, capi di accusa che escludono la pena capitale.

“L’eventuale richiesta di applicazione della SUA (Act, la legge antiterrorismo indiana, anche nella parte che non obbliga a chiedere la condanna a morte, ndr) quale base di imputazione per i due marò, laddove dovesse essere confermata, – dice Bonino – sarà contestata in aula dalla difesa italiana nella maniera più ferma”.
“Il Governo ritiene sconcertante tale riferimento e farà valere con forza e determinazione in tutte le sedi possibili l’assoluta e inammissibile incongruenza di tale impostazione anche rispetto alle indicazioni a suo tempo fornite dalla stessa Corte Suprema indiana». Il nostro impegno di riportare a casa Massimiliano Latorre e Salvatore Girone – ha concluso la titolare della Farnesina – è più forte che mai.
Il portavoce del ministero indiano degli Interni, Kuldeep Dhatwali, ha detto di aver autorizzato la polizia Nia a perseguire i due marò “in base al Sua Act, ma senza invocare l’articolo che prevede la pena di morte.
Il rapporto con i capi d’accusa che la polizia investigativa indiana Nia presenterà ai giudici nei prossimi giorni sarà illustrato lunedì 10 febbraio in Corte Suprema, non conterrà più l’accusa per i marò di “aver provocato la morte” di due pescatori, ma più semplicemente di aver usato “violenza”. Al riguardo The Times of India sostiene che il ministero dell’Interno ha mantenuto l’uso della Legge per la repressione della pirateria (Sua Act del 2002) revocando però l’indicazione precedentemente fornita di utilizzazione dell’art.3 comma ‘g-1′ del secondo capitolo sui reati, a favore del meno categorico art.3 comma ‘a’.
Il 3 comma ‘g-1′ sosteneva perentoriamente che chiunque, commettendo un atto di violenza contro una nave indiana, “provoca la morte di una qualsiasi persona, sarà punito con la pena di morte”. Invece la disposizione dell’art. 3 comma ‘a-1′ (rpt ‘a-1′), a cui pare debba attenersi ora la Nia, sostiene che chi “commette un atto di violenza contro una persona a bordo di una piattaforma fissa o una nave che (…) mette in pericolo la navigazione sicura di essa sarà punito con la prigione per un periodo che può giungere fino a dieci anni ed è sottoponibile a multa”.
Da parte sua The Indian Express ricorda che comunque contro Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sarà anche utilizzata la sezione 302 del Codice penale indiano che implica una possibile condanna a morte. “Ma la possibilità per gli imputati di essere condannati alla pena capitale – conclude il giornale – è davvero bassa perché la loro azione non rientra nei casi eccezionali in cui è richiesta”.

Beppe Grillo blog: “Processo No Tav? Confido nella giustizia, io calmo e sereno”

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“Io confido nella Giustizia. Sono calmo, sono sereno. Sono molto sereno”. Beppe Grillo in un post pubblicato sul suo blog l’8 febbraio spiega di non temere l’indagine che lo riguarda. Il leader del Movimento 5 stelle è accusato di essere entrato in una baita No Tav abusiva e per lui la Procura di Torino ha chiesto 9 mesi di reclusione.
Nel post pubblicato sul suo blog da titolo “Beppe Grillo: il sigillo inconsapevole #NoTAV” si legge:

“Questo è un appello di solidarietà alla Val di Susa. Sono più di 500 inquisiti, tutti sotto processo per delle cose che io non riesco assolutamente a capire. Comunque io confido nella Giustizia. Sono calmo, sono sereno. Sono molto sereno. Non ho grossi problemi. Il PM ha chiesto nove mesi di reclusione perché io avrei rotto un sigillo “già portato via dal vento”, come scritto nella notifica. Era un sigillo che non c’era, un sigillo “inconsapevole”. Mi hanno invitato in una baita dove mangiavano della polenta e io sono andato a mangiare la polentina. Però io sono tranquillo: nove mesi passano presto.
Voglio dare la mia solidarietà a Alberto Perino e a tutti i ragazzi della Val di Susa che devono risarcire un danno ipotetico di 215.000 euro, ne hanno già raccolto circa 100.000 e ne mancano altrettanti. C’è poco tempo e dobbiamo dargli una mano a risolvere questo problema.
La TAV è un problema che non riguarda solo la Val di Susa, ma tutta l’Italia e forse tutta l’Europa, ma noi siamo tranquilli! La Giustizia farà il suo corso e io sono calmo, perfetto e non mi agito assolutamente.
Aiuta la Valle a resistere!”

Verso la definizione di un nuovo sistema di gestione dei rifiuti elettrici ed elettronici

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E’ in corso di approvazione uno schema di decreto legislativo sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), in recepimento della Direttiva 2012/19/Ue adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 4 luglio 2012. Lo schema di decreto, che abroga integralmente il decreto legislativo 25 luglio 2005 n. 151, detta misure e procedure finalizzate a proteggere l’ambiente e la salute umana ed, in particolar modo, a:
a) prevenire o ridurre gli impatti negativi derivanti dalla produzione delle apparecchiature elettriche ed elettroniche e dalla produzione e gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche;
b) ridurre gli impatti negativi e migliorare l’efficacia dell’uso delle risorse per conseguire obiettivi di sviluppo sostenibile.
La Commissione Industria del Senato ha appena concluso l’esame, in sede consultiva, dello schema di decreto, approvando le osservazioni favorevoli con rilievi predisposte dal presidente Massimo Mucchetti (PD), in sostituzione del relatore Salvatore Tomaselli (PD).
Le osservazioni approvate saranno trasmesse alla Commissione Territorio alla quale il provvedimento è assegnato in sede primaria.
In seguito si evidenziano gli aspetti più salienti del parere approvato.
Necessità di chiarire all’articolo 10, comma 3, la natura dello statuto-tipo, al fine di evitare condizioni di disparità tra sistemi collettivi;
– Con riferimento all’articolo 11, comma 2 (e conseguentemente ogni qual volta ricorra), richiesta di prevedere, oltre ai tradizionali centri di raccolta, anche micro aree ecologiche integrate nel circuito complessivo della raccolta;
– L’opportunità di prevedere, all’articolo 15, comma 5, un termine più ampio dei 60 giorni (almeno doppio) decorso il quale interviene il potere sostitutivo del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare;
– Con riferimento all’articolo 21, l’opportunità di abrogare il comma 2, che fa riferimento all’esportazione dei RAEE al di fuori dell’area OCSE, imponendo conseguentemente, all’articolo 17, comma 2, il rispetto del principio di prossimità nelle modalità di avvio al trattamento dei RAEE;
– con riferimento all’articolo 33, comma 1, l’opportunità di precisare, al fine di coinvolgere tutti i soggetti che partecipano attivamente al processo, che il Centro di coordinamento di cui al comma 1 è costituito in forma di consorzio avente personalità giuridica di diritto privato, al quale partecipano i sistemi di gestione dei RAEE domestici che aderiscono al Centro entro trenta giorni dalla loro costituzione ovvero, se già costituiti, entro il termine di 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, prevedendo altresì la partecipazione delle associazioni di categoria delle imprese di produzione/importazione di AEE; delle associazioni di categoria delle imprese di distribuzione di AEE; delle associazioni di categoria delle imprese di raccolta dei RAEE; delle associazioni di categoria delle imprese di trattamento e riciclo dei RAEE. Al Comitato esecutivo partecipano due rappresentanti per ciascuna delle associazioni richiamate; due componenti designati rispettivamente dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e dal Ministro dello sviluppo economico; quattro componenti designati dai sistemi di gestione dei RAEE aderenti al centro di coordinamento;
– con riferimento all’articolo 40, comma 3, la necessità di precisare che il finanziamento della gestione dei rifiuti derivanti dai pannelli fotovoltaici immessi sul mercato prima dell’entrata in vigore del presente decreto legislativo, limitatamente agli impianti che, a titolo professionale, producono energia elettrica da pannelli fotovoltaici, è a carico dei proprietari degli impianti medesimi, i quali, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, aderiscono ad un sistema iscritto al Centro di coordinamento che rilascia idonea certificazione per ciascun pannello e ne assicura la corretta gestione a fine vita, fermo restando che il costo dello smaltimento dei rifiuti derivanti dai pannelli fotovoltaici non deve essere superiore a quello praticato dai consorzi per il riciclo dei medesimi;
– con riferimento all’allegato X, punto B, n. 3, l’opportunità di includere la tipologia specifica di AEE indicata negli allegati II e IV, sopprimendo conseguentemente nella nota finale il riferimento al punto 4.

Una società aperta per l'Italia

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Il messaggio di fondo del saggio “Il vantaggio delle libertà (ed. Rubbettino) di Sebastiano Bavetta e Pietro Navarra (che insegnano rispettivamente Economia politica all’Università di Palermo ed Economia del settore pubblico presso l’Università di Messina, di cui lo stesso Navarra è rettore) si può riassumere in una battuta: bisogna riaffermare la centralità della persona per favorire la rinascita economica, morale e sociale dell’Italia. Lo strumento per raggiungere un obiettivo così ambizioso è la libertà. Un concetto difficile da maneggiare e sicuramente affascinante, su cui il pensiero filosofico ha speculato fin dal suo sorgere. Analizzarlo in chiave economico-politica è l’aspetto di maggiore interesse e attualità, che ci consente di entrare nell’ottica di un più ampio lavoro di ricerca a cui gli autori, entrambi visiting professor presso l’Università della Pennsylvania, lavorano da molti anni, alimentando il dibattito internazionale su questi temi. «L’idea di libertà che portiamo avanti insieme a Pietro Navarra – spiega Bavetta a “L’Impresa” nel suo studio palermitano – consiste nella possibilità di realizzare il proprio progetto di vita. Per farlo è necessario che le istituzioni siano poco invadenti, ma anche che le persone siano capaci e disponibili
a disegnare un percorso originale e a sopportarne i costi. È interessante osservare che la realizzazione di questa libertà permette il raggiungimento della felicità, poiché la realizzazione dei propri sogni è ciò che ci rende felici». Finalmente la felicità… da tempo non si sentiva pronunciare questa parola, soprattutto legata a un’idea di libertà che parte dall’autonomia, dalla responsabilità e dal valore dell’individuo nell’essere protagonista della propria vita professionale e personale.

Professore, il capovolgimento di logica e di visione che il saggio propone non è di poco conto. Sembra utopia pura se guardiamo alla realtà storica e politica non solo dell’Italia di oggi, schiacciata da interessi e pressioni. Quali sono le priorità, affinché la costruzione di “una società aperta” possa diventare realtà?
Posta in termini di priorità da affrontare la creazione di una società libera sembra sia un tema politico e istituzionale. In realtà lo è solo in parte, perché esiste un approccio diverso. La costruzione di una società libera passa anzitutto attraverso l’assunzione di responsabilità individuali nella nostra vita sociale e attraverso la realizzazione di quei comportamenti che, nelle riviste scientifiche, si chiamano “pro-sociali”. Per capirci: uno studente che sostiene l’esame scritto senza copiare, un dipendente pubblico che ha il coraggio di dire no a direttive inopportune quando non illegittime, un cittadino che adempie ai propri doveri fiscali, creano libertà.

La proposta liberale che avanzate si differenzia sia dalle posizioni del liberalismo classico sia dalle analisi offerte in alcune recenti pubblicazioni dagli economisti Alberto Mingardi e Luigi Zingales. Ci può spiegare in che senso?
Il liberalismo classico ha sempre difeso l’idea che la libertà sia assenza di vincoli, che si traduce nella dimensione di uno Stato non invadente. Di certo, la libertà ha a che fare con la non intrusione dello Stato nella nostra vita. Ma attenzione: dobbiamo comprendere che la libertà, intesa in un’equilibrata ottica liberale, si identifica con la possibilità di esprimere la propria individualità in maniera originale. Il liberalismo classico sostiene che, qualora lo Stato non sia invasivo, è possibile manifestare la propria individualità. A noi sembra che storicamente non sia necessariamente così.

Ad esempio?
Prendiamo il caso della Rivoluzione Industriale in Inghilterra. Allora le istituzioni erano invadenti e inadeguate a tutelare le aspirazioni delle persone a costruire, con la loro imprenditorialità, un percorso di crescita personale e materiale. L’affermazione della libertà, la creazione di istituzioni non invadenti e rispettose dei cittadini, è avvenuta attraverso l’ostinata determinazione dei singoli individui a realizzare il proprio percorso di vita. In questa ostinazione c’è la manifestazione della libertà come possibilità di esprimere la propria individualità in maniera originale. Se le persone non fossero state motivate, le istituzioni non sarebbero mai cambiate da sole. A me pare che l’impegno personale al cambiamento istituzionale non sia tenuto nel dovuto conto dal liberalismo. Una mancanza che è stata pagata al prezzo di una limitata efficacia politica.

Se non basta contenere l’invadenza dello Stato per dare ossigeno a una società che si possa definire realmente aperta, che cosa altro occorre?
In termini più generali, va detto che le istituzioni non nascono già adattate al buon funzionamento dei mercati e della società e programmate per rispettare la libertà e l’espressione originale di ciascuna persona. Al contrario, le istituzioni si evolvono in senso favorevole alla libertà solo se la società dà adeguato spazio all’affermazione dell’individualità e se ciascun individuo, per proteggere questa affermazione, pretende istituzioni non invadenti e si impegna a costruirle con il proprio comportamento. I nostri mali sono in larga parte connessi all’asfissia dell’affermazione dell’individualità. Poiché in Italia in molti si avvantaggiano di uno Stato invadente e del relativo favore che incontrano tante regole non pro-sociali, l’affermazione dell’individualità è limitata con ripercussioni significative sulla prosperità materiale e immateriale, soprattutto oggi che la società offre incredibili possibilità alla manifestazione dell’originalità, impensabili sino a venti o trent’anni fa.

Molti sono i dati interessanti contenuti nel lavoro, a cominciare dal primo: l’impoverimento delle famiglie. Dal ’91 si è registrata una flessione del 2,4% della ricchezza. Per comprendere questo declino, che al Sud è ancora più drammatico, non basta certo la scienza economica…
La scienza economica ha peccato di presunzione ritenendo che l’esuberanza e l’imprevedibilità dei comportamenti delle persone potessero essere compresse entro schemi formali, fondati sull’ipotesi che l’uomo sia un essere razionale. Ma c’è di più: secondo me, non siamo stati in grado di vedere l’arrivo della crisi soprattutto perché ci è mancata la prospettiva storica e abbiamo ritenuto che il miracolo della crescita degli ultimi due secoli fosse una nuova forma, ormai acquisita, della condizione umana sulla Terra. In realtà, esiste un problema di rendimenti della tecnologia e non è necessariamente detto che la crescita sarà sempre garantita.

I numeri forse più allarmanti sono però quelli che riguardano la fiducia nelle istituzioni e i livelli dell’istruzione, che dimostrano la totale assenza di mobilità sociale. Un paese “bloccato” come è l’Italia può avere futuro?
I dati sulla fiducia nelle istituzioni e sui livelli di istruzione sono allarmanti, è vero. Ma il campanello più drammatico lo suonano i dati sull’impatto della libertà. Se la Sicilia avesse lo stesso livello di libertà della Lombardia, il reddito pro-capite e la felicità dei suoi abitanti sarebbe significativamente maggiore. Non cambiando atteggiamenti, non introducendo comportamenti pro-sociali diffusi, non innovando istituzioni inadeguate per la libertà e per
la possibilità di affermare il proprio sogno, i siciliani stanno scegliendo loro malgrado, una vita meno prospera e meno felice dei lombardi e stanno anche condannando la Sicilia all’irrilevanza politica ed economica in Italia, in Europa e nel mondo.

Proviamo a rimanere sulla definizione della crisi cercando di non ripercorrere le tante ricette “sterili” già sentite. Qual è il nesso che lega la morale, l’economia e la giustizia sociale?
La convivenza in una società si fonda su un’idea di giustizia. Negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale e sino agli anni ’70, l’idea di giustizia prevalente in Occidente era la seguente: la ricchezza accumulata conta relativamente poco per il successo economico, il lavoro è la chiave per la prosperità materiale e immateriale. In quella società tutti avevano una chance di entrare a fare parte della classe media. Da trent’anni a questa parte il quadro è cambiato. La ricchezza accumulata conta molto, come nell’Ottocento, e il lavoro non assicura un’opportunità per diventare benestanti, per curare i propri genitori adeguatamente e mandare i propri figli in scuole decenti. L’idea di giustizia che ha prevalso nella seconda metà del Novecento e che è stata architrave della nostra società è sotto pressione e si sta pericolosamente piegando sotto il peso di forze storiche ineluttabili come la globalizzazione e l’evoluzione tecnologica.

Si può arrestare questa deriva?
L’Occidente, in generale, ha reagito male a questa pressione, perché ha utilizzato la politica per correggere le diseguaglianze che la storia recente ha contribuito a creare. Essendo un’attività redistributiva, la politica ha tagliato il legame tra merito e successo economico, aggravando – invece di ridurre – il senso di ingiustizia. Ecco perché la crisi attuale è anzitutto una crisi morale ed ecco spiegato perché la soluzione sia ridurre il ruolo dello Stato: per recuperare un legame tra merito e risultati e restaurare un’idea di giustizia realizzabile nella nostra società.

La tecnologia è un’altra parola chiave, su cui insistete molto. Il valore aggiunto dell’innovazione – a detta di molti osservatori – si sta smorzando, con quali conseguenze sul nostro sistema economico e sulla competitività?
Non direi che il valore aggiunto dell’innovazione si stia smorzando. Se osserviamo settori come le biotecnologie o le energie alternative, possiamo accorgerci che il valore aggiunto offerto dall’innovazione rimane molto forte. Il problema è che i costi per realizzare l’innovazione sono cresciuti esponenzialmente. Gli investimenti necessari per l’avanzamento tecnologico sono enormi e le ricadute sociali dell’innovazione minori. Le conseguenze sono numerose e importanti. La crescita dell’economia probabilmente non terrà più i ritmi degli anni ’60 e i costi dello stato sociale cresceranno. Dal punto di vista della politica economica bisognerà riformare le scuole e le università per garantire un’adeguata offerta di capitale umano, accrescere la competitività per mantenere elevata la propensione a innovare e ridurre le rendite che la presenza dello Stato impone e che frenano la corsa tecnologica delle imprese. Poi, bisognerà immaginare politiche monetarie che controllino l’inflazione, cercando di mantenere bassi i tassi di interesse, altrimenti i costi dell’innovazione potrebbero diventare proibitivi.

Nel saggio viene richiamato un recente intervento del politologo Ernesto Galli Della Loggia che denuncia le ragioni di fondo che hanno impedito il diffondersi in Italia di una cultura autenticamente liberal democratica. Di chi è la colpa di tutto questo?
Non si tratta di assegnare meriti o colpe, semmai di capire cosa può servire a trasformare la nostra società in senso liberale. Il libro insiste su un punto: il liberalismo non si affermerà per effetto delle riforme dall’alto, ma sulla spinta di un’assunzione di responsabilità da parte di tutti a ridurre l’ingerenza dello Stato nelle nostre scelte. Ciò che viene auspicato è una forma di “leadership diffusa”, che significa: tanti uomini e donne che, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e del proprio ruolo – grande o piccolo –, siano capaci di trasformare la realtà che li circonda rendendola il riflesso del disegno di vita, che hanno consapevolmente deciso di realizzare. Questa è la più grande rivoluzione liberale che l’Italia dovrebbe oggi consentire. Ancora una volta, sono costretto a ribadire che non dipende solo dalla politica, perché le persone devono dare un contributo.

È possibile misurare autonomia, spirito di iniziativa, visione del futuro? In altre parole, esistono degli indicatori utili a fornire indicazioni a chi governa per tentare di attuare i suggerimenti contenuti nella vostra proposta?
La ricerca che sto conducendo all’University of Pennsylvania, assieme a Pietro Navarra, dimostra che l’autonomia si può misurare e che ha un impatto sulla performance della società. Idee simili alle nostre sono già state portate avanti in Europa da leader illuminati, quali Tony Blair, che hanno messo l’idea della scelta al centro del disegno della società e delle riforme dei servizi pubblici. In Italia ci sono stati alcuni esempi, soprattutto in Lombardia, e una smorzante iniziativa in Sicilia. Purtroppo quanto di buono è stato fatto, molto spesso, è stato dissipato dall’animosità del dibattito politico e da una visione della cosa pubblica in cui l’interesse collettivo non sempre è rimasto al centro dell’attenzione.

Nella “società aperta” da voi disegnata, quale deve essere il perimetro dello Stato e che spazio di intervento deve avere il welfare state?
La leadership diffusa di cui parlavo è importante per l’affermazione della libertà. Tuttavia, senza strumenti di coordinamento dei comportamenti individuali, senza cioè sistemi che premino i comportamenti virtuosi e puniscano quelli viziosi, la leadership diffusa difficilmente avrà successo. Allo Stato spetta il compito di delineare le istituzioni che coordinano i comportamenti delle persone e garantire che il campo di gioco sia livellato, in modo che nessuno sia ingiustamente avvantaggiato.

Guardiamo all’Europa. Va di moda attaccare Bruxelles per le politiche di austerità. Michele Salvati, che non è certo un liberista, ha fatto notare che è inutile insistere sulla debolezza della domanda auspicando interventi del soggetto pubblico, faremmo meglio a concentrarci sul lato dell’offerta, le imprese competitive, la qualità, l’efficienza della Pa, la governancedel settore pubblico. È d’accordo con questa posizione?
Sono d’accordo con le affermazioni di Salvati. Aggiungerei che molta della retorica contro Bruxelles nasconde la difesa di interessi costituiti e non è basata su una convincente analisi della realtà economica che stiamo vivendo. Ma c’è di più. Larry Summers – economista ad Harvard e già ministro del tesoro americano con Clinton – ha recentemente sostenuto che una parte della crisi si spiega con una flessione della domanda. Non posso escludere che abbia ragione. Il problema è che fare. La proposta che Summers avanza – come tanti sostenitori delle tesi keynesiane, riapparsi come funghi all’indomani del 2008 – è quella di fare investimenti pubblici, approfittando dei bassi tassi di interesse. Indebitandosi al 4-5% a lungo termine si sviluppa la domanda e si compensa la maggiore spesa pubblica con la crescita dell’economia. La proposta sarebbe stata forse accettabile in un altro tempo, quando il problema della maturità tecnologica non mordeva. Oggi le economie tecnologicamente mature hanno difficoltà a crescere nel lungo periodo con tassi sufficienti a ripagare il maggiore debito contratto per le opere pubbliche. È anche per questo che, a mio parere, le politiche dal lato dell’offerta appaiono più convincenti oltre che più efficaci.

In molte fasi dell’anno, lei si trova a lavorare in America. Obama ha fatto ricorso a grosse iniezioni di capitale pubblico per far ripartire l’economia. Non siamo di fronte a una contraddizione per un paese che dovrebbe per cultura e tradizione osservare e praticare in maniera integrale i dettami dell’economia liberale?
Obama è il presidente più distante dai valori costitutivi della società americana che sia stato eletto nella storia. Il suo successo elettorale è figlio della diseguaglianza economica crescente e degli errori dei suoi avversari. In questo senso il successo di Obama riflette la difficoltà odierna del liberalismo a essere politicamente rilevante. Anche se la pubblicazione di questo libro va letta come un tentativo di restituire credibilità politica al liberalismo in Italia, sono convinto che argomenti simili si potrebbero sostenere anche in America.

Chiuderei questa conversazione, prendendo spunto dalla dedica del saggio. Perché i giovani dovrebbero scegliere di vivere in Italia?
L’Italia è uno dei paesi più belli del mondo con un patrimonio culturale unico e un’alta qualità della vita diffusa anche nella provincia meno benestante. Il problema è che tutto ciò non basta a garantire una vita pienamente realizzata. Per essere felici è importante il clima, è importante il paesaggio, contano le forme classiche e razionali dell’architettura rinascimentale e le armonie del “Va Pensiero”. Ma serve soprattutto la possibilità di realizzare il proprio sogno di vita. Oggi l’Italia non offre questa opportunità. Il sogno si scontra tutti i giorni con rendite, interessi costituiti e ostacoli burocratici. Se il nostro paese non metterà questa pietanza nel suo menu, perché i giovani dovrebbero scegliere di vivere in Italia? In regioni come la Sicilia, dove insegno e risiedo, la possibilità di realizzare il proprio sogno di vita non è prevista, per questo i giovani più istruiti se ne vanno ormai da diversi anni. Ecco di fronte a questo fenomeno di vera e propria “desertificazione antropica”, direi che alla mia generazione spetta ancora un compito, forse il più arduo: permettere a chi verrà dopo di scommettere che il proprio sogno possa realizzarsi anche in Italia. È una sfida importante che stiamo perdendo. Attenzione perché non ci resta molto tempo.

Contributi obbligatori 2014: l'Inps fissa i minimali e massimali

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Il minimale di retribuzione giornaliera per la generalità dei lavoratori è pari a 47,58 euro, mentre per i rapporti di lavoro a tempo parziale il minimale di retribuzione oraria applicabile ai fini contributivi è pari a euro 7,14.
La prima fascia di retribuzione pensionabile è pari per l’anno 2014 a euro 46.031,00, con un valore mensile pari a 3.836,00 euro. Il massimale annuo della base contributiva e pensionabile è pari a euro 100.123,00.
Anche per l’anno in corso, restano fermi gli importi esenti per le prestazioni e le indennità sostitutive di mensa, i fringe benefits, le indennità di trasferta e le altre similari. Le aziende che per il versamento dei contributi relativi al mese di gennaio 2014 non hanno potuto tenere conto delle nuove disposizioni, possono adempiere entro il 16 maggio prossimo.