23 Settembre 2024, lunedì
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PUGLIA: IN REGIONE ANCORA IRRISOLTA LA QUESTIONE DEL COMITATO TECNICO DELL’AUTORITÀ DI BACINO

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labbate-giuseppe_0Dopo l’interrogazione presentata lo scorso 9 ottobre e le promesse non mantenute dal Presidente del Consiglio Introna, il deputato pugliese Scagliusi (M5S) torna a chiedere chiarezza alla Regione Puglia sulla vicenda

Neppure l’allerta maltempo porta consiglio alla Regione Puglia. E se ad ogni emergenza giungono le dichiarazioni più disparate per porre rimedio ai malfunzionamenti della macchina politica, amministrativa e burocratica, a ben 6 mesi dalle promesse del Presidente del Consiglio regionale Onofrio Introna, nulla pare essere cambiato. È datata 11 agosto 2013, infatti, un’intervista rilasciata dal Presidente che, ad appena 23 giorni dalla soppressione del Comitato Tecnico dell’Autorità di Bacino, dichiarava: “Aver pensato alla eliminazione del comitato è stato sicuramente frutto di una distrazione perché non ha funzioni di controllo, bensì è un organo di garanzia, che si integra, senza sovrapporsi, col ruolo e l’attività del segretario generale e del comitato istituzionale dell’Autorità di bacino. Il mio intendimento è adesso portare la relazione all’ufficio di presidenza ed alla conferenza dei presidenti immediatamente, alla ripresa dei lavori di settembre”.

Intendimenti, però, rimasti disattesi. “Sono passati mesi senza che in Regione sia stato fatto il minimo passo nella direzione sperata – dichiara il deputato pugliese Emanuele Scagliusi (M5S), primo firmatario di una interrogazione parlamentare depositata lo scorso 9 ottobre e su cui si attende la risposta del Ministro dell’Ambiente Orlando – La classe politica ha perso un’ulteriore occasione per darsi un minimo di credibilità mentre la Puglia ha purtroppo perso, invece, competenze specifiche ed essenziali per il territorio”.

Ma la direzione a cui mira la Regione targata Nichi Vendola sembra completamente opposta. Basti pensare alle dichiarazioni dei giorni scorsi in cui il consigliere PD Amati ammoniva la Giunta di essere in ritardo sulla cancellazione degli “enti inutili”, inserendo tra questi proprio il Comitato tecnico dell’Autorità di Bacino. “Assisto a dichiarazioni alquanto azzardate – conclude Scagliusi (M5S) – Che non vi sia l’interesse da parte del centrosinistra pugliese alla tutela dell’ambiente e del paesaggio della nostra regione appare chiaro, ma cosa intende fare il Presidente Introna: fare mea culpa e dare ragione al Fabiano Amati che vorrebbe cancellare ciò che poco gli aggrada oppure mantiene le promesse fatte a tutti i pugliesi la scorsa estate? In attesa della presa di coscienza dei suoi pensieri, manteniamo il fiato sul collo per il bene comune dell’intera Puglia che non può più fare a meno di tecnici e professionisti esperti per salvaguardare il proprio territorio e la propria comunità”.

M5S CULTURA: I DEPUTATI INCONTRANO ONLINE I CITTADINI

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Giuseppe-Brescia-M5S-180x300Facendo fronte alle numerose richieste pervenute da lavoratori del mondo della scuola e dell’università, docenti, studenti, ricercatori e professionisti operanti nel vasto universo culturale del nostro Paese, nella giornata di oggi giovedì 13/02/2014 i deputati M5S della Commissione Cultura, inaugureranno #direttacultura.

Si tratta di un appuntamento bisettimanale nel quale i deputati M5S, incontreranno e risponderanno online direttamente ai cittadini interessati ad approfondire, segnalare o commentare tematiche inerenti la VII Commissione.

A rispondere alle domande dei cittadini, in questa prima puntata, ci saranno GIUSEPPE BRESCIA e CHIARA DI BENEDETTO.

Istruzioni per la partecipazione disponibili al seguente indirizzo:http://www.beppegrillo.it/movimento/parlamento/cultura/2014/02/direttacultura—1-puntata.html

PER I CITTADINI L’ACQUA È FUORI DAL MERCATO, PER IL GOVERNO NO

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labbate-giuseppe_0Bocciato l’emendamento presentato dal M5S al decreto ‘Destinazione Italia’ che avrebbe tolto l’acqua dal controllo dell’Authority sul mercato (AEEG), in sintonia con quanto stabilito dal Referendum 2011. Perdura, intanto, l’incoerenza di SEL tra Roma e la Puglia

Nell’articolo 13 del decreto ‘Destinazione Italia’, che tratta di stanziamenti per l’Expo 2015, è stato inserito un comma che nulla ha a che fare con il titolo dell’articolo e che va a modificare il nome dell’AEEG, aggiungendo ufficialmente il Servizio Idrico tra le sue competenze per le funzioni di regolazione e controllo. Un atto che va ad avallare quanto definito nel ‘Salva Italia’ nel dicembre 2011, quando il Governo Monti attribuiva la ridefinizione del metodo tariffario transitorio all’AEEG, un’authority garante del mercato, andando già allora contro la volontà popolare che, con il voto di 27 milioni di italiani al Referendum 2011, ha sancito che l’acqua debba stare fuori dalle logiche di mercato e che non si possa fare profitta su di essa. Per questo motivo, il MoVimento 5 Stelle ha presentato un emendamento (il 13.94), a prima firma della deputata Federica Daga, per togliere dal mercato il bene comune “acqua”: prontamente bocciato dalla maggioranza alla Camera.

Assegnare le funzioni di regolazione e controllo del servizio idrico all’AEEG, significa materialmente mettere l’acqua sul mercato, trattandosi di un’autorità di regolamentazione del mercato appunto – dichiarano i parlamentari pugliesi del M5S – L’AEEG ha fallito il suo mandato avendo creato una tariffa transitoria (e retroattiva) con il profitto nascosto sotto mentite spoglie: da “remunerazione del capitale investito” sono arrivati a chiamarlo “oneri finanziari”, ma la sostanza è rimasta identica! Praticamente ciò che era uscito dalla porta, è rientrato dalla finestra. Il tutto – continuano deputati e senatori pugliesi 5 Stelle – nonostante il Consiglio di Stato, su una richiesta fatta dalla stessa AEEG, abbia già dichiarato che la remunerazione del capitale investito debba essere restituita ai cittadini”.

È attesa nei prossimi giorni, invece, la seconda udienza per il ricorso al TAR della Lombardia, promosso dal “Forum dei movimento per l’Acqua” e da Federconsumatori sulla questione tariffaria. Un nodo già risolto dal Referendum, non rispettato dal garante del mercato e quindi impugnato dai cittadini. “La decisione del Governo – continuano i parlamentari 5 Stelle – non è altro che una forzatura, in continuità con il precedente Governo Monti, che si ostina a non rispettare la volontà popolare, tradendo i referendum per l’Acqua Pubblica e non rispettando le istanze dei movimenti che hanno portato 27 milioni di cittadini al voto. Il nostro emendamento avrebbe tolto, in ambito di servizio idrico, la competenza all’AEEG e l’avrebbe affidata al Ministero dell’Ambiente, nel rispetto di quanto elaborato dai comitati per l’Acqua Pubblica e nel rispetto della volontà popolare. Ci lascia perplessi la posizione incoerente di SEL – concludono deputati e senatori pugliesi M5S – che in Parlamento vota a favore del nostro emendamento ma poi in Puglia, Regione che vede alleati al governo il SEL di Vendola e il PD di Renzi, nulla viene detto contro questa tariffa transitoria e contro l’assegnazione delle competenze ad una Autorità che regola un mercato che di fatto non esiste, in quanto il servizio idrico è un servizio gestito in monopolio naturale”.

Ufficio Stampa

on. Giuseppe L’Abbate

LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE E CONTRIBUTIVA. DA QUALE PULPITO ARRIVA LA PREDICA, SE LO STATO E’ IL PRIMO EVASORE IN ITALIA?

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antonio-giangrande-vivavoce2«Siamo un paese di truffatori, o, magari, qualcuno ha interesse a farci passare come tali». Così afferma il dr Antonio Giangrande, noto saggista di fama mondiale e presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio antimafia riconosciuto dal Ministero dell’Interno. Associazione fuori dal coro e fuori dai circuiti foraggiati dai finanziamenti pubblici.

Evasione fiscale, buco di 52 miliardi nel 2013. In base alle indagini delle Fiamme Gialle, l’evasione fiscale italiana del 2013 è pari a 51,9 miliardi di euro, scrive Angelo Scarano su “Il Giornale”. Le evasioni fiscali in Italia sono all’ordine del giorno: niente scontrino, niente fatture, insomma, niente di niente. È così, oggi lo Stato italiano ha scoperto che nelle sue casse c’è un buco di 51,9 miliardi di euro non versati: colpa delle società italiane, che per non incappare nel Fisco hanno attuato i tanto famosi “trasferimenti di comodo”, spostando le proprie residenze o le basi delle società nei cosiddetti paradisi fiscali – Cayman, Svizzera, Andorre -. Quanto agli oltre ottomila evasori totali scoperti, hanno occultato redditi al fisco per 16,1 miliardi, mentre i ricavi non contabilizzati e i costi non deducibili riferibili ad altri fenomeni evasivi – dalle frodi carosello ai reati tributari fino alla piccola evasione – ammontano a 20,7 miliardi, una cifra più che consistente. Il totale dell’IVA evasa dagli italiani sarebbe di circa 5 miliardi: un dato che non sorprende, se si considera che secondo una recente ricerca della Guardia di finanza su 400.000 controlli effettuati, il 32% delle attività almeno un paio di volte hanno emesso uno scontrino falso, o non lo hanno emesso proprio. Per frodi e reati fiscali, lo scorso anno sono state denunciate 12.726 persone, con 202 arresti. Nei confronti dei responsabili delle frodi fiscali, i finanzieri hanno avviato procedure di sequestro di beni mobili, immobili, valuta e conti correnti per 4,6 miliardi di euro. Oltretutto, in Italia sono presenti 14.220 lavoratori completamente in nero, scoperti nel 2013, e 13.385 irregolari, impiegati da 5.338 datori di lavoro. Con una media di una su tre società che non emette scontrini, non sorprende come l’evasione sia arrivata a cifre stellari, e come tendenzialmente è destinata ad aumentare col tempo.

I datori di lavoro versano i contributi (altrimenti è un reato). Lo stato il primo evasore fiscale: INPDAP non versa i contributi come fanno le aziende ordinariamente. Lo Stato è il primo evasore contributivo. Secondo stime attendibili (ma non ufficiali) il datore di lavoro di oltre 3 milioni di persone avrebbe mancato di versare circa 30 miliardi di contributi. Risultato? Un buco enorme nell’Inpdap che poi è stato scaricato sull’Inps con un’operazione di fusione alquanto discutibile. Non ha versato all’INPDAP i contributi previdenziali dei suoi dipendenti…

Cresce il buco nei conti dell’INPS. Nel 2015 lo Stato dovrà sborsare 100 miliardi per ripianare l’ammanco dell’istituto. Prendendoli da pensionati e contribuenti. Inps, Mastrapasqua al governo: “Allarme conti”. Ma Saccomanni lo smentisce, scrive Il Fatto Quotidiano. Il presidente dell’istituto scrive ai ministri Saccomanni e Giovanni: “Valutare un intervento dello Stato per coprire i deficit dell’ex Inpdap, altrimenti le passività aumenteranno”. L’ultimo bilancio segnava un rosso di quasi 10 miliardi. E a “La Gabbia” su La7 aveva detto: “Possiamo sopportare solo 3 anni di disavanzo”. Angeletti: “Avvertimento tardivo” e Bonanni chiede di fare chiarezza.

Lo stato italiano non ha versato per anni i contributi pensionistici ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni e quindi li ha fatti confluire nell’Inps, ponendoli a carico di coloro che la sventura pose a lavorare nel comparto produttivo. Forse che i pensionati italiani non saranno solidali con i poveri dipendenti delle pubbliche amministrazioni?

Cerchiamo di raccontare la questione del presunto buco dell’Inps come se fossimo dei privati e non mamma Stato, scrive Nicola Porro su “Il Giornale”. La cosa in fondo è semplice. Un paio di anni fa il governo Monti ha deciso di fondere nella grande Inps, la più piccola Inpdap. È il fondo previdenziale che si occupa dei 2,8 milioni di pensionati pubblici. E ovviamente dei prossimi dipendenti statali che andranno in quiescenza. Il motivo formale era nobile: ridurre di 100 milioni il costo di queste burocrazie. In fondo, Inps e Inpdap facevano e fanno lo stesso mestiere: incassano i contributi sociali da lavoratori e datori di lavoro e pagano le pensioni. Si è rivelato, dobbiamo presumere senza malizia, come un modo di annacquare un gigantesco buco di bilancio. Se fossimo dei privati sarebbe una bancarotta, più o meno fraudolenta. E vi spieghiamo perché. L’Inpdap è nato nel 1994. Prima lo Stato italiano la faceva semplice e male. Non pagava i contributi per i propri dipendenti pubblici, ritenendola una partita di giro. Perché accantonare risorse per le future pensioni pubbliche, si saranno detti i furbetti della Prima repubblica? Paghiamo il dovuto, cioè apriamo la cassa, solo quando la pensione sarà maturata. Se volete si tratta di una variazione ancora peggiore rispetto allo schema Ponzi (dal grande truffatore italo americano) del metodo retributivo. Quando nel 1994 si crea l’ente previdenziale si pone dunque il problema. Come facciamo? Semplice, da oggi in poi la Pubblica amministrazione è costretta a pagare anno per anno i suoi contributi, così come tutti i datori privati lo fanno ogni mese con l’Inps, al suo fondo di riferimento: l’Inpdap, appunto. Il sistema diventa così corretto e identico a quello di un’azienda privata: il costo del personale pubblico, in questo modo, diventa fedele alla realtà e pari (anche in termini di cassa) a stipendio netto, più tasse e contributi sociali. Ma restava un problema. Cosa fare con i contributi che si sarebbero dovuti versare nel passato? La genialata se la inventa il governo Prodi nel 2006 insieme al ministro del lavoro Damiano. All’Inpdap (semplifichiamo per farci capire) lo Stato avrebbe dovuto dare più di 8 miliardi di euro di contributi non versati, ma maturati dai dipendenti pubblici. Una bella botta. E anche all’epoca avevamo bisogno di fare i fighetti con l’Europa. Per farla breve, lo Stato non ha trasferito gli 8 miliardi all’Inpdap, ma ha fatto come lo struzzo: ha anticipato volta per volta ciò che serviva per pagare i conti. Di modo che alla fine dell’anno i saldi con l’Europa quadrassero. I nodi vengono al pettine quando Monti decide di fondere l’Inps con l’Inpdap. Antonio Mastrapasqua, che è il super boss delle pensioni private, sa fare bene i suoi conti. E appena si accorge che gli hanno mollato il pacco inizia a tremare. Un imprenditore privato che omettesse di versare i contributi per i propri dipendenti, pur assumendosi l’impegno di pagare la pensione quando maturasse, verrebbe trasferito in un secondo a Regina Coeli o a San Vittore. In più, il medesimo imprenditore privato non dovendo versare ogni anno i contributi all’Inps, potrebbe fare il fenomeno con le banche o la Borsa, dicendo di avere molta più cassa di quanto avrebbe se dovesse andare a versare ogni mese il dovuto. Un mega falso in bilancio da 8 miliardi, questo è ciò che plasticamente è emerso fondendo l’Inpdap nell’Inps. Mastrapasqua resta un servitore dello Stato e, secondo il cuoco, non lo ammetterebbe neanche a sua nonna, ma la fusione dei due enti ha in buona parte compromesso molti degli sforzi fatti per mettere ordine nel suo carrozzone (che tale in buona parte purtroppo resta). Si è dovuto sobbarcare un’azienda fallita e non può prendersela più di tanto con il suo principale creditore: che si chiama Stato Italiano. La morale è sempre quella. Mentre i privati chiudono, falliscono, si disperano per pagare tasse e contributi sociali, lo Stato centrale se ne fotte. Come diceva il marchese del Grillo: «Io so io e voi nun siete un cazzo.»

C’è soltanto una categoria professionale che invece sta versando molti più contributi di quanto riceve in termini di assegni pensionistici, scrive Andrea Telara su “Panorama”. Si tratta degli iscritti alla Gestione Separata, cioè quel particolare fondo dell’Inps in cui confluiscono i versamenti previdenziali dei lavoratori precari (come i collaboratori a progetto) e dei liberi professionisti con la partita iva, non iscritti agli Ordini. Nel 2013, il bilancio della Gestione Separata sarà in attivo per oltre 8 miliardi di euro. Va detto che questo risultato ha una ragion d’essere ben precisa: tra i precari italiani e tra le partite iva senza Ordine, ci sono infatti molti giovani ancora in attività, mentre i pensionati di questa categoria sono pochissimi (il rapporto è di 1 a 6). Non si può tuttavia negare che, se non ci fossero i contributi della Gestione Separata, il bilancio dell’Inps sarebbe in una situazione ancor peggiore di quella odierna. In altre parole, oggi ci sono in Italia quasi 2 milioni di lavoratori precari e di partite iva che tengono in piedi i conti dell’intero sistema previdenziale e che pagano una montagna di soldi per mantenere le pensioni di altre categorie, compresi gli assegni d’oro incassati da qualche ex-dirigente d’azienda. tema dei «contributi pensionistici silenti», che vengono versati dai lavoratori precari, parasubordinati e libero professionisti privi di un ordine di categoria, alla gestione separata dell’Inps. Contributi che però non si trasformano in trattamenti previdenziali, poiché quei cittadini non riescono a maturare i requisiti minimi per la pensione: e che restano nelle casse dell’ente pubblico per pagare quelle degli altri. È un assetto che penalizza proprio i giovani e i precari, che con maggiore difficoltà raggiungono i 35 anni di anzianità, visto che nel mercato legale del lavoro si entra sempre più tardi e in modo intermittente. Anche quando si matura il minimo di contribuzione richiesto, la pensione non supera i 400-500 euro. Ad aggravare la condizione di questa fascia di popolazione è anche l’elevata aliquota dei versamenti, quasi il 27 per cento della retribuzione: una quota che per la verità fu stabilita nel 2006 dal governo di Romano Prodi su pressione dei sindacati. Peraltro il problema non tocca esclusivamente i lavoratori trentenni, sottoposti al regime contributivo, ma anche i più anziani, soggetti a quello retributivo, che richiede almeno vent’anni di attività per maturare la pensione.

Dr Antonio Giangrande

A.D. 2014. MORIRE DI DENTI, MORIRE DI POVERTA’, MA I DENTISTI SI SCAGLIANO CONTRO ANTONIO GIANGRANDE.

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antonio-giangrande-vivavoce2«Siamo un paese di gente che, presi uno ad uno, si definisce onesta. Per ogni male che attanaglia questa Italia, non si riesce mai a trovare il responsabile. Tanto, la colpa è sempre degli altri!». Così afferma il dr Antonio Giangrande, noto saggista di fama mondiale e presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio antimafia riconosciuto dal Ministero dell’Interno. Associazione fuori dal coro e fuori dai circuiti foraggiati dai finanziamenti pubblici.

«Quando ho trattato il tema dell’odontoiatria, parlando di un servizio non usufruibile per tutti, non ho affrontato l’argomento sulla selezione degli odontoiatri. Non ho detto, per esempio, che saranno processati a partire dal prossimo 6 marzo 2014 i 26 imputati rinviati a giudizio dal gup del Tribunale di Bari Michele Parisi nell’ambito del procedimento per i presunti test di ingresso truccati per l’ammissione alle facoltà di odontoiatria e protesi dentaria delle Università di Bari, Napoli, Foggia e Verona, negli anni 2008-2009. Ho scritto solo un articolo asettico dal titolo eclatante.»

LA LOBBY DEI DENTISTI E LA MAFIA ODONTOIATRICA.

In una sequela di corpi nudi, da quale particolare tra loro riconosceresti un indigente? Dai denti, naturalmente! Guardalo in bocca quando ride e quando parla e vedrai una dentatura incompleta, cariata e sporca.

In fatto di salute dentale gli italiani non si rivolgono alla ASL. I dentisti della ASL ci sono, eppure è solo l’8% degli italiani ad avvalersi dei dentisti pubblici. Nel 92% dei casi gli italiani scelgono un dentista privato. Più che altro ad influenzare la scelta per accedere a questa prestazione medica è perché alla stessa non è riconosciuta l’esenzione del Ticket. Ci si mette anche la macchinosità burocratica distribuita in più tempi: ricetta medica; prenotazione, pagamento ticket e finalmente la visita medica lontana nel tempo e spesso a decine di km di distanza, che si protrae in più fasi con rinnovo perpetuo di ricetta, prenotazione e pagamento ticket. La maggiore disponibilità del privato sotto casa a fissare appuntamenti in tempi brevi, poi, è la carta vincente ed alla fine dei conti, anche, la più conveniente. Ciononostante la cura dei denti ci impone di aprire un mutuo alla nostra Banca di fiducia.

Il diritto alla salute dei denti, in questo stato di cose, in Italia, è un privilegio negato agli svantaggiati sociali ed economici.

LA VULNERABILITA’ SOCIALE. Può essere definita come quella condizione di svantaggio sociale ed economico, correlata di norma a condizioni di marginalità e/o esclusione sociale, che impedisce di fatto l’accesso alle cure odontoiatriche oltre che per una scarsa sensibilità ai problemi di prevenzione e cura dei propri denti, anche e soprattutto per gli elevati costi da sostenere presso le strutture odontoiatriche private. L’elevato costo delle cure presso i privati, unica alternativa oggi per la grande maggioranza della popolazione, è motivo di ridotto accesso alle cure stesse anche per le famiglie a reddito medio – basso; ciò, di fatto, limita l’accesso alle cure odontoiatriche di ampie fasce di popolazione o impone elevati sacrifici economici qualora siano indispensabili determinati interventi.

Pertanto, tra le condizioni di vulnerabilità sociale si possono individuare tre distinte situazioni nelle quali l’accesso alle cure è ostacolato o impedito:

a) situazioni di esclusione sociale (indigenza);

b) situazioni di povertà:

c) situazioni di reddito medio – basso.

Perché il Servizio Sanitario Nazionale e di rimando quello regionale e locale non garantisce il paritetico accesso alle cure dentali? Perché a coloro che beneficiano dell’esenzione al pagamento del Ticket, questo non è applicato alla prestazione odontoiatrica pubblica?

Andare dal dentista gratis è forse il sogno di tutti, visti i conti che ci troviamo periodicamente a pagare e che non di rado sono la ragione per cui si rimandano le visite odontoiatriche, a tutto discapito della salute dentale. Come avrete capito, insomma, non è così semplice avere le cure dentistiche gratis e spesso, per averle, si devono avere degli svantaggi molto forti, al cui confronto la parcella del dentista, anche la più cara, non è nulla. E’ però importante sapere e far sapere che, chi vive condizioni di disagio economico o ha malattie gravi, può godere, ma solo in rare Regioni, di cure dentistiche gratuite a totale carico del Sistema Sanitario Nazionale. Diciamo subito che non tutti possono avere questo diritto: le spese odontoiatriche non sono assimilabili a quelle di altre prestazioni mediche offerte nelle ASL, negli ospedali e nelle cliniche convenzionate di tutta Italia. Inoltre, qualora si rendano necessarie protesi dentarie o apparecchi ortodontici, questi sono a carico del paziente: vi sono però alcune condizioni particolari che permettono, a seconda dei regolamenti regionali, di ottenere protesi dentali gratuite e apparecchi a costo zero o quasi. Le regioni amministrano la sanità, e dunque anche le cure dentistiche, con larghe autonomie che a loro volta portano a differenze anche sostanziali da un luogo all’altro. Bisogna, quando si nasce, scegliersi il posto!

Alla fine del racconto, la morale che se ne trae è una. E’ possibile che la lobby dei dentisti sia così forte da influenzare le prestazioni sanitarie delle Asl italiane e gli indirizzi legislativi del Parlamento? In tempo di crisi ci si deve aspettare un popolo di sgangati senza denti, obbligati al broncio ed impediti al sorriso da una ignobile dentatura?

Questo articolo è stato pubblicato da decine di testate di informazione. E la reazione dei dentisti non si è fatta attendere, anche con toni minacciosi. Oggetto degli strali polemici è stato, oltre che Antonio Giangrande, il direttore di “Oggi”.

«I Dentisti non sono mafiosi bensì gli unici che si prendono cura dei cittadini». ANDI protesta con Oggi per una delirante lettera pubblicata. Così viene definito l’articolo. Il 14 gennaio 2014 sul sito del settimanale Oggi, nella rubrica “C’è posta per noi”, è stata pubblicata una missiva del dott. Antonio Giangrande presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie dal titolo “La lobby dei dentisti e la mafia odontoiatrica”. Nella nota Giangrande analizza il bisogno di salute orale e le difficoltà del servizio pubblico di dare le risposte necessarie chiedendosi se tutto questo non è frutto del lavoro della lobby dei dentisti talmente potente da influenzare le prestazioni sanitarie delle Asl e le decisioni del Parlamento. ANDI, per tutelare l’immagine dei dentisti liberi professionisti italiani, sta valutando se intraprendere azioni legali nei confronti dell’autore della lettera e del giornale. Intanto ha chiesto di pubblicare la nota che riportiamo sotto. La Redazione di Oggi ha scritto il 24.1.2014 alle 16:59, Il precedente titolo della lettera del Dottor Giangrande era fuorviante e di questo ci scusiamo con gli interessati. Qui di seguito l’intervento dell’Associazione Nazionale Dentisti italiani, a nome del Presidente Dott. Gianfranco Prada, in risposta allo stesso Dottor Giangrande. «A nome dei 23 mila dentisti italiani Associati ad ANDI (Associazione Nazionale Dentisti Italiani) che mi onoro di presiedere vorrei rispondere alla domanda che il dott. Antonio Giangrande, presidente dell’Associazione Contro tutte le Mafie ha posto sul suo giornale il 14 gennaio. “E’ possibile che la lobby dei dentisti sia così forte da influenzare le prestazioni sanitarie delle Asl italiane e gli indirizzi legislativi del Parlamento? In tempo di crisi ci si deve aspettare un popolo di sgangati senza denti, obbligati al broncio ed impediti al sorriso da una ignobile dentatura?”  La risposta è no. No, dott. Giangrande non c’è una lobby di dentisti così forte da influenzare le scelte della sanità pubblica. La causa di quanto lei scrive si chiama spending review o se vogliamo utilizzare un termine italiano dovremmo dire tagli: oltre 30 miliardi negli ultimi due anni quelli per la sanità. Poi io aggiungerei anche disinteresse della politica verso la salute orale che non ha portato, mai, il nostro SSN ad interessarsi del problema. Vede dott. Giangrande lei ha ragione quando sostiene che un sorriso in salute è una discriminante sociale, ma non da oggi, da sempre. Ma questo non per ragioni economiche, bensì culturali. Chi fa prevenzione non si ammala e non ha bisogno di cure. Mantenere sotto controllo la propria salute orale costa all’anno quanto una signora spende alla settimana dalla propria parrucchiera. Ed ha anche ragione quando “scopre” che le cure odontoiatriche sono costose, ma non care come dice lei. Fare una buona odontoiatria costa e costa sia al dentista privato che alla struttura pubblica, che infatti non riesce ad attivare un servizio che riesca a soddisfare le richieste dei cittadini. Inoltre, oggi, lo stato del SSN quasi al collasso, non consente investimenti nell’odontoiatria: chiudono i pronto soccorso o vengono negati prestazioni salva vita. Ma le carenze del pubblico nell’assistenza odontoiatrica non è neppure di finanziamenti, è di come questi soldi vengono investiti. Qualche anno fa il Ministero della Salute ha effettuato un censimento per capire le attrezzature ed il personale impiegato da Ospedali ed Asl nell’assistenza odontoiatrica e da questo è emerso che i dentisti impiegati utilizzano gli ambulatori pubblici in media per sole 3 ore al giorno. Ma non pensi sia per negligenza degli operatori, molto spesso è la stessa Asl che non può permettersi di attivare il servizio per più tempo. Non ha i soldi. Però poi succede anche che utilizzi le strutture pubbliche per dare assistenza odontoiatrica a pagamento e quindi per rimpinguare i propri bilanci. Come mai non ci indigna per questo? Il problema non è di carenza di attrezzature (mediamente quelle ci sono) sono i costi per le cure. Una visita odontoiatria è molto più costosa di una visita di qualsiasi altra branca della medicina. Pensi quando il suo dermatologo o cardiologo la visita e poi allo studio del suo dentista in termini di strumenti, attrezzature e materiali utilizzati. Anche con i pazienti che pagano il ticket l’Asl non riesce a coprire neppure una piccola parte dei costi sostenuti per effettuare la cure. Da tempo chiediamo ai vari Ministri che negli anni hanno trascurato l’assistenza odontoiatrica di dirottare quegli investimenti in un progetto di prevenzione odontoiatrica verso la fasce sociali deboli e i ragazzi. Una seria campagna di prevenzione permetterebbe di abbattere drasticamente le malattie del cavo orale, carie e malattia parodontale, diminuendo drasticamente la necessità di interventi costosi futuri come quelli protesici. Invece nelle nostre Asl e negli ospedali non si previene e non si cura neppure, perché costa troppo curare, così si estraggono solo denti… creando degli “sdentati” che avranno bisogno di protesi. Dispositivo che il nostro SSN non può erogare. Ma molto spesso lo fa a pagamento. Pensi, dott. Giangrande, siamo talmente lobbie che l’unico progetto di prevenzione pubblica gratuito attivo su tutto il territorio nazionale è reso possibile da 35 anni dai dentisti privati aderenti all’ANDI. Stesso discorso per l’unico progetto di prevenzione del tumore del cavo orale, 6 mila morti all’anno per mancata prevenzione. Per aiutare gli italiani a tutelare la propria salute orale nell’immediato basterebbe aumentare le detrazioni fiscali della fattura del dentista (oggi è possibile detrarre solo il 19%) ma questo il Ministero dell’Economia dice che non è possibile. Però da anni si permette ai cittadini di detrarre oltre il 50% di quanto spendono per ristrutturare casa o per comprare la cucina. Come vede, caro dott. Giangrande, il problema della salute orale è molto serio così come molto serio il problema della mafia. Ma proprio perché sono problemi seri, per occuparsene con competenza bisogna sforzarsi di analizzare il problema con serietà e non fare le proprie considerazioni utilizzando banali lunghi comuni. In questo modo insulta solo i dentisti italiani che sono seri professionisti e non truffatori o peggio ancora mafiosi. Fortunatamente questo i nostri pazienti lo sanno, ecco perché il 90% sceglie il dentista privato e non altre strutture come quelle pubbliche o i low cost. Perché si fida di noi, perché siamo seri professionisti che lavorano per mantenerli sani. Aspettiamo le sue scuse. Il Presidente Nazionale ANDI, Dott. Gianfranco Prada».

Antonio Giangrande, come sua consuetudine, fa rispondere i fatti per zittire polemiche strumentali e senza fondamento, oltre che fuorvianti il problema della iniquità sociale imperante.

Palermo. Morire, nel 2014, perché non si vuole – o non si può – ricorrere alle cure di un dentista. Da un ospedale all’altro: muore per un ascesso. Quando il dolore è diventato insopportabile ha deciso di rivolgersi ai medici, ma la situazione è precipitata, scrive Valentina Raffa su “Il Giornale”, martedì 11/02/2014. Una storia alla Dickens, con la differenza però che oggi non siamo più nell’800 e romanzi sociali come «Oliver Twist», «David Copperfield» e «Tempi difficili» dovrebbero apparire decisamente anacronistici. Eppure… Eppure succede che ai nostri giorni si possa ancora morire per un mal di denti. Un dolore a un molare che la protagonista di questa drammatica vicenda aveva cercato di sopportare. Difficile rivolgersi a un dentista, perché curare un ascesso avrebbe richiesto una certa spesa. E Gaetana, 18enne di Palermo, non poteva permettersela. Lei si sarebbe dovuta recare immediatamente in Pronto soccorso. Quando lo ha fatto, ossia quando il dolore era divenuto lancinante al punto da farle perdere i sensi, per lei non c’era più nulla da fare. È stata accompagnata dalla famiglia all’ospedale Buccheri La Ferla, di Palermo, dove avrebbe risposto bene alla terapia antibiotica, ma purtroppo il nosocomio (a differenza del Policlinico) non dispone di un reparto specializzato. Quando quindi la situazione si è aggravata, la donna è stata portata all’ospedale Civico. Ricoverata in 2^ Rianimazione, i medici hanno tentato il possibile per salvarle la vita. A quel punto, però, l’infezione aveva invaso il collo e raggiunto i polmoni. L’ascesso al molare era divenuto fascite polmonare. L’agonia è durata giorni. La vita di Gaetana era appesa a un filo. Poi è sopraggiunto il decesso. Le cause della morte sono chiare, per cui non è stata disposta l’autopsia. Nel 2014 si muore ancora così. E pensare che esiste la «mutua». Ma Gaetana forse non lo sapeva. Sarebbe bastato recarsi in ospedale con l’impegnativa del medico di base. è una storia di degrado, non di malasanità: ci sono 4 ospedali a Palermo con servizio odontoiatrico. Ma nella periferia tristemente famosa dello Zen questa non è un’ovvietà.

Morire di povertà. Gaetana Priola, 18 anni, non aveva i soldi per andare dal dentista scrive “Libero Quotidiano”. La giovane si è spenta all’ospedale civico di Palermo, dove era ricoverata dai primi giorni di febbraio 2014. A ucciderla, un infezione polmonare causata da un ascesso dentale mai curato. All’inizio del mese, la giovane era svenuta in casa senza più dare segni di vita. I medici le avevano diagnosticato uno choc settico polmonare, condizione che si verifica in seguito a un improvviso abbassamento della pressione sanguigna. Inizialmente, Gaetana era stata trasportata al Bucchieri La Ferla e, in seguito, era stata trasferita nel reparto di rianimazione del Civico. Le sue condizioni sono apparse da subito come gravi. I medici hanno provato a rianimarla ma, dopo una settimana di cure disperate, ne hanno dovuto registrare il decesso. Disperazione e dolore nel quartiere Zen della città, dove la vittima risiedeva insieme alla famiglia.

All’inizio era un semplice mal di denti, scrive “Il Corriere della Sera”. Sembrava un dolore da sopportare senza drammatizzare troppo. Eppure in seguito si è trasformato in un ascesso poi degenerato in infezione. Una patologia trascurata, forse anche per motivi economici, che ha provocato la morte di una ragazza di 18 anni, Gaetana Priolo. La giovane, che abitava a Palermo nel quartiere Brancaccio, non si era curata; qualcuno dice che non aveva i soldi per pagare il dentista. Un comportamento che le è stato fatale: è spirata nell’ospedale Civico per uno «shock settico polmonare». Le condizioni economiche della famiglia della ragazza sono disagiate ma decorose. Gaetana era la seconda di quattro figli di una coppia separata: il padre, barista, era andato via un paio di anni fa. Nella casa di via Azolino Hazon erano rimasti la moglie, la sorella maggiore di Gaetana, il fratello e una bambina di quasi cinque anni. Per sopravvivere e mantenere la famiglia la madre lavorava come donna delle pulizie. «È stata sempre presente, attenta, una donna con gli attributi», dice Mariangela D’Aleo, responsabile delle attività del Centro Padre Nostro, la struttura creato da don Pino Puglisi, il parroco uccisa dalla mafia nel ’93, per aiutare le famiglie del quartiere in difficoltà. L’inizio del calvario per Gaetana comincia il 19 gennaio scorso: il dolore è insopportabile tanto da far perdere i sensi alla diciottenne. La ragazza in prima battuta viene trasportata al Buccheri La Ferla e visitata al pronto soccorso per sospetto ascesso dentario. «Dopo due ore circa, in seguito alla terapia, essendo diminuito il dolore, – afferma una nota della direzione del nosocomio – è stata dimessa per essere inviata per competenza presso l’Odontoiatria del Policlinico di Palermo». Dove però Gaetana non è mai andata. Si è invece fatta ricoverare il 30 gennaio al Civico dove le sue condizioni sono apparse subito gravi: in seconda rianimazione le viene diagnosticata una fascite, un’infezione grave che partendo dalla bocca si è già diffusa fino ai polmoni – dicono all’ospedale -. I medici fanno di tutto per salvarla, ma le condizioni critiche si aggravano ulteriormente fino al decesso avvenuto la settimana scorsa. Al momento non c’è nessuna denuncia della famiglia e nessuna inchiesta è stata aperta. «È un caso rarissimo – spiega una dentista – ma certo non si può escludere che possa accadere». Soprattutto quando si trascura la cura dei denti. Ed è questo un fenomeno in crescita. «L’11% degli italiani rinuncia alle cure perchè non ha le possibilità economiche, e nel caso delle visite odontoiatriche la percentuale sale al 23% – denuncia il segretario nazionale Codacons, Francesco Tanasi – In Sicilia la situazione è addirittura peggiore. Chi non può permettersi un medico privato, si rivolge alla sanità pubblica, settore dove però le liste d’attesa sono spesso lunghissime, al punto da spingere un numero crescente di utenti a rinunciare alle cure».

“È un caso rarissimo – spiega una dentista – ma certo non si può escludere che possa accadere”, scrive “Canicattiweb”. Soprattutto quando si trascura la cura dei denti. Ed è questo un fenomeno in crescita. Il Codacons si è schierato subito al fianco dei familiari e dei cittadini indigenti. “Il caso della 18enne morta a Palermo a causa di un ascesso non curato per mancanza di soldi, è uno degli effetti della crisi economica che ha colpito la Sicilia in modo più drammatico rispetto al resto d’Italia”. “L’11% degli italiani rinuncia alle cure mediche perché non ha le possibilità economiche per curarsi, e nel caso delle le visite odontoiatriche la percentuale sale al 23% – denuncia il segretario nazionale Codacons, Francesco Tanasi – Ed in Sicilia la situazione è addirittura peggiore. Chi non può permettersi cure private, si rivolge alla sanità pubblica, settore dove però le liste d’attesa sono spesso lunghissime, al punto da spingere un numero crescente di utenti a rinunciare alle cure. Tale stato di cose genera emergenze e situazioni estreme come la morte della ragazza di Palermo. E’ intollerabile che nel 2014 in Italia si possa morire per mancanza di soldi – prosegue Tanasi – Il settore della sanità pubblica deve essere potenziato per garantire a tutti le prestazioni mediche, mentre negli ultimi anni abbiamo assistito a tagli lineari nella sanità che hanno prodotto solo un peggioramento del servizio e un allungamento delle liste d’attesa”.

Bene, cari dentisti, gli avvocati adottano il gratuito patrocinio, ma non mi sembra che voi adottiate il “Pro Bono Publico” nei confronti degli indigenti. Pro bono publico(spesso abbreviata in pro bono) è una frase derivata dal latino che significa “per il bene di tutti”. Questa locuzione è spesso usata per descrivere un fardello professionale di cui ci si fa carico volontariamente e senza la retribuzione di alcuna somma, come un servizio pubblico. È comune nella professione legale, in cui – a differenza del concetto di volontariato – rappresenta la concessione gratuita di servizi o di specifiche competenze professionali al servizio di coloro che non sono in grado di affrontarne il costo.

Dr Antonio Giangrande

Puglia: 50 famiglie senza acqua nel silenzio della giunta Vendola

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labbate-giuseppe_0I parlamentari del MoVimento 5 Stelle chiedono alla Regione di risolvere la drammatica situazione in cui vertono 50 famiglie degli edifici popolari di Manduria (Taranto)

È incredibile che nonostante la crisi che mette a dura prova i cittadini, l’Acquedotto Pugliese S.p.A. continui a tagliare l’acqua a cittadini a cui le amministrazioni non garantiscono neanche il quantitativo minimo vitale per evitare problemi di igiene. Questa volta è accaduto a 50 famiglie di Manduria (Taranto), inquilini di edifici popolari gestiti dallo Iacp. E si tratta dell’ennesima situazione che avviene presso case popolari pugliesi dove per motivi economici, sociali ed anche a causa di una modalità di pagamento che non responsabilizza il singolo utente, si creano situazioni di morosità che si traducono in una privazione di diritti, quale appunto l’impossibilità all’accesso dell’acqua potabile.

La regione si è dimenticata di questi cittadini che da settembre 2012 non possono usufruire di un servizio di interesse generale, l’acqua, di proprietà della Regione ma gestito da una Società per Azioni – dichiarano i deputati ed i senatori pugliesi del MoVimento 5 Stelle – L’auspicio è che AqP e la Regione, insieme al Comune ed ai cittadini, possano concordare delle modalità agevolate per il pagamento del debito e che queste non siano così gravose come gli intendimenti già avanzati da AqP, nel pieno disinteresse della Giunta Vendola. Ma ancor più importante – concludono i parlamentari M5S – è che si garantisca da subito il diritto al minimo vitale di acqua potabile per tutte le famiglie coinvolte per evitare gli ovvi problemi legati all’igiene pubblica. Ma anche per ristabilire un diritto qual è quello dell’acqua. Si tratta di una questione di civiltà”.

Ufficio Stampa

on. Giuseppe L’Abbate

CRIMINALITA’ PUGLIA, IL MINISTERO DELL’INTERNO RISPONDE A INTERROGAZIONE M5S

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Giuseppe-Brescia-M5S-180x300In seguito all’uccisione del boss Felice Campanale  del 28 agosto scorso per le strade del capoluogo pugliese ed ad un intensificarsi degli atti criminosi nello stesso periodo sull’intero territorio pugliese, il parlamentare pugliese M5S Giuseppe Brescia aveva presentato in data in data 24/9 una interrogazione a risposta scritta al ministro Alfano chiedendo “se e quando il Ministro interrogato ritenga di dover corrispondere alla pressante richiesta di adeguamento dell’organico di forze dell’ordine nella città di Bari e su tutto il territorio pugliese così da assicurare il contrasto dei fenomeni criminali e la sicurezza dei cittadini.

In questi giorni è finalmente pervenuta la risposta del ministero dell’Interno a firma del vice ministro Filippo Bubbico ne citiamo alcuni passaggi: “Attualmente (a Bari n.d.r.) si sta assistendo ad un periodo di forte instabilità, sia per effetto dello stato di detenzione di alcune delle figure di spicco dei clan “storici”, sia come conseguenza degli omicidi di alcuni loro esponenti […] l’evidente indebolimento dei clan storici permette alle giovani leve di creare nuove alleanze per la scalata delle gerarchie criminali. […] Per quanto concerne la situazione degli organici delle Forze dell’ordine – si legge nella risposta – si tratta di una carenza d’organico corrispondente a un’aliquota del -10% circa, rispetto al -14,2% della media nazionale.” Bubbico ha poi confermato l’arrivo, dopo 9 mesi dall’impegno preso il 22 maggio scorso dal ministro Alfano, di 86 nuove unità di sicurezza sul territorio.

Nell’interrogazione si faceva riferimento anche ad una denuncia dell’organizzazione «Oliveti Terra di Bari» riguardante le azioni criminali ad opera dei clan del nord barese che, si leggeva nel comunicato “indisturbate arrecano danni alla popolazione e soprattutto agli agricoltori: alberi tagliati, coltivazioni incendiate, continui furti di mezzi agricoli e addirittura rapine a mano armata.

Il viceministro Bubbico ha risposto in merito affermando che, secondo il ministero, tali atti criminosi sarebbero “fattispecie delinquenziali tipiche dell’ambiente rurale […] monitorate costantemente dal Gruppo di lavoro provinciale per la sicurezza agricola e agroalimentare.

Il parlamentare interrogante Giuseppe Brescia, ha commentato così le risposte pervenute dal ministero di Alfano: “Non possiamo essere soddisfatti della risposta pervenutaci dal ministero. I cittadini pugliesi sono vittime di forme di criminalità che, da sempre sottovalutate da questo Stato, si sono radicate sul territorio. Alla luce dell’intensificarsi degli atti criminosi chiediamo che vengano presi provvedimenti seri e strutturali e non che si risponda ai cittadini pugliesi “il deficit di forze dell’ordine c’è ma è  inferiore alla media quindi avete poco da lamentarvi”. Stesso discorso – prosegue il deputato pugliese– vale per la sicurezza durante lo svolgimento delle proprie attività lavorative: se i nostri agricoltori, lavoratori onesti, denunciano continui atti criminosi, è evidente che chi dovrebbe controllare non lo sta facendo come dovrebbe. Chi lavora e paga fior di tasse, ha il diritto di pretendere che questo Stato gli garantisca sicurezza quando cammina per strada e non di correre il rischio di incappare in una sparatoria. Il M5S continuerà a battersi in tutte le sedi  fino a quando i diritti basilari dei cittadini non saranno garantiti.

Ufficio Stampa

on. Giuseppe Brescia

Agricoltura: Ecco la politica agricola comunitaria targata 5 stelle

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labbate-giuseppe_0I parlamentari del MoVimento 5 Stelle, componenti della Commissione Agricoltura, puntano su occupazione, qualità e territorio per un comparto primario davvero protagonista con la PAC 2014-2020 

L’obiettivo è fare meglio della Spagna, massimizzando l’impatto delle risorse disponibili ed evitando di concedere pagamenti sotto i 400 euro l’anno. Parole chiave del sistema agricolo italiano del futuro: occupazione, qualità, valorizzazione e tutela del territorio. Questo l’orientamento del MoVimento 5 Stelle in materia di politica agricola comune per i prossimi 7 anni, dal 2014 al 2020.

Puntiamo sulle ore di lavoro ‘spese in campo’ per considerare l’agricoltore ‘attivo’ – dichiarano Daniela Donno e Giuseppe L’Abbate, parlamentari 5 Stelle della Commissione Agricoltura – Riteniamo indispensabile sostenere in modo specifico i prodotti certificati e di qualità, accordando l’aiuto accoppiato alla zootecnica certificata, di montagna ed a quella da filiera corta. Le nostre attenzioni saranno rivolte alle colture tipiche che favoriscono il ripristino del suolo oltre al rilancio della mangimistica tradizionale per scongiurare il pericolo OGM. Infine – continuano i 5 Stelle – sosterremo le colture arboree di rilievo storico e paesaggistico”.

Idee e temi formalizzati in due risoluzioni presentate all’esame della Commissione Agricoltura della Camera. “Ci auguriamo che le nostre proposte – dichiarano Giuseppe L’Abbate e Daniela Donno (M5S) – aprano un dibattito serio e fattivo con il Governo, con gli altri Gruppi parlamentari e soprattutto con i rappresentanti di categoria e la comunità scientifica”. La PAC 2014-2020 è, infatti, oramai ai blocchi di partenza ed urgono scelte importanti, destinate ad incidere fortemente sull’agricoltura italiana per i prossimi 7 anni. “Noi siamo pronti e disponibili ad ogni miglioria possibile – concludono i 5 Stelle – tranne che ad accettare compromessi “politici” volti a non scontentare nessuno piuttosto che soluzioni ragionate in grado di impattare significativamente su un comparto, quale quello primario, che rappresenta una parte rilevante del Pil nazionale e dell’export”.

Risoluzione agricoltore attivo:

http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/showXhtml.asp?highLight=0&idAtto=14105&stile=7

Risoluzione aiuto accoppiato:

http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/showXhtml.asp?highLight=0&idAtto=14106&stile=7

Ufficio Stampa

on. Giuseppe L’Abbate

Riformulazione-frattura del delitto di concussione ex art. 317 c.p. (14 febbraio 2014, Milano)

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Si terrà venerdì 14 febbraio 2014 a Milano dalle ore 10.00 alle ore 15.00, presso la Sala Lauree della Scuola di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, il primo workshop organizzato da “DIPLAP-Laboratorio Permanente di Diritto Penale” sulla recente riforma del sistema penale anticorruzione e, in particolare, sugli effetti sostanziali e processuali della scissione della disposizione ex art. 317 c.p.

I relatori sono stati selezionati con il sistema della revisione anonima dal Comitato Scientifico del workshop, composto da Marco Gambardella, Marco Pierdonati e Vico Valentini.

Per maggiori informazioni visita il sito di DIPLAP.

Pornografia minorile: in merito alla condotta di diffusione di materiale pedopornografico

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Depositata il 5 febbraio 2014 la sentenza n. 5692 della terza sezione in tema di pornografia minorile.

I giudici della Corte di Cassazione hanno affermato che la condotta di diffusione di materiale pedopornografico di cui all‘art. 600 ter, comma 3, c.p., che si differenzia da quella del comma 4 (offerta o cessione) per il fatto che la stessa sia destinata a raggiungere, anziché singoli destinatari, una serie indeterminata di persone con cui l’agente abbia stabilito un rapporto di comunicazione attraverso un mezzo di diffusione accessibile ad una pluralità di soggetti, non richiede alcuna finalizzazione all’adescamento o allo sfruttamento di minori, necessaria invece con riguardo alle distinte condotte della distribuzione o della divulgazione di notizie od informazioni (v. tra i precedenti conformi Sez. 3, n. 2421 del 13/06/2000, n. 2421, Tedde, Rv. 217214; Sez. 3, n. 4900 del l’11/12/2002, Cabrini, Rv. 224702; Sez.3, n. 2842 del 14/07/2000, Salvalaggio, Rv. 216880).

Ricordiamo che l’art. 600-ter c.p. (pornografia minorile) prevede:

al comma 3: Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645.
al comma 4: Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo comma, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164.
Pertanto – precisa la Corte – è indifferente che la condotta di distribuzione (di cui alla prima parte del comma 3) sia avvenuta al precipuo fine di adescamento o, più semplicemente, al più limitato fine di condividere con una serie indefinita di terze persone tale materiale.