24 Settembre 2024, martedì
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Festival di Sanremo costa troppo: 20 milioni per 3 edizioni in rosso

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Dopo tre Festival in rosso e oltre venti milioni di perdite è giunta l’ora di una sforbiciata. Alla vigilia della sessantaquattresima edizione del Festival di Sanremo, a guastare la festa ci pensa la Corte dei Conti, che invita a una “sostanziale riduzione” dei costi di produzione. Le edizioni più spendaccione sono state quelle di Morandi e della Clerici ma, assicurano da Viale Mazzini, il vento della spending review ha già cominciato a soffiare.
In particolare, ammoniscono i giudici contabili, tra il 2010 e il 2012 il rosso accumulato dall’azienda è pari a 20,1 milioni di euro: 7,8 milioni per il 2010, 7,5 per il 2011 e 4,8 per il 2012. Lo squilibrio costi-ricavi è in miglioramento, ammette la magistratura, che però sottolinea la necessità di un’adeguata “razionalizzazione dei costi”.

I costi di Sanremo 2011, pari a 20,565 milioni – si legge nella Relazione – risultano sostanzialmente allineati con quelli del 2010 (20,594 milioni), mentre i ricavi crescono di 272mila euro (+2,1%), riducendo dunque il gap costi-ricavi diretti (-301mila euro). Nel 2012 i costi calano a 18,692 milioni (-1,873 milioni rispetto al 2011, -9.1%), mentre i ricavi crescono di 865mila euro (+6,6%): ancora giù, dunque, il differenziale tra costi e ricavi diretti, sceso di 2,738 milioni (da 7,543 a 4,805).
Parallelamente agli ascolti che hanno registrato “picchi superiori al 60%”, è stata “sensibile” la raccolta pubblicitaria, con ricavi “pari a 12,750 milioni per il 2010, 13,022 per il 2011 e 13,887 per il 2012″. La Corte passa in rassegna le singole voci di esborso per l’azienda: in particolare – scrive – i costi esterni (come le “risorse artistiche e autorali”) si sono attestati a 8,393 milioni nel 2011 e 8,223 nel 2012.
Nel 2011 – il conduttore era Gianni Morandi – sono aumentati del 2.8% rispetto al 2010: a pesare maggiormente sono stati i costi per le “risorse artistico autorali” (+10,3%), specie per “coconduttori/cast fisso” (+743mila euro) e “conduzione/direzione artistica” (+331mila di euro), aumenti solo parzialmente compensati dalla riduzione delle spese per gli “ospiti” (-590mila euro).
Nel 2012 – quando si parlò, mai ufficialmente, di cachet da 800 mila euro per Morandi, mentre 700 mila andarono ad Adriano Celentano, tutti devoluti in beneficenza – i costi si sono notevolmente ridotti (18,692 milioni rispetto a 20,565 milioni), mentre i ricavi da spot sono cresciuti di 865mila euro. Una dinamica che ha consentito un “netto miglioramento” del gap tra costi e ricavi (da -7,543 milioni a 4,805 milioni). In sintesi, tuttavia, “l’andamento dei costi risulta ancora nettamente superiore ai ricavi pubblicitari, con negativi riflessi sul MOL aziendale”. Di qui la necessità di “adeguate iniziative volte a conseguire una più significativa razionalizzazione dei costi”.
Nel frattempo, con il festival di Fabio Fazio e Luciana Littizzetto del 2013, non ancora monitorato dalla magistratura contabile, per la prima volta la Rai ha brindato al pareggio di bilancio: per un budget da 18 milioni (7 per la convenzione con il Comune di Sanremo, 11 di costi di produzione), gli introiti pubblicitari sono stati della stessa entità.
Un andamento virtuoso confermato anche quest’anno: i costi sono stabili, 18 milioni, ma come ha annunciato il direttore di Rai1 Giancarlo Leone, “sono stati già coperti da alcune settimane grazie a pubblicità e sponsor”. Sanremo a costo zero per il secondo anno consecutivo, dunque, anzi le previsioni lasciano pensare a un possibile “saldo attivo”. Utile che potrebbe crescere l’anno prossimo, tenendo conto del fatto che l’esborso per la convenzione scenderà da 7 a 5,5 milioni.

Rai, Corte Conti: “Alzi canone”. Dal 2005 deve avere 2,3 mld dallo Stato

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Non solo sforbiciate, a partire dagli sfarzi di Sanremo: se la Rai non ce la fa a coprire i costi del servizio pubblico, aumenti il canone. E’ quanto suggerisce la stessa Corte dei Conti per il triennio 2013-2015, dopo aver bacchettato la tv di Stato sulla gestione finanziaria del biennio 2011-2012. Ma dal 2005 deve avere 2 miliardi dallo Stato. I giudici contabili richiamano tra l’altro l’adozione di misure più efficaci per contrastare l’evasione dell’odiato balzello.
In questi anni per sopravvivere, la Rai non ha ridotto le spese, ma è andata a batter cassa al ministero dello Sviluppo economico chiedendo quei 2,3 miliardi di euro di arretrati, pari agli extra-costi generati per garantire i servizi di base. Un buco che si è via via allargato negli anni: dal 2005, anno in cui la società per legge ha dovuto avere una gestione separata tra servizio pubblico e attività privata, fino ad oggi.

Nello stesso anno è stata l’Unione europea ad imporre che tutto ciò che rientrasse nelle funzioni di servizio pubblico venisse finanziato col canone. Tutto il resto andava sostenuto in proventi pubblicitari per non creare competizione sleale con le altre tv private.
Ma andando a guardare bene i conti: sul fronte dei ricavi, l’introito da canone “ha rappresentato circa il 60,5% (il 68% nel 2012) del totale delle entrate aziendali, contro circa il 31,3% (26% nel 2012) della pubblicità e circa l’8,2 % (il 6% nel 2012) degli altri ricavi”.
L’entrata da canone “è rimasta notevolmente compromessa dalle crescenti dimensioni dell’evasione, stimata nel biennio nell’ordine del 27% circa, superiore per quasi 19 punti percentuali rispetto alla media europea”.
In flessione anche il ricavo da pubblicità, che “si è attestato in 965 milioni di euro nel 2011 e in 745,3 milioni” nel 2012. Per quanto riguarda i costi operativi – pur scontando l’assenza, come in ogni esercizio dispari, di quelli per i grandi eventi sportivi – “nel 2011 si è registrata una diminuzione del 5,9%; nell’anno successivo, peraltro detti oneri si sono incrementati di 18,1 milioni di euro”.
Il costo del personale, “cresciuto nel 2011 del 2,7%, si è ulteriormente incrementato nel 2012 anche in ragione di un accantonamento di 62 milioni” per il piano di esodo agevolato.
In sintesi è mancata una manovra che potesse consentire di contrastare il sensibile calo dei ricavi, riducendo drasticamente e razionalmente i costi della gestione”.
Di qui l’esigenza di assumere tutti gli interventi “più idonei per mantenere sotto stretto controllo l’andamento del costo del lavoro e degli oneri connessi, sia per la Società che per il Gruppo” e la necessità di “promuovere efficaci interventi finalizzati a contrastare l’evasione dal pagamento del canone, adottati o anche solo pianificati nel corso del biennio in rassegna, in particolare per il canone speciale”.
La Corte ribadisce anche “la decisiva necessità che l’Azienda attivi comunque ogni misura organizzativa, di processo e gestionale, idonea ad eliminare inefficienze e sprechi, proseguendo, laddove possibile e conveniente, nel percorso di internalizzazione delle attività e concentrando gli impegni finanziari sulle priorità effettivamente strategiche”.

Lista Falciani Italia: elenco società e filiali Hsbc con il numero dei conti ombra

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Falciani Italia: elenco società e filiali Hsbc con il numero dei conti ombra. La lista Falciani sta per arrivare in Italia, stavolta completa e si preannuncia esaustiva: a disposizione dei magistrati, e del Fisco, ci saranno le vere identità di 10 mila presunti evasori italiani, dei loro prestanomi e degli intermediari responsabili dell’occultamento dei capitali. Grazie alla collaborazione attiva di Hervé Falciani, l’ex dipendente del colosso bancario inglese Hsbc, sono riapparsi i file che documentano l’esistenza di 121 mila conti occultati: di questi, si presume che almeno 10 mila siano riferibili a contribuenti disonesti italiani. Pubblichiamo qui sotto la tabella pubblicata dal Sole 24 Ore di giovedì 13 febbraio, un elenco contenente il numero dei conti correnti a disposizione dei magistrati associati alle filiali o alle società del gruppo bancario Hsbc.

Emissioni in atmosfera: modificato il Testo unico ambientale

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Il Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri della salute e dello sviluppo economico, ha emanato il decreto 15 gennaio 2014 (G.U.10 febbraio 2014, n. 33) che modifica, integrandola, la parte I dell’allegato IV alla parte V del D.Lgs. 152/06, che disciplina gli impianti e le attività con emissioni scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento atmosferico.
Nel novero di tali impianti sono elencati, alla lettera p) della sopracitata parte dell’allegato, gli impianti di trattamento delle acque, con l’esclusione delle linee di trattamento fanghi.
L’art. 272 prevede espressamente la possibilità di integrare ed aggiornare l’elenco degli impianti, anche su indicazione delle regioni, delle province autonome e delle associazioni rappresentative di categorie produttive.
A tal fine è stata presa in considerazione la proposta della FederUtility, Federazione delle imprese energetiche ed idriche, la quale richiede di inserire nell’allegato sopracitato una serie di linee di trattamento dei fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue.
L’esito dell’istruttoria tecnica effettuata a riguardo ha individuato le linee di trattamento dei fanghi, le quali sono connotate da emissioni scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento atmosferico.
Nello specifico, gli impianti di trattamento dei fanghi che operano ai fini di potabilizzazione delle acque trattate, non producono emissioni in atmosfera, per cui limitatamente a questa fattispecie, non è necessario l’inserimento nell’allegato de quo.
Escludendo quest’ultima tipologia di impianti, si deve prendere in considerazione ai fini dell’inserimento in oggetto, l’insieme delle operazioni funzionali all’impianto di trattamento delle acque, necessarie a rendere i fanghi idonei all’utilizzo, recupero o smaltimento.
Alla luce di tali considerazioni, è decretato l’inserimento alla lettera p-bis) dell’allegato, delle linee di trattamento dei fanghi nell’ambito di impianti di trattamento di acque reflue che, in base al tipo biologico o chimico/fisico di trattamento previsto, devono rispettare diversi requisiti.

Colloqui di lavoro? La nuova frontiera è via web

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Colloqui sempre più on line. Ormai la presenza virtuale ha quasi sostituito la presenza reale in molte situazioni, non deve dunque stupire se il video colloquio nelle fasi iniziali del processo di selezione stia prendendo sempre più piede come modalità di recruiting. Addirittura, stando al sondaggio appena realizzato da Hivejobs, la società di selezione e ricerca del personale attiva dal 2012 sul mercato italiano e internazionale, nelle previsioni dei candidati sondati, tra 5 anni i colloqui di lavoro si terrano prevalentemente on line, anche in quelle aziende che oggi stentano ad adattarsi alla nuova modalità.

In realtà sul totale del compione per ora meno del 10% ha affrontato più di 10 colloqui on line nella propria carriera. La stragrande maggioranza ne ha, per il momento, realizzato soltanto 1 o comunque meno di 5 (37,5%). Nel 64,3% dei casi i candidati che si sono cimentati in un video colloquio stavano partecipando ad una selezione per aziende italiane e soltanto nel 15% dei casi per aziende straniere con sede nel nostro Paese.

I vantaggi? Risparmio di tempo (e quindi di denaro), condivisione in tempo reale di documenti o altro materiale che possa fornire maggiori informazioni sul curriculum e sulle competenze del candidato e, last but not least, minor grado di tensione emotiva e quindi miglior efficacia nella presentazione del sé.

Tutti pronti per essere testati via web dunque? Se le imprese a livello nazionale appaiono in realtà ancora reticenti a utilizzare questo strumento, i candidati sembrano molto più possibilisti. Tanto da dirsi addirittura disponibili all’adattamento di una piattaforma di selezione sul proprio tablet o smart phone.

 

Droga: Consulta “boccia” legge Fini-Giovanardi

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La Corte Costituzionale “boccia” la legge Fini-Giovanardi che equipara droghe leggere e pensanti: nella norma di conversione furono inseriti emendamenti estranei all’oggetto e alle finalità del decreto. Con la decisione rivive la legge Iervolino-Vassalli come modificata da referendum del ’93, che prevede pene più basse per le droghe leggere.

La Corte costituzionale, nella odierna Camera di consiglio – si legge nel comunicato integrale della Consulta – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale – per violazione dell’articolo 77, secondo comma, della Costituzione, che regola la procedura di conversione dei decreti-legge degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del Dl 30 dicembre 2005, n. 272, come convertito con modificazioni dall’art. 1 della legge 21 febbraio 2006, n. 49, così rimuovendo le modifiche apportate con le norme dichiarate illegittime agli articoli 73, 13 e 14 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico in materia di stupefacenti).

Il ricorso
Le nuove norme in materia di droga, infatti, erano state inserite con un emendamento, in fase di conversione, nel decreto legge sulle Olimpiadi invernali di Torino del 2006. A sollevare la questione di legittimità era stata la terza sezione penale della Cassazione. Viene così cancellata la norma con cui si erano parificate «ai fini sanzionatori» droghe pesanti e leggere: con la Fini-Giovanardi erano infatti state elevate le pene, prima comprese tra due e sei anni, per chi spaccia hashish, prevedendo la reclusione da sei a venti anni con una multa compresa tra i 26mila e i 260mila euro.

Le motivazioni della Corte saranno rese note nelle prossime settimane. La pronuncia della Consulta avrà notevoli ripercussioni sia sul numero degli attuali detenuti arrestati per reati legati agli stupefacenti, sia sui procedimenti in corso per questi stessi reati.

 

Droga: domani la decisione sulla costituzionalità legge Fini-Giovanardi

Roma – 11 febbraio 2014 La legge Fini-Giovanardi, che ha equiparato le droghe pesanti e quelle leggere, va dichiarata «illegittima» perché viola l’articolo 77 della Costituzione, che regola la materia dei decreti-legge. Questa la posizione espressa dal presidente emerito della Corte Costituzionale ed ex Guardasigilli Giovanni Maria Flick, che stamani è intervenuto all’udienza pubblica alla Consulta, affiancando l’avvocato Michela Porcile, difensore dell’imputato del processo da cui é scaturita la trasmissione degli atti ai “giudici delle leggi”. Al contrario secondo l’Avvocatura dello Stato nell’iter della legge “c’è stata una continuità sotto il profilo teleologico”. Dopo l’udienza pubblica di stamani per l’esame della causa, i giudici si riuniranno domani in camera di consiglio per discuterla insieme a due altri ricorsi analoghi all’ordinanza di rimessione con cui la Cassazione ha inviato gli atti alla Consulta sollevando dubbi di legittimità sulla norma: si tratta dei ricorsi presentati dalla Corte di Appello di Roma e dal gip di Torino.
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La ragioni a favore dell’abrogazione
“L’inclusione in sede di conversione del decreto legge di previsioni eccentriche rispetto alle sue tematiche contamina, compromettendola, l’esigenza di correlazione funzionale tra fase e volontà governativa e fase e volontà parlamentare”, ha sottolineato Flick. “È certo – ha aggiunto – che la materia della droga non presentava alcuna interconnessione con le disposizioni che, pure, si sarebbero dovute caratterizzare per i requisiti della straordinaria necessità e urgenza” del decreto. “Sconvolgendo letteralmente la previgente disciplina penale sugli stupefacenti, il legislatore della fase di conversione non si è limitato a ricomporre ed eventualmente a rimodulare diversamente gli ‘oggetti ‘ normativi, iscritti nel corpo del decreto legge, ma ne ha completamente trasfigurato le sembianze, ha introdotto un prodotto normativo completamente nuovo, al di fuori di qualsiasi rispetto dei limiti costituzionali del proprio compito”. E nel far questo “sono state modificate le tabelle; sono stati modificati i reati; è stata mutata sensibilmente la cornice edittale”.
A sostegno della sua tesi Flick ha citato, tra l’altro, la sentenza n.22/2012 con cui la Corte Costituzionale “portò a compimento un percorso anche tormentato, intrapreso per frenare taluni ‘abusì nell’iter di formazione delle leggi”. Quella sentenza affermava come “l’esclusione della possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge emendamenti del tutto estranei all’oggetto e alle finalità del testo originario” sia “imposta” dall’articolo 77, secondo comma, della Costituzione.
La tesi dell’Avvocato dello Stato
Nell’iter della Fini-Giovanardi “c’è stata una continuità sotto il profilo teleologico”, cioè delle finalità, “tra il decreto e la legge di conversione”, perché già il decreto conteneva norme per il contrasto delle tossicodipendenze e della criminalità organizzata, che la legge di conversione ha sviluppato. È la posizione sostenuta dall’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi che ha difeso la norma e la procedura per la sua stesura per conto della Presidenza del Consiglio. Giannuzzi ha inoltre sottolineato come “il contrasto alle tossicodipendenze si faccia sia con l’inserimento in strutture o programmi di recupero, sia attraverso misure sanzionatorie”, leve che “rientrano in una medesima finalità: il contrasto alle tossicodipendenze”.
“Naturalmente -ha proseguito Giannuzzi- il dosaggio di questi strumenti è frutto di valutazioni politiche, e non è questa la sede per parlarne”. Né è rilevante, sostiene l’avvocato dello Stato, che “le norme del decreto sulle Olimpiadi ne contengano altre di natura diversa”. L’Avvocatura ha quindi chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.
Gli effetti di un’eventuale abrogazione
Sono circa 10mila le persone in carcere per reati connessi con le droghe leggere che potrebbero potenzialmente beneficiare di una pronuncia della Corte Costituzionale che abrogasse le norme contenute nella Fini-Giovanardi. A fornire le cifre è Stefano Anastasia, ex presidente dell’associazione Antigone sui diritti dei detenuti e tra i promotori di un appello alla Consulta contro la Fini-Giovanardi firmato da numerosi giuristi e operatori del settore. Se fosse abrogata la norma, si avrebbe un’automatica riviviscenza della legge del 1990, che prevedeva pene molto più lievi per le droghe leggere, comprese tra i 2 e i 6 anni di carcere contro quelle da 6 a 20 scattate con la Fini-Giovanardi, che ha equiparato droghe leggere e pesanti. Ci sarebbero quindi effetti sulle cause in corso e non ancora passate in giudicato, ma anche su queste ultime, con la possibilità per i condannati di chiedere un incidente di esecuzione per il ricalcolo della pena, come ha spiegato a margine dell’udienza l’avvocato Michela Porcile, che ha sostenuto le ragioni dell’illegittimità della norma di fronte alla Consulta insieme a Giovanni Maria Flick. Inoltre ci sarebbero effetti sugli strumenti di indagine che gli inquirenti possono adottare, quali le intercettazioni, e sulla prescrizione.

L’alternativa alla Nutella? Per il Time è la Nocciolata Rigoni di Asiago

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«The definitive ranking of Nutella alternatives», ovvero la classifica delle migliori alternative alla Nutella stilata dalla rivista Time nella sua versione online, incorona la Nocciolata prodotta dalla Rigoni di Asiago.

La crema spalmabile di cacao e nocciole con ingredienti da agricoltura biologica made in Vicenza, scrive la giornalista Samantha Grossman, «ha conquistato i nostri cuori perché vanta una perfetta miscela di sapori di cioccolato e noci».

Fondata nel 1923 e convertitasi nel 1992 alla produzione interamente biologica di miele e marmellate (in anticipo sui gusti e anche sulle normative europee che avrebbero poi regolamentato il settore), l’azienda oggi lavora e trasforma annualmente circa 6mila tonnellate di frutta tramite un ciclo produttivo totalmente automatizzato, e con la tracciabilità completa delle materie prime. Nel segmento di mercato “bio” l’azienda vicentina è oggi leader, con un con un fatturato 2013 di 75,6 milioni e 70 dipendenti; a completare la gamma sono arrivate poi la crema di nocciole e lo zucchero ricavato dalle mele.

«Ci stiamo concentrando sulla crescita all’estero – spiega l’amministratore delegato Andrea Rigoni – attualmente a quota 11 per cento. Anche il consumo in Italia del nostro prodotto è in aumento, ma le vendite oltreconfine hanno margini notevoli, basti pensare che sono più che raddoppiate in due anni. Siamo in sintonia che le richieste dei consumatori, che chiedono innovazione, ma anche tradizione. Non mettiamo alcun limite alla crescita».

La prima esperienza di export ha riguardato proprio gli Stati Uniti, da dove oggi arriva la notizia del riconoscimento di Time, tramite la società Rigoni Usa Inc. Dal 2007 la rotta è stata aperta anche per l’Europa, a cominciare dalla Danimarca, fino a conquistare quote di mercato in Germania, Francia, Grecia, Norvegia, Svezia, Paesi Bassi, Regno Unito, Repubblica Ceca ed Emirati Arabi Uniti.

Nei Paesi nordici i prodotti Rigoni vengono pubblicizzati legandoli alla valorizzazione culturale della storia cimbra e del territorio vicentino. Una strategia commerciale premiata dai risultati registrati sul mercato globale: +75% di volume nel periodo gennaio/dicembre 2013 sulle vendite complessive di Nocciolata tra Italia (dove si concentra il 69% dei volumi totali di vendita) ed estero.

Nuovo governo, 478 decreti ereditati da Monti-Letta

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La staffetta tra Enrico Letta e Matteo Renzi non sarà leggera. Nel passaggio di consegne, infatti, ci sarà anche il trasferimento di 478 provvedimenti ancora da adottare per completare le riforme per il rilancio dell’economia varate dagli ultimi due Governi, di cui 50 atti urgentissimi.
La lista delle priorità è stata presentata all’ultimo consiglio dei ministri e sottoposta all’attenzione dei capi dei dicasteri perché costruissero una corsia preferenziale. Ora, però, il rischio è che tutto si rallenti.

Scrivono Antonello Cherchi e Marta Paris sul Sole 24 ore:
Più della metà dei decreti attuativi in pole position è imputabile alle manovre messe in campo dall’ultimo Esecutivo. Il resto è un’eredità del Governo dei professori. Tra i provvedimenti ci sono il piano nazionale delle zone a burocrazia zero e i criteri per i finanziamenti dei programmi di sviluppo nel settore industriale (previsti entrambi dal decreto Fare), l’individuazione delle modalità per l’avvio della Dia telematica (contenute nel primo decreto Sviluppo firmato da Monti), il programma sperimentale per introdurre l’apprendistato a scuola (secondo quanto stabilito dal Dl Istruzione del novembre scorso), le semplificazioni per le imprese in materia di sicurezza sul lavoro (provvedimento previsto dal decreto del Fare), il tax credit per il cinema, l’audiovisivo e la musica nonché il regolamento per semplificare le donazioni da parte dei privati (misure entrambe contenute nel decreto Valore cultura presentato da Letta).
La short list dei 50 regolamenti urgenti – messa a punto dall’ufficio del sottosegretario Giovanni Legnini, delegato all’attuazione del programma – non può, però, far passare in secondo piano gli altri 428 provvedimenti ancora in lista d’attesa. Si tratta di più della metà degli 831 decreti di impatto economico-sociale contenuti nelle riforme Monti-Letta, di cui a inizio febbraio la percentuale di attuazione complessiva sfiorava il 40 per cento. Ovviamente, il pacchetto del precedente Governo fa registrare – se non altro per questioni anagrafiche – un grado di attuazione più alto, raggiungendo il 56,3 per cento. Le manovre dell’Esecutivo Letta, invece, sono in gran parte ancora tutte da costruire, dato che sono state tradotte in pratica solo per il 15,4 per cento. Su tale dato pesa, però, non solo la più giovane età delle misure, ma anche il fardello arrivato a inizio anno con l’entrata in vigore della legge di stabilità, che ha imposto ai ministeri 84 provvedimenti attuativi, nessuno dei quali per ora arrivato al traguardo.
Un lavoro, dunque, molto impegnativo attende il nuovo Governo. Se poi si considera che per trasformare in realtà il cambio di passo annunciato, il prossimo Esecutivo dovrà varare subito nuove riforme, il bagaglio dell’attuazione è destinato ad appesantirsi. Sarebbe, pertanto, utile che non si abbandonassero i tentativi fin qui fatti per semplificare le procedure legislative (ridurre i concerti fra i ministeri, semplificare i passaggi e velocizzare l’iter dei pareri) in modo da far salire la percentuale di attuazione. Essenziale è, però, anche che il legislatore cerchi di ridurre il ricorso ai provvedimenti attuativi, rendendo il più possibile autoapplicative le norme (…)

Blog Beppe Grillo: “Renzi carrierista, consultazioni Napolitano presa per c…”

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“Giorgio Napolitano darà il via alle consultazioni, un’immensa presa per il culo. E sceglierà il carrierista Matteo Renzi“. Beppe Grillo sul suo blog commenta così l’annuncio di dimissioni del premier Enrico Letta, che salirà al Quirinale il 14 febbraio per parlare con il Capo dello Stato. “Ora Napolitano sceglierà Renzi, come ha fatto per Monti e per Letta, ignorando il Parlamento, la Costituzione e la volontà degli italiani per la terza volta”, ha poi aggiunto il leader del Movimento 5 stelle.
Grillo ha poi definito Renzi un carrierista e lo ha paragonato ad n boss: “Il nuovo boss non è Al Capone, ma un carrierista senza scrupoli, in arte Renzie, buon amico di Berlusconi, di Verdini e di gente che avrebbe fatto paura ai gangster del proibizionismo”.

Nel post “Il giorno di San Valentino“, Beppe Grillo scrive sul blog:
“Oggi, San Valentino, Capitan Findus Letta rassegna le sue dimissioni a Napolitano. C’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico nell’aria, come nel 14 febbraio del 1929 a Chicago. Allora ci fu la strage degli irlandesi, nel 2014 quella dei lettiani, almeno di quei pochi che non si sono riconvertiti al nuovo padrone vendendogli anche il culo. Il nuovo boss non è Al Capone, ma un carrierista senza scrupoli, in arte Renzie, buon amico di Berlusconi, di Verdini e di gente che avrebbe fatto paura ai gangster del proibizionismo.
Le sue credenziali sono ottime. Oltre ad essere un bugiardo incallito, lo vogliono le banche, la Confindustria, De Benedetti, Scaroni, la finanza. Un perfetto uomo di sinistra. Non ci sarà alcuna discussione parlamentare. Letta non chiederà la fiducia, ma prenderà i suoi stracci e se andrà, licenziato come una serva da chi, nel suo partito, fino a ieri ne elogiava l’azione di governo. Al confronto del pdexmenoelle un nido di serpi è un luogo ameno. Napolitano sceglierà Renzie (e non è un capriccio) che non è parlamentare, che non si è mai candidato nel ruolo di presidente del Consiglio durante le elezioni. Lo farà, come lo ha fatto per Monti e per Letta, ignorando il Parlamento, la Costituzione e la volontà degli italiani per la terza volta. Chi ha eletto Renzie? 136 votanti della direzione del pdexmenoelle sempre più simile al PCUS sovietico. Il partito decide, la nazione prende atto, la democrazia può attendere.
Ora Napolitano darà via al rito delle consultazioni che dovrebbe per decenza risparmiarci. Un’immensa presa per il culo, il Presidente a vita riceverà le delegazioni dei partiti che rilasceranno all’uscita del Quirinale le solite frasi condite di ipocrisia ormai insopportabile. Se Al Capone ottenne il controllo del mercato degli alcoolici, Renzie otterrà quello delle nomine delle aziende di Stato, come ENI, ENEL, Finmeccanica e Terna che scadono tra due mesi. Dei luoghi dove risiede il potere reale. Letta e Renzie sono dei prestanome, utili a chi li ha sostenuti e li sostiene. Marionette. Il Parlamento e lo stesso Governo sono un’illusione ottica e il Quirinale una monarchia. Dall’esterno il cittadino assiste a una squallida lotta tra bande per il potere mentre “nel fango affonda lo stivale dei maiali”.

 

 

 

 

Renzi, nomine Eni, Enel, Poste…primo test. Valzer di poltrone o rottamazione

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Renzi, nomine Eni, Enel, Poste…primo test. Valzer di poltrone o rottamazione. Le nomine dei vertici nelle grandi aziende a partecipazione pubblica, da Eni a Poste, da Enel a Finmeccanica, sono il primo vero banco di prova operativo, il primo vero test di verifica di come Matteo Renzi intenderà utilizzare il potere che gli offre la guida del Governo, l’azionista di riferimento. La prossima tornata degli incarichi in scadenza rappresenta un’occasione decisiva per valutare l’impatto del “rottamatore” in un ambito, come sottolinea Sergio Rizzo oggi sul Corriere della Sera, dove “ogni partito continua ad avere il suo plenipotenziario incaricato di gestire le trattative, e nessuno ha finora rinunciato a utilizzare le imprese pubbliche come ufficio di collocamento per ex onorevoli in disarmo”.
E’ qui, nella gestione delle nomine pubbliche, che si misurerà davvero il troppo spesso invocato segnale di discontinuità. Perché, dovesse Renzi acconciarsi a proseguire come negli ultimi 12 anni, in cui peraltro il centrosinistra è rimasto fuori dai giochi (nel 2008, ultima occasione, Prodi passò correttamente la consegna al Governo che sarebbe uscito dalle urne) allungherebbe solo la carriera degli inamovibili: sostanzialmente i protagonisti di un giro di valzer prolungato con i vari presidenti e amministratori delegati, i cosiddetti boiardi di Stato, spostati da una poltrona all’altra mantenendo intatta la presa.

Viceversa, se Renzi adeguasse la durezza del rottamatore anche nelle nomine pubbliche potrebbe avvalersi di criteri e parametri di scelta che già oggi in teoria sarebbero vincolanti per garantire ricambio, merito e autonomia. Limite al numero di mandati, tetto all’età dei candidati, advisor esterni per la scelta dei candidati, divieto di doppio o triplo incarico, rotazione degli incarichi.

Paolo Scaroni è in sella dal 2002. Dopo un triennio alla guida dell’Enel è passato all’Eni, dove occupa il posto di amministratore delegato da nove anni. Tanti quanti ne ha passati Fulvio Contisul ponte di comando dell’Enel. Massimo Sarmi sta invece concludendo addirittura il suo quarto mandato consecutivo. Dodici anni ininterrotti al vertice delle Poste. Affiancato negli ultimi sei dal presidente Giovanni Ialongo, sindacalista Cisl, ex capo dell’Istituto postelegrafonici e attualmente presidente di un’altra azienda pubblica, Sispi, controllata dall’Inps.