24 Settembre 2024, martedì
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Sfratti e Sistri, proroga al 2015

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Milleproroghe come da copione. Gli sfratti sono congelati fino a tutto il 2014. E anche il Sistri, il sistema di controllo sulla tracciabilità dei rifiuti, slitta al 2015. Il decreto legge n.150/2013 ha ottenuto il via libera dalla camera dei deputati imbarcando due rinvii divenuti ormai un appuntamento fisso. Per il blocco delle procedure di rilascio degli immobili, i conti li ha fatti Confedilizia che messo in fila trenta proroghe dal 1978 in avanti. Mentre per quanto riguarda il Sistri (che sarebbe dovuto entrare in vigore a luglio del 2010) si tratta ormai del nono slittamento consecutivo.

Per due proroghe consolidate entrate nel testo in extremis, se ne contano però altre, altrettanto «storiche» finalmente messe da parte. E’ il caso della proroga del commissario per il terremoto dell’Irpinia del 1980 che quest’anno per la prima volta non ci sarà. O della proroga del commissario ai rifiuti di Palermo, anch’essa cancellata. A prevederlo uno dei 13 emendamenti del Movimento 5 Stelle che governo e maggioranza hanno dovuto accettare per evitare un nuovo ostruzionismo da parte dei deputati pentastellati sulla falsariga di quanto accaduto col decreto Imu-Bankitalia.

Antiriciclaggio senza sconti

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Niente sconti antiriciclaggio sulla voluntary disclosure. Le agevolazioni previste dal dl n. 4/2014 hanno esclusivamente natura fiscale e penale. L’adesione alle procedure di collaborazione spontanea non vale di per sé a qualificare come lecite le risorse o le attività illegalmente detenute o stabilite all’estero. Restano quindi fermi gli obblighi di adeguata verifica della clientela e di identificazione del titolare effettivo degli asset. Mentre per quanto riguarda le condizioni ostative all’accesso, andrebbe meglio precisato quali atti o notizie hanno effetti preclusivi per il contribuente e quali no. È quanto rileva il servizio studi della camera, che ha diffuso ieri il dossier sul dl n. 4/2014, dalla prossima settimana all’esame di Montecitorio per la conversione.

Antiriciclaggio. Nonostante la speciale procedura per la regolarizzazione dei capitali esteri, intermediari e professionisti dovranno adempiere a quanto richiesto dal dlgs n. 231/2007 in materia di adeguata verifica della clientela. In particolare, osservano i tecnici della camera, maggiore attenzione andrà prestata qualora i capitali siano detenuti in paesi individuati dal Gafi come “ad alto rischio” e/o non cooperativi. Un’interpretazione peraltro conforme a quella già fornita dal ministero dell’economia con la circolare n. 8624 del 31 gennaio 2014.

Clausola claims made, professionista salvo dal risarcimento

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Grazie alla clausola «claims made» il professionista si salva dal risarcimento danni al cliente per condotte colpose anteriori alla sottoscrizione della polizza assicurativa. Deve essere, infatti, esclusa l’inefficacia della clausola per assimilazione all’ipotesi dell’insussistenza del rischio, laddove un’alea per la compagnia esiste e consiste nella possibilità che l’assicurato abbia commesso in passato comportamenti colposi ma non sia ancora a conoscenza della possibilità che si tratti di condotte illecite o tali da produrre danni ai clienti. L’inserimento della clausola nel contratto, in ogni caso, costituisce una precisa scelta dell’assicuratore. È quanto emerge dalla sentenza 3622/14, pubblicata il 17 febbraio dalla terza sezione civile della Cassazione.

Rehn: essere sotto procedura per deficit non è un vantaggio

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Il ministro dell’Economia e delle Finanze Fabrizio Saccomanni ha incontrato a Bruxelles il commissario agli Affari Economici e vicepresidente della Commissione Europea, Olli Rehn, al termine dei lavori dell’Eurogruppo.

Il ministro Saccomanni ha illustrato al vicepresidente Rehn lo stato di attuazione delle misure annunciate a Bruxelles il 22 novembre 2013 e approvate dall’Eurogruppo come insieme di provvedimenti paralleli alla legge di stabilità utili a garantire il rispetto dei criteri del deficit e del debito (privatizzazioni, rientro dei capitali, rivalutazione delle quote della Banca d’Italia, revisione della spesa).

Mentre le prime tre misure sono già state oggetto di norme attuative assunte dal Governo Letta, il programma per la revisione della spesa procede secondo la tabella di marcia illustrata dal commissario governativo fin dal suo insediamento e sarà quindi presentata al nuovo governo appena questo sarà insediato. I dati preliminari del programma, già oggetto di ampio confronto in sede tecnica nell’ambito del governo, sono stati illustrati dal ministro Saccomanni al vicepresidente Rehn, e prevedono risparmi strutturali nell’ordine di 2 punti percentuali di PIL entro il 2016.

La commissione ha chiarito che non esiste alcuna scadenza specifica per l’Italia e che in vista delle previsioni economiche d’inverno i servizi della commissione hanno una scadenza tecnica a metà febbraio oltre la quale non possono più prendere in considerazione dati provenienti dai paesi membri. Peraltro sono infondate le ricostruzioni giornalistiche secondo le quali vi fosse un accordo tra l’Itala e la Commissione per la trasmissione di informazioni sul programma di revisione della spesa entro tale scadenza. La Commissione, come di consuetudine, continuerà a monitorare il rispetto delle regole del patto di Stabilità e Crescita da parte dell’Italia, in particolare nel contesto del Semestre Europeo.

Il vicepresidente Rehn ha infine ribadito il sostegno della Commissione per gli sforzi del governo italiano per pagare i debiti commerciali della pubblica amministrazione, iniziativa importante per fornire liquidità alle piccole e medie imprese e per facilitare loro gli investimenti e le assunzioni.

Sulla possibile maggiore flessibilità per paesi ancora sotto procedura per deficit eccessivo (tra cui non c’è l’Italia) va sottolineato che non è una situazione di privilegio in quanto l’aggiustamento strutturale richiesto a questi paesi non è minore bensì superiore a quello richiesto all’Italia.

Per l’Italia che si trova dall’anno scorso nel braccio preventivo del Patto e in un periodo di transizione (2013-15) alla piena applicazione della regola del debito, infatti, l’aggiustamento strutturale richiesto per quest’anno è pari allo 0,66% (quanto necessario per essere in regola con il criterio del debito). La correzione richiesta alla Francia, per esempio, è pari allo 0,8%.

Lamborghini aumenta la produzione e vuole lanciare un Suv nel 2017

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Lamborghini, brand automobilistico emiliano del gruppo Volkswagen, intende aumentare la produzione e valutare le diverse alternative per ampliare la propria gamma. “Ora che abbiamo affermato il marchio, vogliamo ampliarlo”, ha dichiarato l’amministratore delegato di Automobili Lamborghini spa, Stephan Winkelmann, in un’intervista concessa al Wall Street Journal in vista del Salone dell’Auto di Ginevra, in programma nella prima settimana di marzo. Lamborghini, che alla manifestazione ginevrina intende presentare la nuova Huracan, ha confermato l’intenzione di lanciare uno sport-utility vehicle nel 2017, ma Winkelmann ha preferito non svelare gli ulteriori progetti sul tavolo. Il numero uno della casa emiliana ha quindi rivelato che Lamborghini ha raccolto per l’Huracan LP 610-4, l’erede della Gallardo, 700 ordini preliminari, pari a un terzo delle vendite dell’anno scorso. La linea di produzione dedicata all’Huracan avrà la capacità di costruire 13 vetture al giorno, tre in più rispetto al ritmo di assemblaggio della Gallardo. Il manager non ha rivelato l’entità degli investimenti destinati alla Huracan, limitandosi a sostenere come siano stati di molto superiori al miliardo di euro che i produttori di solito spendono per i modelli destinati al mercato di massa.

Tosi impallinato politicamente

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Qualche osservatore della politica veneta ieri, di buon ora, ha sentenziato via Twitter la fine del «modello Verona» e pronosticato un ridimensionamento delle ambizioni del sindaco post-leghista Flavio Tosi. La chiosa accompagnava la notizia dell’arresto in carcere dell’ex-vicesindaco scaligero, Vito Giacino, e di sua moglie ai domiciliari. La vicenda rappresenta l’improvvisa accelerazione di un’inchiesta per corruzione, avviata nel novembre scorso, e che aveva portato Giacino, a dimettersi da vice di Tosi in comune ed assessore all’edilizia. Giacino non è però un politico qualsiasi ma il leader del Pdl veronese che, due anni fa, abbandonò il partito del predellino, di cui aveva guidato i giovani per il Veneto, per entrare nella Lista civica di Tosi, seguito da un nutrito gruppo di amministratori locali. Una sorta di diaspora che era seguita alla lotta senza quartiere intrapresa da Alberto e Massimo Giorgetti, i fratelli ex-An, il primo sottosegretario di B. il secondo assessore di Luca Zaia, veronesi entrambi, contro lo stesso Tosi. Una battaglia politica che mirava inizialmente a sottrarre il municipio al leghista, ma che poi era trascesa a livello personale, facendo sponda sull’ala bossiana del Carroccio veneto. Quest’ultima, capitanata dal sindaco trevigiano e segretario regionale Gian Paolo Gobbo, vedeva infatti l’autonomismo tosiano come fumo negli occhi. Quando i Giorgetti, alleandosi con l’ex-ministro Aldo Brancher, veronese, avevano cercato di utilizzare alcune critiche tosiane all’allora premier B. per creare una frattura politica definitiva, erano stati proprio i pidiellini in giunta comunale, Giacino in testa, a ribellarsi. Il passaggio in forze alla Lista del sindaco era apparso coerente. Nel maggio 2012 le insegne tosiane avevano poi prosciugato l’elettorato berlusconiano, riducendo il Pdl a partitucolo da 6mila voti. Alla lista del sindaco erano andati 45mila voti (17 seggi) e il vice-Tosi ne aveva portati quasi uno su 10, risultando il più votato con 4.107 preferenze. Un successo personale azzerato dagli avvisi di garanzia. Tosi aveva cercato di difendere il numero due, parlando di «linciaggio» ed elogiandone le dimissioni istantanee. Con l’arresto di ieri, però le cose si complicano. Certo la fine del modello veronese è stata annunciata con un po’ troppo anticipo, anche se la vicenda giudiziaria di un personaggio di spicco come l’ex-forzista è destinata a pesare, per quanto Tosi sia del tutto estraneo ai fatti addebitati a Giacino. Tosi ha lanciato una sua fondazione è s’è candidato alle eventuali primarie di centrodestra, col bene placito della Lega, anche se con Matteo Salvini sono emerse posizioni diverse in materia di euro. Non solo, per le europee di maggio si parlava di un accordo fra la Lista Tosi e il Ncd e di trattative avviate con Gaetano Quagliariello. Ora dei guai della Lista Tosi, si faranno forti gli ultimi bossiani veneti, quelli che il sindaco, contemporaneamente segretario regionale del partito, aveva messo in un angolo. Loro, che avevano subito il nuovismo di Roberto Maroni, alleato di Tosi, quando sulla Lega s’era abbattuta l’inchiesta sul finanziamento pubblico, loro, trattati come reietti, con le ramazze agitate da chi aveva defenestrato il Senatur, da oggi cominceranno a picchiare dialetticamente sui tosiani. Riprenderanno idealmente la contestazione che avevano inscenato un anno fa, proprio contro Tosi, in quel di Pontida (Bergamo), fischiandone l’intervento. Non parlerà, probabilmente, anche per il ruolo che riveste, ma pure Zaia non si dispererà certo per le ricadute politiche della vicenda veronese: quel modello, che va oltre la Lega per aggregare i moderati, poteva abbattersi di schianto sulla sua ricandidatura alle regionali dell’anno prossimo. Ora il nome che il Carroccio farà al centrodestra veneto per le prossime regionali sarà uno solo: il suo.

Alitalia, l’assemblea spiana la strada a Etihad. Stop all’obbligo di opa

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L’assemblea straordinaria degli azionisti dell’Alitalia ha approvato la modifica dello statuto societario per rendere più snello e facilitare l’eventuale ingresso di Etihad nel capitale della compagnia. In particolare, secondo quanto riferiscono fonti aziendali mentre è ancora in corso l’assemblea, viene meno l’obbligo di opa (offerta di pubblico acquisto) nel caso in cui un socio superi il 50% delle azioni. Lo stesso obbligo di opa, secondo il precedente statuto, valeva anche per gli aderenti a un patto parasociale. Con il venir meno di tale obbligo di opa, un eventuale ingresso di Etihad, sempre al di sotto del 50%, non creerebbe alcun problema a eventuali patti con le banche azioniste dell’Alitalia (Impresa e Unicredit) e le Poste Italiane.
Intanto FlightStats, ente indipendente americano di monitoraggio sulle perfomance operative delle compagnie aeree, ha inserito Alitalia nella top ten dei vettori più puntuali al mondo. Il riconoscimento arriva dagli “On-time Performance Service Awards 2013” recentemente comunicato da FlightStats. Nei dodici mesi del 2013, Alitalia è risultata decollare in orario nell’84,62% dei casi e atterrare all’orario previsto nell’83,65% dei voli. Nell’anno 2013, inoltre, l’indice di regolarità, ovvero il numero di voli regolarmente operati sul totale dei voli in programma, si è attestato sul 99,7%, un punto percentuale in più della media delle compagnie aeree aderenti all’Aea (Association of European Airlines). Si evidenzia come il punto percentuale in più rispetto alla media europea abbia un notevole impatto sui passeggeri. Alitalia, infatti, nel corso del 2013 ha effettuato circa 212 mila voli e il punto percentuale in equivale a oltre 2 mila voli che sono partiti regolarmente rispetto a quanto sarebbe accaduto se Alitalia si fosse attestata sulla media europea. Nel mese di gennaio la puntualità si è attestata al 90,2%, e la regolarità al 99,9%.

Claudio Velardi: noi giornalisti siamo il passato

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Quando, esattamente una settimana fa, s’era profilata la decisione di Matteo Renzi, segretario Pd, di regolare i conti con Enrico Letta, Claudio Velardi aveva suggerito, via Twitter, d’essere più prudente, d’evitare di passar per ribaltonista impenitente. «Senza preoccuparsi», aveva scritto nel suo blog, «degli stupidi che esulteranno, dei giornali che diranno ‘ha vinto Letta’, dei cento critici col ditino alzano. Tanto passeranno due-tre mesi e il governo, incolore e inodore, si sbriciolerà da solo».
Domanda. Non l’ha ascoltata, Velardi…
Risposta. Non ha ascoltato me come i tanti, che suggerivano prudenza. Ma qui sta la differenza: noi commentiamo, lui è il leader, lui sceglie, lui fa. Per fortuna. Anche col Pd era stato lo stesso, ricorda?
D. Come no? Proprio da queste colonne, lei l’aveva scongiurato di tenersene alla larga…
R. Non ci è stato a sentire. E ha avuto ragione.
D. Eppure c’è stata un’ondata di indignazione, più o meno strisciante, per questa staffetta. Soprattutto fra i suoi, fra i renziani intendo. Oggi (ieri per chi legge, ndr), vedendolo al Quirinale, quel sentimento è già scemato. Non le pare?
R. L’argomento di Renzi sulla inevitabilità di questo percorso accelerato è del tutto ragionevole: non avrebbe potuto fare diversamente. Attendere avrebbe logorato lui ma anche il Partito democratico, avrebbe compromesso tutto. Il sindaco di Firenze ha fatto una forzatura pienamente comprensibile nell’universo delle persone normali. Incomprensibile, invece, in quello, depresso, del popolo democrat, frustrato da decenni di incapacità dei gruppi dirigenti a mettere in campo politiche forti e vere…
D. Che cosa ha generato?
R. Un sentimento narcisistico di autocommiserazione: il popolo piddino ama autocommiserarsi. Però guardi che, già a quest’ora, molti mugugni sono rientrati. Perché emerge la sostanza dell’operazione che Renzi vuol fare nei prossimi quattro mesi: clamorosa, financo improbabile. In 120 giorni vuol mettere le mani su riforme istituzionali (legge elettorale, Titolo V, Senato), lavoro, burocrazia e fisco. Quello diventa l’ordine del giorno, quella l’agenda.
D. Improbabile, nel senso di impraticabile?
R. Ma no, nel senso che non si è mai pensato una cosa del genere. Neanche Mandrake. Non saranno riforme realizzate: Renzi farà decreti, aprirà dossier. Ma solo questo, come si dice, vale prezzo del biglietto.
D. Anche il suo discorso all’uscita dal colloquio col capo dello Stato ha colpito: lineare, sereno..
R. Eravamo abituati a persone che uscivano da quei colloqui e facevano discorsi paludosi, chiacchiere incomprensibili. E invece lui, butta là «quattro cosucce» di quella portata.
D. Non tradiva un filo di emozione…
R. Esatto. Nemmeno Silvio Berlusconi, a cui l’accostano, ci riusciva…
D. In che senso?
R. Il Cavaliere, quando le sparava grosse, come nell’occasione del milione di posti di lavoro, tradiva l’ansia tipica del venditore, tutta finalizzata alla conclusione dell’affare, che ci mette una grande enfasi nell’esaltare la propria mercanzia ma che ha la preoccupazione che l’acquirente non accetti. Renzi ha una comunicazione che potrebbe apparire banale tanto è normale e non enfatica. La gente, abituata allo «sperpetuo» degli impegni solenni mai attuati, lo ascolta e comincia a dire «oh stai a vedere che questo lo fa davvero».
D. Semmai, è il mondo dell’analisi politica e del giornalismo che pare, in questi giorni, in preda a una strana eccitazione negativa. C’è chi sabato ha fatto la ola al reinvio dell’incarico a oggi, chi legge fra le righe dei quirinalisti fastidi e risentimenti del Colle…
R. Il nostro universo, quello dei giornalisti, assume queste posizioni perché deve giustificare la propria incapacità a interpretare questo leader che è sempre un passo avanti e che spiazza tutti sempre. Apparteniamo all’Italia stanca, sfiduciata, illividita da questo ventennio di cose non fatte. Lui, Renzi, vive di slancio, di fiducia, di follia. È al di là del guado. Si tratta proprio di una dimensione antropologica diversa.
D. Giorgio Napolitano punterà su Renzi o serberà ancora qualche riserva?
R. Nella sua infinita saggezza, il presidente della Repubblica ha determinato la svolta, invitando a cena il segretario Pd e parlandoci per due ore, due ore e mezza. Così facendo ha dato messaggio chiarissimo. Lui vorrà vedere riforma elettorale e poi godersi il meritato riposo. Non è certo tipo che vuole restare lì.
D. Qualcuno considera Renzi internazionalmente debole. S’è ironizzato sul New York Times che l’ha definito «sindaco di Napoli». Le cancellerie lo ignorano, s’è detto.
R. Balle. Se così fosse stato, perché Angela Merkel l’ha voluto conoscere a luglio?
D. Quali sono i pericoli all’orizzonte?
R. Non verranno dai partiti che, ormai, sono cani morti. Sì, ci può essere il Clemente Mastella di turno…
D. E chi sarebbe?
R. Pippo Civati, no? Quella dei dieci senatori che starebbero con lui è la tipica dichiarazione mastelliana. Insomma roba di poco conto. Poi, va beh, Renzi si dovrà tenere Angelino Alfano, e concedergli qualcosa ma, insomma, la durata della legislatura è l’unica garanzia di sopravvivenza per il Nuovo centrodestra e i suoi parlamentari. Il vero pericolo è un altro…
D. E cioè?
R. Sarà la resistenza del sistema, della burocrazia…
D. Che Renzi, non a caso, ha inserito nella quattro riforme da far partire subito…
R. Quella sarà la vera prova perché la politica, ormai, conta zero; conta la tecnostruttura che non ti consente di cambiare, conta quel potere sordo e grigio. Perché, quando il premier, farà i decreti, non dovrà temere gli agguati della politica quanto le inadempienze della burocrazia.

Costruzioni, nel 2013 la produzione crolla del 10,9%

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Nella media dell’intero anno 2013 la produzione nelle costruzioni è scesa del 10,9% rispetto all’anno precedente. Lo ha comunicato l’Istat, secondo cui nel mese di dicembre 2013 l’indice destagionalizzato della produzione nelle costruzioni è aumentato, rispetto a novembre 2013, dell’1,3%. Nella media del trimestre ottobre-dicembre l’indice ha registrato una flessione del 4,4% rispetto ai tre mesi precedenti. L’indice corretto per gli effetti di calendario a dicembre 2013 è diminuito in termini tendenziali dell’8,8% (i giorni lavorativi sono stati 20 contro i 19 di dicembre 2012). Sempre a dicembre l’indice grezzo ha segnato un calo tendenziale del 5,5% rispetto allo stesso mese del 2012.

La p.a. sta dimagrendo e costa meno agli italiani

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Il pubblico impiego italiano sta dimagrendo (-5,5% in quattro anni) e costa sempre meno ai cittadini: 2.717 euro a testa in quattro anni, il 33% meno dei francesi. Eppure il settore ha bisogno di un piano straordinario, che ne migliori l’efficienza senza continuare a incidere indistintamente sul personale. Queste le conclusioni dell’Osservatorio Sda Bocconi sul cambiamento delle amministrazioni pubbliche (Ocap), che verranno presentate all’incontro “La p.a. che vogliamo” in programma dopodomani nell’ateneo milanese. Secondo l’osservatorio, tra il 2008 e il 2012 il numero dei dipendenti pubblici è diminuito del 5,5% portandosi a 3.238.474 unità e la spesa per i dipendenti pubblici è calata del 4,38% a 165,4 miliardi di euro, ovvero 2.717 euro pro capite – poco al di sotto della media europea (2.736 euro), ma ben al di sotto di paesi dalle dimensioni e dallo sviluppo paragonabili al nostro, come Francia (4.080 euro pro capite) e Regno Unito (3.260 euro). Anche il rapporto tra la spesa per i redditi da lavoro dei dipendenti pubblici e totale della spesa pubblica corrente si è portato leggermente al di sotto della media europea (24,8% contro 24,9%), con un calo di quasi due punti dal 2008. Ancora più significativo è il taglio del numero dei dirigenti pubblici tra il 2007 e il 2012: -19% nei ministeri, -13% nelle regioni a statuto ordinario, -31% nelle province, -20% nei comuni. Altra nota positiva è il tasso di femminilizzazione della p.a., ben al di sopra di quello del settore privato anche a livello dirigenziale. Le dirigenti donne, tra il 2007 e il 2012, sono passate dal 35,3% al 39,49% nei comuni, dal 26,44% al 31,07% nelle province, dal 30,18% al 36,31% nelle regioni a statuto ordinario e dal 34,47% al 42,93% nei ministeri.