27 Settembre 2024, venerdì
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Francesco Schettino al Giglio che non lo vuole. Sindaco: “Io non sarei tornato”

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L’Isola del Giglio non vuole Francesco Schettino. L’ex comandante della Costa Concordia è tornato lì per un sopralluogo legato alla sua difesa, che si basa su presunti guasti e negligenze della compagnia armatrice. Ma il clamore suscitato dal suo arrivo, con foto e presunte lacrime del suddetto, paiono creati ad arte.

E’ lui stesso a smentire la commozione, consapevole, scrive l’inviato di via Solferino, che “il troppo stroppia”:
“Non è vero che ho pianto. Chi mette in giro queste notizie mi vuole far passare per un debole, come è stato in questi due anni. Ma io non sono fatto così. Sto cercando di dimostrare che sono un galantuomo, non uno smidollato”.
La presenza di Schettino sull’Isola non piace nemmeno al sindaco, Sergio Ortelli:
“Io non l’avrei fatto. Non sarei tornato. Capisco lo stato di necessità, capisco anche la voglia dei miei concittadini di stare fuori da questo evento. Mi sento in continuazione con le famiglie delle vittime, piuttosto. Con loro quest’isola avrà sempre un legame vero”.
La visita dell’ex comandante ai luoghi del naufragio del 2012 di cui fu, secondo la pubblica accusa, il principale responsabile, pare più che altro “una questione di immagine”, scrive sempre Imarisio, inviato proprio al Giglio.
“La visita alla nave non è fondamentale dal punto di vista giudiziario e Schettino non avrà facoltà di parola. «Ma forse potrò dare indicazioni ai miei tecnici in modo che si verifichi il funzionamento di alcuni supporti che quella notte rimasero muti». Il suo arrivo da semplice passeggero sull’isola dove è cambiata la sua vita e dove l’hanno persa 32 persone, sembra invece funzionale ad un cambio di strategia. Con i suoi nuovi avvocati, l’ex comandante ha imboccato la via mediatica al processo, ha scelto di farlo diventare una specie di format, che necessità però dell’evento. «Ho sempre mostrato rispetto per tutti, dai giudici a Costa Crociere. Ma al tempo stesso sento ogni giorno più forte la necessità di far sentire la mia voce, senza attaccare nessuno. Non c’è nulla di male in questo, credo di averne diritto».
Di fronte all‘indifferenza e alla freddezza dei gigliesi nei suoi confronti, Schettino sembra chiedere compassione. E continua a difendersi, quasi fosse diventato lui la vittima.
“Capisco certe reazioni di freddezza. Ma io non sono scappato. E’ stato come un incidente stradale, capisce? Non è che ti metti in mezzo, stai sul marciapiede e magari telefoni ai soccorritori. Ecco, io coordinavo i lavori di recupero dal molo”.
Schettino al Giglio è confinato in una villa sulla collina presa in affitto all’ultimo momento, sorvegliato dai propri avvocati che filtrano i giornalisti e le dichiarazioni. Parole, silenzi, azioni e omissioni, scrive Imarisio, sono
“funzionali all’esito del processo, non ad una necessità dell’anima. C’è molto calcolo in questo tornare a bordo due anni dopo. «Pensate quel che volete. Ma io comunque sono qui e ci sto mettendo la faccia. Quella notte chiamai un tenente della Guardia costiera di Porto Santo Stefano, insieme a un’altra persona ho dato una mano a disincastrare una scialuppa. Ma nessuno di questi due soccorritori è stato sentito come teste al processo. Deve essere fatta giustizia vera, senza creare alcun capro espiatorio».

Costa Concordia: Schettino #tornaabordocazzo. Ed è subito lite

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#tornaabordocazzo: un hashtag che riprende il famoso invito del capitano De Falco è una sintesi rozza ma efficace del ritorno sulla Costa Concordia del comandante Francesco Schettino. Un ritorno con litigio e un c… di troppo. Schettino ha affrontato a muso duro Enrico Fierro, giornalista del Fatto Quotidiano, apostrofandolo così: ”Se quel signore là continua ancora a parlare di abbandono della nave, allora non ha capito un cazzo”.
LA GIORNATA. Schettino ha lasciato la casa presa in affitto all’Isola del Giglio ed ha raggiunto il porto insieme al suo avvocato Domenico Pepe per salire a bordo del relitto. Schettino, prima di arrivare al porto è arrivato in un albergo in cui è stato istruito sulle modalità di accesso alla nave. L’auto sui cui viaggiava è stata ‘scortata’ da una barriera di operatori tv e fotografi che ne hanno quasi bloccato la marcia: scendendo dall’auto Francesco Schettino è stato circondato dai microfoni ma non ha risposto ad alcuna domanda dei giornalisti.
All’uscita dall’albergo del Giglio e prima di recarsi all’imbarco diretto alla Costa Concordia, Schettino ha chiesto aiuto a carabinieri e vigili urbani perché gli liberassero il passo dalla folla di decine e decine di giornalisti, fotografi e operatori tv che lo hanno immediatamente attorniato mentre si accingeva ad imboccare a piedi la stradina lungo il porto. Concordia: Schettino assediato ha chiesto alle forze dell’ordine: ”Fermateli, dovete fermarli, non riesco a passare”.
Ci sono stati spintoni, urla, ad un certo punto Schettino si è rifugiato nella veranda di un ristorante chiedendo ancora alle forze dell’ordine aiuto per poter camminare verso l’approdo. Dopo una breve sosta, il comandante ha ripreso a camminare, a passo svelto, inseguito e marcato stretto da un gran numero di telecamere e microfoni, quindi ha raggiunto il box dove, anche a lui, vengono consegnati casco anti infortunistico e giubbotto salvagente, mentre già indossava scarpe antiscivolo. Anche prima, arrivando all’albergo, Schettino ha avuto reazioni al pressing dei media: ha tirato un forte colpo sul cofano della macchina con cui era arrivato e qualche fotografo ha udito parole di stizza nei confronti degli operatori dell’informazione.
Schettino alle 10,45 è salito a bordo. Alcuni abitanti del Giglio si sono precipitati al porto a vedere Schettino: “Lo vogliamo vedere, siamo qui apposta”, hanno detto alcuni residenti impugnando anche telefonini per girare immagini e scattare foto.

Rinuncia ai Fondi europei, sconto sui mld all’Ue. Do 10, mi dai 6, ci guadagno

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Non prendere, rinunciare ai Fondi Europei, tanto li buttiamo nell’immondizia. In cambio farsi fare lo sconto dall’Europa su quanto, come ogni altro Stato, all’Europa versiamo. Incredibile e clamoroso: potrebbe essere un affare.  L’Italia, come ogni stato dell’Unione Europea, versa ogni anno a questa una discreta quantità di fondi e, da questa, riceve ogni anno un’altrettanto discreta quantità di denari. Purtroppo però, quando i fondi tornano nel nostro Paese, sono impantanati in lacci e laccetti, vincoli e limitazioni e spesso, anche per incompetenza degli amministratori nostrani, non riescono ad essere spesi.

Perché allora non chiedere all’Europa di scontare quello che l’Italia deve avere da quello che l’Italia deve dare? Insomma: rinunciare a dieci miliardi di Fondi europei destinati all’Italia, non prenderli proprio. E farsi fare lo sconto dall’Europa su quelli che l’Italia versa all’Europa. Anche uno sconto di sei miliardi sarebbe un affare. Anche se la la matematica dice che dieci non prendi, sei non dai fa meno quattro, un danno di quattro, per noi non sarebbe un danno. Perché? Perché i dieci che incassiamo li buttiamo nell’immondizia. Nell’immondizia dell’inefficienza, della clientela, dello spreco, dell’inutilità, perfino del malaffare. Per cui da noi la matematica fa: meno dieci buttati nell’immondizia, sei non versati all’Europa uguale guadagno di sei.

Una proposta, forse solo un’idea certo originale che arriva da Roberto Perotti, coordinatore di un gruppo di lavoro della segreteria di Matteo Renzi sulla spesa pubblica.
“Nel 2012 – scrive sul Sole24Ore Perotti – l’Italia ha pagato 16 miliardi alla Unione europea e ne ha ricevuti 11, in maggioranza fondi per la coesione e per l’agricoltura. Non c’è niente di male in questo: in passato l’Italia è stata beneficiaria netta, ora i fondi affluiscono soprattutto ai nuovi entrati, come la Polonia. Il problema è che molti dei soldi che riceviamo dalla Ue non servono a niente, anzi sono dannosi; faremmo molto meglio a rinunziarvi e chiedere uno sconto equivalente sui contributi che versiamo alla Ue. Potremmo usare questi risparmi per ridurre il cuneo fiscale di almeno 5-6 miliardi all’anno”.
Come sostiene Perotti nessuno ci rimetterebbe così facendo. Non ci rimetterebbe l’Europa che, a fronte delle minori entrate, avrebbe minori uscite. E non ci rimetterebbe l’Italia che potrebbe utilizzare la stessa quantità di denaro che altrimenti arriverebbe via Bruxelles in modo certo più semplice e forse più efficace. Il problema dei fondi europei è infatti, paradossalmente, quello della difficoltà nello spenderli. Bloccati come sono da vincoli, da scarsa capacità o da piccoli interessi di chi è chiamato ad amministrarli. E, come sottolinea lo stesso Perotti, accade non raramente che anche la criminalità organizzata finisca per mettere le mani su almeno una parte di questi soldi.
“Il nuovo programma settennale per il 2014-20 prevede che l’Italia riceverà dalla Ue 33 miliardi di fondi di coesione – continua Perotti -, di cui 22 miliardi per sole 5 regioni: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, e Sicilia. Questi fondi vanno poi cofinanziati per un pari ammontare dallo Stato italiano. In totale almeno 70 miliardi, circa 10 all’anno. Questo fiume di denaro porta con sé una gigantesca macchina amministrativa. Si comincia con le migliaia di pagine di piani nazionali e regionali, e poi di sottopiani per ogni obiettivo: questa volta la Ue ha deciso che saranno tredici. Non che questi piani siano necessari, perché un qualunque assessore regionale un po’ capace può far passare qualsiasi iniziativa sotto l’etichetta di ‘innovazione e competitività’ oppure ‘occupazione’.
Questo spiega le migliaia di bandi, programmi, iniziative, corsi di formazione spesso per pochi milioni o poche centinaia di migliaia di euro; e le decine di migliaia di beneficiari, dal parrucchiere che ‘forma’ una estetista al cinema che prende sovvenzioni per digitalizzarsi. In tutto questo vengono coinvolti parecchi ministeri (almeno Economia, Sviluppo Economico, Infrastrutture, Lavoro, Politiche agricole, Affari regionali) e molte direzioni all’interno di ogni ministero. Almeno la metà degli assessorati regionali ha a che fare in qualche modo con i fondi europei. Poi vi sono le migliaia di enti e agenzie nazionali e regionali per la formazione, il lavoro, l’internazionalizzazione delle imprese, e via dicendo. Certe regioni hanno persino diversi fondi pubblici per start-up, ognuno con pochi milioni di euro, e ognuno gestito da un assessorato diverso. Così come vi sono regioni con decine di agenzie o aziende per lo sviluppo, una struttura di partecipazioni incrociate così aggrovigliata che è praticamente impossibile da dipanare. Alla fine, migliaia di persone campano nel sottobosco creato da questo fiume di denaro e queste migliaia di enti. E purtroppo ci campano anche la corruzione e la malavita. Nessuno ha più il controllo di questo meccanismo. (…)
Abbiamo bisogno di tutti questi soldi? Se fossero così urgenti e necessari, sapremmo come spenderli subito. E invece sappiamo bene che non è così. (…) Non c’è nessun bisogno – continua Perotti – di dare i soldi alla Ue per poi farseli ridare con lacci e lacciuoli (per quanto facilmente aggirabili) e quindi rigirarli alle regioni, che spesso non sanno cosa farsene. Dei 10 miliardi all’anno che complessivamente ci verrebbe a costare questa macchina infernale, potremmo utilizzarne diciamo una media di 4 e risparmiarne 6, da utilizzare per contribuire a ridurre il cuneo fiscale, magari con un trattamento di favore per le cinque regioni di cui sopra”. L’idea di Perotti, come specifica il quotidiano di Confindustria, è un’idea assolutamente personale non coordinata in alcun modo con la presidenza del consiglio e, anzi, più che un’idea è forse una provocazione. E’ difficile infatti immaginare che l’Ue possa sposare una simile proposta anche se, ad onor del vero, non priva di logica, specie in un Paese come il nostro dove i fondi europei finiscono col finanziare di tutto, dalla sagra della salsiccia a qualsivoglia amenità, e dove poi mancano invece i soldi per abbassare le tasse, mettere in regola i conti di alcune città, finanziare la ricerca e via dicendo.

Marmo: cave delle Alpi Apuane addio? “A rischio migliaia di posti di lavoro”

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Marmo di Carrara: this is the end? Un piano paesaggistico proposto dalla giunta dalla regione Toscana (guidata da Enrico Rossi, Pd) rischia di far chiudere le cave di marmo nel Parco delle Alpi Apuane, montagne dove anche Michelangelo Buonarroti andava in cerca del marmo migliore per le sue opere. A rischio soprattutto migliaia di posti di lavoro tra gli addetti delle cave e quelli della filiera, spiega lo stesso presidente del Parco, Alberto Putamorsi, che se la prende con il piano paesaggistico varato dalla Giunta regionale il 17 gennaio, e che deve essere approvato dal Consiglio.
“In base ai vincoli che impone – ribadisce Putamorsi – dovrebbero chiudere l’80% delle circa 50 cave ricomprese nel territorio del Parco, dall’Alta Versilia a Massa, dalla Lunigiana alla Garfagnana”. Sui posti di lavoro che potrebbero saltare calcola tra i 500 e i 600 cavatori, per arrivare poi alla “cifra verosimile di 1.500” addetti considerando l’indotto.

La questione dell’impatto ambientale delle cave nelle Apuane è dibattuta da tempo. Lo stesso Parco, prosegue Putamorsi, è nato con l’intento di contemperare la tutela di paesaggio e ambiente e di chi col marmo ci vive. A settembre, spiega, l’ente ha adottato una delibera per ridisegnare le aree estrattive, riducendole. Insomma, Putamorsi è d’accordo nell’intervenire per le cave “impattanti”, ma occorre “agire sito per sito non secondo criteri astratti, calati dall’alto e senza aver ascoltato il territorio”.
Il piano varato dalla Giunta per il territorio toscano – definito dal governatore Enrico Rossi “ciclopico” -, nello specifico prevede che nelle “aree contigue intercluse nel territorio” del Parco delle Apuane, la Regione promuova la progressiva riduzione delle attività estrattive. Il tutto accompagnato, sottolinea oggi Anna Marson, assessore toscano all’urbanistica, da un “progetto integrato di sviluppo per quest’area” che la Giunta si è impegnata a promuovere in occasione della delibera di approvazione del piano, tenuto conto “che la valorizzazione paesaggistica e ambientale del sistema territoriale apuano costituisca, proprio per la peculiarità di esso, una leva strategica per lo sviluppo economico, produttivo, occupazionale e il benessere sociale delle popolazioni interessate”. Il progetto, spiega ancora Marson, “accompagnerà la progressiva dismissione delle attività di cava incompatibili con il mantenimento del patrimonio ambientale e paesaggistico delle Apuane, con misure atte a promuovere nuova occupazione basata sulla valorizzazione d’insieme delle risorse locali”. Il piano, ricorda Marson, ha come obiettivo “la tutela e promozione del patrimonio paesaggistico toscano come fattore di crescita economica e sociale”, una scommessa, che “richiede, per essere vinta, la capacità di superare la settorialità delle attuali politiche di sviluppo economico a favore di una maggiore contaminazione e integrazione reciproca fra politiche di sviluppo e politiche per il paesaggio”.
L’appello del “Coordinamento delle imprese lapidee del parco delle Alpi Apuane”:
In un’Italia percorsa e arenata in una crisi epocale di cui non si intravvede la fine, nel Bel Paese alla disperata ricerca di sbocchi occupazionali, la Regione Toscana mette a rischio oltre 5.000 posti di lavoro diretti, e vuole cancellare un indotto produttivo del valore di oltre trecento milioni di euro. Ma ciò che risulta essere ancora più sconcertante è che desidera farlo in una delle realtà produttive e storiche di maggiore solidità e tradizione dell’intero territorio nazionale.
Gli effetti immediati e quelli futuri, anche a breve termine, determinati dalla Bozza di Piano di indirizzo territoriale con valenza di Piano Paesaggistico saranno nefasti su un’intera comunità.
Gli imprenditori del settore lapideo riuniti nel COORDINAMENTO IMPRESE LAPIDEE DEL PARCO DELLE APUANE, che rappresenta le aziende insistenti nel Parco delle Apuane e facenti parte di COSMAVE (Consorzio per lo sviluppo dell’Attività Marmifera dell’Apuo-Versilia), di CAM (Concessionari Agri Marmiferi di Massa), nonché di Carrara, dicono no al Piano Paesaggistico deliberato dalla Giunta Regionale della Toscana e trasmesso alla sesta commissione del Consiglio Regionale per l’approvazione definitiva e l’entrata in vigore.

Lavori più richiesti, classifica: badanti, infermieri, informatici, impiegati…

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I lavori più richiesti in tempo di crisi e disoccupazione? In Italia sono badanti, informatici e impiegati, in Spagna ingegneri e agricoltori, in Portogallo commessi e colf. Ma nel complesso si può dire che tra i mestieri più quotati in Europa ci sono quelli legati alla cura della persona, in particolare dei malati e degli anziani, visto l’allungarsi dell’aspettativa di vita, ma anche i lavori legati all’educazione. Favoriti, quindi, maestri, badanti, infermieri e operatori sociosanitari.
Ecco la classifica, Paese per Paese, stilata dall’ultimo rapporto della Direzione lavoro e affari sociali della Commissione europea pubblicata:

ITALIA

  1. Addetti alla cura della persona e operatori sociosanitari (+45.500)
  2. Impiegati (+41.700)
  3. Analisti informatici e svilupatori di app (+28.700)

SPAGNA

  1. Lavoratori del settore agricolo, forestale e della pesca (+32.800)
  2. Ingegneri (+24.000)
  3. Specialisti in scienze fisiche e della terra (+11.000)

PORTOGALLO

  1. Commessi e addetti alle vendite (+18.300)
  2. Operai del settore tessile, cuoio e pellicce (+15.500)
  3. Addetti alle pulizie e collaboratori domestici (+14.800)

GRECIA 

  1. Camerieri e baristi (+8.900)
  2. Infermiere e ostetriche (+7.900)
  3. Altri mestieri non qualificati (+6.500)

GRAN BRETAGNA

 

  1. Addetti alla cura della persona e operatori sociosanitari (+77.000)
  2. Manager dei settori manifatturiero, costruzioni e distribuzione (+65.400)
  3. Manager del settore commerciale (+44.500)

 IRLANDA

  1. Impiegati d’ufficio (+7.800)
  2. Insegnanti di scuola materna e primaria (+5.300)
  3. Professionisti delle vendite, marketing e pubbliche relazioni (+4.600)

PAESI BASSI

  1. Professionisti in ambito legale, sociale e religioso (+55.800)
  2. Infermiere e ostetriche (+38.600)
  3. Impiegati adetti alla logistica e alle operazioni di magazzino (+36.900)

SVEZIA

  1. Segretarie (+10.300)
  2. Insegnanti della scuola materna e primaria (+8.800)
  3. Personale amministrativo (+8.400)

DANIMARCA

  1. Tecnici delle scienze fisiche e ingegneristiche (+12.700)
  2. Addetti alla cura della persona e operatori sociosanitari (+10.400)
  3. Cassieri e addetti al registratore di cassa (+10.200)

Benzina aumenta di 0,34 centesimi. Ritocco accise e Iva

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Scatta da sabato un nuovo aumento dell’accisa sulla benzina, che passa da 728,40 euro per mille litri a 730,80, con un aumento di 0,24 centesimi al litro, e di quella sul gasolio, da 617,40 a 619,80 per mille litri (+0,24): considerando anche l’Iva ai prezzi attuali l’aumento è di 0,34 centesimi.
L’aggravio era stato previsto ad agosto dello scorso anno come copertura finanziaria per diverse voci del decreto Fare, tra cui la nuova legge Sabatini. L’aumento resta in vigore fino al 31 dicembre.

Forza Italia, i morosi: lettera per riscuotere. C’è chi deve 50mila euro

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Non pagano le quote al partito da mesi, alcuni addirittura da anni. E Silvio Berlusconi fa partire le lettere di richiamo ai morosi di Forza Italia, quelli che si attardano a versare il loro contributo mensile al partito di 800 euro. In alcuni casi le somme arretrate ammontano a 50 mila euro. E molti devono ancora versare i 25 mila dovuti all’atto dell’elezione. Le lettere sono firmate da Sandro Bondi, in qualità di amministratore nazionale e commissario straordinario in Forza Italia.
Col finanziamento pubblico in via di abolizione e Berlusconi non più disposto a mettere mano al proprio portafoglio, le casse piangono. E i Club tanto cari al Cavaliere, senza le adeguate risorse, faticano ad organizzarsi sul territorio. Bisogna batter cassa: ecco allora che partono le prime “cartelle forzitalia”. Se i morosi non ottempereranno ai pagamenti dovuti, scatteranno i primi provvedimenti, fino ad arrivare all’esclusione da ogni prossima candidatura.

Le missive recapitate sarebbero di tre tipi. La maggior parte evidenziano solo alcune irregolarità:
“Caro amica/o – si legge nella lettera – dalla verifica che abbiamo effettuato sulla base dei versamenti previsti per ogni parlamentare (tenendo conto del contributo per l’ultima campagna elettorale, del contributo mensile e dell’iscrizione a Forza Italia per l’anno 2014), risulta che il credito nei Tuoi confronti da parte del nostro movimento ammonta ad Euro…
Come sai bene, la nuova legge sul finanziamento pubblico dei partiti e il dovere morale che noi tutti abbiamo di contribuire alle spese del nostro Movimento, impongono di adempiere scrupolosamente a questi impegni, sia pur minimi, che abbiamo assunto. Ti prego perciò di voler provvedere al più presto al saldo residuo dei Tuoi versamenti”.
In altre, invece, Bondi calca la mano chiedendo gli arretrati addirittura risalenti alla scorsa legislatura. Pena, la denuncia al collegio dei probivori e l’esclusione da future candidature. Ma mantenere il pugno duro sarà impresa ardua, specie in assenza di un’organizzazione di vertice: Berlusconi non ha mai nominato un ufficio di presidenza come promesso e lo stesso Verdini, seppure conservi un ruolo centralissimo, non ha mai ricevuto un incarico formale.
La mossa ha fatto storcere parecchi nasi, un senatore denuncia: “Gli ammanchi vanno oltre il milione di euro”, e tra gli inadempienti ci sarebbero anche berlusconiani della prima ora che non hanno mai sborsato un euro, eppure sono stati candidati.

Ruby, Nicole Minetti e le notti del bunga-bunga diventano fumetti

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Le papi girl, Ruby e le olgettine, le notti del bunga-bunga alias “cene eleganti” ad Arcore, nella casa di Silvio Berlusconi, Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti, e poi il processo, con i botta e risposta tra la pm Ilda Boccassini e gli avvocati Niccolò Ghedini e Pietro Longo e la condanna a sette anni per l’ex premier per prostituzione minorile. La vicenda “Rubygate” diventa un libro a fumetti. Il graphic novel si intitola “Ruby. Sesso e potere ad Arcore”, è firmato dai giornalisti Gianni Barbacetto e Manuela D’Alessandro e con i disegni di Luca Ferrara, edito da Round Robin e sarà in libreria dal 28 febbraio.
Attraverso le strisce a fumetti il libro, spiegano i suoi autori, narra il Rubygate come ”la fine di un’epoca” e come ”il cuore del berlusconismo e del desiderio di molti: sesso, potere e delirio di onnipotenza”.
La vicenda raccontata attraverso i disegni, ma basata nella sua narrazione sugli atti giudiziari (alcuni dei quali riportati nel libro, dove si trova anche una cronologia degli avvenimenti), mostra che nel presunto scandalo delle serate a Villa San Martino, spiegano gli autori,
”ci sono vittime e carnefici, ragazze che si concedono ai desideri del Re e personaggi inquietanti che entrano a corte come amici, pur nuotando in un mondo torbido”.
E poi ancora ”giornalisti e politici, capi di governo stranieri e manager, impresari discutibili e soubrette arriviste”. Dall’ormai famosa notte in Questura, che si concluse con il rilascio di Karima El Mahroug, fino alla sentenza di primo grado, il caso Ruby si potrà conoscere e soprattutto vedere grazie a un fumetto.

Berlusconi: “Ha fatto fuori più comunisti Renzi in due mesi che io in vent’anni”

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“Matteo ha fatto fuori più comunisti di me”, questo l’ultimo raggelante elogio di Silvio Berlusconi al premier Matteo Renzi che, a suo dire, starebbe portando avanti più e meglio di lui la sua storica “campagna di liberazione”. A raccontarlo è Francesco Bei sul quotidiano la Repubblica:
“Ha fatto fuori più comunisti lui in due mesi che io in vent’anni”. È arrivato a dire questo, Silvio Berlusconi, in un elogio che è ormai quotidiano nei confronti di Matteo Renzi. “Di lui mi fido, peccato non sia uno dei nostri, perché ha tutto di noi: è un democratico, è un liberale, è un boyscout” continua a ripetere ai suoi interlocutori. Così martedì sera, ricevendo ad Arcore alcuni dirigenti liguri di Forza Italia. Sicuro che il premier “rispetterà i patti” sulle riforme: “Ha il gradimento della gente, molti dicono sia il mio successore. Vedremo”.

Parole che confermano un appoggio sostanziale del Cavaliere al nuovo governo sulle riforme, pur restando tra i banchi dell’opposizione. Scrive ancora Bei:
Opposizione sull’ordinaria amministrazione, ma non certo sulle grandi riforme. Musica per le orecchie del Cavaliere le parole con cui ieri da Treviso Renzi ha ventilato un taglio dell’Irap, quella che Berlusconi ha sempre definito “imposta di rapina” sulle imprese. “È quel che vado ripetendo io da anni, da imprenditore volete che si possa votare contro o contro la riforma del lavoro?” è il commento coi deputati che lo hanno sentito. Perché da Villa San Martino il leader forzista per ora non si muove, in piena sindrome da inabissamento. Niente rientro a Roma, come pure era previsto ieri in un primo momento. E non ha intenzione di muoversi da lì fino alla settimana prossima (anche se i giovani del Ppe riuniti a Roma hanno confermato la sua presenza sabato).

Roma, domenica stop bus e metro: li blocca il sindaco. E lunedì?

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Roma, domenica stop bus e metro: li blocca il sindaco. E lunedì? L’annuncio/minaccia del sindaco Ignazio Marino (“O i soldi o blocco la città”) va preso sul serio. Stando alle sue parole, l’ultimatum è al Governo che non sblocca i soldi del Salva Roma. La minaccia è per la popolazione di Roma, presa in ostaggio perché rischia la paralisi delle attività consuete. Le sue dichiarazioni vanno prese come un bollettino degli scioperi: domenica stop ai mezzi pubblici. Giacché non sembra che il sindaco abbia il potere di staccare la luce, interrompere l’erogazione del gas e via bloccando.
Quindi, prendendo per buono lo scenario di una domenica in cui saranno ammesse a circolare solo le famigerate auto blu, si immagina lo stop agli autobus che restano nelle rimesse, il blocco della metro con i vagoni a riposo, le quattro vetture del car-sharing ferme in garage. Tuttavia nell’ultimatum, a differenza delle puntuali comunicazioni di chi indice uno sciopero (cui è tenuto per legge), lo stop metro/bus è annunciato “da” domenica. E se i soldi domenica non fossero ancora arrivati, diciamo alla fine di Milan-Juventus, lunedì che si fa?