28 Settembre 2024, sabato
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LICEI MUSICALI, DOPO 4 ANNI ANCORA NESSUNA CLASSE DI CONCORSO PER I DOCENTI. IL M5S PRESENTA INTERROGAZIONE AL MINISTRO.

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Il deputato M5S Giuseppe Brescia, ha presentato una interrogazione al Ministro dell’Istruzione, chiedendo che si faccia chiarezza in merito alla annosa questione dei docenti precari dei licei musicali.

A quattro anni dalla loro istituzione ufficiale, infatti, non esiste ancora una classe di concorso specifica per le materie musicali insegnate al liceo, ne’ una abilitazione specifica, condizioni necessarie per garantire il posto di lavoro come docente di ruolo. Tale mancanza determina una ulteriore serie di ingiustizie e discriminazioni: fra queste il fatto che molti insegnanti, al prossimo aggiornamento delle GAE, non vedranno riconosciuto appieno il servizio prestato, rischiando di perdere la posizione precedentemente acquisita nelle graduatorie di appartenenza.

E’ una denuncia che ci arriva direttamente dalla rete ed in particolare da un gruppo di docenti precari dei licei musicali  commenta Brescia, membro della Commissione Cultura –  chiediamo al ministro che vengano presi tutti i provvedimenti necessari per sopperire a questo vuoto legislativo e che,  in attesa dell’uscita di nuove classi di concorso specifiche, si assumano iniziative per il riconoscimento, in toto, del servizio maturato nelle ancora inesistenti classi di concorso dei circa 90 licei musicali statali. Tale intervento consentirebbe agli insegnanti di poter scegliere di acquisire un punteggio pieno e specifico almeno in una delle classi di concorso appartenenti alla stessa area disciplinare. Ci auguriamo che vengano date risposte concrete a docenti che al momento  si trovano in una condizione di “precariato a tempo indeterminato” 

Ufficio Stampa

on. Alberto De Giglio

AGRICOLTURA: IL FEASR PUÒ AIUTARE LE IMPRESE STROZZATE DAL CREDIT CRUNCH

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labbate-giuseppe_0Riduzione dell’accesso al credito, meno investimenti e necessità di liquidità per la gestione corrente. Dinanzi a questa drammatica situazione per le aziende agricole, il M5S propone con una risoluzione in Comagri la possibilità di inserire risorse nel Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale 

I dati Ismea-Sgfa parlano chiaramente: nel terzo trimestre 2013 si assiste ad un drammatico credit crunch per le aziende agricole. Emerge una netta minore propensione delle imprese del settore primario ad investire e viene evidenziato, di contro, l’aumentato bisogno di liquidità per finanziare la gestione corrente. Le erogazioni concesse alle aziende agricole italiane si riducono del 21% su base annua, con l’ammontare dei prestiti concessi tra luglio e settembre dell’anno scorso sceso a 426,1 milioni di euro. Una riduzione che ha coinvolto tutte le macro aree del Paese, seppur più accentuata nelle regioni del Nord-Ovest e nelle Isole. Una situazione che spinge ancor più a disporre urgentemente, come richiesto in una risoluzione in Commissione Agricoltura alla Camera presentata dal deputato Giuseppe L’Abbate (M5S), le procedure necessarie ad implementare il Fondo crediti nazionale per le imprese agricole al fine di aumentare la dotazione delle risorse complessivamente disponibili per il credito all’agricoltura e di facilitarne l’accesso attraverso la riduzione del costo dell’indebitamento. Tutto ciò viene richiesto anche in considerazione all’avvio della prossima programmazione 2014-2020 del Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale (FEASR).

Nonostante la decisione della Commissione europea di approvare il metodo di calcolo dell’aiuto erogato sotto forma di mutuo agevolato nel quadro dei Programmi di sviluppo rurale risalga a maggio 2011 – dichiara il deputato 5 Stelle Giuseppe L’Abbate – ad oggi non risultano ultimate le procedure atte a consentire l’implementazione di questo Fondo. Il FEASR costituisce un importante strumento finanziario a disposizione delle amministrazioni regionali, titolari dei programmi di sviluppo rurale, e consente di migliorare le prestazioni degli stessi in termini di rapidità e qualità della spesa, favorendo un più facile accesso al credito delle imprese beneficiarie degli aiuti. Come MoVimento 5 Stelle chiediamo, dunque, che venga calendarizzata quanto prima la risoluzione in Commissione Agricoltura e che le altre forze politiche la sottoscrivano per tutelare e sostenere le imprese agricole. In occasione dell’indagine conoscitiva sul finanziamento alle imprese agricole, peraltro, in veste di Sottosegretario Maurizio Martina venne a riferire in Commissione quindi – conclude Giuseppe L’Abbate (M5S) – spero che, oggi che è Ministro dell’Agricoltura e ben conosce la situazione, spinga in questa direzione, sposando la nostra risoluzione”.

Il Fondo opera in collaborazione con il sistema bancario e rilascia finanziamenti in parte a carico del fondo stesso, con l’applicazione di un tasso di interesse ridotto o a tasso zero, e in parte a carico dell’istituto di credito intermediario, sulla cui quota è applicato un tasso di interesse di mercato. Tra i vantaggi proposti dal Fondo, inoltre, la natura rotativa per la quale le risorse rientranti per effetto dell’estinzione dei mutui tornano nelle disponibilità delle amministrazioni che potranno utilizzarle anche oltre la scadenza dei programmi.

Ufficio Stampa

on. Giuseppe L’Abbate

LECCE: L’EMERGENZA DELLA DISCARICA DI UGENTO ALL’ATTENZIONE DEL GOVERNO RENZI

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labbate-giuseppe_0Con una interrogazione del deputato di origine ugentina, Marco Baldassarre (M5S), la petizione popolare per porre fine ai 4 anni di proroghe dell’ex-Ato Lecce 2 sbarca in Parlamento

Una emergenza che perdura da quasi un lustro e che non sembra avere via d’uscita. Una soluzione che il deputato di origine salentina Marco Baldassarre (M5S) chiede al neo Ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti attraverso una interrogazione parlamentare, cofirmata dai colleghi pugliesi Giuseppe D’Ambrosio, Diego De Lorenzis, Giuseppe L’Abbate, Emanuele Scagliusi e Francesco Cariello. La petizione popolare inviata al Presidente della Regione Puglia, al prefetto di Lecce, al Presidente di Olga Lecce, ai dirigenti del servizio ciclo rifiuti e bonifica della Regione, alla Provincia di Lecce, ai comuni di Acquarica del Capo, Presicce ed Ugento giunge così all’attenzione del Governo Renzi. Al Ministro Galletti viene chiesto di mettere in atto qualsiasi iniziativa necessaria per impedire ulteriori proroghe alla situazione emergenziale e per trovare soluzioni alternative che non contemplino il conferimento nell’impianto di Ugento nonché a valutare la possibilità di coordinarsi con i diversi enti per salvaguardare il territorio ugentino, come richiesto nella petizione popolare.

Dopo 4 anni, è oramai chiaro che le proroghe del commissario delegato all’emergenza rifiuti non sono il miglior strumento per trovare soluzioni alternative che non contemplino il conferimento dei rifiuti biostabilizzati nell’impianto di Ugento – dichiara il deputato Marco Baldassarre (M5S) – Speriamo che puntare i riflettori su questa spiacevole vicenda possa far finalmente riflettere le autorità competenti sulla gravità della situazione ugentina. Nonché incentivare la ricerca di una soluzione condivisa con la popolazione locale, al fine di tutelare la salute dei cittadini stessi”.

Ufficio Stampa

on. Giuseppe L’Abbate

Liquidazione IVA di gruppo – Trattamento del credito IVA chiesto a rimborso prima dell’adesione alla procedura e successivamente denegato – Modalità di compilazione della dichiarazione annuale

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Sono pervenute a questa Direzione richieste di chiarimento in merito al
corretto trattamento fiscale da riservare all’eccedenza del credito IVA
infrannuale e/o annuale che, chiesta a rimborso da un soggetto prima del 2008 e
prima del suo ingresso nella procedura di liquidazione dell’IVA di gruppo di cui
all’articolo 73, ultimo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, sia stata
successivamente oggetto di diniego da parte dell’ufficio nel periodo di adesione
alla predetta procedura, per mancanza dei presupposti previsti dall’articolo 30 e
dal successivo articolo 38-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
In particolare, è chiesto se sia possibile per le società che partecipano al
gruppo IVA, computare in detrazione tale credito nelle proprie liquidazioni
periodiche e, conseguentemente, trasferirlo nell’ambito della liquidazione IVA di
gruppo.

Direzione Centrale Normativa

Ai sensi dall’articolo 1 del D.P.R. 10 novembre 1997, n. 443, infatti,
l’eccedenza di credito, di cui sia stata riconosciuta la spettanza da parte
dell’ufficio contestualmente al diniego di rimborso, può essere computata in
detrazione nelle liquidazioni periodiche successive alla notifica del
provvedimento di diniego ovvero nella dichiarazione annuale; nel caso di
proposizione del ricorso avverso il predetto provvedimento, il credito può essere
portato in detrazione nella liquidazione periodica o nella dichiarazione annuale,
successivamente alla sentenza divenuta definitiva.
Il dubbio interpretativo nasce dalla previsione contenuta nell’articolo 1,
comma 63, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, che, modificando l’ultimo
comma dell’articolo 73 del D.P.R. n. 633 del 1972, con decorrenza dal 2008
vieta alle società che partecipano per la prima volta alla liquidazione IVA di
gruppo di far confluire nei calcoli compensativi della procedura la propria
eccedenza di credito IVA derivante dal periodo d’imposta precedente. Detta
eccedenza, pertanto, in deroga ai principi generali in tema di gruppo IVA, resta
definitivamente nella disponibilità del soggetto in capo al quale si è formata, che
può compensarla orizzontalmente, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo
9 luglio 1997, n. 241, ovvero chiederne il rimborso al verificarsi dei presupposti
di cui all’articolo 30 del D.P.R. n. 633 del 1972 (cfr. risoluzione del 14 febbraio
2008, n. 4/DPF; risoluzione dell’11 maggio 2011, n. 56/E; per quanto di
interesse, cfr. anche risoluzione del 22 settembre 2010, n. 92/E e risoluzione del
29 luglio 2011, n. 78/E).
L’incertezza sorge con particolare riferimento ai crediti chiesti a rimborso
prima del 2008 – per i quali non era prevista alcuna preclusione al loro
trasferimento nel gruppo IVA – e denegati dall’ufficio dell’Agenzia delle entrate
successivamente all’entrata in vigore del citato comma 63 dell’articolo 1, della
legge n. 244 del 2007 che, per espressa previsione del successivo comma 64, si
applica a partire dalla liquidazione IVA di gruppo relativa all’anno 2008. 3
Si è posto, quindi, il dubbio che l’eccedenza di credito IVA maturata dalla
società prima del suo ingresso nel gruppo e chiesta a rimborso prima del 2008 sia
liberamente trasferibile al gruppo stesso, al verificarsi della circostanza che il
diritto al suo utilizzo in detrazione sia riconosciuto successivamente a tale data.
Al riguardo, si osserva che il comma 64 sopra richiamato, nell’individuare
le modalità di entrata in vigore della modifica normativa, non ha attribuito rilievo
al periodo di maturazione delle eccedenze, ma ha esclusivamente denegato il
trasferimento del credito maturato ante ingresso nell’IVA di gruppo a partire
dalla liquidazione di gruppo relativa al 2008. Da ciò discende che la preclusione
opera per tutte le liquidazioni IVA di gruppo effettuate a partire da tale momento,
senza che assuma rilievo la circostanza che, al momento di maturazione
dell’eccedenza a credito, la disposizione non era ancora entrata in vigore.
Pertanto, considerato che l’intento legislativo è stato quello di creare, a
partire dal 2008, una netta e definitiva separazione tra il credito IVA maturato
antecedentemente e quello realizzato successivamente all’ingresso di una società
nella procedura dell’IVA di gruppo, anche l’eccedenza IVA chiesta a rimborso in
anni precedenti al 2008 ed all’ingresso nella procedura e computabile in
detrazione a seguito di diniego dell’ufficio successivamente alla predetta data,
incontra il limite del citato articolo 1, comma 63, della legge n. 244 del 2007, nel
senso che detta eccedenza non può confluire nelle liquidazioni IVA della società
che l’ha maturata finché la stessa partecipa alla procedura di liquidazione
dell’IVA di gruppo.
A tal fine, nel modello di dichiarazione IVA 2014 per l’anno 2013 è stato
inserito il campo 2 del rigo VL8, nel quale indicare il credito IVA chiesto a
rimborso in anni precedenti e denegato dall’ufficio, nel presupposto che lo stesso
non possa essere trasferito al gruppo IVA.

Le Direzioni regionali vigileranno affinché i principi enunciati e le
istruzioni fornite con la presente risoluzione vengano puntualmente osservati
dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.

Istituzione del codice tributo per l’utilizzo in compensazione, tramite il modello “F24 Crediti PP.AA.”, dei crediti nei confronti di Pubbliche Amministrazioni

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L’articolo 28-quinquies del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 602, introdotto dal decreto legge 8 aprile 2013, n. 35 convertito, con modificazioni,
dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, ha previsto che i crediti non prescritti, certi, liquidi ed
esigibili, maturati al 31 dicembre 2012 nei confronti di Pubbliche Amministrazioni, possono
essere compensati, su specifica richiesta del creditore, per il pagamento delle somme dovute
in base agli istituti definitori della pretesa tributaria e deflativi del contenzioso tributario con
le modalità di cui all’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, ed
esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle
entrate.
Con il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 14 gennaio 2014
sono state definite le modalità di attuazione delle disposizioni di cui al citato articolo 28-
quinquies. In particolare l’articolo 2, comma 3, dispone che i crediti certificati utilizzati in
compensazione sono individuati dai codici istituiti con risoluzione dell’Agenzia delle
entrate. Tali codici devono essere indicati nel modello F24 telematico, in corrispondenza
dell’importo dei predetti crediti, esposti nella colonna “importi a credito compensati” del
modello stesso. In apposito campo del modello F24 telematico, sono altresì riportati gli
estremi identificativi della certificazione, attribuiti dalla piattaforma elettronica di
certificazione, gestita dal MEF – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato. Per consentire l’utilizzo in compensazione dei suddetti crediti, mediante il modello
“F24 crediti PP.AA.”, approvato con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate
del 31gennaio 2014, si istituisce il seguente codice tributo:
• “PPAA” denominato “Crediti nei confronti di Pubbliche Amministrazioni per il
pagamento di somme dovute in base agli istituti definitori della pretesa
tributaria e deflativi del contenzioso tributario-articolo 28-quinquies del decreto
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”

In sede di compilazione del modello “F24 Crediti PP.AA.”, il suddetto codice tributo
è esposto nella sezione “Erario” esclusivamente in corrispondenza delle somme indicate
nella colonna “importi a credito compensati”. Il campo “numero certificazione credito” è
valorizzato con il numero della certificazione del credito attribuito dalla piattaforma
elettronica di certificazione utilizzato in compensazione. Il campo “anno di riferimento”,
non deve essere valorizzato.
Si evidenzia che i codici tributo da utilizzare per il pagamento delle somme dovute in
applicazione degli istituti definitori della pretesa tributaria e deflativi del contenzioso
tributario sono elencati nell’allegato 1 al citato decreto del Ministro dell’Economia e delle
Finanze del 14 gennaio 2014 e pubblicati sul sito internet dell’Agenzia delle entrate
www.agenziaentrate.gov.it.
Si precisa, infine, che nel caso in cui una delle condizioni previste dall’articolo 3,
comma 1, del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 14 gennaio 2014 non
risulti rispettata, tutti i pagamenti contenuti nello stesso modello “F24 Crediti PP.AA.” sono
considerati come non avvenuti. In questo caso, il soggetto che ha trasmesso telematicamente
il modello “F24 Crediti PP.AA.” viene informato tramite apposita ricevuta consultabile
attraverso il sito dei servizi telematici dell’Agenzia delle entrate.

Soppressione dei codici tributo 2801 e 2837

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Con le risoluzioni n. 22/E del 14 febbraio 2001 e n. 191/E del 9 maggio 2008, in
applicazione delle relative norme di riferimento, riguardanti rispettivamente, le accise
sulla benzina e le accise sul gasolio per autotrazione, sono stati istituiti i codici tributo
2801 e 2837.
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, con nota prot. n. 5760 del 20 gennaio
2014, ha chiesto la soppressione dei suddetti codici tributo, denominati come di seguito:

• “2801” denominato Quota accise benzine riservate alle regioni a statuto
ordinario;
• “2837” denominato Accisa sul gasolio per uso autotrazione immesso in
consumo nel territorio nazionale, spettante alle regioni a statuto ordinario.
legge n. 244/2007, art. 1, c. 298.

Si precisa che l’efficacia operativa della soppressione di tali codici tributo decorre dal
quinto giorno lavorativo successivo alla data di pubblicazione della presente risoluzione.

Esamopoli e Concorsopoli. L’Italia degli esami di Stato e dei concorsi pubblici truccati.

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Esamopoli e Concorsopoli

L’Italia degli esami di Stato e dei concorsi pubblici truccati

Antonio Giangrande: “Dopo tanti anni, come volevasi dimostrare, in Italia, pur con la ragione, non si riesce a cavare un ragno dal buco, anzi sì è cornuti e mazziati e ti dicono, in aggiunta, subisci e taci. Gli aspiranti avvocati fuggono in Spagna o in Romania per abilitarsi. Questo per difendersi dai boiardi della lobby forense. Poi ci sono, tra gli altri, i concorsi truccati in magistratura e per diventare dirigente scolastico (preside). Inoltre, paradosso tutto italiano, i ricercatori universitari ingiustamente bocciati al passaggio di ruolo sono costretti ad insegnare”.

«Siamo un paese di bocciati e di scartati agli esami di Stato ed ai concorsi pubblici, o, magari, qualcuno ha interesse a farci passare come tali. Il fatto che io sputtani il sistema, rendendo pubbliche le malefatte dei boiardi di caste e lobbies, fa sì che per ritorsione da decenni non mi abilitano all’avvocatura, non correggendo i miei compiti. Inoltre i magistrati mi denunciano per diffamazione continuamente, senza mai conseguirne condanna». Così afferma il dr Antonio Giangrande, noto saggista di fama mondiale, che sul tema ha scritto dei libri, e presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio antimafia riconosciuto dal Ministero dell’Interno. Associazione fuori dal coro e fuori dai circuiti foraggiati dai finanziamenti pubblici. «Esemplare è la mia storia identica a milioni di altre italiche storie. Da anni mi rivolgo alle istituzioni competenti ed ai Parlamentari italiani ed europei con funzioni di vigilanza ed inchiesta. Non parliamo poi delle denunce insabbiate dai magistrati. Al primo tapino che si rivolse a me, chiedendomi aiuto e non avendo potere di intervento, premonendo il futuro, gli dissi che con questa gente e le istituzioni che li coprono non avrebbe cavato un ragno dal buco: “sarai cornuto e mazziato”, gli dissi. Quindi cari bocciati e scartati Italia, fatevene una ragione. Con questi italioti mai nulla cambierà».

Abogados “spagnoli” e Avocat “rumeni” solo di nome, ma a tutti gli effetti avvocati con nazionalità italiana. Un fenomeno poco rassicurante per l’accesso alla professione forense che di  fatto secondo i boiardi nostrani è una scorciatoia per eludere l’esame di abilitazione nazionale. Se le leggi e le prassi in Italia fossero fatte nell’interesse di tutti, questi costosi oneri non cadrebbero sulle spalle dei cittadini meno protetti e sulle loro famiglie. Per qualcuno di  fatto una scorciatoia che elude l’esame di abilitazione nazionale che non si riesce a superare mentre per altri è un diritto di ciascun cittadino europeo. Fatto sta che sempre più giovani buttano la spugna già al secondo tentativo e scelgono la via facile dell’abilitazione professionale all’estero, dove non c’è alcun esame.

Diventare avvocati senza sostenere l’esame di abilitazione professionale: è la via che scelgono molti laureati italiani che «emigrano» in Spagna e Romania il tempo necessario per conquistare il titolo e tornare a esercitare la professione forense in Italia, scrive “Il Giornale di Sicilia”. A rivelarlo sono i dati diffusi dal Consiglio nazionale forense, che da tempo sta conducendo una battaglia contro questo fenomeno, arrivata sino a un ricorso alla Corte di giustizia delle Comunità europee. Il caso nasce dalla Direttiva europea 98, recepita dall’ Italia nel 2001 che consente agli avvocati «comunitari» di svolgere l’attività forense in uno Stato europeo diverso da quello nel quale gli stessi hanno conseguito il titolo professionale. L’obiettivo è quello di promuovere la libera circolazione degli avvocati europei che sono chiamati «stabiliti» nei Paesi ospitanti. Ma la direttiva è di fatto  diventata, lamenta il Cnf, «lo strumento utilizzato da parte di tanti aspiranti avvocati italiani per eludere la disciplina interna ed, in particolare, per sottrarsi all’esame necessario per poter acquisire la necessaria abilitazione all’esercizio della professione forense in Italia». Una rilevazione effettuata presso tutti i Consigli dell’ Ordine degli avvocati ha accertato che ben il 92% degli avvocati iscritti nell’elenco degli avvocati stabiliti sia di nazionalità italiana. Tra questi l’83% ha conseguito il titolo in Spagna e il 4% in Romania.In numeri assoluti, su un totale di avvocati stabiliti pari a 3759, 3452 sono di nazionalità italiana. Gli Ordini forensi che contano il maggior numero di avvocati «stabiliti» di nazionalità italiana, iscritti nell’elenco speciale, sono Roma (1058), Milano (314), Latina (129) Foggia (126).

Naturalmente, il fine della legge europea è quello di favorire la libera circolazione delle professionalità entro i confini dell’Unione, e permettere loro di svolgere il proprio lavoro in tutti gli Stati aderenti. Si tratta, nello specifico, della direttiva 98/5/CE, che l’Italia ha adottato con il decreto legislativo 2 febbraio 2001 n. 96. Anche la professione forense, infatti, come tutti gli altri elenchi presenti in Italia, si è dotata di un registro speciale per l’inserimento dei legali formati in altri Stati europei.

Come evidente, però, sorgono diverse perplessità sugli effetti della norma, come denota il segretario Cnf Andrea Mascherin: “È evidente che queste pratiche falsano la corretta concorrenza tra avvocati nei Paesi Ue, ma soprattutto mettono a rischio i diritti dei cittadini che si affidano a questi professionisti per la loro tutela”. Questo, finirebbe per tradursi in differenze di non poco conto tra chi si sobbarca dell’intero iter italiano e chi, invece, preferisce percorrere la via straniera, più breve e semplice: “I giovani aspiranti avvocati italiani che seguono la corretta procedura dell’esame di abilitazione sono svantaggiati rispetto a coloro che ottengono il riconoscimento di un titolo acquisito all’estero con scorciatoie e furbizie”.

Ci si potrebbe scandalizzare, però, se l’iter italiano fosse legale.

“Nessuno parla più di “diritto libero” e basta il fatto che quella fosse la teoria ufficiale nazista per rendere non più spendibili tali concetti – afferma Mauro Mellini – Ma che cos’è la teoria dell’“abuso del diritto”? Io non ho la possibilità di andarlo a proclamare nella sede di qualche Arcivescovado, nemmeno ora (e forse proprio ora) che c’è un Papa gesuiticamente tollerante e progressista. Ma non esito ad affermare che questa storia dell’abuso del diritto dovrebbe essere definita la “teoria nazista del diritto libero all’italiana”. Il diritto è il diritto, sia quello civile, sia, soprattutto, quello penale “nullum crimen, nulla poenia sine praevia lege penali”. Se vogliamo parlare di diritto dobbiamo risalire alla norma, stabilire la sua certezza e ad essa attenerci e con essa misurare il lecito e l’illecito. Siamo un Paese civile! Anzi, siamo “la culla del diritto”, mica una società barbara di cui parlava Calamandrei. Continuiamo ad affermare che il “diritto libero” è la legge del più forte, del potere senza regole. Benissimo. Però, italianamente, “senza esagerare”. E cioè? Beh, senza abusare dei diritti. Così siamo al riparo da questa falsa “libertà” che è negazione del principio di legalità, così come si predica in Italia. Diritto, dunque e certezza di esso. Che peraltro, sembra lo dica ora anche la Cassazione, non esclude però che del diritto prestabilito, certo, finemente interpretato, si possa abusare… Che significa? Significa che respinto come barbaro e nazista il “diritto libero”, si afferma, oltre al “libero convincimento” dei giudici nell’accertamento dei fatti e, magari, nell’interpretazione delle norme esistenti (fino a crearne qualcuna alquanto inesistente) “correggendo”, però il sistema con la “libera individuazione dell’abuso”. L’abuso, infatti, una volta che se ne ammetta l’esistenza e la rilevanza, non può essere classificato e regolato, neppure per reprimerlo. Libertà dunque (per i magistrati) di stabilire l’abuso, ferma restando la fede inconcussa nella certezza del diritto. Che a questa conclusione dovesse pervenire la magistratura italiana era prevedibile si dovesse arrivare. Ma, come al solito, il peggio di ogni abuso (anche, dunque, di quello di liberamente di richiederne e rilevarne l’esistenza!) è rappresentato dalla corrività con la quale, poi, tutti cercano di trarne profitto. Apprendo che il Consiglio Nazionale Forense, impegnato contro le iscrizioni “spagnole” ed, ora, anche “rumene” negli albi degli avvocati, con successivo trasferimento in Italia (un sistema consentito, sembra, delle norme comunitarie, e dal fatto che in Spagna ed in Romania i laureati in giurisprudenza si iscrivono all’albo degli avvocati senza apposti esami) pare abbia impugnato avanti alla Corte Suprema qualcosa come quattrocento iscrizioni di avvocati “made in Spagna” o in Romania. Per risolvere una questione particolare (forse risolvibile assai meglio altrimenti) proprio gli Avvocati, che del principio di legalità dovrebbero essere gli interessati custodi, fanno ricorso a questa teoria nazista all’italiana del ”libero abuso del diritto certo”. E’ cosa su cui riflettere. Amaramente.”

Parliamo in questa sede degli elaborati.

Quanto succede prima sono i trucchi che i candidati possono vedere ed eventualmente denunciare. Quanto avviene in sede di correzione è lì la madre di tutte le manomissioni. Proprio perchè nessuno vede. La norma prevede che la commissione d’esame (tutti i componenti) partecipi alle fasi di:

• apertura della busta grande contenente gli elaborati;

• lettura del tema da parte del relatore ed audizione degli altri membri;

• correzione degli errori di ortografia, sintassi e grammatica;

• richiesta di chiarimenti, valutazione dell’elaborato affinchè le prove d’esame del ricorrente evidenzino un contesto caratterizzato dalla correttezza formale della forma espressiva e dalla sicura padronanza del lessico giuridico, anche sotto il profilo più strettamente tecnico-giuridico, e che anche la soluzione delle problematiche giuridiche poste a base delle prove d’esame evidenzino un corretto approccio a problematiche complesse;

• consultazione collettiva, interpello e giudizio dei singoli commissari, giudizio numerico complessivo, motivazione, sottoscrizione;

• apertura della busta piccola contenete il nome del candidato da abbinare agli elaborati corretti;

• redazione del verbale.

Queste sono solo fandonie normative. Di fatto si apre prima la busta piccola, si legge il nome, se è un prescelto si dà agli elaborati un giudizio positivo, senza nemmeno leggerli. Quando i prescelti sono pochi rispetto al numero limite di idonei stabilito illegalmente, nonostante il numero aperto, si aggiungono altri idonei diventati tali “a fortuna”.

La riforma forense del 2003 ha cacciato gli avvocati e sbugiardato i magistrati e professori universitari (in qualità anch’essi di commissari d’esame) perché i compiti vengono letti presso altre sedi: tutto questo perché prima tutti hanno raccomandato a iosa ed abusato del proprio potere dichiarando altresì il falso nei loro giudizi abilitativi od osteggiativi. Spesso le commissioni d’esame sono mancanti delle componenti necessarie per la valutazione tecnica della materia d’esame. Le Commissioni d’esame hanno sempre e comunque interessi amicali, familistiche e clientelari. Seguendo una crescente letteratura negli ultimi anni abbiamo messo in relazione l’età di iscrizione all’albo degli avvocati con un indice di frequenza del cognome nello stesso albo. In particolare, per ogni avvocato abbiamo calcolato la frequenza del cognome nell’albo, ovvero il rapporto tra quante volte quel cognome vi appare sul totale degli iscritti, in relazione alla frequenza dello stesso cognome nella popolazione. In media, il cognome di un avvocato appare nell’albo 50 volte di più che nella popolazione. Chi ha un cognome sovra-rappresentato nell’albo della sua provincia diventa avvocato prima. Infine vi sono commissioni che, quando il concorso è a numero aperto, hanno tutto l’interesse a limitare il numero di idonei per limitare la concorrenza: a detta dell’economista Tito Boeri: «Nelle commissioni ci sono persone che hanno tutto da perderci dall’entrata di professionisti più bravi e più competenti».

Nella sessione 2012 a Lecce sono in tutto 102 gli aspiranti «avvocati copioni». I loro nomi sono contenuti nell’avviso di proroga delle indagini preliminari emesso dal gip Simona Panzera, notificato agli indagati nei giorni di febbraio 2014. La richiesta di proroga, che comporterà altri sei mesi di verifiche e accertamenti, è stata formulata dal procuratore capo Cataldo Motta, che ha tenuto per sè il fascicolo. Il reato contestato è la violazione dell’articolo 1 del regio decreto numero 7 del 1925, che regola la disciplina dei diritti d’autore. L’inchiesta riguarda coloro che hanno sostenuto la prova scritta dell’esame di Stato nel dicembre 2012. Gli elaborati sono stati poi corretti dalla Corte d’Appello di Catania, dove però gli esaminatori non hanno potuto fare a meno di notare alcune «anomalie».

Di scandali per i compiti non corretti, ma ritenuti idonei, se ne è parlato. Nel 2008 un consigliere del Tar trombato al concorso per entrare nel Consiglio di Stato, si è preso la briga di controllare gli atti del giorno in cui sono state corrette le sue prove, scoprendo che i cinque commissari avevano analizzato la bellezza di 690 pagine. “Senza considerare la pausa pranzo e quella della toilette, significa che hanno letto in media tre pagine e mezzo in 60 secondi. Un record da guinness, visto che la materia è complessa”, ironizza Alessio Liberati. Che ha impugnato anche i concorsi del 2006 e del 2007: a suo parere i vincitori hanno proposto stranamente soluzioni completamente diverse per la stessa identica sentenza. Il magistrato, inoltre, ha sostenuto che uno dei vincitori, Roberto Giovagnoli, non aveva nemmeno i titoli per partecipare al concorso. L’esposto viene palleggiato da mesi tra lo stesso Consiglio di Stato e la presidenza del Consiglio dei ministri, ma i dubbi e “qualche perplessità” serpeggiano anche tra alcuni consiglieri. “Il bando sembra introdurre l’ulteriore requisito dell’anzianità quinquennale” ha messo a verbale uno di loro durante una sessione dell’organo di presidenza: “Giovagnoli era stato dirigente presso la Corte dei conti per circa 6 mesi (…) Il bando non sembra rispettato su questo punto”. Per legge, a decidere se i concorsi siano stati o meno taroccati, saranno gli stessi membri del Consiglio. Vedremo.

In effetti, con migliaia di ricorsi al TAR si è dimostrato che i giudizi resi sono inaffidabili. La carenza, ovvero la contraddittorietà e la illogicità del giudizio negativo reso in contrapposizione ad una evidente assenza o rilevanza di segni grafici sugli elaborati, quali glosse, correzioni, note, commenti, ecc., o comunque la infondatezza dei giudizi assunti, tale da suffragare e giustificare la corrispondente motivazione indotta al voto numerico. Tutto ciò denota l’assoluta discrasia tra giudizio e contenuto degli elaborati, specie se la correzione degli elaborati è avvenuta in tempi insufficienti, tali da rendere un giudizio composito. Tempi risibili, tanto da offendere l’umana intelligenza. Dai Verbali si contano 1 o 2 minuti per effettuare tutte le fasi di correzione, quando il Tar di Milano ha dichiarato che ci vogliono almeno 6 minuti solo per leggere l’elaborato. La mancanza di correzione degli elaborati ha reso invalido il concorso in magistratura. Per altri concorsi, anche nella stessa magistratura, il ministero della Giustizia ha fatto lo gnorri e si è sanato tutto, alla faccia degli esclusi. Già nel 2005 candidati notai ammessi agli orali nonostante errori da somari, atti nulli che vengono premiati con buoni voti, mancata verbalizzazione delle domande, elaborati di figli di professionisti ed europarlamentari prima considerati “non idonei” e poi promossi agli orali. Al Tg1 Rai delle 20.00 del 1 agosto 2010 il conduttore apre un servizio: esame di accesso in Magistratura, dichiarati idonei temi pieni zeppi di errori di ortografia. La denuncia è stata fatta da 60 candidati bocciati al concorso 2008, che hanno spulciato i compiti degli idonei e hanno presentato ricorso al TAR per manifesta parzialità dei commissari con abuso del pubblico ufficio.

E poi. Scuola, concorso per dirigente truccato: 25 avvisi di garanzia a Napoli, scrive Leandro Del Gaudio “Il Mattino”. Concorso per presidi: blitz nell’ufficio regionale scolastico. La procura di Napoli indaga sull’ultimo concorso per preside in Campania. Associazione per delinquere, abuso d’ufficio e falso, la Procura punta a fare chiarezza sulla gestione del concorso per dirigenti scolastici, notificando in queste ore decreti di perquisizione, ordini di esibizione e alcuni avvisi di garanzia. Indagine delegata alla Guardia di finanza di Torre Annunziata, sono in corso accertamenti e acquisizioni di documenti, sotto i riflettori l’ufficio regionale scolastico. Sono venticinque gli indagati, otto dei quali sono docenti vincitori di concorso dopo l’ultima prova scritta (all’inizio di febbraio) per l’accesso a un posto di dirigente scolastico. Gli altri indagati sono commissari di esame, un ex dirigente dell’ufficio regionale scolastico e sindacalisti. La guardia di finanza di torre annunziata ha anche trovato compiti scritto già fatti in una sede del sindacato. Dalle indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Alfonso D’Avino e dal sostituto Ida Frongillo, è emerso che gli indagati avevano creato un meccanismo per favorire alcuni candidati al concorso. In particolare, sarebbe stata pilotata la nomina di alcuni membri della commissione esaminatrice, grazie ai quali i candidati erano riusciti a conoscere con largo anticipo i quesiti della prova preselettiva. Inoltre – secondo l’accusa – si era riusciti a eludere l’anonimato delle prove scritte facendo pervenire ai componenti collusi della commissione giudicatrice gli incipit e le frasi finali dei candidati da favorire. Il materiale concorsuale di sei candidati è stato sequestrato.

Concorso per preside tra accuse e sospetti. Un bel giallo tra i presunti brogli coinvolto un foggiano. Secondo la legge doveva essere fuori dal concorso, invece non solo l’ha superato ma si ritrova a un passo dalla nomina. Denunce, dimissioni e sospetti di brogli: c’è un piccolo giallo nella procedura per il concorso da presidi (236 posti in Puglia) sulla quale da qualche indaga la procura della Repubblica. Uno degli 867 candidati ammessi alla prova scritta del maxi concorso per dirigenti scolastici, un professore «comandato» presso gli uffici della direzione regionale di Foggia, sarebbe stato pizzicato durante il primo giorno di prova con alcuni foglietti in un vocabolario. Tale episodio sarebbe avvenuto nella scuola «Elena di Savoia» in via Caldarola, al rione Japigia, uno degli istituti di Bari in cui si sono tenute le prove scritte, il 14 e 15 dicembre scorso. E a conferma che qualcosa non sia andato per il verso giusto, ci sono anche le dimissioni – avvenute pochi giorni fa – dei segretari delle due sottocommissioni, arrivate proprio adesso a concorso ormai ultimato (sono attese le prove orali). A denunciare tutto il docente Gerardo Troiano.

Una pioggia di ricorsi amministrativi s’è abbattuta sull’ultimo concorso per l’Abilitazione scientifica nazionale 2012-2013 per professori ordinari e associati che prelude poi a quella didattica con la chiamata e l’assunzione in ruolo, scrive Giovanni Valentini su “La Republica”. È una montagna di carta bollata che minaccia ora di provocare una valanga di annullamenti o di revisioni, sconvolgendo la vita già travagliata dei nostri atenei. Nell’ambito della controversa riforma Gelmini, il ministero della Pubblica istruzione aveva disposto una nuova procedura di abilitazione, introducendo la meritocrazia come principale criterio di valutazione. Questa avrebbe dovuto fondarsi su elementi trasparenti e oggettivi, definiti “bibliometrici”, forniti dalla produzione scientifica di ciascun candidato nei rispettivi curricula: cioè monografie, articoli o citazioni pubblicati da riviste specializzate. Ma successivamente sono stati inseriti criteri aggiuntivi, del tutto discrezionali, in forza dei quali le commissioni di valutazione hanno ribaltato le graduatorie, suscitando anche alcune interrogazioni parlamentari.

Si tratta di un settore concorsuale “non bibliometrico”, perciò la commissione, come in tutti i settori non bibliometrici, si è proposta di valutare la «qualità della produzione scientifica (…) sulla base dell’originalità, del rigore metodologico e del carattere innovativo della stessa» e ha ritenuto di poter «prendere in considerazione, sulla base di un motivato giudizio di eccellenza della produzione scientifica, anche candidati che non posseggano tutti i requisiti (bibliometrici)». Questo comporta la necessità di leggere le pubblicazioni scientifiche dei candidati (di rileggerle, o almeno riconsiderarle, se già conosciute). I concorrenti per la seconda fascia erano 425 e quelli per la prima 115 e, poiché alcuni sostenevano ambedue le abilitazioni, il totale effettivo era pari a 490, per un totale di circa 6.600 (seimilaseicento) pubblicazioni: monografie, articoli, saggi, tutti da valutare analiticamente a norma di regolamento.

Seguiamo l’iter di questa commissione scrive G. Avezzu. Nominata a fine dicembre 2012, la commissione si riunisce una prima volta a fine gennaio 2013, per fissare i criteri. Poniamo che i commissari comincino a leggere le pubblicazioni e a valutarle quello stesso giorno. Consegneranno i loro verbali al MIUR a fine novembre, esattamente dieci mesi dopo: in tutto 303 giorni, 233 se togliamo 48 fra domeniche e altre festività nazionali e 44 mezze giornate del sabato. In 233 giorni significa leggere 28 pubblicazioni (anche monografie) al giorno. E comunque in 303 giorni significherebbe leggerne 21 al giorno. Questo dal primo all’ultimo giorno, e nel contempo: fare lezione, ricevere gli studenti, tenere gli appelli d’esame e di laurea, fare ricerca – living and partly living. In realtà, se scorriamo i verbali vediamo che già ai primi di aprile la commissione è in grado di «(discutere) ampiamente dei curricula, dei profili e della produzione scientifica dei candidati all’abilitazione nazionale (di) II fascia» in due riunioni consecutive per complessive 15 ore, e che a metà maggio passerà a discutere i candidati alla I fascia. Dobbiamo dedurre che nei mesi di febbraio e di marzo, più qualche giorno di gennaio e di aprile, la commissione abbia letto i 5.100 (cinquemilacento) lavori dei candidati alla II fascia – anche per riscontrare l’eccellenza, ove presente, pur in assenza dei requisiti cosiddetti bibliometrici (vedi sopra). E questo è un tour de force eccezionale anche per un accademico italiano: 85 (ottantacinque) pubblicazioni il giorno, comprese le domeniche, Pasqua, Pasquetta e Festa del Papà. Ammettiamo pure che un “eccellente” accademico conosca i quattro quinti della produzione del suo settore: restano 17 (diciassette) pubblicazioni il giorno, da leggere e valutare nel rispetto dei valori in campo e con la presunzione di fare un buon servizio all’Università italiana.

E pure scatta il paradosso. Bocciati, ma costretti a rimanere in cattedra ad insegnare, scrive Silvano Introvaia su “La Repubblica”. Ecco il singolare destino di migliaia di ricercatori universitari italiani alle prese con l’Abilitazione scientifica nazionale: la patente introdotta dalla riforma Gelmini, necessaria, in futuro, per partecipare ai concorsi per docente di prima – l’ex professore ordinario – e seconda  –  il professore associato – fascia. Ricercatori italiani, sfruttati e maltrattati? Stando ai loro racconti, sembra proprio di sì. Ma il tutto si svolge nel più assoluto riserbo, visto che nessuno se la sente di denunciare apertamente, se vuole continuare ad avere qualche chance all’interno del proprio ateneo. Noi siamo riusciti a raccogliere qualche testimonianza, ovviamente anonima.

«Dopo tanti anni, come volevasi dimostrare, in Italia, pur con la ragione, non si riesce a cavare un ragno dal buco, anzi sì è cornuti e mazziati e ti dicono, in aggiunta, subisci e taci», chiosa in chiusura Antonio Giangrande.

Dr Antonio Giangrande

Leasing e mutui a prova di sicurezza

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La sicurezza dei dati è un punto di partenza imprescindibile per le società che operano nel settore finanziario. Lo sanno bene i professionisti di Trebi Generalconsult, software house specializzata nel campo del mediocredito con particolare focus su leasing, finanziamenti e mutui. «Il nostro core business è orientato alla progettazione, allo sviluppo e alla gestione di sistemi informativi per le società nostre clienti», ha spiegato a Circuits Nicola Bruno, fondatore e amministratore della società nata a Milano oltre trent’anni fa e presente oggi con filiali operative anche a Bologna e Genova attraverso un team di 120 addetti.
Trebi Generalconsult, ha spiegato il manager, è strutturata in due macro divisioni: da un lato ci sono i consulenti dell’area amministrativa/finanziaria, a cui fanno capo le attività di analisi funzionale, assistenza e supporto utenti, il project management, la formazione, la consulenza direzionale e organizzativa e le attività di business intelligence. Dall’altro lato ci sono i consulenti IT, che seguono invece l’attività di progettazione, sviluppo e manutenzione dei sistemi informativi, l’assistenza e il supporto tecnico nei confronti degli utenti. «Nel mondo finanziario a cui ci rivolgiamo, computer e sistema informativo sono il cuore operativo del business», ha raccontato Bruno, «se si ferma il sistema informativo si ferma l’attività: per questo è vitale avere un sistema informativo che copra tutte le aree del business, funzionale e aggiornato sulle normative, performante e utilizzabile ovunque ci si trovi. Per soddisfare al meglio le esigenze dei nostri clienti, avevamo bisogno fondamentalmente di assicurare un elevato grado di sicurezza dei dati, come richiesto da chi opera nel settore bancario, ma anche di aumentare la potenza elaborativa e la capacità di memorizzazione dei sistemi offerti».

La risposta è arrivata da una soluzione realizzata da Ibm e dal partner Varsidim basata su server Ibm Power 750 P7, San e sistemi di storage V7000 con tape library TS 3200 dotate di tecnologia Lto. «Abbiamo introdotto una piattaforma Ibm Power che ci ha consentito livelli di sicurezza altrimenti impensabili», ha spiegato Bruno, «inoltre con i sistemi di storage Storewize siamo riusciti ad aumentare le prestazioni e a garantire la possibilità di una maggiore scalabilità. Ora disponiamo di un datacenter sicuro veloce e affidabile che ci permette di realizzare nuovi progetti garantendo altissimi livelli di servizio». Per quanto riguarda gli sviluppi futuri volti a migliorare i servizi alla clientela, Bruno ha spiegato che Trebi sta puntando attualmente su tre direttrici: «innanzitutto stiamo lavorando all’introduzione della gestione documentale, ovvero all’eliminazione della carta nel lavoro di ufficio: il giro dei documenti nella società non avverrà più fisicamente. La maggior parte dei documenti arriva già per via elettronica, mentre quelli ancora in formato cartaceo vengono passati allo scanner e resi accessibili in formato elettronico». Una volta realizzato questo passaggio, «puntiamo a implementare una sorta di scrivania elettronica, il cosiddetto workflow»: in questo modo il lavoro verrà assegnato all’impiegato non tramite un giro di carte o e-mail, ma dal work flow stesso, che applica in modo automatico le direttive organizzative della società. «Con le vecchie procedure informatiche era l’impiegato che doveva navigare nei menù e raggiungere la funzione da utilizzare per il proprio lavoro, mentre con il work flow è il lavoro che viene a cercare l’impiegato che, una volta acceso il pc, visualizza i propri impegni per la giornata – come per esempio a registrazione di una fattura – e il link a cui collegarsi per portarli a termine», ha spiegato il manager. Infine la società sta lavorando al passaggio dal linguaggio di programmazione Cobol al Java. Più in generale, ha concluso Bruno, Trebi sta compiendo un passaggio dall’Information Technology verso l’Information and Communication Technology: «si tratta di un cammino verso l’innovazione, che comporta naturalmente investimenti: circa il 10% dei nostri collaboratori è dedicato alla ricerca e realizzazione applicativa di soluzioni tecnologiche nell’ambito delle società finanziarie».

AGRICOLTURA: CODICE UNICO DEL VINO A TUTELA DEI PRODOTTI ITALIANI

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labbate-giuseppe_0Il M5S appoggia le richieste del settore vitivinicolo per semplificare un settore con quasi 1.000 normative. Prossimo passo l’assegnazione dei domini web che potrebbe pregiudicare il settore se l’Italia non prende una posizione chiara in UE

Oltre 350 leggi nazionali in materia di vitivinicoltura in vigore in Italia, senza contare gli oltre 200 regolamenti comunitari e le 400 circolari. Si fa sempre più impellente la necessità di alleggerire le maglie di uno dei settori più importanti del settore agroalimentare italiano. Ed è ciò che hanno richiesto i rappresentanti della categoria venuti a presentare alla Camera dei Deputati il “Codice unico del vino”, con l’obiettivo di semplificare la normativa sul vino e, al contempo, tutelare produttori e consumatori.

Ciò che gli operatori del settore hanno richiesto corrisponde a ciò che abbiamo, mesi fa, presentato al Governo in un atto di indirizzo – dichiara il deputato pugliese Giuseppe L’Abbate (M5S), componente della Commissione Agricoltura – Ribadiamo la nostra costante pressione all’esecutivo affinché prenda una posizione chiara in materia di assegnazione dei domini di primo livello (come .vin o .wine) per far in modo che non vengano assegnati liberamente anche a coloro che non hanno l’uso della denominazione d’origine. Il rischio – continua L’Abbate – è quello di cliccare sul sito www.baroloitalia.vin per ritrovarsi su un sito canadese che vende kit per fare il vino in casa!”.

Una questione, quella dei domini web, che potrebbe pregiudicare il comparto vitivinicolo, soprattutto per quel che concerne l’export che ha raggiunto il record storico nel 2013 con 5,1 miliardi, segnando un +8% sul 2012. “Siamo alla ricerca da mesi del responsabile italiano delegato ad occuparsi della materia dei domini web – conclude Giuseppe L’Abbate – il quale non solo non ha mai riferito nulla della sua partecipazione all’assemblea europea ma sembra se ne siano perse anche le tracce. Il nuovo Ministro Martina ci aiuterà in questa spasmodica ricerca? Così magari riusciremo finalmente a capire qual è la posizione che abbiamo portato in UE”.

Tablet in crescita del 68%. Sorpasso di Android

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Nel 2013 sono stati venduti 195,4 milioni di tablet nel mondo, con una crescita del 68% rispetto al 2012. Ma quello passato è stato anche l’anno del sorpasso delle tavolette con sistema operativo Android su quelle iOs di Apple: quasi 121 milioni di pezzi delle prime (+127%) contro 70,4 milioni delle seconde (+14%). Il risultato, secondo la società di ricerca Gartner, è che oggi Android ha il 61,9% del mercato contro il 36% degli iPad, mentre nel 2012 si parlava del 45,8% e del 52,8% rispettivamente.

È questa la conseguenza del diffondersi dei tablet di fascia media e bassa, che montano il sistema operativo Android. La maggior parte delle vendite è da attribuirsi infatti a nuovi possessori di questi dispositivi. Nella fascia alta del mercato dominano ancora gli iPad. Microsoft fatica a farsi strada e ha raggiunto nel 2013 il 2,1% del mercato con 4 milioni di pezzi venduti contro l’1% del 2012.

Nonostante il sorpasso di Android, Apple resta sempre il primo produttore visto che il sistema operativo di Google è adottato da più marchi. Le vendite della società di Tim Cook corrispondono a quelle di iOs citate in precedenza: 70,4 milioni di pezzi con una quota del 36%, mentre Samsung ne ha piazzati sul mercato 37,4 millioni con il 19,1% di marketshare (era il 7,4% un anno prima). Seguono Asus (11 milioni e 5,6%), Amazon (9,4 milioni e 4,8%), Lenovo (6,5 milioni e 3,3%) e i produttori minori per un totale di 60,5 milioni (31%).