29 Settembre 2024, domenica
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Banco Popolare: il Piano fino al 2016

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Rilanciare l’attività di sviluppo commerciale con una gestione delle risorse più flessibile e orientata al territorio, innovazione sui canali diretti e sulla relazione con il cliente e crescita nelle masse gestite dei segmenti private e affluent. Il Piano Industriale 2014-2016 del Gruppo Banco Popolare prevede di seguire queste linee di rilancio e sviluppo, peraltro comuni all’intero settore, con due grandi aree di intervento nel breve e nel medio termine.

SUBITO SOSTEGNO ALLA REDDITIVITA’ – Nel breve termine, dopo che il bilancio 2013 si è chiuso con una perdita netta di poco superiore ai 600 milioni di euro, urge una serie di interventi a sostegno della redditività. Una delle voci prioritarie è ovviamente il costo del credito da riportare nella normalità, rafforzando le risorse di rete attive sul monitoraggio e sulla gestione dei crediti problematici. Per il miglioramento della redditività commerciale, il Banco punta sulla crescita di raccolta diretta, indiretta e degli impieghi su famiglie e PMI, con un miglioramento della forbice tra tassi medi attivi e passivi. Dovrebbe migliorare anche il costo del funding istituzionale.

REVISIONE DEL MODELLO RETAIL – Nel medio termine sarà necessario mettere mano al tema dell’innovazione del modello retail: in vista l’adozione del modello distributivo di rete Hub&Spoke, operativo da metà febbraio 2014, e l’evoluzione della relazione bancaria “dal patrimonio ai bisogni del cliente”, con forti investimenti nella multicanalità e una riduzione dell’attività amministrativa in carico alla filiale. In linea con le azioni a breve termine, nuove risorse verranno inserite per rafforzare il comparto wealth management, con un focus sui segmenti affluent e private e sulle fabbriche prodotto: obiettivo è anche ridurre i tempi di vendita con investimenti in strumenti di dematerializzazione e avviare una azione efficace di marketing.

WM: 5 MILIARDI DI RACCOLTA NEL 2016 – Gli investimenti IT dovrebbero consentire di liberare 500 unità: una parte di esse saranno destinate ad attività commerciali tese a conquistare almeno altri 250mila clienti, anche grazie a una offerta più ampia di prodotti veicolata su più canali di vendita. Nello specifico del comparto wealth management, investimenti in tecnologia, risorse umane e comunicazione puntano a acquisire masse e aumentare lo share of wallet di parte della clientela che oggi non opera in modo continuativo con il Banco Popolare. Il Piano fissa in 5 miliardi di raccolta totale di gruppo (per il wealth management) il target a fine 2016 e in 8 miliardi quello a fine 2018, con 25mila nuovi clienti private e affluent.

L’IMPATTO STIMATO SUI CONTI – Le proiezioni economiche di Gruppo prevedono proventi operativi pari a 3,8 miliardi nel 2016 e 4,1 miliardi nel 2018 (3,6 miliardi nel 2013); oneri operativi pari a 2,2 miliardi nel 2016 e nel 2018 (in linea con il 2013); rettifiche su crediti in diminuzione e pari a 700 milioni nel 2016 e a 662 milioni nel 2018 (dato 2013: 1.691 milioni); costo del credito in flessione da 185 bps del 2013 a 70 bps nel 2016 e a 65 bps nel 2018; utile netto atteso pari a 609 milioni nel 2016 ed a 787 milioni nel 2018; Cost/Income in calo dal 62,9% del 2013, al 57,5% nel 2016 e al 54,6% nel 2018.

CONTRIBUTO POSITIVO DALLE CONTROLLATE – Grazie all’azione sulla componente commerciale, la raccolta diretta è prevista a 65,7 miliardi nel 2016, con un funding gap commerciale in miglioramento dal 2015. La raccolta complessiva dovrebbe arrivare a 119 miliardi. Le società collegate dovrebbero apportare un contributo positivo ai conti di Gruppo, anche grazie al sensibile miglioramento previsto per la redditività di Agos Ducato. I costi operativi sono attesi in riduzione a un tasso medio annuo pari a quasi l’1% per il periodo 2013-2016: iniziative specifiche saranno mirate a ridurre ulteriormente l’organico attraverso la gestione del turnover e nuovi strumenti volontari di incentivazione.

Fiducia: banche meglio solo della politica

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Ladri. E’ la prima parola che gli italiani associano al termine “banca”, secondo una indagine commissionata da Banca AGCI, istituto bancario dell’Associazione Generale Cooperative Italiane alla ISPO. Presentata in occasione dell’apertura di una filiale di AGCI a Torino, l’indagine voleva mettere a confronto la percezione delle banche da parte dei torinesi rispetto alla totalità degli italiani bancarizzati. Percezione che, in effetti, sotto la Mole è un po’ meno negativa che nel resto d’Italia.

Intanto quella parola, “ladri”, che sottolinea come almeno una parte degli italiani (bancarizzati, non dimentichiamolo) ritenga che le banche “sottraggano” qualcosa che a loro non spetta: a livello nazionale trionfa, mentre i torinesi, pur collocandola nella top ten, le preferiscono espressioni come “denaro” e “risparmi”. Poi, il fatto che il 79% dei torinesi ritenga che le banche siano “poco o per nulla” vicine ai clienti nei momenti di difficoltà: l’82% pensa anzi che siano scarsamente attente a fare gli interessi della clientela.

Il vero problema resta quello del credito. Il 22% dei torinesi pensa che le banche siano disposte a erogare credito ai clienti: tutti gli altri credono che gli istituti bancari non siano così orientati al “fare banca” e per gli italiani la percentuale scende addirittura al 16%. La fiducia nel settore è particolarmente bassa: il 78% degli italiani crede che le banche nel complesso siano “poco o per nulla” in grado di creare una relazione di fiducia con la clientela.

Qualche sorpresa, però, c’è. Perché quando si parla della propria banca, anziché del settore in generale, il 50% degli italiani afferma che nel tempo si è creata “abbastanza” o “molta” fiducia tra lui e l’istituto di riferimento. Sono 7 punti percentuale in meno rispetto a prima della crisi, ma è comunque un dato che lascia margini di fiducia.

La strada per le banche resta comunque in salita: i clienti, secondo IPSOS, chiedono vicinanza (42%), l’uso di un linguaggio comprensibile (30%), un aiuto nel realizzare sogni come l’acquisto di una casa o l’avvio di una attività (26%), il sostegno al territorio (26%) e un significativo “mantenimento delle promesse” (24%). Essere una banca innovativa e moderna è una priorità solo per il 14% dei clienti.

Guardando al complesso delle istituzioni, le banche se la cavano piuttosto male. Gli italiani confermano la loro fiducia soprattutto a Forze dell’Ordine (80%) e Forze Armate (73%), seguite da Presidente della Repubblica (69%) e Chiesa Cattolica (63%). E se l’Unione Europea (42%) fa meglio della RAI (41%) e di Mediaset (37%), le banche con il 21% di italiani che le ritengono degne di fiducia riescono a fare meglio solo di Parlamento (20%) e partiti politici (13%). Non proprio i primi della classe, in quanto a immagine.

Adeguamento al sistema SEPA: Sperare per il meglio o puntare su una strategia?

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Nel gennaio del 2008 la Commissione Europea ha varato la prima fase di attuazione del progetto SEPA con il lancio dello strumento paneuropeo di pagamento SEPA Credit Transfer (SCT), imponendo alle aziende una precisa scadenza da rispettare per la migrazione ai sistemi SEPA di incasso e pagamento. A partire dal 1 febbraio 2014, infatti, le imprese non possono più incassare crediti dai clienti attraverso i sistemi nazionali di addebito diretto invalsi fino a quel momento.

Non tutte le aziende hanno provveduto ad adeguarsi ai requisiti SEPA entro la scadenza del 1 febbraio, come ha di fatto riconosciuto la delibera del 9 gennaio di quest’anno che ha sancito una deroga di sei mesi dall’obbligo di adozione del formato SEPA per i pagamenti – pur rimanendo ferma la data ultima della migrazione fissata per il 1 febbraio. Resta comunque la speranza che la maggior parte delle aziende sia pronta e non incorra in inconvenienti seri quali mancati incassi, penali, danni di immagine e perdita di quote di mercato.

In prospettiva, quanto hanno faticato le aziende a conformarsi ai nuovi regolamenti? La scadenza di febbraio ha pesato sull’operatività degli ambienti di sviluppo e test? Come potranno essere rispettati anche in futuro gli obblighi imposti dalla SEPA o da altre direttive senza subire ricadute negative a scapito di altre iniziative aziendali altrettanto importanti, quale la messa a punto di nuove architetture applicative, le creazione di nuove applicazioni mobile o il lancio di nuovi prodotti o servizi?

Una indagine indipendente (lo studio“The Business Benefits of Service Virtualization”, commissionato da CA Technologies e condotto dalla Coleman Parkes Research mediante interviste a 100 responsabili delle funzioni QA, Development, Environments e Chief Architect in Italia) svolta nel nostro Paese fra i responsabili delle funzioni di Test, QA, Sviluppo e Architettura ha evidenziato che il 64% degli intervistati ha un’idea piuttosto imprecisa della reale scalabilità di complesse applicazioni composite (con un elevato numero di integrazioni con sistemi terzi). Queste risposte destano serie preoccupazioni perché “sperare non basta: serve una strategia”. La stessa inchiesta ha mostrato che secondo il 59% degli intervistati le funzionalità delle applicazioni sarebbero aumentate rispetto all’anno precedente, mentre il 64% ha accusato dei ritardi dovuti all’indisponibilità “occasionale”, “frequente” o “molto frequente” di sistemi o ambienti operativi.

La risposta a questi rischi inaccettabili per qualsiasi progetto va cercata nel concetto di “Service Virtualization”, ovvero la simulazione dei servizi applicativi, che serve in pratica ad affrancare chi fa sviluppo o test dall’indisponibilità degli ambienti applicativi terzi o da un numero troppo limitato e spesso troppo costoso di ambienti mainframe, SAP, sistemi di terze parti, ecc. Un apposito agente rileva il traffico fra i sistemi di test, elabora i dati e li converte in un modello “simil-reale”, configurabile, che si comporti come il sistema realtà ma che renda anche possibile dei test negativi attraverso dei casi di test “What if…?”.

La Service Virtualization nel mondo SEPA

La virtualizzazione dei servizi può rivelarsi utile per mettersi in regola con il regolamento SEPA, con altri regimi normativi o, più banalmente, con il normale ciclo di rilasci applicativi. Nel caso della SEPA, alcune banche hanno deciso di servirsi di soluzioni SaaS per convertire i tradizionali formati dei conti in codici conformi ai nuovi sistemi SEPA. L’idea è ottima, ma come si potrà assicurare un’integrazione indolore fra una piattaforma esterna e i sistemi consolidati dell’impresa? Come se ne potranno saggiare le prestazioni al variare delle richieste dei clienti? Le terze parti intestatarie della piattaforma esterna potrebbero decidere di far pagare anche l’accesso alle interfacce dei test, senza contare che la disponibilità e la performance di tali interfacce potrebbero non combaciare al 100% con le versioni impiegate in produzione. La Service Virtualization azzera tali sovraccosti, poiché opera con un modello “simil-reale”.

Pagamenti SEPA su mobile devices

Molti analisti prevedono che prima della fine del 2017 le vendite dei tablet avranno superato quelle dei PC e verranno sviluppate sempre più applicazioni con funzionalità imperniate su tablet o smartphone. Le condizioni dinamiche della rete influiscono sui canali di comunicazione fra le applicazioni, i servizi (con relative dipendenze) e gli utenti finali che spesso devono affrontare le limitazioni tipiche dell’ultimo miglio. Questo insieme di fattori complica il lavoro dello sviluppo e della certificazione perché i test eseguiti senza emulare le condizioni della rete possono dare risultati poco precisi.

Fra i principali problemi potenziali va citato un calo della performance registrato allorché i sistemi downstream e i mockup non corrispondono ai comportamenti o ai tempi di risposta richiesti. È raro che le connessioni di rete presenti nei laboratori di prova rispecchino le condizioni della rete utilizzata in produzione, andando così a inficiare le previsioni sulla performance degli utenti finali.

La virtualizzazione dei servizi di rete supera questo scoglio simulandone i tempi di risposta a seconda dei diversi scenari di produzione anziché in base a un banco di prova perfetto in cui “ha funzionato tutto bene”. La Service Virtualization rileva ed emula all’interno del laboratorio di prova le condizioni delle reti in produzione, il che significa che le connessioni usate nei test rispecchiano i limiti della vita reale. In altre parole, è possibile testare, validare e ottimizzare la performance delle applicazioni prima del deployment, pronosticando in modo affidabile i livelli di servizio dopo il deployment.

Nel corso di questa attività vengono anche generate automaticamente alcune raccomandazioni riguardanti il potenziale di ottimizzazione che in alcuni casi realizzano un miglioramento quantificabile della performance pari al 40% e più. Chi deciderà di eseguire delle transazioni SEPA su un tablet o su uno smartphone potrà usufruire dello stesso livello di performance di un portatile a casa o in ufficio.

Quanto sono realmente “robuste” le applicazioni presenti in impresa?

Un dibattito che spesso accompagna il varo di importanti pacchetti legislativi (come il regolamento SEPA) riguarda la previsione dei comportamenti futuri:che performance offrirà una data applicazione quando sarà utilizzata contemporaneamente da un certo numero di clienti, partner o dipendenti in determinati orari e con determinati volumi? Altrettanto importante sarà testarne la resilienza: cosa succederà se non saranno disponibili, attivate o pronte a rispondere una o più delle componenti da cui dipende quell’applicazione?

I progetti di distribuzione del software hanno la tendenza a sforare sui tempi, perciò spesso viene imposto di ridurre i tempi dedicati alle attività tipiche delle fasi finali del ciclo di vita di sviluppo delle applicazioni quali il performance testing. Quanto appare vicina la scadenza SEPA e quali scorciatoie si finirà col prendere? Il test di carico può essere eseguito solo verso la fine del ciclo di vita, necessita di ingenti risorse infrastrutturali, solo di rado riproduce in modo fedele i livelli di performance esistenti in produzione e non prevede quasi nessuna delle condizioni di testing negativo. In genere, i laboratori non riescono a eseguire questi test finché non sono disponibili tutti i componenti da cui dipendono le prestazioni.

La metodologia di simulazione è in grado di “catturare” migliaia di transazioni che intercorrono fra i componenti applicativi in funzione, ma a una frazione minima del costo di gestione dei dati. Questi ambienti virtuali mettono a disposizione dei valutatori un set molto più vasto di dati di prova con cui ricreare la variabilità dell’applicazione, consentendo di anticipare la verifica delle prestazioni dell’applicazione ben prima che si completi l’integrazione.

I dati dei test: raramente citati, spesso problematici

Gestire i dati relativi ai test tende a essere l’attività più dispendiosa(sia come tempo che come costi) nell’esecuzione di un test sulle prestazioni. A complicare ulteriormente la questione, parecchi dei test eseguiti sono distruttivi perciò è necessario resettare, o condizionare, i dati per il set di test successivi, allungando i tempi e accrescendo la complessità del programma di testing; ad esempio, può essere necessario simulare una serie di variabili quali date o importi cumulativi nell’ambito di una transazione in modo da validare queste tipologie di workflow complessi al livello di dettaglio necessario.

Le applicazioni composite prevedono generalmente una pluralità di data store da rifornire di dati per i test e da sincronizzare. Nel caso di carichi di lavoro più elevati cresce anche la mole di dati necessari a condurre test realistici. A ciò va aggiunto il fatto che, in seguito all’introduzione delle norme sulla tutela dei dati personali, molte organizzazioni non sono più autorizzate a usare i dati di produzione per eseguire test sulla performance. Quali dati potranno allora utilizzare per testare le interazioni dei clienti con gli strumenti di pagamento SEPA? Fino a che punto produrranno degli esiti realistici? L’impiego di modelli virtuali consente all’IT di poter sempre accedere in modalità on demand ai dataset relativi ai sistemi da testare, con la certezza che i dati comprenderanno scenari pressoché infiniti in grado di soddisfare il fabbisogno di performance test e regression test da eseguire su ingenti volumi di dati.

Visibilità completa sull’applicazione e sulla relativa performance

Pur essendo possibile programmare e prevedere il comportamento di un’applicazione prima del relativo deployment, spunteranno sempre delle sorprese, grandi o piccole, nel momento in cui verrà calata nella realtà – come, ad esempio, il possibile impatto degli accessi sui tempi di risposta negli orari di punta. La Service Virtualization può essere integrata con una tecnologia APM (Application Performance Management) per confrontare i tempi di risposta pre-produzione con quelli in produzione. In questo modo si potrà ottenere un riscontro diretto fra le metriche di produzione e i test case, simulandone i futuri comportamenti nell’ambiente reale. Per chi si occupa di performance testing e sviluppo, ad esempio, si dimostra molto utile la funzione fornita da una soluzione APM che consente di estrarre dati di produzione fra un livello e l’altro e anche all’interno di uno stesso livello applicativo. Così facendo si potrà smettere di sperare in bene puntando invece su informazioni concrete che permettano di dormire sonni più tranquilli.

La scadenza del 1 febbraio e oltre la SEPA

E’ giunto il momento di controllare il proprio stato di preparazione dopo l’entrata in vigore del sistema SEPA. Quanto tempo servirà per rilasciare aggiornamenti o correzioni di poco conto e misurare l’eventuale impatto delle prestazioni di alcune applicazioni sugli ambienti di produzione? Come cambierà l’esperienza degli utenti e quanto tempo sarà necessario per risolvere eventuali problemi? Molte delle organizzazioni di servizi finanziari più importanti si sono affidate alla Service Virtualization per ridurre sensibilmente i rischi associati ai loro programmi nevralgici – e non solo quelli insiti nella compliance normativa. È forse giunta l’ora di prendere in considerazione un’impostazione nuova per i processi di sviluppo, test e rilascio delle applicazioni?

Corso di formazione in Finanza d’Impresa: al via l’undicesima edizione

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Undicesimo appuntamento, dal 21 marzo al 24 maggio a Milano, per il Corso di formazione in Finanza d’Impresa realizzato dall’AIAF Financial School, la Scuola di formazione degli analisti e consulenti finanziari. Il corso, che prevede al termine un esame scritto, mira alla formazione di una figura professionale in grado di relazionarsi con i potenziali finanziatori, in primis le banche, ma può essere seguito da chiunque voglia aggiornare le proprie competenze economico-finanziarie per la consulenza finanziaria alle imprese.

Il programma delle lezioni, della durata complessiva di 70 ore in 7 moduli, va dall’approfondimento dell’analisi di bilancio alle decisioni finanziarie d’impresa, dalla pianificazione e controllo del cash flow alla gestione delle crisi aziendali, dalla valutazione del merito di credito da parte delle banche alla gestione del capitale circolante, dal cash management alla gestione dei rischi finanziari.

Previdenza: cresce la pressione sul welfare europeo

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I pensionati europei se la passano ancora relativamente bene, ma cresce la pressione sui sistemi previdenziali nazionali esercitata da crisi economica e invecchiamento demografico. Natixis Global Asset Management ha stilato il Global Retirement Index 2014, una classifica sulla sicurezza finanziaria post-pensionamento e la possibilità per risparmiatori e investitori di raggiungere le proprie necessità e aspettative dopo la pensione in 150 Paesi. Lo studio si basa su criteri come la qualità del sistema sanitario, i redditi e le finanze personali, la qualità della vita e i fattori socio-economici.

ITALIA NELLA TOP 30 – I pensionati che se la passano meglio sono europei. Nella top ten dell’Index rientrano otto paesi del Continente, cioè Svizzera, Norvegia, Austria, Svezia, Danimarca, Germania, Finlandia e Lussemburgo (i restanti sono Australia e Nuova Zelanda). Rispetto all’anno scorso se la cavano meglio gli irlandesi, saliti dal quarantottesimo al ventiquattresimo posto e gli islandesi che si posizionano all’undicesimo posto rispetto al ventitreesimo dell’Index 2013. L’Italia è scesa di due posizioni (dalla 21 alla 23), seguendo il trend di altre nazioni sviluppate come gli Stati Uniti (passati dal diciottesimo al diciannovesimo posto) o la Francia (dal decimo al quindicesimo posto).

ALTA PRESSIONE – L’Italia si caratterizza per un’aspettativa di vita alta, costi per la spesa sanitaria relativamente bassi, un elevato numero di medici pro capite e un buon posizionamento nel sub-indice Qualità della vita, con bassi livelli di inquinamento e un forte impegno a favore dell’ambiente. Dallo scoppio della crisi finanziaria, variabili e fattori macro-economici hanno aumentato la pressione sul sistema previdenziale pubblico, tanto che i futuri pensionati dovranno iniziare a pianificare oggi per far fronte a questi cambiamenti.

PREVIDENZA PREVIDENTE – «Ritengo che i risparmiatori – spiega Antonio Bottillo, Amministratore Delegato per l’Italia di Natixis Global AM – debbano partire dalla definizione di un personale percorso che consideri i propri obiettivi, il rendimento atteso e il livello di rischio che si è disposti ad assumere. Invece di preoccuparsi per i movimenti di breve termine che caratterizzano i mercati, gli investitori dovrebbero rimanere concentrati su quelli che sono i loro obiettivi e sul rischio che è necessario assumersi per raggiungerli».

Meno insoluti, ma per un importo maggiore

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Meno pagamenti insoluti, nel 2013, ma con importi medi in crescendo rispetto agli scorsi anni. È questo il trend rilevato nel nostro Paese dal Report dei Mancati Pagamenti, ricerca trimestrale condotta da Euler Hermes Italia. La compagnia di assicurazione debiti ha monitorato le banche dati di 450mila aziende, con approfondimenti per regione e settore.

INSOLUTI CRESCIUTI DAL 2007 – Il secondo anno consecutivo di recessione (PIL 2012 -2,6% e PIL 2013 -1,9%) ha contribuito al deterioramento delle transazioni commerciali tra imprese, innalzando i livelli di insoluti. Al calo del numero dei mancati pagamenti (frequenza -18% rispetto al 2012) corrisponde la crescita degli importi medi (severità +9% rispetto al 2012). Dal pre-crisi (2007) a dicembre 2013, i livelli medi dei debiti non onorati sono cresciuti in Italia del 78%.

INCREMENTO DELLA SEVERITÀ – Nel mercato interno, siderurgia e commodities sono i settori che presentano segnali di difficoltà sul fronte insoluti e, soprattutto, negli importi medi. Per i settori alimentare e tessile i debiti insoluti sono diminuiti o rimasti invariati. Tra le regioni, l’Emilia Romagna è quella che ha registrato nel 2013 l’importo medio più elevato (35mila euro) anche se il trend, nell’ultimo trimestre, si è invertito. I mancati pagamenti delle imprese italiane nel 2013 segnano, rispetto all’anno 2012, un calo sul fronte della frequenza sia sul mercato nazionale (-18%) sia nell’export (-17%). L’indicatore della severità, invece, registra sia un incremento in Italia (+9%) sia nei confronti dei mercati esteri (+ 6%).

TIMIDI SEGNALI DI RIPRESA – Dopo due anni di recessione, l’Italia sembra intravedere i primi segnali di ripresa che dovrebbero proseguire per tutto il 2014 ( PIL +0,3%) e il 2015 ( PIL+ 0,8%). L’export per l’anno appena cominciato sarà ancora il driver principale della crescita (+2,6% nel 2014 e +3,0% nel 2015), grazie all’apporto delle esportazioni nei paesi extra UE e alla ripresa delle economie avanzate, che dovrebbero ritornare, secondo le previsioni, sui livelli del 2010. Investimenti (-1,4% nel 2014 e -0,9% nel 2015) e consumi (-0,4% nel 2014 e +0,5% nel 2015) resteranno ancora in contrazione nel 2014, ma con variazioni più attenuate.

IT, il made in Italy arriva a New York

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Il software italiano sbarca a Manhattan. Dedagroup ICT Network ha stretto un accordo con la National Fedration of Community Development Credit Unions per creare la joint venture Coop Core Develompment (49% di Dedagroup e 51% della NFCDCU) e offrire la soluzione BankUp alle 6.700 Credit Unions dislocate su tutto il Nord America.

LE CREDIT UNIONS VALGONO 500 MILIARDI DI DOLLARI – Dopo l’esperienza in Messico e nell’Europa dell’Est, il Gruppo, già attivo su oltre il 35% del mercato nazionale del credito cooperativo, ha deciso di puntare alle Credit Unions americane che, anche se in fase di razionalizzazione per via della crisi finanziaria del settore, possono contare 90 milioni di soci (pari al 45% della popolazione), 500 miliardi di dollari di attivo gestito e 100 milioni di conti correnti.

LE PRIME ATTIVITA’ – Nel giro di due anni, Dedagroup, tramite la joint venture si occuperà di migliorare l’efficienza delle Credit Unions, integrando la piattaforma di core banking BankUp, aumentandone la competitività grazie a un sistema operativo efficiente, all’integrazione contabile e tecnologica. Ma prima, i passi da assolvere sono diversi: una attenta micro analisi delle realtà locali, così da adattare al meglio la soluzione proprietaria di Dedagroup ICT Network; la revisione dei contratti con i precedenti fornitori delle Credit Unions; l’ideazione di nuove strategie di mercato, per andare a impattare sul segmento degli unbanked, in particolare immigrati provenienti dal Sud America, e la possibilità di nuove acquisizioni per le Credit Unions.

QUATTRO CREDIT UNIONS PILOTA – Intanto, quattro Credit Unions stanno già facendo da pilota nell’adozione di BankUp: due collocate in Louisiana e altre due (di dimensioni diverse) a New York.

APPOGGIO DI SIMEST – Inoltre, come già accaduto per il progetto di espansione di Dedagroup in Messico con Dedamex, Simest ha annunciato la sua disponibilità a valutare la possibilità di offrire un appoggio reale allo sbarco della software house italiana negli Stati Uniti.

Un conto, con lo sconto famiglia

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Un conto corrente per la famiglia, con un canone mensile che si riduce in base all’utilizzo. Banca Marche ha creato Conto Family, personalizzabile e semplice da arricchire grazie a servizi aggiuntivi a condizioni agevolate.

CONTO ALL INCLUSIVE – Il canone mensile di Conto Family, pari a 7 euro, comprende le spese fisse di tenuta conto, un numero illimitato di operazioni, l’internet banking, il Bancomat base, prelievi illimitati gratuiti presso gli sportelli Banca Marche e la carta di credito CartaSi Base. In alternativa alla carta di credito è possibile ottenere 12 prelievi Bancomat gratuiti presso sportelli di altri istituti.

RIDUZIONE DEL CANONE – Oltre ai servizi gratuiti, il prodotto prevede un interessante meccanismo di scontistica, che consente di ridurre il canone in base all’utilizzo, da parte del cliente, dei servizi collegati al conto offerti da Banca Marche, come ad esempio: accredito dello stipendio, utilizzo del bancomat e della carta di credito, apertura di prodotti di risparmio gestito o vincolato o del servizio di trading on line, sottoscrizione di una polizza assicurativa, utilizzo dell’internet banking, accensione di un mutuo o di un prestito personale.

Creval: pronto il nuovo assetto

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E’ attiva dal 1 marzo la nuova struttura organizzativa del Credito Valtellinese. Il CdA ha infatti deliberato un nuovo assetto per la Capogruppo: quattro aree specializzate, a diretto riporto dell’Amministratore Delegato e Direttore Generale Miro Fiordi, ciascuna delle quali presidiata da un componente della Direzione Generale.

PRESIDIO DEL CREDITO – Obiettivo di questa modifica è migliorare le performance operative e commerciali, oltre che ottimizzare i processi di governo del credito e gestione dei rischi. Per questo motivo, Luciano Camagni, Condirettore Generale, è stato preposto all’Area Crediti, focalizzata appunto sul governo del processo del credito (compreso il settore dei finanziamenti a medio-lungo termine e il corporate finance, anche tramite la controllata Mediocreval) e sulla gestione del credito anomalo.

AREA COMMERCIALE – A Mauro Selvetti, Vicedirettore Generale, è stata attribuita l’Area Commerciale, cui riportano (oltre alle funzioni commerciali e marketing) le sette Direzioni Territoriali della Capogruppo a presidio dei mercati di riferimento, le altre banche commerciali del Gruppo (Credito Siciliano e Carifano), nonché le società controllate a supporto del business bancario (Global Assicurazioni, Global Broker e Creset); in questo ambito, inoltre, Franco Sala, Vicedirettore Generale, si occupa del presidio della Macroarea Territoriale Milano, Centro Italia e Piemonte.

FINANZA E OPERATIONS – Il Vicedirettore Generale Umberto Colli ha la responsabilità dell’Area Finanza e Operations, che presidia la gestione finanziaria (portafoglio di proprietà, politiche di funding e liquidità, attività di negoziazione), le operations (attività in ambito ICT, organizzazione e back office in carico a Bankadati Servizi Informatici e in ambito real estate svolte da Stelline Servizi Immobiliari), oltre alla gestione dei costi operativi del Gruppo.

RISK E COMPLIANCE – A Enzo Rocca, Vicedirettore Generale cui è affidata l’Area Rischi e Controlli, è stato conferito il compito di seguire le attività e lo sviluppo del sistema di controllo interno e di gestione dei rischi del Gruppo, oltre al coordinamento del settore legale. Le funzioni di pianificazione e capital management, governo delle risorse umane, oltre al settore partecipazioni e affari societari e alla gestione delle sofferenze (in capo a Finanziaria San Giacomo), riportano direttamente all’Amministratore Delegato.

CartaSi: il lancio ufficiale del mobile POS

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Al Mobile World Congress di Barcellona, CartaSi ha presentato una soluzione di mobile POS, la prima in Italia (e la seconda in Europa) certificata contactless, che permette agli esercenti di accettare pagamenti tramite smartphone.

Il mobile POS, presentato insieme a Visa Europe, è rivolto in particolare a liberi professionisti, artigiani e piccoli esercenti interessati ad accettare pagamenti elettronici grazie a uno smartphone o a un tablet e a una app apposita.

La soluzione di CartaSi, resa disponibile per tutte le banche partner, è compatibile con dispositivi Android e iOS ed è accompagnata da un lettore bluetooth di carte. Può accettare pagamenti con carte di debito e di credito a chip, c-less e NFC.

Nel corso del 2014, inoltre, CartaSi porterà a oltre 100mila il numero di POS contactless, in grado cioè di accettare pagamenti con strumenti innovativi come carte c-less e cellulari NFC, attivi sui propri merchant in Italia.