29 Settembre 2024, domenica
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Nike Magista, i scarpini a collo alto

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La Nike ha presentato i scarpini Magista. Una vera e propria rivoluzione nel calcio.

L’innovazione di maggior impatto, anche dal punto di vista visivo, è il nuovo collo alto che si chiamaDynamic Fit e serve a rendere la calzata più aderente, migliorando così l’interazione del corpo con il terreno e la palla.

Anche la leggerezza dello scarpino, che pesa appena 205 grammi, ha una precisa spiegazione tecnica: la tecnologia Flyknit, che arriva dal running. Molto sottile, ma comunque resistente: la protezione del piede è infatti affidata a una speciale “pelle”, spessa meno di un millimetro, che impedisce all’acqua di entrare e protegge dai lievi impatti.

I Nike Magista arriveranno, in pre-ordine sul sito ufficiale della casa statunitense, dal 29 aprile, e nei negozi a partire dal 22 maggio.

Fiorello e le offese sui social: la solidarietà vip di Severgnini e Serra

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Fiorello e le offese sui social: la solidarietà vip di Severgnini e Serra. Non c’è pace per il povero Fiorello ricoverato ancora in terapia intensiva: la rete non gli perdona d’aver investito un vecchietto sulle strisce, pure lui ricoverato con fratture al bacino, alla spalla, alla tibia, al perone. I soliti “sudicioni e rancorosi” invadono le bacheche dei social con insulti e offese e vigliaccamente si nascondono dietro l’anonimato. Non è una notizia, sottolineava ieri Michele Serra su Repubblica, invitando le persone intelligenti a ignorarli.
Esempio non seguito dal collega del Corriere della Sera Beppe Severgnini, indignato ma solo fino a un certo punto, perché la rete, il progresso sono belli ma hanno dei costi, per esempio che la possono utilizzare tutti. Anche gli immaturi di ogni età. Sarebbe bello che una notizia come quella dell’incidente provocasse “sorpresa, dispiacere, preoccupazione, non sarcasmo, odio e superficialità”.

Segue una antologia ragionata degli insulti. Uno a caso: “@angelaguerriero6 ma il pedone poteva stare più attento però! Ah attraversava sulle strisce?? Beh ma se arriva un VIP ha la precedenza!!!”. Sarcastico, forse superficiale, d’accordo: ma il sudiciume, il rancore, l’odio…? Ancora: “@Teresa_Bruno: Fossi il vecchietto, gli spulcerei un po’ di soldini al Fiore nazionale. #fiorelloincidente”. Un po’ materialista la signora, ma certo non anonima. Pare di capire che invece i commenti buoni, gli auguri di altri vip via Youtube (tipo Jovanotti-Pausini-Antonacci) vanno bene, non rientrano nell’antropologia negativa dei forzati del web (ci hanno messo la faccia, e ti credo!).
Ma se i cosiddetti vip hanno accettato di estendere il raggio d’azione sulla scena digitale, inondandola di post, mi piace, cinguettii, foto, live-set e quant’altro serva a mantenere un faro perennemente acceso sulle loro oscillanti carriere, questo va bene, è progresso. E’ social: solo applausi, chi fischia è maleducato. E se scappa il turpiloquio da bar, scatta la sanzione del moralista vip. Non rileva il fatto che le strisce pedonali valgono come un semaforo rosso. Dice, ma Fiorello sta male, merita tutta la nostra solidarietà, hai letto, hai sentito: seguiamo il consiglio di Serra, “No: non ho letto e non ho sentito. La vita è breve, sprecarla è un delitto”.

La Grande Bellezza, in Campidoglio lite sulla cittadinanza a Sorrentino

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Neanche l’Oscar unisce la politica del Campidoglio. La cittadinanza onoraria a Paolo Sorrentino per la regia de La Grande Bellezza è riuscita a scatenare un dibattito surreale e molto all’italiana. A metà tra il cineclub, che ormai spopola nei bar come in rete, e il classico gioco delle parti.
Alla fine però Sorrentino, da anni residente a piazza Vittorio, ha avuto il via libera dell’Aula Giulio Cesare: il 14 marzo sarà in Campidoglio per ricevere la Lupa e la Pergamena. Ma l’opposizione, tra astenuti e voti contrari, ha voluto rovinare la festa al sindaco Ignazio Marino, promotore dell’iniziativa.

Intanto, lontano dalle chiacchiere e con la statuetta ben riposta in valigia proprio ieri all’alba Sorrentino è ritornato in Italia, a Fiumicino, e con i fotografi in agguato si è preso in giro («Mi fate sentire come Belen») per poi andare a riposare dopo la sbornia di gloria e party di questi giorni, in attesa della festa organizzata da Carlo Verdone. Dunque il regista magari si sarà perso il dibattito del Campidoglio. Con il sindaco che ha anche annunciato un tour sui luoghi immortalati dal film, cercando così di unire metaforicamente in un abbraccio di celluloide maggioranza e opposizione.

Ma non è stato così. Fabrizio Ghera, capogruppo di FdI, per motivare il suo no ha definito la cittadinanza onoraria al regista eccessiva perché «la smania di celebrazione distoglie la città dai veri problemi». Ancora più drastico Marco Pomarici (Ncd): «Roma non è quella del film, fatta di night, club, droga e feste». Tra gli astenuti, invece, ecco l’ex sindaco Gianni Alemanno, Roberto Cantiani e Gianluigi De Palo del centrodestra e i grillini Virginia Raggi ed Enrico Stefano. E c’è anche chi ha ricordato che non si può dare la cittadinanza onoraria a chi ha ringraziato come musa ispiratrice Maradona, un evasore fiscale.

Insomma, in attesa delle ripercussioni del film sull’economia di Roma e del Paese, come auspicato da Sorrentino, i primi effetti si sono visti sulla politica. Divisa e battibeccante, come una serata in terrazza raccontata dalla Grande Bellezza (…)

Droni, 30 aprile regole per farli volare: sarà boom, pilota mestiere del futuro

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Fanno fotografie e riprese aeree, monitorano impianti fotovoltaici, dighe e reti elettriche e controllano i terreni agricoli e le aree potenzialmente a rischio. Sono i droni, aeromobili a pilotaggio remoto, che secondo l’associazione di operatori e costruttori Assorpas, volano già in oltre 400 sul cielo italiano. E il 30 aprile entrerà in vigore il nuovo regolamento dell’Enac e potrebbe essere il boom definitivo di questi dispositivi e la nascita di un nuovo lavoro: il pilota di droni.

“Se ne discute da più di un anno, e da qualche giorno, l’Enac, l’Ente nazionale per aviazione civile, ha reso noto il testo definitivo del regolamento per il volo di droni fino a 150 chili di peso. Entrerà in vigore, salvo cambiamenti dell’ultimo minuto, il 30 aprile. Per pilotare bisognerà aver compiuto 18 anni e dimostrare di possedere conoscenze teoriche sulle regole dell’aria e pratiche, relativamente all’uso del proprio mezzo. Nel documento non si parla di un permesso o di un patentino, ma Enac prevede che siano organizzati programmi di addestramento specifici”.

Nelle zone “non congestionate” dalla presenza umana per far volare un drone sarà sufficiente  un’autocertificazione da fornire ad Enac:

“Se invece si vuole operare in città, sono previste valutazioni più approfondite da parte dell’ente che, alla fine, dovrà autorizzare il pilota a volare. Un altro parametro che è stato tenuto in considerazione nel regolamento è la distanza da terra: se si vola fino a settanta metri, dove la possibilità di incontrare altri aeromobili è bassa, le norme sono meno restrittive. Per chi vuole raggiungere i 150, occorreranno autorizzazioni particolari”.

L’assicurazione poi sarà obbligatoria, spiega Antonio D’Argenio, componente del consiglio direttivo dell’Assorpas:

“«In realtà molti già ce l’avevano, ma spesso per le agenzie era complicato individuare una formula che potesse andare bene per questi mezzi»”

I droni rappresentano un investimento per il futuro:

“Se dare dei numeri sul valore di questo mercato in Italia è pressoché impossibile, ci si può riferire alla ricerca della società americana Asd Reports secondo la quale, entro il 2021, il giro d’affari mondiale toccherà i 130 miliardi di dollari. Nel 2012 era fermo a sette. Una crescita, almeno sulla carta, esplosiva”.

E, secondo la società di ricerche di mercato americana Sparks & Honey, uno dei mestieri del futuro sarà proprio il pilota di droni.

Equitalia multa (62 mila €) l’Osteria senza oste dove mangi versando un obolo

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Equitalia multa (62 mila €) l’Osteria senza oste dove mangi versando un obolo. Quanto vale un obolo volontario in termini fiscali? Difficile quantificarlo, non per Equitalia che ha preso di mira una storica e quasi leggendaria osteria di Santo Stefano di Valdobbiadene (pochi sanno di preciso dov’è), un casale perduto tra le colline del Cartizze, terra di prosecco.

Qui non c’è servizio, l’oste è assente, puoi gustare e delibare, addentare salame accompagnato da pane cotto a legna, bere vino: nessuno ti chiede il conto, puoi lasciare qualcosa nel salvadanaio oppure proseguire come se nulla fosse. Si è sparso un nome che nessuno gli ha dato: l’Osteria senza oste. Per Equitalia, invece, quella è un’osteria a tutti gli effetti e ha presentato un conto mica male: 62 mila euro di multa per evasione fiscale.

Cesare De Stefani, imprenditore e titolare dell’omonimo salumificio, colui che ogni mattina fa disporre un po’ di delizie e leccornie e la sera fa dare una rapida pulita, è il proprietario del casolare. Lascia qualche fiasco, appende un po’ di salami e se ne va: quello non è un pubblico esercizio, il Comune glielo ha riconosciuto già una volta quando nel 2011 stava per essere chiusa l’osteria perché priva delle autorizzazioni per la somministrazione di cibi e bevande.

L’osteria nasce nel 2005. Parte in sordina ma pian piano diventa una mecca del gusto. De Stefani ogni mattina porta in incognito i prodotti freschi del giorno come pane cotto a legna e uova sode. Accende il fuoco d’inverno, lava piatti e bicchieri usati, affranca e spedisce le cartoline scritte dai passanti e lasciate sui tavoli. I salami sono appesi. Le bottiglie di vino sul tavolo, da aprire e gustare. «Io non ci sono mai perché il padrone di casa modifica le emozioni delle persone. Ma è come se le conoscessi tutte, perché leggo le dediche da tutto il mondo: Argentina, Giappone, Inghilterra, Namibia, Porto Rico…». Quasi impossibile arrivarci perché non ci sono insegne. «So di gente che ci ha messo tre anni per trovarla. Molti si fanno accompagnare da chi ci è stato» ammette il titolare.

Europee, liste Pd: fuori Massimo D’Alema, dentro Cecile Kyenge

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Massimo D’Alema non c’è, in compenso compare il nome dell’ex ministro Cecile Kyenge. Il Pd sta mettendo a punto le liste di candidati per le prossime elezioni Europee di maggio. Massimo D’Alema non c’è ma per un semplice motivo: il Pd, e lo stesso Renzi, sta lavorando alla sua nomina come Commissario Ue.
In compenso in lista dovrebbe esserci spazio per Cecile Kyenge, ex ministro nel governo Letta. Non ha trovato spazio nel nuovo governo Renzi e per lei potrebbe esserci pronto un posto a Strasburgo.

Nelle liste, ancora non definitive, molti ex ministri, ex presidenti di Regione. Scrive Repubblica:
Quindi nel Nord-est tra i nomi che più circolano c’è Riccardo Illy, l’imprenditore e ex presidente del Friuli Venezia Giulia. Sicura anche la candidatura di Cecile Kyenge. L’ex ministra dell’Integrazione del governo Letta era in pole position per diventare sottosegretario dell’esecutivo Renzi, ma poi non se n’è fatto nulla. Ora dovrebbe correre per il Parlamento europeo. Anche Flavio Zanonato, l’ex ministro dello Sviluppo economico, potrebbe essere in lista nel Nord est come Salvatore Caronna. Capolista dovrebbe essere Paolo De Castro che è stato ministro delle Politiche agricole del governo Prodi. Tra le possibili candidature c’è anche quella di Pippo Civati. Il dissidente del Pd, critico nei confronti di provvedimenti del governo e disciplina di partito, si limita a rispondere di non esserne al corrente.

Quanto costano al M5S le espulsioni? Sessantamila euro a onorevole

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Il M5S, a ogni parlamentare espulso, rinuncia a un “tesoretto” di circa 60mila euro. Lo quantifica Emanuele Buzzi sul Corriere della Sera:
Espulsioni e transfughi, però, potrebbero anche avere un costo politico non indifferente nell’economia del Movimento a Roma. Ogni cittadino, infatti, porta in dote una cifra — circa sessantamila euro — ai Cinque Stelle. Il Movimento, si sa, ha rinunciato ai rimborsi elettorali e le spese politiche sono in gran parte coperte da quel «tesoretto». La drastica riduzione di parlamentari potrebbe comportare forse anche una riduzione dello staff pentastellato. Di sicuro una minore libertà di azione. Basterà attendere qualche giorno per scoprire i primi esiti. Il prossimo round per capire l’orizzonte futuro dei Cinque Stelle è in programma lunedì. All’ordine del giorno la redistribuzione degli incarichi nelle commissioni parlamentari.

I parlamentari M5S rinunciano, si sa, a una parte consistente di ciò che spetterebbe loro. I rimborsi elettorali come la parte di rimborsi e diaria dello stipendio. Tutti soldi che il M5S rendiconta e gira al fondo per le imprese. Diminuendo i parlamentari, e solo con le ultime espulsioni gli addii sono stati 10, diminuisce ovviamente anche la quantità di denaro a disposizione del fondo e delle attività del Movimento. Gli espulsi, sia che si dimettano dal Senato, sia che passino al Gruppo Misto, non sono più tenuti a restituire parte del loro stipendio come invece prevede il regolamento del Movimento.

Roberto Formigoni, Vittorio Feltri e la colazione (rimborsata) da 243 euro

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Una colazione da 243 euro. Nelle carte dell’inchiesta sulle spese della Regione Lombardia spunta anche una colazione tra Roberto Formigoni, ex presidente della Regione, e il giornalista Vittorio Feltri. Una delle tante voci finite nei rimborsi. Feltri, intervistato, non ricorda bene la circostanza, anche perchè risale al 17 novembre del 2009. Ma in compenso trova del tutto congrua la spesa:
243 euro per una colazione, direttore non le pare troppo?

Vada a mangiare al Bolognese o al Baretto.

Dove Davide Boni, ex presidente leghista del consiglio regionale, si è fatto rimborsare 644 euro, di cui 180 per 30 grammi di tartufo?

Appunto. Ci vada questa sera con la sua morosa. Offro io.

Una colazione da duecento euro?

Ho letto, ma io francamente non ricordo una circostanza del genere. E comunque oggi ho ricevuto una telefonata da Formigoni.

Che voleva dirle?

Scusarsi.

Per averle fatto fare la figura dello scroccone?

Perché il mio nome è finito negli atti dell’inchiesta e poi sui giornali. Ma io non sono indagato.

Lei no e nemmeno Formigoni…

Appunto e comunque non ho mai fatto interviste con lui. Ho scritto molti pezzi su Formigoni, in particolare per criticarlo sulla costruzione del Pirellone bis.

La nota spesa dell’ufficio di presidenza, però, è chiara: “243 euro per il servizio colazione”

Con Formigoni mi vengono in mente due incontri non di più, ma non mi chieda le date perché non le ricordo.

Faccia uno sforzo

Uno dei più recenti è stato all’ultimo piano del Pirellone.

Nelle stanze riservate del Celeste, dunque. Poteva essere quel 17 novembre?

Forse, ma francamente dirle il contenuto di quell’incontro è impossibile.

Almeno il menu del giorno?

Ci servirono specialità valtellinesi. Ma sa, io non sono un gran mangione.

Il conto del federalismo fiscale: 130% di tasse in più in 20 anni

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Conto salato, anzi salatissimo ed avvelenato quello presentato dal federalismo fiscale. Secondo le stime fatte dalla Corte dei Conti e presentate in Parlamento la sua applicazione si è tradotta in +130% di tasse in 20 anni. E per fortuna che doveva servire, tra l’altro, ad alleggerire l’imposizione fiscale sugli italiani.
“La chiamavamo devolution l’illusione italiana della fine del secolo scorso – commenta il Sole24Ore – Prima in salsa padana, poi in versione 2.0 (nuovo millennio, appunto) trasformatasi in federalismo fiscale. Un’illusione. ‘Un fallimento’, ha certificato la Corte dei conti quel che sapevamo bene, dopo che gli italiani e le imprese hanno cominciato ad assaporarne i frutti avvelenati”.

Ascoltato in Commissione bicamerale per l’Attuazione del federalismo fiscale, il presidente della Corte Raffaele Squitieri ha certificato di fatto il fallimento della riforma e, cosa ben più importante per i contribuenti, il costo stratosferico che questa ha avuto per gli italiani. Un costo tra l’altro assolutamente non compensato da alcuna forma di vantaggio. Un costo quindi, di fatto, inutile. E anzi, ascoltando Squitieri, si scopre quella che forse è una sorta di acqua calda ma, restando in tema, sempre di una scoperta che scotta si tratta. Il federalismo presupponeva che lo Stato centrale tagliasse i suoi trasferimenti agli enti locali e, conseguentemente, tagliasse anche le imposte ai cittadini. La prima parte è stata fatta, la seconda no. Gli enti locali, da parte loro, per far fronte ai minori trasferimenti hanno ovviamente aumentato le tasse ai loro contribuenti, ma in molti casi più di quanto sarebbe servito per compensare l’ammanco. Insomma, entrambi, Stato centrale ed Enti locali hanno entrambi “marciato” sulle tasse.
Il presidente della Corte ha rilevato “una mancanza di coordinamento fra prelievo centrale e locale, sconfinata nell’aumento della pressione fiscale complessiva a causa di un effetto combinato: lo Stato centrale che taglia i trasferimenti, ma lascia invariato il prelievo di sua competenza; gli enti territoriali che, per sopperire ai tagli dei trasferimenti, aumentano le aliquote dei propri tributi, a volte anche più dell’occorrente”. Secondo Squitieri, “i risultati conseguiti sono stati diversi” rispetto alle indicazioni delle delega e dei decreti attuativi: “Non solo non si trovano tracce di compensazione fra fisco centrale e fisco locale, ma si è registrata una significativa accelerazione” delle entrate centrali e locali; queste ultime, in particolare, “nell’arco di un ventennio hanno” registrato “un balzo di quasi cinque punti in termini reali, con un incremento dell’ordine del 130%. La forza trainante sulla pressione fiscale complessiva, cresciuta dal 38% al 44%, appare imputabile per oltre i 4/5 alla dinamica delle entrate locali. La quota delle entrate locali su quelle dell’intera Pa si è più che triplicata (dal 5,5% del 1990 al 15,9% del 2012)”.
La Corte ha poi quantificato l’impatto della crisi sul mondo delle Autonomie anche in termini di tagli di spesa: dal 2009 al 2012 i tagli sono ammontati a 31 miliardi, di cui 16 sottoforma di inasprimento del Patto di stabilità interno e oltre 15 come minori trasferimenti. Nel 2012 la spesa complessiva delle amministrazioni locali è stata inferiore a quanto previsto prima della crisi di oltre 35 miliardi, una riduzione sia in termini di spesa corrente (-18,2 miliardi) sia in termini di spesa in conto capitale (-17 miliardi, di cui 11,8 di minori investimenti fissi). La spesa primaria è rimasta in linea con il livello tendenziale pre-crisi in termini di Pil.
In questo quadro la spesa sanitaria ha subito una correzione del profilo tendenziale pre-crisi di oltre 15 miliardi. Con la Legge di stabilità 2014 si prefigura nel prossimo triennio una riduzione della spesa primaria degli enti territoriali di oltre 2 miliardi e al netto della spesa sanitaria (+5,5 miliardi tra 2013 e 2016) quella per le amministrazioni territoriali si ridurrebbe di oltre 7 miliardi, di cui 3 di parte corrente. “I tagli alla spesa – ha detto Squitieri – non sono stati indolori dal punto di vista della tenuta e della qualità dei servizi alla collettività. E’ percepito diffusamente l’offuscamento progressivo delle caratteristiche dei servizi che il cittadino può e deve aspettarsi dall’intervento cui è chiamato a contribuire. Nella sanità, ciò ha significato, in molte Regioni, servizi di assistenza ad anziani o disabili inadeguati agli standard; qualità della offerta ospedaliera insufficiente e alla base di un incremento della mobilità sanitaria”. A cui si aggiunge “una crescente difficoltà di mantenimento dei servizi di trasporto pubblico locale”.

Derivati al Comune di Milano: banche e manager assolti, non fu truffa

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La Corte d’Appello di Milano ha assolto, oltre a Ubs, Deutsche Bank, Depfa Bank e Jp Morgan, anche i 9 manager ed ex manager degli istituti di credito imputati per la truffa dei derivati al Comune di Milano.
Per tutti l’assoluzione è arrivata perché il fatto non sussiste. I giudici hanno ribaltato la sentenza con cui in primo grado le quattro banche erano state condannate al pagamento di un milione di euro di multa e alla confisca di 89 milioni di euro.

Secondola sentenza di primo grado le quattro banche internazionali avrebbero ”raggirato” l’amministrazione comunale milanese stipulando nel 2005 uno swap (cioè un contratto che implicava flussi di cassa) trentennale senza informare il Comune di tutti i rischi. I contratti furono stipulati sotto la giunta di Gabriele Albertini e rinnovati sotto la giunta di Letizia Moratti. Ora la sentenza d’appello ribalta quella primo grado dando a banche e manager un’assoluzione piena.