30 Settembre 2024, lunedì
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Renzi, vigilia da mercoledì da leone

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Per il presidente del consiglio, Matteo Renzi è la vigilia di un “mercoledì da leoni” in cui svelerà la sua scelta sui tagli al cuneo fiscale, irpef, irap o entrambe, e proverà a mantenere la promessa avanzata nei giorni scorsi. Questa: «Mercoledì per la prima volta si abbassano le tasse. Non ci crede nessuno? Lo vediamo», aveva detto domenica sera, specificando che si tratterà di un taglio da 10 miliardi. In queste ore sta lavorando per trovare tutte le coperture necessarie. Ieri da Bruxelles il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, aveva spiegato che i tagli verranno finanziati con i tagli della spesa già annunciati dal precedente governo, con risultati a medio termine, nel giro di due, tre anni.

“Per la prima volta domani sarà messa nelle tasche degli italiani una significativa quantità di denaro”, ha detto Renzi, questa mattina all’assemblea del Pd, anticipando le decisioni del Consiglio dei ministri di domani, durante il quale sarà presentato un pacchetto di norme sulla crescita e sul lavoro. “Faremo un disegno legge delega sul lavoro, ad aprile saremo pronti con la riforma della pubblica amministrazione, a maggio attueremo la delega sulla riforma fiscale, a giugno il pacchetto di riforme sulla giustizia”.

A questo mercoledì da leone il premier non ci arriva certo accompagnato da un corso festoso. Le tappe di avvicinamento del premier, infatti, sono state contrassegnate finora da un aspro confronto con i sindacati, in particolare con la Cgil di Susanna Camusso e in ultimo dagli avvertimenti del leader di Confindustria, Giorgio Squinzi. Lo stato delle cose è questo, nella scelta tra la riduzione dell’Irpef “per i redditi fino a 1500 euro mensili” annunciata dal premier e le richieste delle imprese, che reclamano a gran voce l’abbattimento immediato e forte dell’Irap, il presidente del consiglio dovrà cercare l’accordo, che gli piaccia o no.

L’attacco della Cgil

Duro è stato ieri l’ennesimo affondo di Camusso: “Renzi mi è parso disattento al fatto che c’è una parte del Paese che ha pagato un prezzo altissimo durante questa crisi, che ha più volte cercato di invertire le politiche economiche proprio perché la crisi non continuasse a precipitare e che ora attende una svolta». Così la segretaria generale della Cgil, ha replicato da Bari al presidente del Consiglio che domenica sera, intervistato da Fabio Fazio, aveva detto che se i sindacati si metteranno di traverso alle sue proposte di riforma del mondo del lavoro il governo “se ne farà una ragione”. Una affermazione che aveva scatenato la reazione della Cgil, appoggiata questa volta dal segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni. E’ stata però Camusso a lanciare l’avvertimento più duro: “Renzi deve sapere che quella parte del paese e quella parte del mondo del lavoro e delle pensioni sta guardando ai suoi tanti annunci e alle coerenze che poi ci saranno tra gli annunci che fa e l’idea di avere una effettiva svolta di politica economica. Deve sapere che se risposte ai lavoratori non arrivano o se si tolgono risorse e si riduce la coperta degli ammortizzatori ci sarà un problema di risposta al mondo del lavoro». «Capisco che Renzi abbia una visione calcistica, ma il mondo non è fatto di derby. Il tema è a chi vuoi dare delle risposte», ha detto Camusso. Che sulla scarsa trasparenza dei bilanci dei sindacati lamentata da Renzi è stata netta: “Cominci lui a fare chiarezza, i sindacati mettono i bilanci on line da anni”.

Confindustria: ridurre del cuneo fiscale pagato dalle aziende

Nel dibattito sulla riduzione delle tasse interviene anche Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. In una lettera al Corriere della Sera il leader degli industriali dice che la misura ideale sarebbe “la riduzione del cuneo fiscale pagato dalle aziende e non l’intervento annunciato dal premier a favore delle famiglie con qualche decina di euro in più in busta paga. Per Squinzi “un miglioramento di competitività di costo si tradurrebbe immediatamente in effetti positivi sia sull’occupazione, sia sulla competitività d’impresa”. Per Squinzi ridurre il cuneo fiscale paghato dalle aziende “vorrebbe dire venire incontro a chi produce e genera valore in Italia, allo sforzo di chi crede nel nostro Paese. La riduzione del costo del lavoro agirebbe in favore degli occupati e di chi un lavoro purtroppo oggi non ce l’ha, ma lo avrebbe se il suo costo gravasse meno sul bilancio delle imprese”.

Renzi tira dritto

Certo è che Renzi, nel corso dell’ultima puntata di Che Tempo che fa su Rai Tre era stato chiaro: “Per la prima volta si abbassano le tasse, mercoledì ce ne occuperemo in consiglio dei ministri . Noi stiamo mettendo le date, una cosa che è un rischio pazzesco, ma è una cosa fondamentale. Mercoledì diamo ufficialmente inizio a un percorso: c’è l’impegno ad abbassare di 10 miliardi di euro le tasse”. Il presidente del Consiglio non ha voluto dare dettagli e ha preferito non chiarire se l’intervento sarà focalizzato su Irpef o su Irap, e ha mandato un segnale chiaro ad associazioni di categoria e sindacati. “Non vogliamo sia un derby tra tra Irpef e Irap, tra sindacati e Confindustria, ha detto Renzi rispondendo a Fazio. “Ascoltiamo tutti ma poi decidiamo noi”. E se Cgil e Confindustria non sono d’accordo “che hanno fatto negli ultimi 20 anni”? Renzi, in realtà, sembra orientato verso il taglio dell’Irpef, ma nel governo c’è chi, come il vice ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, si schiera a favore del taglio dell’Irap, che “aiuterebbe a tenere le fabbriche aperte e a conservare posti di lavoro”, mentre una riduzione dell’Irpef “se le aspettative rimangono negative” rischia di “indurre le famiglie a risparmiare invece di consumare”.

Prodi chiarisce e suggerisce

Sul collegamento tra la riduzione del cuneo fiscale e quanto fece il suo governo, Romano Prodi in questi giorni ne ha sentite di tutti i colori tanto da soingere il suo ufficio stampa a diffondere una nota nella quale cerca di fare chiarezza.”In relazione ai numerosi e diversi commenti apparsi in questi giorni riguardo alla riduzione del cuneo fiscale e alle critiche riguardanti l’allocazione dei suoi vantaggi, si specifica che l’operazione di riduzione degli oneri sul costo del lavoro del governo Prodi nel 2007 è stata di 7 miliardi di euro, divisi per il 60% a favore delle imprese e per il 40% a favore dei lavoratori”, si legge nella nota. “La ragione di questa divisione derivava dal fatto che nella situazione congiunturale di allora appariva soprattutto necessario diminuire il costo del lavoro per ripristinare la capacità concorrenziale che si andava perdendo”. Poi una riflessione: visto che “il problema dominante è la caduta verticale del potere d’acquisto dei lavoratori e la preoccupazione numero uno delle imprese è l’impressionante caduta della domanda interna. Oggi sarebbe per tutti conveniente dedicare il beneficio della riduzione del cuneo fiscale al potere d’acquisto dei lavoratori”.

Ue, scambio dati a tappeto

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Sta per completarsi il mosaico dello scambio automatico di informazioni fiscali tra paesi europei. Austria e Lussemburgo, gli ultimi stati a opporre resistenza, sono ormai pronti a cedere. E oggi il consiglio dei ministri economici e finanziari dell’Ue (Ecofin) potrebbe dare il via libera alle modifiche (attese da quasi sei anni) della direttiva sulla tassazione dei redditi da risparmio che rafforzano il piano europeo di lotta all’evasione fiscale. Si tratta di uno dei due pilastri legislativi con cui l’Ue vuole allinearsi al nuovo standard globale per lo scambio di informazioni automatico tra Stati diversi per combattere l’evasione, adottato dal G20 nelle sue linee generali alla fine di febbraio e messo a punto dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) per entrare in vigore alla fine del 2015. Vi hanno aderito oltre 42 paesi e questo ha il suo peso. Tanto che l’idea di regole uguali per tutti per lo scambio di informazioni automatico, cosa inconcepibile fino a pochi anni fa, pare aver fatto breccia anche negli stati europei più riluttanti a rinunciare alle loro prerogative in materia di segreto bancario. Come appunto Austria e Lussemburgo.

Padoan: il taglio del cuneo fiscale sarà coperto in modo permanente da riduzione alla spesa

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Il taglio al cuneo fiscale annunciato dal Governo Renzi sarà coperto in modo permanente da tagli alla spesa pubblica. Questa la promessa con cui il neo ministro all’Economia, Pier Carlo Padoan, ha esordito a Bruxelles alla sua prima riunione dell’Eurogruppo quale rappresentante dell’Italia. Nell’illustrare ai colleghi europei la nuova agenda dell’Esecutivo, Padoan ha sottolineato come in Italia ci sia bisogno di un orizzonte a medio termine, l’unico in grado di rendere «tangibili i risultati delle riforme strutturali».

Spending review strumento fondamentale
In questa prospettiva, ha aggiunto nel corso di una conferenza stampa seguita alla riunione con i colleghi europei, la spending review costituisce uno «strumento fondamentale, non solo uno strumento per ottenere risorse, ma anche per cambiare meccanismi di spesa, é una riforma strutturale». Entrando più nei dettagli, il ministro ha quindi ricordato i cardini del programma di Governo sul fronte dei conti pubblici, che «passa per riforme strutturali, con riduzione del cuneo coperto in modo permanente da tagli di spesa, condizione importante per garantire la sostenibilità di bilancio». Il Governo italiano, ha poi aggiunto, non viene a Bruxelles «per chiedere favori ma per fare delle cose».

Pil, numeri dell’Italia più vicini che in passato a stima Ue
Parlando invece delle stime sul Pil nazionale, il ministro mostra ottimismo, e spiega che «I numeri che abbiamo sott’occhio sono più vicini a quelli della Commissione di quanto non fossero in passato. Il mio atteggiamento è di esser prudente, preferisco tenermi basso».

Vincoli di bilancio non in discussione, ma accento su lavoro e crescita
La priorità per l’italia, aggiunge il neo inquilino di via XX settembre, « é naturalmente quella di politiche a favore di crescita e occupazione, non disperdendo l’enorme risultato di avere oggi finanze pubbliche più sostenibili di qualche tempo fa, sarebbe una sciochezza, per usare un understatement». Poi rassicura: «Mettere in discussione vincoli e regole vorrebbe dire che quel che si é fatto era sbagliato, ma per me non era così. Spostiamo l’enfasi su crescita e occupazione».

Riforme: partire subito, risultati nel giro di 2-3 anni
Dal ministro, anche alcune indicazioni sull’arco temporale necessario per fare un bilancio delle riforme su cui punta il Governo. Con le riforme, ha sottolineato ai giornalisti, «bisogna cominciare subito. I risultati saranno crescenti nel tempo e saranno probabilmente significativi nel giro di due-tre anni».E riferendosi ad uno degli interventi più attesi, il taglio del cuneo fiscale, ha ribadito che «Lo sforzo di aggiustamento strutturale in un orizzonte di medio termine, nel quale si pone il Gverno, passa per le riforme strutturali, per la riduzione del cuneo fiscale», che sarà «coperta in modo permanente da tagli di spesa».

Scelte in linea con quelle del Governo Letta, ma accelerate
Nel corso della conferenza stampa, Padoan ha chiarito come molte delle iniziative del nuovo Esecutivo siano «in linea con la direzione e gli obiettivi del Governo precedente», ma con una differenza: «intendiamo accelerare i meccanismi di implementazione che portano altre risorse, come la spending review che é uno strumento fondamentale».

Saccomanni: taglio tasse possibile, problema è individuare tagli alla spesa
Quasi in contemporanea, in Italia, le parole di Padoan si sono rispecchiate nell’intervento dell’ex ministro dall’Economia Fabrizio Saccomanni, che intervendendo ad “Otto e mezzo”, su La7, ha spiegato di ritenere «possibile» una riduzione delle tasse, e che «il problema è trovare le risorse facendo un taglio energico della spesa». Commentando le dichiarazioni di Padoan, Saccomanni ha ricordato che «Anche l’esecutivo Letta ha iniziato un progetto che prevedeva la riduzione della spesa e delle tasse. Abbiamo impostato un lavoro di medio periodo, Cottarelli ha preso servizio ad ottobre con un programma che sarebbe stato ultimato entro febbraio e a marzo avremo preso una decisione».

 

Mutui, il mercato delle case torna a 30 anni fa. Calano gli spread (-20 punti in un mese) e si moltiplica l’offerta

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Il mercato immobiliare italiano è tornato indietro di 30 anni. Nel 2013 le compravendite residenziali sono diminuite del 9,2% a quota 403mila, sotto i livelli del 1985. Lo dice l’agenzia delle Entrate. E dice anche che nel 2013 stati erogati mutui per l’acquisto di un’abitazione per 17,6 miliardi di euro, il 10,6% in meno rispetto al 2012.

Le compravendite di abitazioni realizzate nel 2013 avvalendosi di un mutuo, con iscrizione di ipoteca sugli immobili acquistati a garanzia del credito, sono calate del 7,7% annuo. Per un’abitazione il capitale medio erogato nel 2013 è stato di 122mila euro, circa 4mila euro in meno rispetto al 2012. È pari a 22 anni e mezzo la durata media di un mutuo stipulato nel 2013, lievemente inferiore al dato medio del 2012 (22,9 anni).

C’è però un dato positivo, un ago nel pagliaio. È leggermente cresciuta la quota di abitazioni acquistate da persone fisiche con il ricorso al mutuo ipotecario, portatasi al 37,2%. In pratica quattro cittadini su 10 che comprano casa lo fanno attraverso il mutuo. Questo vuol dire che, volenti o nolenti, le banche hanno riaperto i rubinetti. Nel 2014 il quadro dovrebbe essere migliore dato che alcuni istituti hanno aumentato i plafond da destinare ai prestiti ipotecari. Anche perché – adesso che i titoli di Stato rendono meno e che “conviene” restituire i prestiti agevolati della Banca centrale europea per meglio figurare nei test sul capitale – il margine che si ottiene prestando all’economia reale è in aumento.

Che le banche stiano riaprendo un po’ i rubinetti lo si nota anche dalla velocità con cui gli spread sui mutui stanno scendendo. Questa tabella sulle offerte di mutuo evidenzia che da metà febbraio ad oggi le banche oggi più attive nell’offerta di prestiti ipotecari hanno tagliato di 10-20 punti base gli spread.

Il mercato però non è del tutto normalizzato. Sia perché gli spread sono abbondantemente superiori al 2% e lontanissimi dall’1,5% medio del periodo pre-crisi (fino a metà 2011 le proposte più aggressive si spingevano sotto l’1%) mentre lo spread BTp-Bund è invece tornato ai tempi non sospetti. E anche perché adesso vanno di moda le offerte con pricing differenziato, con lo spread che si riduce se l’aspirante mutuatario ha più contanti. In sostanza, minore è il valore del prestito chiesto in relazione al valore dell’immobile (loan to value) e di conseguenza maggiore è la liquidità iniziale che lo stesso mette sul piatto per l’acquisto dell’immobile, più basso è lo spread. Questa è la nuova regola.

Tra le principali banche, di quelle che applicano ancora la regola del “prezzo uguale per tutti” ne sono rimaste in tre: Bnl-Bnp Paribas, Banca popolare di Milano e Chebanca!. Da pochi giorni è entrata invece nel mondo delle “offerte differenziate in base al contante di partenza del mutuatario” anche Deutsche Bank che pratica due spread: 2,4% per chi chiede un mutuo con un loan to value fino al 60% e del 2,5% per chi si spinge dal 61 all’80%. Due prezzi anche per Ing direct (2,6% fino al 70% e 2,8 % dal 71% all’80%) che pure nelle ultime tre settimane ha ritoccato al ribasso di 10 punti il margine richiesto per il finanziamento. UniCredit è passata da due a tre prezzi. Ne ha aggiunto uno, il 2,25%, che riguarda mutui fino metà del valore dell’immobile. Due prezzi anche per Webank (2,6% e 2,7%) e Cariparma Crédit Agricole. Quest’ultimo istituto è quello che oggi offre lo spread più basso per soglie fino all’80%, il 2,55%, mentre Deutsche Bank si colloca con l’offerta più bassa su mutui a tasso variabile con loan to value del 60% (2,4%).

Caso particolare è quello di Intesa Sanpaolo, che continua ad essere tra i principali erogatori di mutui in Italia non avendo interrotto i rubinetti neppure nei momenti di crisi. In questo momento è in campo con un’offerta modulata su cinque livelli: dal 2,5% (loan to value fino al 50% al 3,6% per chi chiede il 100%). Inoltre, in questo momento Intesa Sanpaolo, secondo le rilevazioni di Mutuisupermarket.it, è l’unico istituto che si spinge con prestiti superiori all’80% del valore della casa. In questo caso però aumenta decisamente il costo 50 punti base in più (rispetto a un’offerta all’80%) per chi opta per il 95% e 85 punti base in più per chi chiede il 100%.

Caleranno ancora? «Ci si attende una potenziale nuova riduzione degli spread dell’ordine dei 10-20 punti base sui prossimi 2-3 mesi e comunque entro l’estate, anche perchè alcune importanti banche attive sul mercato dei mutui non hanno ancora rimodulato la propria offerta rispetto a fine 2013, e quindi non hanno fattorizzato ancora i minori costi di approvvigionamento della liquidità – continua Rossini -. È ragionevole inoltre pensare che, se gli indicatori economici principali di ripresa (domanda interna, disoccupazione) si muovono in direzione positiva, ci sarà un’ulteriore riduzione degli spread ancora una volta dell’ordine dei 10-20 basis point o forse anche più prima della fine dell’anno, in funzione dell’intensità di crescita degli indicatori di ripresa economica. Questo porterebbe gli spread sui mutui a valori attorno al 2% o leggermente inferiori, in linea con i valori degli spread di fine 2011, di ben 36 mesi fa.

Le Sezioni Unite sul sequestro preventivo per reati tributari – Sez. Un. 10561/2014

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Depositate il 5 marzo le motivazioni della sentenza n. 10561 delle Sezioni Unite relativa alla ammissibilità del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente nei confronti di beni di una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante della stessa.

Come avevamo anticipato, infatti, attraverso l’ordinanza numero 46726 del 2013 la terza sezione penale della Corte di Cassazione aveva rimesso alla Sezioni Unite ex art. 618 c.p.p la seguente questione di diritto concernente il sequestro preventivo per reati tributari:

“se sia possibile o meno aggredire direttamente i beni di una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentate della stessa“.

L’udienza si è tenuta il 30 gennaio 2014 e il 5 marzo 2014 sono state depositate le motivazioni.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione, in particolare, hanno affermato che è consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto derivante dal reato tributario commesso dai suoi organi, quando detto profitto, costituito da denaro o da altri beni fungibili, o i beni direttamente riconducibili ad esso, siano nella disponibilità di tale persona giuridica.

Nella specie, la Corte ha tuttavia dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’indagato – che chiedeva che il sequestro preventivo, disposto per equivalente su un suo bene, fosse invece rivolto direttamente nei confronti dell’ente – in quanto la somma di denaro non corrisposta all’erario, cioè il profitto derivante dal reato, era stata utilizzata dalla stessa società per il pagamento dei dipendenti e, quindi, non era più nella disponibilità della persona giuridica.

Detenzione di materiale pedopornografico: le motivazioni della Cassazione nei confronti di Alberto Stasi

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Depositate il 5 marzo 2014 le motivazioni con cui lo scorso 16 gennaio la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna nei confronti di Alberto Stasi per la accusa di detenzione di materiale pedopornografico.

In punto di diritto, la questione fondamentale da esaminare riguardava la possibilità di configurare il reato di cui all’art. 600-quater c.p. in presenza di frammenti di file che, in quanto tali, non siano visionabili o apribili in assenza di particolari accorgimenti informatici o strumentazioni che non sono state rinvenute nella disponibilità dello Stasi.

La Terza Sezione della Corte ha ritenuto fondato il ricorso proposto dal ricorrente.

In particolare, i giudici di Piazza Cavour hanno affermato che il “materiale pedo-pornografico” individuato quale oggetto materiale delle condotte di procacciamento e detenzione incriminate dall’art. 600-quater deve consistere, quando si tratti di materiale informatico “scaricato” in internet, in files completi, incorrotti e visionabili o comunque potenzialmente fruibili per mezzo degli ordinari strumenti e competenze informatiche, dei quali sia provata la disponibilità in capo all’utente.

Nei confronti dello Stasi – osserva la Corte – il reato contestato consiste nell’essersi procurato o comunque l’aver detenuto i filmati: alla condanna, tuttavia, si è giunti sulla base della sola ritenuta detenzione dei file. Non è stato possibile accertare se i frammenti fossero tali – cioè incompleti – in quanto frutto di una successiva cancellazione ovvero perchè non scaricati compiutamente. Nemmeno è stato provato che lo Stasi li abbia potuti visionare o da quale sito siano stati scaricati.

Va in ogni caso chiarito, per fugare ogni dubbio, che la condotta di colui per il quale vi sia prova di essersi volontariamente procurato del materiale pedopornografico per poi essersene disfatto – cancellandolo dal pc o rendendolo non punibile – sarebbe punibile ai sensi dell’art. 600-quater c.p.; analogamente, sarebbe punibile sotto forma di tentativo la condotta di chi – ad esempio facendo solo delle ricerche – abbia compiuto atti diretti in modo non equivoco a procurarsi materiale pedopornografico. Sulla scorta di quanto si legge nelle motivazioni del provvedimento impugnato, tuttavia, non è questo il caso del presente processo, in cui tale prova non è stata raggiunta. E forse – osserva la Corte – nemmeno più di tanto ricercata, essendosi focalizzata la azione degli inquirenti sulla detenzione dei file.

Pertanto, nel rispondere al quesito iniziale – quello, cioè, circa la possibilità di configurare la detenzione di un qualcosa che non è immediatamente visionabile – deve osservarsi che, se anche il Legislatore avesse inteso introdurre nella norma il “consapevolmente” solo per quanto riguarda il “procurarsi” – ma non pare essere così – è evidente che anche la detenzione di un qualcosa, per essere colpevole, debba essere consapevole: per detenere un qualcosa occorre essere in grado di fruirne. E la fruibilità, per quanto riguarda i files, dipende dalla loro allocazione sul pc e dalla loro leggibilità.

Nel caso di specie, dunque, è stata annullata senza rinvio la sentenza di condanna pronunciata in relazione a minuscoli frammenti illeggibili di materiale informatico, in un contesto nel quale non risultava provato che la frammentazione derivasse dalla parziale cancellazione di files previamente scaricati in maniera completa, né che l’imputato disponesse degli strumenti idonei alla ricomposizione in sequenze leggibili dei frammenti rinvenuti.

Pubblico ufficiale a libro paga: è configurabile il 319 c.p. e non il 318 c.p.

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Si segnala alla attenzione dei lettori il deposito di un’interessante pronuncia della sesta sezione penale in tema di reati contro la pubblica amministrazione con la quale si è affrontato il tema del totale asservimento della funzione pubblica o, per dirla in altri termini, del pubblico ufficiale a libro paga del privato corruttore.

Senza riepilogare la vicenda, per cui si rimanda alla sentenza di cui è disponibile il download, in motivazione i giudici della sesta sezione (v. pag. 8 delle motivazioni, punto 4.6.2.) affrontano la problematica relatica alla eventualità che l’ipotesi del cd. pubblico ufficiale a libro paga del privato – ipotesi disegnata dall’evoluzione giurisprudenziale e pacificamente sussunta nell’ipotesi di corruzione propria ex art. 319 c.p. – possa o debba essere oggi ricondotta nella previsione del novellato art. 318 c.p., come sembrerebbe da una prima lettura (v. in particolare Cass. Pen., Sez. VI, n. 19189 dell’11 gennaio 2013 secondo cui “il nuovo art. 318 c.p. ha determinato un’estensione dell’area di punibilità, in quanto ha sostituito alla precedente causale del compiendo o compiuto atto dell’ufficio, oggetto di “retribuzione”, il più generico collegamento, della dazione o promessa di utilità ricevuta o accettata, all’esercizio delle funzioni o dei poteri del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio così configurando, per i fenomeni corruttivi non riconducibili all’area dell’art. 319 c.p., una fattispecie di onnicomprensiva “monetizzazione” del munus pubblico, sganciata in sè da una logica di formale sinallagma e idonea a superare i limiti applicativi che il vecchio testo, pur nel contesto di un’interpretazione ragionevolmente estensiva, presentava in relazione alle situazioni di incerta individuazione di un qualche concreto comportamento pubblico oggetto di mercimonio”).

Nel fornire soluzione a questo interrogativo, i giudici di Piazza Cavour hanno però affermato che lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, attraverso il sistematico ricorso ad atti contrari ai doveri di ufficio non predefiniti, né specificamente individuabili “ex post”, configura il reato di cui all’art. 319 cod. pen., e non il più lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’art. 318 cod. pen. (nel testo introdotto dalla legge 6 novembre 2012, n. 190).

A sostegno di questa interpretazione – conclude la Corte – si consideri che la condotta di un pubblico ufficiale che compia per denaro o altra utilità un solo suo atto contrario ai doveri d’ufficio è punito con una pena cospicua oscillante tra i quattro e gli otto anni di reclusione (come da novellato incremento delle pene dell’art. 319 c.p.); al contrario – aderendo alla tesi del ricorrente – un pubblico ufficiale stabilmente infedele, che ponga la sua intera funzione e i suoi poteri al servizio di interessi privati per un tempo prolungato attraverso il sistematico ricorso ad atti contrari alla funzione non specificatamente individuabili (altrimenti, è ovvio, si configurerebbe il 319 c.p.) si vedrebbe irragionevolmente punito con una pena assai più mite, qual è quella del riformato art. 318 c.p. (da uno a cinque anni di reclusione).

Tutto ciò, malgrado appaia indiscutibile la ben maggiore offensività e il più elevato disvalore giuridico e sociale della seconda condotta, nella quale si ha un costante asservimento agli interessi personali di terzi privati.

Sul nuovo art. 73 comma 5 dpr 309/90 dopo la sentenza della Corte Costituzionale 32/2014

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Con la pronuncia che si segnala ai lettori (udienza il 28 febbraio 2014, deposito il 5 marzo 2014) la quarta sezione della Corte di Cassazione ribadisce quanto già affermato sulla natura giuridica del nuovo art. 73 comma 5 dpr 309/90 (T.U. degli Stupefacenti) e prende posizione sulle conseguenze della pronuncia n. 32/2014 della Corte Costituzionale (illegittimità della Legge Fini Giovanardi) sulla disposizione in questione.

Come avevamo già anticipato segnalando due diverse pronunce della Corte di Cassazione (puoi visualizzare le notizie relative alle sentenze nella barra a destra), infatti, in seguito all’introduzione dell’art. 2 D.L. 23 dicembre 2013, n. 146 – cd. decreto “svuota carceri” – l’art. 73 comma 5 dpr 309/90 configurerebbe un titolo autonomo di reato e non più una circostanza attenuante.

Avevamo inoltre segnalato che la stessa Corte di Cassazione – in una relazione dell’ufficio del Massimario – nel porsi il problema della nuova qualificazione giuridica della fattispecie aveva fatto notare come nella nuova formulazione vi fossero una serie di «indici sintomatici del proposito di qualificarla come un autonomo titolo di reato» tra cui veniva segnalato, in particolare, l’inserimento della clausola di sussidiarietà – prova, questa, del fatto che «l’ambito di applicazione della norma è segnato in negativo dalla configurabilità di un “più grave reato”, espressione la quale apparentemente presuppone che il fatto considerato dal quinto comma dell’art. 73 costituisca esso stesso già un reato».

Ad ulteriore conferma della tesi favorevole a riconoscere nella nuova disposizione un titolo autonomo di reato vi sarebbero – secondo i giudici – due elementi d’indole obiettiva (valutabili nella prospettiva di una possibile ricostruzione della volontà storica del legislatore), integrati dalle dichiarazioni rilasciate, in sede politica, al momento della deliberazione del D.L. n. 146 del 2013, dalle quali si evince, per l’appunto, l’intenzione di configurare “una nuova ipotesi di reato in luogo della previgente circostanza attenuante” (comunicato-stampa rilasciato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri all’esito del Consiglio dei Ministri n. 41 del 17 dicembre 2013), nonchè dalla relazione al disegno della legge di conversione del decreto, che espressamente qualifica, quella del riformulato D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, come fattispecie autonoma di reato.

Chiarito, insomma, che non si è più di fronte ad una circostanza attenuante, la Corte si è soffermata sulle conseguenze della recente pronuncia della Corte Costituzionale relativa alla legittimità della legge Fini Giovanardi: con la sentenza n. 32/2014 del 25.2.2014 – si legge nelle motivazioni – la Corte Costituzionale ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, art. 4 bis e art. 4 vicies ter, (convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, art.1, comma 1), con i quali il legislatore aveva uniformato il trattamento sanzionatorio relativo alle ipotesi di reato concernenti le c.d. “droghe leggere” con quelle riferite alle c.d. “droghe pesanti”; trattamento sanzionatorio che, viceversa, il testo originario del D.P.R. n. 309 del 1990 aveva configurato in termini largamente differenziati, mediante la previsione di una cornice edittale di maggiore o minore severità in relazione alla specifica natura della sostanza stupefacente considerata.

Secondo l’espressa indicazione del giudice delle leggi, con la dichiarazione dell’illegittimità costituzionale delle norme impugnate, “riprende applicazione il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 nel testo anteriore alle modifiche con queste apportate” (con il conseguente ripristino del differente trattamento sanzionatorio dei reati concernenti le cosiddette “droghe leggere”, puniti con la pena della reclusione da due a sei anni e della multa, rispetto ai reati concernenti le cosiddette “droghe pesanti”, puniti con la pena della reclusione da otto a venti anni, oltre la multa), atteso che i vizi procedurali in cui era incorso il legislatore del 2006 (in sede di conversione dell’originario decreto-legge), dovevano considerarsi tali da dar luogo ad un atto legislativo affetto da un “vizio radicale nella sua formazione (come tale) inidoneo ad innovare l’ordinamento e, quindi, anche ad abrogare la precedente normativa (sentenze n. 123 del 2011 e n. 361 del 2010)”, ponendosi per il giudice ordinario il compito di “individuare quali norme, successive a quelle impugnate, non siano più applicabili perchè divenute prive del loro oggetto (in quanto rinviano a disposizioni caducate) e quali, invece, devono continuare ad avere applicazione in quanto non presuppongono la vigenza degli artt. 4 bis e 4 vicies ter” dichiarati costituzionalmente illegittimi.

In altri termini, con particolare riguardo alla norma di cui al D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, art. 2, occorre domandarsi se la stessa, nell’introdurre la fattispecie autonoma di reato di cui al “nuovo” D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, debba ritenersi non più applicabile (perchè “divenuta priva del proprio oggetto”, nella misura in cui rinvii a disposizioni caducate), ovvero se la stessa debba continuare ad avere applicazione, in quanto non presupponga la vigenza degli artt. 4 bis e 4 vicies ter dichiarati costituzionalmente illegittimi.

Ebbene, hanno ritenuto i giudici che l’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, come modificato dall’art. 2 d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni nella legge 2014, n. 10 disciplina un’autonoma fattispecie di reato concernente i “fatti di lieve entità”, la quale non è stata travolta dalla sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale e conserva una propria giustificazione sistematica anche nel mutato quadro di riferimento generale, operante una distinzione del trattamento sanzionatorio a seconda che la condotta incriminata riguardi le “droghe pesanti” o le “droghe leggere”.

In altre parole, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014, l’efficacia modificativa dell’art. 2 deve ritenersi intervenuta sul (l’unico) testo (valido) del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, ossia sul testo previgente rispetto alla riforma giudicata costituzionalmente illegittima tornato ipso iure in vigore a seguito dell’intervento del giudice delle leggi. E’ pertanto in tale prospettiva – concludono i giudici – che pare potersi intendere il passaggio contenuto nella più volte richiamata sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale, là dove afferma come “gli effetti del presente giudizio di legittimità costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica disposta con il D.L. n. 146 del 2013, sopra citato, in quanto stabilita con disposizione successiva a quella qui censurata e indipendente da quest’ultima“.

Meet The Media Guru – David Pescovitz

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Incontro, che da il via alla nona edizione di Meet the Media Guru, sulle tendenze e i cambiamenti tecnologici del futuro, spaziando dalla rete, allo spazio e alla bioingegneria.

David Pescovitz indaga da 20 anni gli scenari tecnologici del futuro in qualità di giornalista, editore, ricercatore e consulente.
Co-editor e managing partner di Boing Boing, blog con oltre 5 milioni di lettori al mese; Direttore di Ricerca presso l’Institute for the Future, noto think tank di Palo Alto che da 45 anni affianca organizzazioni internazionali, enti governativi e imprese nell’analisi dei trend futuri e nella costruzione di strategie di lungo periodo.

Ore: 19:30
Dove: Mediateca Santa Teresa – via della Moscova, 27 – Milano.

CLUB PER IMPRENDITORI ”S-CAMBIARE PER CRESCERE”

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Imprenditori insieme per lo sviluppo

Il Club degli Imprenditori nasce da una riflessione congiunta sulla natura istituzionale di Formaper e sulla formazione imprenditoriale, anche alla luce delle sfide imposte dal contesto economico attuale.

Il titolare di imprese di minori dimensioni tende ad investire in attività in grado di generare vantaggi diretti e immediati, ha un approccio operativo e informale, diffida della terminologia gergale e fumosa spesso proposta in contesti formativi. Negli ultimi anni si è forse acuita l’esigenza di un “apprendimento dai pari”, fondato sullo scambio e il confronto, favorito da facilitatori più che guidato da “esperti”. La possibilità di riflessione comune con altri Imprenditori, per condividere e lavorare insieme su criticità, soluzioni, esempi concreti di eccellenza e co-progettare direzione e contenuti del proprio sviluppo.

Alla luce di queste riflessioni, Formaper ha lanciato nei primi mesi del 2012 il Club degli Imprenditori, un’iniziativa qualificata e innovativa, in buona parte sganciata dalle modalità formative più tradizionali e aperta unicamente agli Imprenditori.

Al 31 gennaio 2014 hanno aderito al Club n° 240 Imprenditori soci.

OBIETTIVI

Mettere a disposizione degli Imprenditori un tempo-luogo, fisico e virtuale, di scambio, riflessione ed elaborazione di conoscenze, esperienze e soluzioni a criticità fronteggiate nel proprio ruolo
Favorire lo sviluppo di una comunità imprenditoriale che costruisce relazioni fiduciarie per generare nuove idee, sviluppare opportunità di business e creazione di reti
Offrire un’opportunità innovativa, co-progettata, snella e flessibile, di crescita delle competenze imprenditoriali
Contribuire al consolidamento della partnership tra Camera di Commercio di Milano e imprese, favorendo processi di informazione sui servizi offerti e di ascolto delle esigenze.
DESTINATARI

L’iniziativa è riservata esclusivamente ad Imprenditori di qualsiasi settore, titolari di aziende iscritte al Registro Imprese. L’iscrizione al Club è consentita anche ai ruoli di vertice delle cooperative. Possono essere valutate candidature di titolari di studi associati e attività autonome che si avvicinino alla forma d’impresa (presenza di dipendenti, ecc.).

L’iscrizione è comunque subordinata ad una valutazione preventiva a cura di un esperto Formaper, volta a focalizzare motivazioni e aspettative della partecipazione e alla compilazione della scheda di richiesta partecipazione >>.

MODALITA’ DI PARTECIPAZIONE

La partecipazione a qualsiasi attività del Club è strettamente riservata esclusivamente agli Imprenditori iscritti. Non è pertanto prevista la partecipazione di dipendenti e collaboratori delle imprese associate.

La modalità di partecipazione è pienamente personalizzabile secondo i propri interessi ed esigenze, ma viene richiesta una reale motivazione e disponibilità all’esperienza descritta.

Novità! Dal 1° Febbario 2014 sono previste due diverse modalità di iscrizione al Club:

Modalità “BASIC”, completamente gratuita e con possibilità di accesso ad alcuni servizi e iniziative di base. Tutti gli attuali Soci del Club sono già automaticamente inclusi in questa modalità di partecipazione.

Servizi ed attività “BASIC” >>
Scarica la scheda di iscrizione >>
Modalità “PREMIUM”, che prevede una quota di iscrizione annuale e che consente la fruizione, sia di quanto previsto dalla modalità “Basic”, sia di tutti gli ulteriori servizi e attività del Club. La quota “Premium” per il 2014 è di Euro 200,00 + IVA per ogni persona iscritta.
I Soci attuali che intendano scegliere questa modalità di partecipazione devono compilare il contratto “Premium” ed effettuare il relativo pagamento.
I nuovi Soci dovranno compilare sia la scheda di iscrizione, sia il contratto “Premium”.