30 Settembre 2024, lunedì
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McDonald’s, dipendenti: “Pausa bagno? 58 secondi. Il motto è non fermarsi mai”

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Se tramite i media viene descritta una realtà felice e serena del mondo McDonald’s, la realtà è ben diversa da quelle immagini. A raccontarlo diversi dipendenti della catena di fast food americana:
“E’ stata dura, ma avevo un perché. Ecco, credo che si possa sopportare un certo modo di lavorare solo se si ha un obiettivo più grande da realizzare”, commenta Matteo su Fastgeneration.it.
“Pagano puntuali tutti i mesi, è vero, ma abbiamo i minuti contati anche per andare in bagno: non più di 58 secondi – commenta Marta – Su ogni cassa, inoltre, c’è un timer che controlla in quanto tempo il cassiere riesce a ultimare l’ordine. Il motto è non fermarsi mai, vendere il massimo nel minor tempo possibile!”.
“Abbiamo voluto questo spazio perché ci fosse confronto, perché è facile raccontarsi per bocca di un regista famoso, ma la realtà è ben diversa: McDonald’s non ha mai accettato uno scambio tenendo a zero le relazioni industriali”, commenta Fabrizio Russo, funzionario nazionale Filcams, il sindacato che spesso si scontra con McDonald’s.
“La questione non è se i dipendenti hanno o meno un contratto a tempo indeterminato perché il problema sono le ore: tempi pieni non esistono più, ci sono solo parziali – commenta Russo – un’assunzione standard prevede 8 ore a settimana, dunque 200 euro al mese, al massimo 16 o 18 ore, ma è una rarità!”, conclude.

Porsche, orario di lavoro ridotto a parità di salario

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La Porsche ha ridotto l’orario di lavoro, a parità di salario, di un’ora a settimana per 3.500 dei suoi operai. Nella storica fabbrica di Zuffenhausen i turni durano 34 ore a settimana e non più 35.
La decisione è stata presa grazie al fortissimo aumento della produttività che ha consentito alla Porsche negli ultimi anni di inanellare ottimi risultati.
Tra il 2010 e il 2013, come racconta il Messaggero, i dipendenti della società sono cresciuti del 48% passando da 12.700 a 18.900 unità mentre le autovetture sfornate sono salite da quota 95 mila a ben 162 mila con un aumento del 71%.
Il forte aumento della produttività (e dei profitti) ha consentito alla Porsche e al sindacato unico Ig Metal di firmare un accordo. L’accordo fissa regole di flessibilità particolarmente favorevoli al personale che viene quasi coccolato.
Ad esempio si stabilisce che i coniugi possono ”scambiarsi” permessi o ferie in modo da poter affrontare particolari esigenze familiari. In compenso il sindacato si impegna a fare la sua parte per mantenere il livello di profitto dell’azienda oltre il 15% del fatturato.

“Francesco Giuzio, lei è morto, ci ridia 6 anni di pensione”: Inps rivuole 72mila euro

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La storia di Francesco Giuzio, 79 anni, pensionato barese, è incredibile: per l’anagrafe del Comune di Bari era morto dal 2008, per l’esattezza il 16 marzo del 2008. Ma la cosa più assurda per il (vivissimo) Francesco, è che oral’Inps vuole 6 anni di pensione indietro, pari a 72 mila euro, perché sono state versate ad un “morto” che però morto non è affatto. Scherzi pirandelliani della burocrazia italiana, ma c’è poco da sorridere perché Giuzio, in attesa di essere “resuscitato”, è senza pensione da due mesi.

Tutto è iniziato a febbraio, quando sul conto in banca non risulta accreditata la rata della pensioneEnasarco e Inps. Non solo, l’Inps chiede anche la restituzione di 72 mila euro. Perché? Il signor Giuzio chiama la filiale e scopre di essere morto il 16 marzo del 2008.

“Ma cos’è accaduto? Giuzio decide di approfondire partendo dall’ufficio anagrafe del Comune di Bari da dove in data 31 gennaio 2014, sono partite le lettere indirizzate all’Inps e alla Asl. Ciò a dire cheal Comune si sarebbero accorti del decesso sei anni dopo e per questo le pensioni erano state negli anni regolarmente accreditate fatta eccezione per febbraio e marzo 2014. Negli uffici nessuno sa spiegare il disguido e infine gli viene consegnato un certificato di esistenza in vita”.

Ma nella storia assurda di Francesco Giuzio vuole recitare una parte anche l’Asl, che gli complica ulteriormente la vita. La “sorpresa” arriva

dal laboratorio di analisi dove lui esegue i prelievi per controllare i valori del diabete: i medici gli dicono che “la Asl rigetta le sue analisi perché appunto risulta morto. Un grosso rischio per l’anziano perché non può interrompere le cure, ma il medico di fatto non può prescrivere alcun farmaco perché rischierebbe una denuncia.

Tocca ancora una volta a Giuzio rimediare agli errori commessi dagli uffici comunali. Così, documenti in mano e sperando che l’imprevisto si risolva una volta per tutte, decide di andare negli uffici dell’Inps a gridare a gran voce di essere vivo. “Oltre al danno anche la beffa. Son tanti i disagi che mi hanno creato – spiega il 79enne– ma la cosa assurda è che l’errore è stato commesso dal Comune ma è toccato a me andare in giro in tutti questi uffici col certificato di esistenza in vita per dimostrare che non ero affatto morto. Un errore clamoroso andato avanti per sei anni. Mi è stato garantito – spiega ancora – che avrebbero sistemato tutto il prima possibile ma fino a stamattina (ieri ndr) le pensioni non mi sono state ancora accreditate”.

La burocrazia che ci ha messo sei anni ad accorgersi della sua “morte” è la stessa che ora deve “resuscitare” Francesco Giuzio. Il timore è che i tempi di reazione rimangano gli stessi, tragicamente lenti.La beffa, per il signor Giuzio, è che la data della sua presunta morte coincide, forse non a caso, con quella della morte di suo figlio Gianfranco:

Ma come giustificare un errore così grossolano? Il 16 marzo 2008, non è una data qualunque. “Quel giorno è deceduto mio figlio Gianfranco che aveva 37 anni. La sua morte fu regolarmente registrata e forse qualcuno ha pensato di far morire anche me” conclude con un risata amara. Forse non è questo che ha causato l’errore ma la coincidenza è davvero assai strana.

Bernardino Budroni condannato 2 volte in tribunale: ma è morto da 2 anni…

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Bernardino Budroni è stato condannato a pagare un’ammenda di 150 euro per la detenzione abusiva di una carabina in casa. La seconda condanna per Budroni, che già nel 2012 era stato condannato per il possesso del fucile. Due condanne arrivate però quando Budroni era già morto da due anni. L’uomo, 40 anni, fu ucciso nel 2011 da un agente mentre dopo aver tentato disfondare a picconate il portone di casa della ex fidanzata durante un inseguimento sul Grande Raccordo Anulare a Roma.

“Budroni era stato condannato davanti a una sezione monocratica del tribunale a due anni e quattro mesi di reclusione perché nel 2010 in uno scatto di rabbia si era appropriato della borsa di un’altra fidanzata e quando i carabinieri andarono a casa per recuperarla trovarono anche una balestra appesa a una parete e il fucile a piombini. E se la condanna dei giorni scorsi a Tivoli sempre per quella carabina è arrivata per decreto penale, quella di Roma era stato disposta dopo un processo di rigore con tanto di testimoni pronti a giurare, la requisitoria del pm, l’arringa dell’avvocato (d’ufficio) e il giudice che si è riservato di formulare la sua sentenza. Infine, a dispetto della morte dell’imputato, due anni dopo era arrivata anche la denuncia per lo strappo della borsetta. Budroni fu accusato di rapina e detenzione delle armi in casa e il processo si era svolto in «contumacia»”.

Fabio Anselmi, avvocato della famiglia Budroni e già legale dei Cucchi, ha commentato:

“«Per la morte di Dino Budroni è sotto processo un agente accusato di omicidio colposo. Noi non escludiamo il volontario. Quando è partito il colpo la Focus di Budroni era quasi ferma. Ci dispiace che in una giustizia immersa da un oceano di arretrati si disperdano le energie per processare i morti. La morte estingue il reato»”.

Inps, stop maxi appalto gestione immobili: Tar ordina sospensione

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L’appalto da 44 milioni di euro per amministrare gli immobili dell’Inps andato alla “Romeo Gestioni” è stato sospeso dal Tar del Lazio. Si tratta di oltre 13mila edifici per un valore stimato in quasi 2 miliardi di euro per il maxi appalto che resta senza vincitori.
A presentare il ricorso, accolto dai gidici, sono stati gli avvocati Enrico e Filippo Lubrano, per conto del Raggruppamento temporaneo d’imprese guidato da Cofely Italia, e costituito con Sovigest e Ingenium Real Estate, classificatosi al terzo posto in graduatoria.
Inizialmente vinto da un Rti guidato da ‘Prelios’, l’aggiudicazione fu contestata al Tar da ‘Romeo Gestioni’. I giudici bocciarono il ricorso, ma il Consiglio di Stato ribaltò tutto. Adesso la terza classificata nella gara, l’Rti guidata da ‘Cofely Italia’, si è rivolta al Tribunale amministrativo chiedendo l’esclusione di ‘Romeo Gestioni’ per l’esistenza di un contenzioso tra la stessa e l’Inpdap (ora incorporato nell’Inps) tuttora pendente innanzi al Tribunale civile di Roma, e perché il legale rappresentante della stessa ha avuto condanne penali. Situazioni, queste, entrambe ostative al riconoscimento dei requisiti richiesti dal bando.
Nell’ordinanza emessa dal Tar si legge che
“le censure proposte dalla ricorrente non paiono prive di profili di fondatezza nella parte in cui denunziano l’insufficiente valutazione, in sede istruttoria, delle vicende legate a rilevanti inadempimenti verso gli Enti previdenziali cui l’Inps è successore, acclarati anche in una sentenza civile passata in giudicato”, salva comunque “la piena discrezionalità della stazione appaltante nel valutare la rilevanza di tali fatti ai fini dell’instaurazione del nuovo rapporto contrattuale”.
I giudici hanno quindi ritenuto esistenti “elementi di pregiudizio sufficienti all’accoglimento della domanda cautelare” di sospensione dell’efficacia dell’aggiudicazione dell’appalto, almeno fino al prossimo 18 giugno, quando sarà celebrata l’udienza di merito.
L’Avvocato di Alfredo Romeo precisa che:
1) l’Avv. Alfredo Romeo non ha allo stato alcuna condanna penale passata in giudicato ed al contrario l’unica condanna penale che lo riguarda è stata oggetto di rituale ricorso in Cassazione ed è in attesa di essere discussa in quella sede. Peraltro la condanna in questione riguarda esclusivamente due presunte promesse di assunzione di dipendenti (comunque, mai concretizzatesi), e non già ipotesi di corruzione con promessa o dazione di denaro o altre utilità. Inoltre la medesima sentenza di condanna, nel confermare la sentenza di primo grado, manda assolto con formula piena lo stesso Avv. Romeo per gli ulteriori 11 capi di imputazione relativi al c.d. processo “Global Service” (appare doveroso, per una testata autorevole come la Vs., ricordare circostanze tanto significative quando, a proposito di uno tra i più importanti imprenditori italiani, si riferisce di “condanne penali”);
2) le suddette “situazioni” a cui fate riferimento nel Vs. articolo non sono affatto, come da Voi affermato, «ostative al riconoscimento dei requisiti richiesti dal bando». Tanto ciò è vero che il TAR (nella ordinanza di ieri, di cui date conto in data odierna) non ha accolto l’istanza cautelare in ragione di tali “situazioni”, ed al contrario ha affermato che «le censure proposte della ricorrente non paiono prive di profili di fondatezza nella parte in cui denunziano l’insufficiente valutazione, in sede istruttoria, delle vicende legate a rilevanti inadempimenti […] acclarati anche in una sentenza civile passata in giudicato del Tribunale di Roma, salva la piena discrezionalità della stazione appaltante nel valutare la rilevanza di tali fatti ai fini dell’instaurazione del nuovo rapporto contrattuale con la attuale aggiudicataria». Dunque, al contrario di quanto affermato nel Vs. articolo qui censurato, il TAR correttamente riconosce che la stazione appaltante ha piena discrezionalità nel valutare la rilevanza della predetta (cfr. infra sub 3) sentenza civile passata in giudicato, ed inoltre del tutto opportunamente non fa nessun riferimento alla condanna penale subita dall’Avv. Romeo in secondo grado (come detto attualmente al vaglio della Suprema Corte di Cassazione);
3) in definitiva, come si evince facilmente leggendo le 6 pagine da cui è composta l’ordinanza in parola, il TAR, pur riconoscendo alla stazione appaltante “piena discrezionalità”, contesta esclusivamente alla medesima, nell’esercizio di tale discrezionalità, una «insufficiente valutazione, in sede istruttoria, delle vicende legate a rilevanti inadempimenti […] acclarati anche in una sentenza civile passata in giudicato del Tribunale di Roma». Sennonché, sul punto l’ordinanza appare, a nostro avviso, contradditoria nonché totalmente incentrata sulla cennata «sentenza civile passata in giudicato del Tribunale di Roma».
Sentenza (n. 18176/2007) che, però, non solo non è passata in giudicato in quanto è attualmente oggetto di un giudizio di appello pendente, ma risulta altresì essere stata emessa all’esito di un procedimento giudiziario attivato dalla Romeo Gestioni S.p.A. per la riduzione di una penale di € 15.000,00, applicata dall’INPDAP ed asseritamente dovuta «per non aver adempiuto al pagamento di oneri competenza dell’ente pari ad € 2.652,00 oltre spese di notifica»; giudizio che si è concluso con l’accoglimento della domanda della Romeo Gestioni, la conseguente riduzione della predetta penale ad € 1.000,00 e la compensazione per metà delle spese di giudizio. Ovviamente, tali ultime circostanze -che sembrano lumeggiare l’irrilevanza sostanziale della citata sentenza del Tribunale di Roma, e dei fatti oggetto della stessa, rispetto all’odierno giudizio pendente dinnanzi al TAR di Roma- sono già state evidenziate davanti al TAR e saranno immediatamente valorizzate in sede di ricorso al Consiglio di Stato da parte della mia assistita.

Sex toy a spese consiglio provinciale di Bolzano: spunta scontrino

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Un vibratore e altri due sex toy acquistati a spese del consiglio provinciale di Bolzano. Lo scontrino di 64,92 euro è spuntato durante l’indagine della Guardia di Finanza sulle rendicontazioni dei gruppi consiliari iniziata a gennaio. Tra le spese presentate dai Freiheitlichen risulterebbe, come scrive il Corriere dell’Alto Adige, anche la spesa per i sex toys.
A parziale giustificazione la consigliera Ulli Mair ha detto: “Abbiamo comprato quel materiale per fare uno scherzo di compleanno ad un collega. Lui è una persona avvezza alla burla, è un mattacchione. E così, abbiamo pensato di fargli un regalo di compleanno, decisamente un po’ spinto, tutto qua”. Ovviamente il problema per la Finanza non è la destinazione del regalo (per uno scherzo o no) ma che possa essere stato pagato con soldi pubblici.
Poche ore dopo le parole della Mair la smentita del partito che afferma: “Le notizie non corrispondono ai fatti”. A quel punto la Mair non è più stata più raggiungibile per i giornalisti.
Lo scontrino di 64,92 euro emesso da un noto sexyshop di Bolzano il 16 maggio 2012 relativo alla presunta spesa di alcuni oggetti erotici, tra cui un vibratore, da parte dei Freiheitlichen, non compare negli atti della Procura di Bolzano in merito all’inchiesta sui rimborsi dei gruppi consiliari. Ad affermarlo, il sostituto procuratore Giancarlo Bramante, titolare dell’inchiesta, attualmente in attesa di ricevere l’informativa dalla Guardia di Finanza.
L’inchiesta sui rimborsi dei gruppi consiliari della Provincia di Bolzano, che potrebbe causare un altro terremoto politico dopo quello delle “pensioni d’oro”, è partita a inizio anno. La segnalazione su presunte irregolarità nell’utilizzo dei contributi sarebbe giunta da una persona interna al consiglio. La Guardia di finanza era così partita dall’analisi dei contributi di un preciso gruppo consiliare, forse proprio dei Freiheitlichen ora nell’occhio del ciclone per il rimborso di un acquisto in un sexy shop, per poi estendere l’indagine a tutti i gruppi.

Deputate Pd contro maschi. E anche Renzi: “Se non volete votare, ditelo fuori”

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Le deputate del Pd chiedono spiegazioni a Matteo Renzi sulle quote rosa della legge elettorale. E Matteo Renzi chiede spiegazione ai deputati: “Se qualcuno non vuole votare la legge elettorale lo dica fuori, bisogna mantenere gli impegni”. La parità di genere, che le deputate bipartisan chiedevano di inserire nell’Italicum, è stata bocciata alla Camera. E all’appello mancano 60 voti del Partito Democratico. E le donne accusano i colleghi maschi.
Il giorno dopo, all’assemblea dei deputati del Partito Democratico, le onorevoli hanno chiesto “di capire perché sono venuti a mancare i voti del Pd”. La richiesta, per bocca di Roberta Agostini, è di “ottenere la garanzia che la legge al Senato sia cambiata, almeno su questo punto”.
Da parte sua, Renzi ha ribadito durante lo stesso incontro che sulla legge elettorale “non c’è da mantenere un patto con Berlusconi, ma un impegno che come partito abbiamo preso profondo, netto, chiaro”.
E ha poi aggiunto: ”Se qualcuno non vuole votare oggi, lo deve spiegare bene fuori da qui. Vi chiedo, come Pd, di chiudere oggi o questo ricadrà su di noi. Al Senato ne riparleremo, di quote e di altro”.
La rabbia delle donne Pd era già stata espressa poche ore dopo il voto, specie su Twitter.
Questa Maria Chiara Carrozza:
Vorrei sapere come hanno votato i miei colleghi del gruppo PD su questi emendamenti sulla parità di genere nelle liste elettorali…
Questa Giuditta Pini:
che lo spirito di lorena bobbit accompagni stanotte i colleghi che hanno bocciato l’emendamento
Lorena Bobbitt (con 2 t e non con una, come scritto nel tweet), tanto per ricordarlo, è rimasta negli annali per aver evirato il marito John Wayne Bobbitt.

Legge elettorale, la Camera dice no alle preferenze. Stralciate le norme sul Senato

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Marcia forzata per l’Italicum alla Camera per incassare il via libera in prima lettura, che però slitta a mercoledì mattina, dopo le dichiarazioni di voto finali che inizieranno alle 9.30. Niente quote rosa, tema su cui montano i malumori in casa Pd, e niente preferenze, neanche nella versione “doppia di genere”. I lavori, dopo la decisione di rinviare a domani mattina il voto finale, proseguiranno nella corso della notte per completare l’esame degli emendamenti. E l’obiettivo prioritario del premier Matteo Renzi sembra ormai a portata di mano, dopo quattro giorni di votazioni, anche grazie anche ai tempi contingentati.

Sì allo stralcio dell’articolo 2 con le norme relative al voto per il Senato
Nella seduta di oggi l’Aula di Montecitorio ha bocciato con voto segreto l’emendamento Fdi per l’introduzione del voto di un solo voto di preferenza. I no sono stati 299, 264 i sì e un astenuto. Appena 35 voti di differenza. In prima serata arriva anche lo stralcio dall’articolo 2 della riforma, cone le norme riguardanti il Senato. Contrari Sel e M5s, favorevoli gli altri gruppi.

No a emendamenti su ballottaggio e primarie nella scelta dei candidati
L’Aula ha poi votato sugli emendamenti relativi al ballottaggio: stop a una proposta dei 5 Stelle che mirava ad abolirlo. Bocciato un emendamento della Lega in base alla quale il ballottaggio sarebbe stato valido solo se alla votazione avesse partecipato la maggioranza degli aventi diritto. Non è passato nemmeno un emendamento di 40 deputati del Pd, che rendevano obbligatorie le primarie per scegliere i candidati. La proposta prevedeva la parità di genere nell’organizzazione delle primarie.

Lavori a rilento, bocciata la doppia preferenza di genere
Nonostante i tempi contingentati, dunque, i lavori dell’Aula procedono a rilento. A bloccare a lungo i lavori, l’acceso dibattito sull’emendamento Gitti (Popolari per l’Italia) che prevede la doppia preferenza di genere nella legge elettorale. In pratica, l’elettore avrebbe avuto la possibilità di esprimere contemporaneamente una preferenza per un uomo e per una donna. La norma, sostenuta da Sel, Centro democratico, e 5 Stelle, è tornata a dividere il Ppd dove le donne che ieri hanno sottoscritto l’emendamento Agostini sulle quote rosa avrebbero voluto votarla, ma non sono comunque riuscite a cambiare l’orientamento contrario del partito. Il voto cancella le ultime speranze: con 297 contrari e 277 favorevoli, la doppia preferenza di genere rimane ai blocchi. Anche in questo caso, dunque, il patto Renzi-Berlusconi sulla legge elettorale tiene, anche se per pochissimi voti: solo 20.

Governo Renzi, il giorno del Jobs act e del Piano casa

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“Il lavoro svolta. La svolta buona”. È un titolo il primo elemento che emerge del piano lavoro sul quale il premier Matteo Renzi intende puntare. Ed è il titolo di un documento che, sotto forma di slide, il presidente del Consiglio presenterà nel corso della conferenza stampa da lui stesso annunciata per oggi pomeriggio a Palazzo Chigi, intorno alle 17.

Intanto, manca ancora la convocazione ufficiale del Consiglio dei ministri chiamato a esaminare le misure per il taglio del cuneo fiscale, per la scuola, per il Ddl delega sul lavoro, cosiddetto “Jobs act” e per accelerare il pagamento dei debiti Pa alle imprese. È ancora in corso la verifica delle necessarie coperture e anche degli effetti delle misure su cuneo e debiti Pa. È possibile, dunque, che l’approvazione di questi due provvedimenti sia rinviata a una successiva riunione. I ministri sono stati allertati per le 16.

Debiti Pa: l’ipotesi di un piano da 60 miliardi
Stando ad alcune fonti, nella riunione di oggi il governo potrebbe affrontare anche il nodo debiti Pa. Una decisione non è stata ancora presa. Il testo del piano per smaltire 60 miliardi di euro di debiti della pubblica amministrazione prevede la liquidazione degli arretrati non ancora corrisposti dei 47,5 miliardi stanziati dal governo Letta, al quale si aggiungerebbero 13 miliardi dall’attuale esecutivo per arrivare alla quota fissata di 60.

Il Piano casa: possibile recuperare fino a 68mila alloggi
Sul tavolo del Governo anche il piano casa. Sul piatto «interventi complessivi per circa 1,6 miliardi», ha spiegato il ministro per le Infrastrutture, Maurizio Lupi, a margine di un’audizione alla Camera. Il piano assicurerà il recupero di 12mila alloggi l’anno tramite «il ripristino di quelli di risulta», più altri cinquemila «attraverso il finanziamento della pregressa manutenzione straordinaria»: in totale fino a 68mila alloggi in quattro anni. Le indicazioni sono fornite dalla relazione tecnica al decreto legge che sarà esaminato dall’esecutivo.

Per la copertura 1,35 miliardi in 4 anni
La riunione sarà preceduta da un pre-Consiglio slittato da oggi a domattina alle 10. Il finanziamento del Piano pari a 1,35 miliardi in quattro anni «ha un notevole impatto occupazionale – si legge nella relazione – sul settore dell’edilizia attualmente in crisi». L’articolo 4 del decreto che stanzia 568 milioni per il recupero degli alloggi ex Iacp riguarda solo i conduttori con reddito annuo lordo familiare inferiore a 27mila euro e che abbiano nel proprio nucleo persone oltre i 65 anni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66%. «Il costo di intervento per ciascun alloggio da recuperare si può ragionevolmente stimare in 30-40 mila euro», si legge nella relazione.

Decreto su vigilanza Bankitalia per asset quality
Dovrebbe poi approdare in Consiglio dei ministri anche un decreto legge che autorizza la Banca d’Italia ad avvalersi di soggetti terzi per svolgere l’attività di vigilanza per l’Asset quality review, in vista dell’avvio a novembre del meccanismo di vigilanza unico da parte della Banca centrale europea. La Bce potrà utilizzare le informazioni fornite dalle singole autorità nazionali che potranno essere coadivute da soggetti terzi. Questo comporta la necessità di modificare per legge le norme relative all’attività di vigilanza bancaria.

 

Il redditometro adesso è a prova di privacy. E non ci saranno le spese al supermercato

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Quasi quattro anni di gestazione. Ora il redditometro è davvero pronto a partire. Non ci saranno le spese al supermercato e quelle per abbigliamento. Più in generale il Fisco non considererà tutte le spese medie Istat, oggetto di tante contestazioni nei mesi passati: non entreranno né nella fase di selezione né in quella successiva. Maggiore attenzione poi da parte degli uffici anche all’effettiva composizione del nucleo familiare.

Sarà necessaria una verifica preventiva per evitare scostamenti tra la famiglia fiscale presente in Anagrafe tributaria rispetto a quella anagrafica, che comprende i figli maggiorenni ma anche i conviventi (il caso tipico è quello della famiglia di fatto). E ancora le spese per mobili ed elettrodomestici saranno considerate solo se sono già conosciute dal Fisco e non saranno considerate come «spese per elementi certi» connesse al possesso di uno o più immobili. Sono alcune delle precisazioni con cui l’agenzia delle Entrate è venuta incontro alla richiesta di correttivi da parte del Garante della privacy.

Fuori le medie Istat
L’Agenzia non utilizzerà nel nuovo accertamento sintetico, né in fase di selezione, né in sede di contraddittorio, le spese correnti determinate solo con la media Istat (ad esempio, alimentari e bevande, abbigliamento e calzature, alberghi e viaggi organizzati). Solo nel caso in cui gli importi corrisposti per tali spese dovessero essere individuati puntualmente dall’ufficio potranno essere oggetto di contraddittorio e concorrere quindi alla ricostruzione sintetica del reddito.

Fitto figurativo solo nel contraddittorio
Il «fitto figurativo», ossia la spesa attribuita al contribuente che non risulta, nel comune di residenza, in possesso di un immobile a titolo di proprietà o altro diritto reale, di locazione o di leasing immobiliare, oppure a uso gratuito, non viene preso in considerazione nella fase di selezione. Sarà il contribuente, in sede di contraddittorio, a illustrare la sua condizione abitativa per cui l’Agenzia sostituirà la spesa per «fitto figurativo» con le «spese per elementi certi» connesse alle caratteristiche dell’immobile di cui dispone.

La famiglia di fatto
Per evitare che vengano selezionati contribuenti per i quali emerge uno scostamento individuale che potrebbe invece trovare giustificazione nel reddito complessivo dichiarato dalla famiglia, l’ufficio delle Entrate accende un faro sulla reale situazione del nucleo familiare prima ancora di inviare l’invito al contraddittorio grazie al collegamento telematico con l’anagrafe comunale. Viene in questo modo risolto il problema del disallineamento tra «famiglia fiscale» (costituita da contribuente e coniuge oltre che dai figli e/o dagli altri familiari fiscalmente a carico) .