30 Settembre 2024, lunedì
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Dama Bianca con 24kg di cocaina. Saviano si chiede: “Servivano a questo i voli con il Cav?”

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Nel trolley di Federica Gagliardi, la “Dama Bianca” del Cavaliere, la Guardia di Finanza ha trovato 24 chili di cocaina. La donna è stata fermata a Fiumicino dopo essere sbarcata da un volo proveniente da Caracas.
Tanto è bastato allo scrittore Roberto Saviano per intrecciare la sua trama: donne, missioni segrete in Sudamerica, politico-imprenditore di successo e droga.
Saviano scrive un tweet con un interrogativo che potrebbe far riflettere, sulle frequentazioni tra il Cavaliere e la “Dama Bianca” la donna che nel 2010, di bianco vestita accompagnò l’allora Premier Berluscono al G8 di Toronto, in Canada.
Scrive Saviano: “24 kg di coca nel trolley di Federica Gagliardi. I trafficanti usano spesso voli diplomatici. I voli di Berlusconi le servivano a questo?” Insinuando in questo modo che la Gagliardi si sia servita di Berlusconi e dei suoi voli di stato per trafficare stupefacenti.
Dura la reazione di Forza Italia che lascia la replica alle parole di Luca D’Alessandro “Se Saviano scrive libri con la stessa superficialità e leggerezza con cui, pur di attaccare Silvio Berlusconi, spara queste idiozie, vestendole come gravissime quanto false insinuazioni, stiamo freschi” replica il parlamentare azzurro. Gli ha fatto eco il senatore Lucio Malan secondo il quale ”la lotta contro Berlusconi è un chiodo fisso per Saviano” e ”grazie a questo i giornali e i media sinistrorsi gli hanno dato uno spazio e un’attenzione che non avrebbe mai avuto altrimenti”.

Corruzione, arrestati l’ex vicesindaco di Pavia e un imprenditore

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L’ex vicesindaco di Pavia, Ettore Filippi Filippi, e l’imprenditore edile Ciro Manna sono stati sottoposti agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione. Gli arresti rientrano nella prosecuzione dell’indagine “Punta est”, che nel 2012 aveva portato al sequestro di un cantiere e all’emissione di misure cautelari e interdittive nei confronti di un professore dell’Università di Pavia, di un imprenditore pavese e di un dirigente del Comune.

L’ex vicesindaco di Pavia, 71 anni, è noto alle cronache soprattutto per essere stato il poliziotto che arrestò il numero uno delle Br, Mario Moretti. L’uomo, funzionario e dirigente della polizia di Stato, con molti anni di servizio in questura a Milano, era in passato già uscito da una serie di infamanti accuse che gli avevano lanciato contro uomini del clan Epaminonda. Le ordinanze, emesse dal gip di Pavia, sono state eseguite da carabinieri e guardia di finanza.

All’ex vicesindaco arrivavano soldi per sanare irregolarità edili – Ettore Filippi Filippi, grazie al suo ruolo politico, avrebbe permesso ad amici imprenditori di sanare costruzioni irregolari ottenendo anche concessioni edilizie per utilità pubblica, quindi con l’abbattimento di gran parte degli oneri costruttivi. In cambio di questi favori, secondo le indagini di carabinieri e gdf, avrebbe ricevuto soldi che sarebbero stati versati sui conti di alcuni comitati elettorali a lui relativi e a una sua società che si occupava di pubblicità ed eventi. Nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dall’autorità giudiziaria oltre a Filippi e a un imprenditore edile, posti agli arresti domiciliari, risultano indagati anche alcuni altri funzionari amministrativi e imprenditori.

Baby squillo, Mussolini in lacrime: «Cosa posso dire? Sono distrutta». Suo marito rischia quattro anni di carcere

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Un filo di voce. «Cosa posso dire? Sono distrutta». Alessandra Mussolini risponde al telefono per un secondo, e si sente chiaramente che piange. Lei, la pasionaria della politica, sempre in prima fila a battagliare, è ora la vittima inconsapevole dell’uomo con il quale ha praticamente passato tutta la vita: l’ex capitano della Finanza, Mauro Floriani, suo fidanzato dai tempi della scuola e poi marito.
Dal giorno in cui Floriani è finito nell’inchiesta sulle baby squillo, il matrimonio è andato in frantumi. Da più di una settimana lui ha dovuto fare i bagagli, e ha preso un appartamento non molto lontano da quello della famiglia.

ZIA SOFIA
Alessandra, invece, ha trovato protezione dalla mamma, Maria Scicolone, dove si è trasferita non appena la notizia è diventata pubblica. Con lei ha portato anche i tre figli, Caterina, Clarissa e Romano, suo principale pensiero in questi giorni di sofferenza. «Devo pensare a loro, devo proteggerli», ha detto alle poche persone che sono riuscite a parlarle. Di grande conforto sembrano essere state le parole di zia Sofia Loren dall’America, che la chiama tutti i giorni. Da sempre Alessandra è la nipote preferita, quella che le somiglia tanto e ha il suo stesso carattere.

LE NOZZE
In questi giorni, il cellulare è squillato sempre a vuoto. Poi un attimo la voce risponde. Ne è passato di tempo da quando ha deciso di sposare quel fascinoso ufficiale delle Fiamme gialle. Era il 28 ottobre del 1989 a Predappio. Sette anni dopo le nozze, Floriani ha cambiato lavoro. Una scelta che, all’epoca, ha scatenato mille polemiche per alcuni conflitti di interesse. Alessandra lo aveva difeso: «Ora teniamo famiglia, abbiamo una figlia. Avremmo dovuto lasciarla crescere con una madre che sta sempre in giro a far politica e un padre sballottato continuamente da una caserma all’altra dell’Italia? Eh no, signori miei: abbiamo avuto l’occasione di mettere a posto le cose e non ce la siamo fatta sfuggire».

LE ACCUSE
La procura di Roma ha iscritto Floriani per prostituzione minorile, e potrebbe rischiare – qualora le contestazioni nei suoi confronti venissero definitivamente accertate dai magistrati – fino a 4 anni di carcere. Decisiva la Convenzione di Lanzarote, ratificata in Italia nel 2012, sulla protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale. Una ratifica voluta fortemente dalla moglie in Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza. Perché meravigliarsi, quindi, se ora non è scesa in campo, lancia in resta, per difendere il marito? «Duellammo in modo duro ma con reciproco rispetto, 20 anni fa. Ad Alessandra Mussolini esprimo la mia vicinanza umana», ha scritto su Twitter Antonio Bassolino. Nel 1994 fu eletto sindaco di Napoli battendola nella gara elettorale.

Floriani, il marito della Mussolini, ammette: ha incontrato una baby squillo

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Inizialmente Mauro Floriani, il marito di Alessandra Mussolini, finito tra gli indagati per prostituzione minorile nel giro delle baby squillo dei Parioli, aveva respinto ogni accusa. Il manager aveva provato a negare tutto, mentre gli inquirenti parlavano di “elementi incontrovertibili” che dimostravano come fosse cliente abituale delle due minorenni romane. Ma alla fine sarebbe stato lui stesso a raccontare una verità diversa. A scrivere delle ammissioni del marito della parlamentare diversi quotidiani, tra cui Repubblica, secondo cui Mauro Floriani avrebbe confessato di aver incontrato due volte una delle due ragazzine che si prostituivano in un appartamento dei Parioli. Avrebbe ammesso di aver incontrato la più grande delle due baby squillo quando gli inquirenti gli hanno mostrato la lista delle telefonate e dei messaggi scambiati con le ragazzine. “Ma non sapevo che era minorenne, lei si era presentata come 19enne e io le ho creduto”, avrebbe spiegato Floriani al procuratore aggiunto Maria Monteleone e al pubblico ministero Cristiana Macchiusi. Floriani avrebbe raccontato dei primi contatti del luglio scorso avvenuti tramite internet, di aver chiamato e di aver incontrato la 15enne per due volte. Le indagini, da quanto si apprende, parlano però un numero maggiore di appuntamenti.
Tra i clienti “famosi” delle baby squillo ci sarebbe anche il figlio di un parlamentare – Mauro Floriani non è l’unico dei nomi più “noti” finiti nel registro degli indagati per prostituzione minorile. Ci sarebbero altri professionisti romani ad aver avuto dei rapporti con le due giovani escort. In totale nel registro degli indagati con la stessa accusa del marito della Mussolini sono finite 22 persone. Secondo alcune fonti tra di loro c’è anche il figlio di un parlamentare di centrodestra, come Floriani incastrato dai tabulati e riconosciuto dalle ragazze. E ancora ci sarebbero stati dei funzionari della Fao, un dipendente di Ernst&Young, un avvocato e un funzionario della Banca d’Italia. Sotto accusa sono finiti coloro che avrebbero avuto più di un contatto con le due minorenni: alcuni sarebbero stati anche fotografati nei pressi dell’appartamento dove le due giovani si prostituivano. In alcuni casi gli indagati sono stati riconosciuti direttamente dalle due minorenni. Nei prossimi giorni chi non è stato ancora ascoltato sarà convocato e interrogato dai pm.

L’ultima trovata della sinistra: stanze pubbliche per drogarsi

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Tre stanze del buco entro sei mesi dall’approvazione (?) della delibera. È stata presentata ieri mattina in consiglio comunale la mozione per l’istituzione di «stanze salvavita da iniezione, per un servizio di riduzione dei danni sanitari e sociali legati al consumo di stupefacenti», primo firmatario Marco Cappato (Radicali), sottoscritta da Luca Gibillini e Mirko Mazzali (Sel), Rosaria Iardino (Pd) e Anita Sonego (Sinistra per Pisapia).

Dopo il registro per le unioni civili e quello per le dichiarazioni anticipate di volontà, la nuova proposta lanciata dai Radicali e sostenuta dalla sinistra radicale, ma non solo (c’è anche la consigliera Pd, che ha lavorato per la modifica dei moduli per le iscrizioni a scuola sostituendo «madre» e «padre» con «genitore 1 e 2») lascia presagire il putiferio a Palazzo Marino.

«La mozione riprende il testo della proposta di iniziativa popolare sottoscritta da oltre 5.000 cittadini che era stata bloccata dai Garanti del Comune – precisa Cappato – e rende esplicita l’esclusione di fatti costituenti reato, rispetto a una normativa ora modificata dalla sentenza della Corte costituzionale sulla Fini-Giovanardi. Nel momento in cui diversi indicatori fanno prevedere un ritorno del consumo di eroina, Milano deve guardare alle migliori esperienze europee che hanno rimosso i pregiudizi ideologici alla riduzione dei danni sanitari del consumo di droghe». In pratica la mozione chiede l’«istituzione del pubblico servizio di assistenza all’assunzione di sostanze stupefacenti attraverso la predisposizione di apposite sale la cui responsabilità è affidata al servizio dipendenze del Comune» e l’apertura, appunto, di tre sale «da individuarsi nel patrimonio comunale inutilizzato secondo i criteri del minimo impatto con il tessuto abitativo esistente».
Luca Gibillini spiega l’utilità del provvedimento: «Le narcosale sono uno degli strumenti previsti dall’Unione Europea per sostenere la battaglia contro la droga: si chiama riduzione del danno e significa che chi ha una malattia, chiamata dipendenza da sostanze stupefacenti, può essere assistito affinché la malattia non provochi la morte o danni irreparabili».

Il clima si fa già bollente, con tutta l’opposizione compatta che attacca su più fronti la proposta. «Concepire le stanze del buco – polemizza Luca Lepore della Lega – costituisce un affronto al lavoro svolto da migliaia di persone nelle comunità di recupero che danno anima, corpo e professionalità nel cercare di risanare psicologicamente persone deboli e disorientate». «Stupisce che autorevoli esponenti della maggioranza immaginino di affrontare il problema della tossicodipendenza e quelli ad essa legati, come il forte degrado della città, con l’apertura di stanze del buco – osserva Giulio Gallera, coordinatore cittadino di Fi-. La nostra ricetta è combattere in maniera decisiva il grave fenomeno dello spaccio a Milano». «La sinistra che scopre ogni anno buchi di bilancio e lascia ogni giorno buchi nelle strade – ironizza Matteo Forte, consigliere di Ncd – costringerà il consiglio ad occuparsi di altri buchi, derubricando il grave tema del disagio giovanile alla discutibile teoria del “contenimento del danno”».

Brescia: la terra dei fuochi del settentrione

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Sembrava una realtà esclusivamente meridionale e in particolar modo del napoletano/casertano fino a quando anche Brescia, cittadina lombarda, è balzata alla cronaca per il suo inquinamento. Parchi pubblici, aiuole limitrofe ad istituti scolastici ed acqua che sfiorava la qualità del cromo: ecco, sono questi i primi effetti di una negligente e superficiale attività industriale che ha letteralmente danneggiato il territorio circostante. A chiedere aiuto sono tutti i cittadini che si preoccupano per la salute dei propri figli e accusano di tale alterazione ambientale la Caffaro, l’azienda locale che ha generato DDT, cloroformio e policroribifenili. Tale industria ha iniziato a lavorare sul territorio bresciano a partire dagli anni trenta e alcuni geologi e tecnici stimano che i danni provocati da questo scellerato sfruttamento territoriale sono inquantificabili: più di 150 miliardi di microgrammi di Pcb avrebbero infatti inquinato i corsi d’acqua della cittadina.

Gli effetti sulle persone sono ancora più spaventosi: il numero di tumori diagnosticati è altissimo, più di un terzo della popolazione ne sarebbe affetta. A far emergere il problema sono stati degli scavi per la costruzione della Tav, la linea ferroviaria ad alta velocità che avrebbe dovuto collegare Venezia e Milano e che ha portato alla luce l’incredibile percentuale di inquinamento del terreno. Sconvolgente, inoltre, è il comportamento assunto dall’Asl e dal Comune di Brescia che, dopo aver esaminato dell’acqua avrebbe smentito ogni dubbio riguardo un possibile inquinamento idrico ma, delle analisi private hanno poi dimostrato che la quantità del cromo esavalente fosse doppia. Spaventa anche parlare di bonifica: sarebbe un’opera che richiederebbe costi altissimi in quanto rivolta a quasi tutto il suolo bresciano.

Portare i bimbi in pista? Giusto. Che follia accusare i genitori

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Ogni giorno, purtroppo, nel mondo muoiono migliaia di bambini, per malattie, fame o incuria. Poi ci sono gli incidenti, come quello che domenica, sulle piste di Gressoney, ha ucciso Matilde, bimba di tre anni investita da un ragazzino mentre scivolava verso valle, nella fila dietro al maestro.

La tragedia ha scatenato un dibattito molto acceso, c’è chi se la piglia con il destino, chi con l’investitore, chi con la pista o il maestro, chi addirittura con i genitori della vittima, che non avrebbero dovuto portarla, così piccola, a sciare.

Mi astengo da ogni giudizio specifico visto che non ho assistito all’incidente né conosco la famiglia della bimba, dare giudizi in ogni caso non ha senso, ora serve solo provare a capire perché è successo e fare tutto il possibile perché non succeda più. Facile a dirsi! Fosse così semplice evitare le situazioni pericolose e gli errori già commessi, la droga e l’alcol non farebbero più vittime e sulle strade non morirebbe più nessuno: la prevenzione aiuta e riduce il rischio, ma non lo può azzerare, perché, piaccia o no, la nostra vita è legata al caso – o destino, o fato, chiamatelo come vi pare.

Astraendomi dunque dal fatto specifico di Gressoney, vorrei innanzi tutto sostenere quei genitori che portano i figli in montagna e resto a bocca aperta quando leggo che «a tre anni un bambino dovrebbe pensare a giocare e divertirsi e non a sciare». Perché, lo sci cos’è se non gioco e divertimento? Sarebbe forse consigliabile tenere un bimbo in casa davanti alla televisione per fargli correre meno pericoli? L’incidente è successo mentre Matilde sciava, ma avrebbe benissimo potuto succedere mentre era in macchina diretta a Gressoney, su quella tremenda A4 Milano-Torino che da almeno quindici anni è un cantiere pericolosissimo, con tratti a due corsie ridotte e delimitate da muretti. Chi si sarebbe scandalizzato per una morte altrettanto tremenda? A tre anni un bambino sano e robusto può sciare senza problemi, magari non fare un corso collettivo per una settimana di fila e non scendere su una pista nera ripida e ghiacciata (Matilde è morta dietro un dosso di una blu senza difficoltà), ma non credo che sciare sia più pericoloso che arrampicarsi su certe strutture che si vedono nei parchi gioco cittadini o attraversare una qualsiasi strada intasata di una qualsiasi città o paese.

Si potrebbe forse sconsigliare un genitore di portare i figli a sciare la domenica, quando le piste sono più affollate… bella forza! Ma se uno in settimana lavora, come fa? Anche questo, in ogni caso, è un falso problema e parlo per esperienza, visto che mio figlio fu investito, proprio all’età di tre anni, in una mattinata feriale con tempo perfetto, neve ideale e zero persone in pista, anzi una, che non lo vide e lo prese in pieno causandogli un trauma cranico e toracico oltre ad uno choc – non a lui, ma a me che lo seguivo e che lo soccorsi – che ancora oggi fatico a superare quando sono in pista e sento che qualcuno mi passa vicino a tutta velocità.

Si dice tanto che i bambini italiani non fanno sport e purtroppo è vero, basta andare all’estero per capire quanto gli altri siano diversi, molto più liberi e svegli e senza tanti problemi di caldo, freddo, attento, non sudare, frena, non farlo, fermati, e la lista di precauzioni potrebbe continuare all’infinito. C’è solo da sperare che la tragedia di Gressoney non allontani le famiglie dalla montagna, che in inverno è senz’altro il luogo più meraviglioso dove trascorrere una vacanza con i propri figli, specie in questa stagione, con tanta neve, giornate lunghe e sole caldo.

Scoppia un incendio in una delle fabbriche partner di Samsung, a rischio una parte della produzione del Galaxy S5

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Era una delle fabbriche di produzione incaricata da Samsung per la realizzazione del prossimo Samsung Galaxy S5, le fiamme sono divampate durante le prime ore di domenica mattina e mentre i vigili del fuoco sono intervenuti sulla scena immediatamente, ci sono volute oltre sei ore per contenere l’incendio. Un totale di 287 pompieri e 80 veicoli sono intervenuti per domare le fiamme e secondo una prima stima dei danni, 1 miliardo di dollari in attrezzature e componenti sono andati completamente in fumo.

Sconosciute al momento le cause dell’incendio, Samsung è subito intervenuta calmando gli animi e rassicurando che la distribuzione dell’atteso Galaxy S5 non subirà alcun ritardo in quanto la produzione verrà garantita dalle altre forniture esterne della casa coreana. Si tratta comunque di un duro colpo per l’azienda che speriamo non si ripercuota sul mercato.

 

Roma, la principessa Hortensia Chigi truffata dal gioielliere

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E’ scomparso nel nulla dopo essersi impossessato di 14 gioielli di proprietà di Hortensia Chigi, discendente di una delle più influenti famiglie nobiliari romane.

Un colpo da migliaia di euro per il quale Carlo Mancini, gioielliere incensurato, è stato condannato a quattro mesi di reclusione dai giudici della quinta sezione penale del tribunale di Roma. L’imputato, accusato di appropriazione indebita, è irreperibile dal 2009 e al momento nessuno sembra avere informazioni utili ad indicare il luogo dove avrebbe trovato riparo.

Scrive Riccardo Di Vanna sul Messaggero:

Per mettere in piedi la sua macchinazione, l’imputato avrebbe sfruttato il consolidato rapporto d’amicizia ventennale con la vittima, tradendone la fiducia con consumata disinvoltura. Nell’aprile del 2009, dopo aver ceduto la sua storica attività commerciale, in pieno centro cittadino, l’uomo contatta la donna per proporgli un affare. Il gioielliere racconta di essere in procinto di partire per gli Stati Uniti e si dice sicuro di poter ricavare oltre oceano un piccolo patrimonio dalla vendita dei preziosi della nobildonna.

«In America, tutti hanno letto i romanzi di Dan Brown – avrebbe detto Mancini alla Chigi – e in quei libri compare il nome di Agostino Chigi. Posso usare il tuo cognome per piazzare la merce». Una proposta alla quale, di fronte all’insistenza dell’imputato, la donna decide di aderire privandosi di alcuni pezzi pregiati ormai non più di suo gusto. L’imputato, esperto nel settore, butta giù una valutazione sommaria dei preziosi, stimandoli complessivamente in 43 mila dollari. Si tratta di bracciali in oro tempestati di rubini, zaffiri e turchesi; anelli di brillanti e orecchini. Merce che, una volta venduta, avrebbe dovuto fruttare a Mancini il dieci percento dell’incasso.

Passato qualche tempo senza ricevere notizie dal gioielliere, la donna, insospettita, avvia qualche timida ricerca. Rintracciato, il gioielliere si scusa sostenendo di aver avuto un contrattempo legato allo stato di salute della madre e poi scompare di nuovo nel nulla. Solamente nel settembre del 2009, dopo vari garbati tentativi andati a vuoto, la Chigi riesce a stabilire un ultimo contatto con l’imputato.

Una mail inviata dalla casella di posta dell’uomo, scritta in terza persona, avvisa la signora di una disgrazia: il commerciante, ormai arrivato a Los Angeles, è stato rapinato e si trova in ospedale. Poi, dell’uomo e dei gioielli più nessuna notizia (…)

 

Così le lobby dei farmaci hanno truffato i malati

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Prolungare la durata dei brevetti, fare accordi illeciti per fissare i prezzi dei farmaci, mettere a busta paga ricercatori e scienziati. Sono solo alcuni degli escamotage utilizzati dai colossi farmaceutici per poter sponsorizzare i propri medicinali e gonfiare i fatturati. Non resta isolato il caso Roche-Novartis, le due case farmaceutiche che solo qualche giorno fa sono state sanzionate dall’An – titrust. Dovranno pagare una multa di 180 milioni di euro in totale, perché hanno fatto cartello per sponsorizzare il Lucentis, che costa circa 700 euro, rispetto all’Avastin che ne costa 80. Sul caso indaga sia la procura di Roma (per aggiotaggio e truffa), che quella di Torino, dove sono già stati iscritti alcuni nomi nel registro degli indagati. NEGLI ANNI le multinazionali dei farmaci si sono spartite il mercato, quasi sempre a discapito dei farmaci generici meno costosi sia per le tasche del servizio sanitario nazionale che per quelle dei malati. Leggendo le sanzioni emesse dall’Antitrust, l’au – torità garante della concorrenza e del mercato, è possibile ricostruire le modalità di una serie di strategie messe in atto dalle case farmaceutiche. Per ostacolare l’ingresso dei genericisti sul mercato, alcune aziende negli anni hanno abusato della posizione di dominio. Come la Pfizer che a gennaio 2012 ha ricevuto una multa di 10,6 milioni di euro da parte dell’Autorità garante. In questo caso il Servizio Nazionale ha mancato incassi per 14 milioni di euro. Il farmaco in questione serviva per curare il glaucoma, un disturbo visivo che può comportare – in casi gravi – anche la perdita della vista. Il 60 per cento del mercato comprava il medicinale a base del principio attivo latanoprost dalla Pfizer, che per mantenere questa posizione di dominio, a seguito della scadenza della protezione brevettale, ne ha prolungato artificiosamente la durata, prima fino a luglio 2011 e poi fino al gennaio 2012, per allinearla a quella in vigore negli altri Paesi europei. E non è tutto perché la stessa Pfizer avrebbe inviato diffide ai produttori di farmaci generici conducendo anche un contenzioso amministrativo e civile, con importanti richieste di risarcimento danni in caso di commercializzazione. In questo modo si creava incertezza giuridica nei produttori di farmaci generici sulla possibilità di commercializzare i propri medicinali, ritardandone l’ingresso sul mercato. Ma ci sono stati anche altri casi. Risale alle fine degli anni 90 l’istruttoria su un farmaco utilizzato la cura delle infezioni delle vie respiratorie. In quel caso furono condannate sei case farmaceutiche perché si misero d’accordo per fissare i prezzi dei medicinali. A PAGARE di tasca propria, chi di quelle cure aveva bisogno. Tanto che il farmaco in dieci mesi aumentò il prezzo del 50 per cento. E ancora. Un altro escamotage consiste nel cambiare la composizione dei principi attivi presenti nei medicinali, anche se di pochissimi milligrammi. In questo modo possono essere immessi sul mercato prodotti apparentemente nuovi, ma più costosi, con gli stessi effetti di quelli che già esistevano. Per non parlare dei casi di aziende farmaceutiche che hanno comprato i pareri degli esperti. A libro paga negli anni ci sono finiti medici indipendenti e ricercatori, ma anche laboratori, istituzioni finanziatrici e riviste specialistiche. Negli Stati Uniti sono scoppiati parecchi scandali di questo tipo. Come il caso del dottor Katz, che – come rivelò il Los Angeles Time ha ricevuto nel corso degli anni centinaia di migliaia di dollari da aziende farmaceutiche. Con Katz altri cinque nomi illustri erano registrati a libro paga, tutti esperti che dovevano sperimentare ed esprimere un’opinione sul farmaco. Un problema che si è ripetuto in altri casi tanto da costringere il governo a varare la Physician Paymentes Sunshine Act, una norma , in vigore da gennaio 2013, che impone ai produttori di medicine di dichiarare i fondi con i quali vengono finanziati anche gli istituti di ricerca. E questo non è un problema oltre confine, lontano da noi, perché quei farmaci vengono venduti anche nelle nostre farmacie.