30 Settembre 2024, lunedì
Home Blog Page 1973

RENZI SIA PIÙ RIVOLUZIONARIO SE VUOLE ALLONTANARE IL SOSPETTO CHE SIA SOLO PARACULO

0

Lo abbiamo detto fin dall’inizio: faremo ogni sforzo per supportare Renzi, per facilitargli il successo, rendendo la più costruttiva possibile ogni nostra critica. Insomma, ci vogliamo credere. Non in lui, nella sua leadership. No, noi guardiamo alla politica e alle politiche, non agli uomini, che sono solo le gambe su cui camminano le idee (le buone e le cattive). Semmai vogliamo credere al suo governo come estremo tentativo, in questa fase di passaggio tra Seconda e Terza Repubblica, di costruire le basi di un nuovo sistema politico da offrire come prospettiva agli elettori quando saranno chiamati a dire la loro, anziché lasciarli in balia di fumosi (e inutili) personalismi contrapposti.

Già, ma detto che ci vogliamo credere, gli possiamo credere? Possiamo toglierci ogni ragionevole dubbio che il “rivoluzionario programma” del “mercoledì da leoni” enfaticamente annunciato dal presidente del Consiglio altro non sia che uno spot elettorale? Lo confessiamo: la tentazione di catalogare la manovra come un abile gioco di prestigio che consenta a Renzi di affrontare al meglio le elezioni europee e magari preparare il terreno per quelle politiche (a breve), è forte. Peraltro, il percorso è facilmente individuabile: sparata di slide che non sono neppure decreti, presentate come un tele-imbonitore; promesse di riduzioni di tasse e investimenti urgenti ed eticamente rilevanti; constatazione che i “cattivi” (Parlamento, Quirinale, Ragioneria, Bruxelles, Bce) gli impediscono di fare la “grande rivoluzione”; denuncia de “questo paese è ingovernabile” e relativa vittimizzazione; conseguente richiesta del voto al grido “se volete che governi datemi il 51%”. In fondo è un film già visto molte volte, negli due decenni.

Tuttavia, non cadiamo in questa tentazione. E proviamo a guardare con il massimo della disponibilità, al limite dell’ingenuità, la manovra renziana. Nella quale c’è, allo stesso tempo, qualcosa di nuovo e molto di vecchio. Il nuovo è lo stile di Renzi, decisamente migliore di quello di Berlusconi seppure appartenente allo stesso seme. È il coraggio, come dimostra il benservito a Cgil (costretta a contorcimenti mai visti) e Confindustria (non considerata come mai era successo) senza però – per fortuna – commettere l’errore del centro-destra di voler teorizzare sul piano ideologico l’abbandono della concertazione. Il nuovo, infine, è il cambio di passo: non più quelli piccoli di Letta – insopportabili in una fase in cui il Paese esce dalla recessione senza riuscire ad imboccare la strada della ripresa vera e propria – ma un passo di carica, almeno all’apparenza.

Viceversa, il vecchio è l’approccio tutto emotivo della manovra varata, priva di un respiro strutturale e di una cornice strategica. Vecchio è il riproporsi della diarchia tra ministero dell’Economia e palazzo Chigi, che tante volte ha occupato con prepotenza la scena della politica italiana producendo danni nefasti. Insomma, abbiamo assistito ad un pirotecnico lancio di misure congiunturali costruite su basi d’argilla e verso le quali i custodi dei conti – a via Venti Settembre, al Quirinale, a Bruxelles – nutrono ampi dubbi e profonde perplessità.

Renzi ha lanciato pochi provvedimenti solo normativi svincolati dalla necessità di risorse finanziarie (l’estensione del limite temporale dei contratti di lavoro senza vincolo di causalità da 12 a 36 mesi e alleggerimento dei limiti per l’apprendistato) e molti annunci aleatori la cui realizzabilità, a cominciare dal taglio dell’Irpef di 10 miliardi, dipende integralmente da coperture incerte e un po’ raffazzonate. Strutturare l’azione di rilancio del Paese su un “tesoretto” di 20 miliardi è o velleitario o deriva da una scarsa conoscenza di come stanno le cose, visto che ci vuole tra 10 e 20 volte tanto. Se poi si tratta di soldi la cui esistenza è tutta da verificare, peggio ci sentiamo.

Sulla stessa spending review, strumento che in passato non a caso ha scontato diversi fallimenti, il commissario Cottarelli ha specificato che per il 2014 l’ipotesi è di recuperare 3 miliardi (e non 7), e tra l’altro solo a patto che i tagli partano immediatamente. È palese: siamo ancora nel campo delle ipotesi, come lo sono sia gli incassi dal rientro dei capitali dall’estero che i potenziali proventi iva derivanti da soldi spesi per l’edilizia scolastica o dal saldo dei debiti della pubblica amministrazione. Misure le cui norme sono ancora tutte da scrivere. Stessa situazione per il taglio del 10% dell’Irap, da finanziare con l’aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie dal 20 al 26%, che potrebbe anche indurre una fuoriuscita di capitali e rivelarsi controproducente. Per non parlare della scommessa sui 3 miliardi risparmiati dai minori interessi sul debito pubblico, visto che conosciamo la volatilità dei mercati e non esiste certezza al mondo che domani lo spread non torni a salire.

Il premier ha limpidamente dichiarato di voler fare come Tremonti (quello che lanciò “la finanza creativa”): mettere a copertura il miglioramento futuro del quadro economico. Per adesso, tutto è rimandato al Def di fine marzo, che non sarà però l’unico controllo che il governo dovrà superare. Renzi sostiene, infatti, che altri 6,4 miliardi si potrebbero recuperare avvicinando il nostro rapporto deficit/pil all’invalicabile limite del 3% dal 2,6% che la Commissione europea stima sia oggi.

Insomma, il (fu) rottamatore può indignarsi oggi quanto vuole contro chi gli domanda dove prenderà i soldi: vedremo cosa farà domani quando le domande, o i dinieghi, arriveranno da Bruxelles. Per non andare allo scontro frontale è possibile poi che arrivino i veti di Padoan e di Napolitano, garanti dei rapporti politici ed economici dell’Italia con l’Europa. Dopo i roboanti annunci, dunque, sono ora in programma una serie di prove ad eliminazione diretta in cui Renzi dovrà fare i conti con il Ministero dell’Economia e la Ragioneria di Stato, il Quirinale e il Parlamento, l’Unione europea e i mercati internazionali. E se anche, nel migliore dei mondi possibili, tutte le prove fossero superate, il gioco sarà valso la candela? Parliamoci chiaro: tagliare il cuneo fiscale del 3,4% (10 miliardi su 296,4) non può fare la differenza e 10 (o 20) miliardi, mentre non bastano per “rivoluzionare” l’Italia, potrebbero rivelarsi un buco incolmabile per i nostri conti pubblici. La crisi è un mix di fragilità reali e di sfiducia collettiva, e pensare che qualche euro in più ai lavoratori dipendenti generi automaticamente consumo è una pia illusione. Chi guadagna 1400 euro al mese, se riceve 80 euro in più, si guarda attorno, scruta i foschi orizzonti, respira un po’ di incertezza e mette quei soldi da parte per probabili emergenze future. Non sarebbe stato molto diverso se quei soldi fossero stati integralmente dirottati sull’Irap (una tassa talmente mal formulata che andrebbe abolita), visto che lo stesso clima di sfiducia e demoralizzazione lo vivono le imprese, che avrebbero trasformato in investimenti solo metà di quelle risorse.

La scossa stilistica – basta con i piccoli passi – Renzi l’ha data. Ora serve il contenuto, che non è di qualche decina di miliardi di euro, ma semmai di qualche centinaia. Da ricavare da un piano Marshall di finanza straordinaria – che metta in gioco il patrimonio pubblico e chieda il soccorso di quello privato (senza intenti punitivi, anzi) – sulla base di un ripensato modello di sviluppo. Ben di più e di più complesso della presunta rivoluzione renziana. I critici, però, lo incoraggino ad andare avanti, ad essere “rivoluzionario” anche nelle riforme che tagliano (strutturalmente) la spesa improduttiva. Fare gli scettici non serve. Anche se è difficile dire che non ce ne sia motivo.

Napoli, Christian Maggio operato per un pneumotorace

0

Christian Maggio operato d’urgenza per un pneumotorace post traumatico. Ancora nessun comunicato ufficiale del Napoli ma intanto continuano a trapelare indiscrezioni. Secondo TgCom Christian Maggio aveva subito una botta prima della partenza della squadra per Oporto, in vista dell’incontro di Europa League e al ritorno dal Portogallo si sarebbe sentito male, rendendo necessario l’intervento per risolvere lo pneumotorace che ha causato il malore.
I medici intanto rassicurano: Christian Maggio sta bene e le sue condizioni sono sotto controllo.

Brescia, sesso in discoteca tra 16enne e 2 ragazzi. Video su Facebook e Whatsapp

0

Il video lo avevano girato in una discoteca (una notissima discoteca scrive il Giorno, in Franciacorta) di Brescia: lei, sedicenne, che fa sesso orale a due ragazzi. Solo che lei, la sedicenne, del video non sapeva nulla. Ma le immagini iniziano a girare su Facebook. su WhatsApp.
Su Facebook, come racconta il Corriere della Sera (edizione Brescia), sei ore dopo la pubblicazione il post riceve 700 like e 600 commenti. E un numero non precisato di condivisioni.
Lei capisce tutto solo quando su Facebook si ritrova numerose richieste di amicizia e decide di vendicarsi scrivendo nome e cognome di chi ha pubblicato il video e contattando i carabinieri di Chiari. E adesso sono partite le indagini.

Padova. Abusa della figlia per 5 anni: le dava “paghetta” per ogni rapporto

0

Ogni rapporto sessuale consumato valeva una “paghetta”. Un uomo è stato accusato di violenza sessuale e prostituzione minorile per aver abusato della figlia da quando aveva 9 anni fino ai 14.
La ragazza e la madre hanno denunciato l’uomo, operaio di 43 anni e origini camerunensi, solo dopo essere state accolte in una comunità di prima accoglienza ed essere riuscite ad allontanarsi dalla casa che dividevano con lui.
L’uomo, residente a Padova, è stato sottoposto dal gip alla misura cautelare dell’allontanamento e del divieto di avvicinarsi alla figlia e ai luoghi che lei frequenta. Nel gennaio scorso, come riportano i giornali locali, la giovane insieme alla madre si è allontanata dal genitore facendosi ospitare in una comunità di prima accoglienza, sotto la tutela dei servizi sociali del Comune.
Solo dopo l’uscita di casa del padre, a seguito delle indagini condotte dalla squadra mobile, le due hanno potuto far ritorno nell’abitazione.

Roma, bimbo di 3 anni rischia di morire soffocato da hot dog a Ikea. Ora è grave

0

Roma, un bambino di 4 anni ha rischiato di morire soffocato in un Ikea di Roma. Il bambino stava mangiando un hot dog al negozio di Porta di Roma.
Il bambino ora è ricoverato in gravissime condizioni al policlinico Gemelli. “Ricordo ancora adesso le urla di disperazione della madre – dice una testimone – mentre tutto il personale era in lacrime. Nessuno però sapeva cosa fare, una scena di panico generale senza nessuno che sapesse praticare la disostruzione”.
L’azienda si difende spiegando che le manovre sono state effettuate dagli “addetti della squadra di primo soccorso”, nell’attesa dell’arrivo dei sanitari del 118, che hanno ingaggiato una vera e propria lotta contro il tempo nel dedalo di stradine del parcheggio sotterraneo. Costretti poi a portare la barella a mano per diverse centinaia di metri.
Per 40 lunghi minuti il bimbo è rimasto senza respirare ed ora lotta tra la vita e la morte. “Il battito è regolare e respira autonomamente – spiegano i medici – ma la prognosi resta riservatissima ed è ancora in pericolo di vita”.

Venezia, muore e lascia tutto al Comune. Che non paga il funerale…

0

“La cara salma non riposi in pace”, scrive l’agenzia di pompe funebri introno alla casa del sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, e in campo Sant’Aponal. Volantini dell’agenzia funebre per protestare contro il Comune e l’Avvocatura civica, che ancora non hanno saldato il funerale della donna che ha lasciato tutti i suoi averi in eredità alla città di Venezia.
Il funerale è stato celebrato un anno fa e non ancora saldato. L’agenzia allora ha affisso i volantini, mentre l’Avvocatura civica spiega che ci vorrà ancora tempo per questioni burocratiche. Tullio Cardona su Il Gazzettino scrive:
“Un’impresa di pompe funebri che ha scelto di appiccicare i grandi fogli in anonimato, vuole i soldi dal sindaco e dall’Avvocatura civica, per aver provveduto ai funerali di un’anziana signora, della quale fa nome e cognome. La donna, deceduta quasi un anno fa, avrebbe lasciato casa, mobili ed “ingente patrimonio” liquido al Comune. I manifesti spiegano che Ca’ Farsetti, divenuta erede, aveva l’obbligo di provvedere alle esequie. Così, infatti, è stato, ma l’impresa affidataria ora scrive sui muri di essere «stata presa in giro» dall’Avvocatura civica, nella persona di Giulio Gidoni, e di aspettare ancora il saldo, concludendo come, per questi fatti, certamente «la cara salma non riposi in pace»”.
La replica è giunta secca e il sindaco Orsoni e Gidoni starebbero pensando anche di querelare l’agenzia per diffamazione:
“Secca la replica di Ca’ Farsetti, che ricorda come le pratiche di accettazione di un testamento da parte di un ente pubblico siano molto lunghe e come non sia possibile liquidare alcun pagamento fino alla conclusione dell’iter. In altre parole, ci vorranno ancora un paio di mesi almeno. Anzi, visto che l’impresa di pompe funebri ha tirato in ballo con addebiti precisi sia il sindaco Giorgio Orsoni che il direttore dell’Avvocatura civica, Giulio Gidoni, questi starebbero pensando a querelare per diffamazione”.
Intanto in una nota l’Avvocatura civica ha dichiarato:
“«Il Comune pagherà il funerale, ma bisogna rispettare tutti i passaggi previsti in caso di accettazione di un’eredità. È stato disposto un inventario sui beni della signora che non si è ancora concluso e solo dopo sarà possibile liquidare le spettanze. L’impresa in questione, che pubblicizza funerali low cost, ha invece chiesto 3mila 400 euro e pretendeva che gli fosse pagata la fattura immediatamente. Le cose non funzionano in questo modo e le procedure vanno rispettate»”.

L’intelligenza emotiva nelle organizzazioni

0

Il libro “Intelligenza Emotiva” di Daniel Goleman, pubblicato nel 1995, è stato un vero toccasana per il mondo del business. Il testo di Goleman ha dato grande risalto a ricerche scientifiche (realizzate in primis da Peter Salovey e John Mayer) che dimostravano ciò che si sperava fosse vero, ovvero che l’empatia, le capacità relazionali, il governo delle emozioni fossero più importanti delle mere competenze tecniche. Chi lavora all’interno delle organizzazioni sa bene che questi ingredienti sono una merce rara. E’ molto più facile incappare in persone (e in capi) arroganti, egocentriche, poco inclini alla comunicazione e con emozioni talvolta fuori controllo. Sapere, quindi, che l’intelligenza emotiva rappresenta la base per il successo personale e l’eccellenza organizzativa appariva come una vera e propria rivincita su tutto ciò che in azienda spesso era assente, oltre che una speranza di miglioramento del clima di lavoro.

Il grande merito di Goleman è stato quello di sdoganare definitivamente le “competenze soft” dal loro ruolo ancillare all’interno delle imprese e di far entrare a pieno titolo le emozioni tra gli aspetti di assoluta rilevanza nel lavoro. Il successo del libro si è presto trasformato in forti investimenti formativi sullo sviluppo dell’intelligenza emotiva e in progetti di riorientamento dello sviluppo professionale dei manager.

Se appaiono del tutto giustificate le esortazioni di Goleman a prestare attenzione alle competenze emotive per il successo personale e il miglioramento delle performance aziendali, un discorso a parte merita l’adozione di questi concetti nella realtà d’impresa. L’enfasi sulla predominanza dell’intelligenza emotiva sull’expertise tecnica è assolutamente condivisibile all’interno di un testo che si propone di portare alla ribalta questo tema. Molto meno giustificabile è l’adozione acritica di questi concetti che si è riscontrata in alcune aziende.
In seguito al successo del libro di Goleman, ho visto imprese organizzare a pioggia sessioni di training focalizzate sullo sviluppo dell’intelligenza emotiva per tutti i collaboratori. L’equazione alla base di questa decisione era molto semplice: se l’intelligenza emotiva porta al miglioramento delle performance individuali, sviluppiamo queste competenze in tutti i collaboratori e avremo un sicuro ritorno economico. Nella realtà, raramente si è ottenuto un risultato pari alle aspettative. Questo non perché le argomentazioni di Goleman non siano corrette, quanto piuttosto per il fatto che all’interno delle organizzazioni i fabbisogni formativi sono assolutamente eterogenei e diversificati. Talvolta, ad esempio, si è puntato sullo sviluppo delle competenze emotive di persone che ricoprivano ruoli organizzativi per i quali erano privi delle competenze tecniche di base o delle informazioni operative per svolgere al meglio le proprie mansioni. E’ evidente che se non si conosce come svolgere il proprio lavoro, il miglioramento delle doti empatiche non porta molto lontano.

Goleman ritiene (e Salovey e Mayer prima di lui) che la mancanza di intelligenza emotiva ostacola l’uso dell’expertise tecnica. Questo è certamente vero. Tuttavia, altrettanto vero è che una bassa expertise tecnica può ostacolare l’uso dell’intelligenza emotiva: si pensi ad esempio ad una persona dotata di forte iniziativa e proattività, priva però di competenze di base per svolgere il proprio lavoro.

Un aspetto finale che vorrei sottolineare riguarda il fatto che – come Goleman giustamente sottolinea – molti sono saliti al vertice delle imprese pur in mancanza di competenze emotive. Per l’autore questa situazione sembra essere una sorta di retaggio di un passato che non esiste più, perché nella complessità del mondo di oggi la collaborazione tra le persone, la flessibilità e le relazioni interpersonali faranno la differenza tra le imprese di successo e quelle mediocri. Solo leader dotati di grande intelligenza emotiva potranno quindi guidare le imprese di successo.

Personalmente non sono d’accordo con questa affermazione (anche se mi piacerebbe moltissimo che fosse vera). Penso che in futuro continueranno a salire al vertice, e ad ottenere ottimi risultati, persone prive di intelligenza emotiva. La vera differenza consisterà nella sostenibilità di questi risultati. I leader imperscrutabili (alla Mr. Spock di Star Trek), arroganti, privi di doti empatiche e di capacità relazionali forse potranno addirittura raggiungere la vetta più velocemente di quelli competenti emotivamente. D’altra parte, la legge della frusta per ottenere un’accelerazione repentina delle performance funziona ancora benissimo (anche nella complessità odierna). Se però siamo alla ricerca del mantenimento di alte performance e della crescita di competitività prospettica dell’organizzazione, ci accorgeremo presto che questa tipologia di leader non è in grado di governare la crescente complessità dei contesti relazionali e organizzativi in cui opera.

Legittimo il licenziamento per giusta causa di chi registra le conversazioni dei colleghi a loro insaputa

0

È legittimo il licenziamento di chi registra le conversazioni dei superiori e dei colleghi a loro insaputa, «per la grave situazione di sfiducia, sospetto e mancanza di collaborazione venutasi a creare all’interno dell’equipe medica di chirurgia plastica».

Con una efficace, sintetica e ben motivata decisione (Cass. Sez. Lav., 21 novembre 2013, n. 26143), la Suprema Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici dell’Appello che avevano ritenuto legittimo il licenziamento senza preavviso intimato nei confronti di un medico che, al fine di supportare la propria denunzia per il “mobbing” asseritamente subito dal primario del reparto ove egli prestava la sua attività professionale, aveva – come detto – registrato brani di conversazione di numerosi suoi colleghi a loro insaputa, per poi utilizzarli in sede giudiziaria.

La decisione dei giudici di merito è stata ritenuta dalla Cassazione adeguatamente motivata avendo essi accertato la gravità del fatto oggetto dell’addebito disciplinare posto a base del licenziamento “attraverso argomentazioni congrue, ancorate a dati istruttori precisi ed immuni da qualsiasi rilievo di ordine logico-giuridico”.

Infatti, secondo la Corte, le risultanze processuali avevano dato ampia contezza del fatto che il medico licenziato avesse tenuto un comportamento tale da integrare una evidente violazione del diritto alla riservatezza dei suoi colleghi, “avendo registrato e diffuso le loro conversazioni intrattenute in un ambito strettamente lavorativo alla presenza del primario ed anche nei loro momenti privati svoltisi negli spogliatoi o nei locali di comune frequentazione”, utilizzandole strumentalmente, come detto, per una denunzia di mobbing, rivelatasi, tra l’altro, infondata.

Un elemento di interesse della pronuncia in esame risiede, però, anche (e, forse, soprattutto) nella valorizzazione – ai fini della affermazione della legittimità del recesso datoriale – della sopravvenuta sfiducia, nei confronti del medico che aveva tenuto la condotta descritta, non solo da parte del datore di lavoro – per l’oggettiva gravità dei fatti addebitatigli e puntualmente provati – ma anche da parte dei colleghi che avevano subito una intollerabile invasione nella propria sfera privata.

Afferma, infatti, la Corte, del tutto condivisibilmente, che il “clima di mancanza di fiducia che si era venuto a creare nei confronti del ricorrente” aveva comportato il venir meno di un elemento “indispensabile per il miglior livello di assistenza” e quindi per garantire la “qualità del servizio” della struttura sanitaria nella quale erano avvenuti i fatti, “con grave ed irreparabile compromissione anche del rapporto fiduciario che avrebbe dovuto permeare il rapporto tra il dipendente e l’Azienda ospedaliera datrice di lavoro”.

In altri termini, la Corte afferma il principio di diritto secondo cui il venir meno dell’elemento fiduciario ha rilevanza non solo nei rapporti tra datore di lavoro e dipendente, ma anche nei rapporti tra i dipendenti, in particolare quando un tale elemento fiduciario permea le mutue relazioni di un gruppo di lavoratori la cui sintonia e il cui reciproco affidamento sull’altro condizionano la prestazione lavorativa nel suo insieme.

Si tratta, con ogni evidenza, dell’affermazione di un principio di portata particolarmente innovativa.

Immissioni intollerabili e risarcimento del danno alla salute

0

L’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità ex art. 844 cod. civ., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, sussistente “in re ipsa”, l’esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’art. 2043 cod. civ.

L’art. 844 cod. civ. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l’obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell’ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio. Viceversa, l’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all’articolo 844 cod. civ., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, sussistente “in re ipsa”, l’esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell’uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’articolo 2043 del codice civile e specificamente, per quanto concerne il danno alla salute, nello schema del danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’articolo 2059 cod. civ.

Il principio è stato ribadito in una recente decisione del giudice di legittimità (Cass. civ. n. 4570 del 2014, Pres. Oddo, Rel. Proto, P.M. Del Core). Nella fattispecie, la Corte ha rigettato il ricorso avverso la sentenza impugnata con la quale il giudice di merito aveva accolto la domanda diretta alla eliminazione delle immissioni rumorose provenienti da un fondo il cui proprietario esercitava attività di carrozzeria ed officina meccanica. Nel caso in esame, il diritto al risarcimento del danno è stato fondato dalla corte di merito non per un generico danno esistenziale o per violazione del “diritto alla felicità”, osserva la Cassazione, ma sulle norme di cui agli artt. 2059 e 32 Cost., ed è stato ritenuto che il risarcimento era dovuto per il danno non patrimoniale alla salute.

Indennizzo di 2.000 euro per il ritardo della P.A.

0

Con la direttiva 9 gennaio 2014 pubblicata sulla “Gazzetta Ufficiale” n. 59 del 12 marzo, recante linee guida sull’applicazione dell’art. 28 del D.L. n. 69 del 2013, entra in gioco un nuovo strumento per combattere la lentezza dell’apparato burocratico.
Con il provvedimento in esame è finalmente introdotta una forma, seppur lieve, di responsabilità economica della pubblica amministrazione (pari a trenta euro per ogni giorno di ritardo, fino ad un massimo di 2.000,00 euro), in caso di mancata conclusione del procedimento entro il termine di 30 giorni o del diverso termine previsto dai regolamenti esistenti.
Queste, in breve sintesi, le condizioni per poter agire nei confronti della p.a. ed ottenere un indennizzo per il ritardo del procedimento amministrativo :
a) il procedimento amministrativo, iniziato ad istanza di parte, deve riguardare l’avvio o l’esercizio dell’attività di impresa (fino all’adozione del regolamento, emanato ai sensi dell’art. 17, comma 2, legge n. 400 del 1988, che dovrà confermare, rimodulare, estendere o eliminare la disposizione in esame);
b) il procedimento non deve concludersi nei termini previsti dalla legge o da un regolamento appositamente emanato dall’Amministrazione di riferimento (art. 2, commi 2, 3, 4 e 5, della legge n. 241 del 1990);
c) deve essere stato azionato, preventivamente, il potere sostitutivo e deve essere perdurata l’inerzia dell’Amministrazione senza che quest’ultima abbia emanato il provvedimento richiesto entro il termine (anch’esso perentorio) pari alla metà di quello originariamente previsto per il procedimento iniziale (art. 2, comma 9-ter, della legge n. 241 del 1990).
Alla presenza dei suindicati presupposti, l’interessato deve ricorrere all’Autorità titolare del potere sostitutivo ex art. 2, comma 9-bis, legge 241/1990 (Legge sul procedimento amministrativo), richiedendo l’emanazione del provvedimento non adottato e, contestualmente, la corresponsione dell’eventuale indennizzo da ritardo.
L’istanza deve essere presentata nel termine di venti giorni dalla scadenza del termine entro cui il procedimento si sarebbe dovuto concludere, ed il suo mancato rispetto determina l’impossibilità per l’interessato di conseguire l’indennizzo e di riproporla per il medesimo procedimento.