1 Ottobre 2024, martedì
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La gestione del servizio: da emozione a emozione

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Gestione del servizio e emozioni sono tutt’uno. Questa chiave di lettura nasce dalle caratterizzazioni di questo variegato mondo. È un approccio insolito che guida lungo un riesame critico su come vengono governate le relazioni fra il cliente e l’organizzazione nella sua globalità, con l’obiettivo dell’innovazione e della produttività.

LE DIFFERENZE
Il servizio, così come il bene tangibile, nasce per dare la risposta alle esigenze di un soggetto, il cliente. C’è differenza fra le due forniture:
– La produzione di un bene è affidata unicamente al fornitore; definiti i requisiti del prodotto, il cliente non è coinvolto nel processo.
– L’erogazione del servizio presuppone la presenza del cliente, che interviene nel processo di erogazione con un ruolo attivo.

L’INTERAZIONE
La soluzione delle esigenze del cliente nasce da una interazione fra il cliente e la persona dell’organizzazione: studente e docente, paziente e medico, cliente e addetto allo sportello, etc. Osservando con occhio critico, scopriamo che nella sua essenza “il servizio è una interazione fra persone”. Non possiamo sottovalutare un altro aspetto: “la persona è portatrice di emozioni”. Applicando la proprietà transitiva le due asserzioni si fondono: “Il servizio è uno scambio di emozioni”.
Il bagaglio di emozioni a carico dei due protagonisti è un mix eterogeno:
– Il cliente: timore di non trovare la risposta alle sue esigenze, ansia di non essere all’altezza, disagio nei confronti del nuovo, desiderio di risolvere in tempi brevi, imbarazzo nel confidare ad altri, fastidio nel contatto con altri, sollievo, soddisfazione, felicità nella risoluzione,…
– Il personale: preoccupazione di non aver compreso bene, preoccupazione nel gestire una relazione nuova, apprensione nel rispettare i tempi, tensione nel voler fare al meglio, paura di dimenticare qualcosa, soddisfazione nelle proprie capacità, sollievo nell’aver superato la prova, felicità nell’essere stato d’aiuto…

Le fonti di emozioni non si esauriscono qui.
Il cliente vede e vive relazioni con gli altri clienti, da qui: euforia, angoscia, invidia, gelosia, orgoglio. Inoltre, l’ambiente sollecita altro tipo di reazioni legate alle percezioni sensoriali positive o negative (udito, olfatto, gusto, tatto).

LA COMUNICAZIONE
Durante l’erogazione assolve al compito di guidare le azioni e i comportamenti del cliente: dove andare, cosa portare, con chi parlare, come usare uno strumento, come prepararsi (corpo, conoscenze, atteggiamenti, beni)…
Carenze nella comunicazione sono deleterie: disorientano, creano uno stato d’ansia e compromettono il ruolo partecipativo. E allora il cliente non si sente all’altezza, ha vergogna, teme il giudizio e stenta ad essere collaborativo.
I rischi di errori nascono da tanti elementi: termini, linguaggio, struttura delle frasi, strumento, canale, posizionamento di cartelli, dimensione dei caratteri, grafica piatta o eccessiva…

LA COMPETENZA EMOZIONALE
La capacità di governare le proprie emozioni fa parte della professionalità di chi cura le relazioni con il cliente. Significa essere in grado di controllare le proprie, in nome del ruolo, e di saper leggere quelle del cliente. La componente tecnica ne risulta valorizzata in quanto il cliente si sente riconosciuto come persona e non un caso o una cartella. – See more at: http://limpresaonline.net/articolo.php?id=20674&t#sthash.dVzBDeYo.dpuf

Al via la task-force sulla riforma del Catasto

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Le associazioni partecipanti. Sono quattordici le associazioni coordinatesi per garantire la giusta attuazione della riforma del Catasto, assicurando che siano adottati i decreti legislativi mediante i quali i valori catastali degli immobili saranno allineati a quelli del mercato. Di seguito si riporta l’elenco delle associazioni: Abi (Associazione bancaria italiana), Ance (Associazione nazionale costruttori edili), Ania(Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici),Casartigiani, Cia (Confederazione italiana agricoltori), Cna(Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa), Coldiretti, Confagricoltura, Confartigianato, Confcommercio, Confedilizia, Confesercenti, Confindustria e Fiaip (Federazione italiana agenti immobiliari professionali). La diversificazione delle conoscenze e delle esperienze nel proprio settore di competenza delle associazioni in collaborazione tra loro faciliterà l’acquisizione di numerosi dati per ogni possibile tipologia di immobile: dalle abitazioni agli uffici, dagli studi ai negozi, dalle botteghe artigianali ai laboratori, ai magazzini, agli opifici industriali.
La finalità del coordinamento. Innanzitutto la loro azione sarà indirizzata alla raccolta dei datirelativi ai valori di compravendita e ai canoni di locazione del triennio 2011-2013, necessari per mettere a punto un nuovo sistema nonché per l’elaborazione di nuove proposte. I dati, raccolti in maniera capillare a livello territoriale, saranno poi confrontati con i valori patrimoniali e le rendite dell’Agenzia delle Entrate. I dati saranno rapportati ad una serie di condizioni, come la zona o lo stato conservativo dell’immobile, in grado di modificarli e influire su di essi.
Valore patrimoniale. Il metodo adottato dal coordinamento delle quattordici associazioni coincide con quello proposto dalla Legge Delega Fiscale, al quale il Governo si dovrà rifare nell’adozione dei decreti di riforma del sistema catastale. Secondo la legge, il valore patrimoniale degli immobili deve essere definito in base ai valori di mercato al metro quadro a seconda della tipologia immobiliare. A questo valore verranno applicati dei coefficienti in base alle caratteristiche edilizie dell’immobile, come la presenza di scale, l’anno di costruzione, il piano, l’esposizione, la localizzazione. L’algoritmo che ne risulterà sarà moltiplicato per i metri quadri, rilevati secondo la metodologia catastale, fornendo il valore patrimoniale dell’immobile. In generale, questo vale per unità immobiliari a destinazione catastale ordinaria (gruppi A, B e C, che includono abitazioni, uffici, biblioteche, magazzini sotterranei, negozi, stabilimenti balneari, tettoie e autorimesse). Per determinare il valore delle unità immobiliari a destinazione catastale speciale (gruppo D, in cui rientrano opifici, capannoni industriali, alberghi) si userà invece un sistema di stima diretta grazie all’applicazione di metodi standardizzati e di parametri di consistenza specifici per ciascuna destinazione catastale speciale. Nel caso in cui non sia possibile fare riferimento diretto ai valori di mercato, si userà il criterio reddituale o, per gli immobili strumentali, quello del costo.
La nuova rendita catastale. Sempre ai sensi della Delega Fiscale, la rendita catastale sarà calcolata sulla base dei redditi da locazione medi: moltiplicando il valore delle locazioni al metro quadro, cui deve essere applicata una riduzione per le spese di manutenzione e per gli adeguamenti tecnici, per la superficie si avrà il valore della rendita. Sia i valori patrimoniali che le rendite dovranno essere adeguati periodicamente.
Catasto “energetico” e green economy. Con un nuovo decreto saranno incentivati gli interventi di adeguamento degli immobili alla normativa in materia di sicurezza e di riqualificazione energetica e architettonica, che incideranno probabilmente in modo strutturale sul sistema, finora basato su strumenti prorogati di anno in anno. Al momento, le riqualificazioni energetiche e le ristrutturazioni sono incentivate rispettivamente con una detrazione fiscale del 65% e del 50%. Il livello di queste aliquote resterà tale fino al 31 dicembre 2014 e poi scenderà nel 2015 rispettivamente al 50% e 40%, mentre tornerà al 36% a partire dal 2016.
Nuove forme di fiscalità indirizzeranno il mercato verso modi di consumo e di produzione sostenibili. I decreti che il Governo emanerà entro un anno dovranno, inoltre, rivedere la disciplina delle accise sui prodotti energetici e sull’energia elettrica. Il maggior gettito che ne deriverà sarà investito per la riduzione della tassazione sui redditi e sul lavoro generato dalla green economy, ma anche nell’innovazione delle tecnologie e nella diffusione di prodotti a basso contenuto di carbonio.

Avvocati specialisti in 2 tappe

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Dal diritto ambientale a quello internazionale o dell’Unione europea, dal bancario e finanziario al penale, tributario, o condominio e locazioni. Sono solo alcune delle materie in cui l’avvocato potrà ottenere il titolo di specialista. Seguendo un corso di durata almeno biennale e di non meno di 200 ore e superando una prova, scritta e orale, al termine di ciascun anno di corso. Non solo. L’avvocato specialista, titolo che potrà rilasciare solo il Consiglio nazionale forense, è sottoposto all’obbligo di formazione continua nella specifica area di specializzazione. È quanto emerge dalla bozza di regolamento sulle specializzazioni inviata l’altro ieri dal ministero della giustizia, per i prescritti pareri, al Consiglio nazionale forense, al Consiglio di stato e alle competenti delle commissioni parlamentari (si veda ItaliaOggi di ieri). L’altro regolamento inviato dal guardasigilli, Andrea Orlando, riguarda invece l’elenco dei difensori d’ufficio nei processi penali, e stabilisce i requisiti di iscrizione all’elenco degli avvocati disponibili ad assumere la difesa d’ufficio, che il Cnf predispone e aggiorna, con cadenza trimestrale.

Energia eolica dall’Algeria: l’alternativa al gas per l’Italia

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Il Nordafrica, in particolare l’Algeria, può dare una sterzata “rinnovabile” all’approvvigionamento energetico dell’Italia. Ma non parliamo del petrolio libico o del gas naturale, del quale proprio l’Algeria fornisce all’Italia un terzo del suo fabbisogno: la nuova frontiera invece potrebbe essere l’eolico, che può arrivare a un prezzo competitivo (9-10 centesimi a kilowattora), grazie a un “elettrodotto”, un cavo sottomarino di 170 km che Terna, il gestore della rete elettrica italiana, sta costruendo fra la Tunisia e la Sicilia.

Un prezzo, 9-10 cent per kw/h, che è la metà di quanto ci costa la produzione eolica nostrana ed è un prezzo competitivo rispetto all’energia prodotta dalle centrali elettriche alimentate a gas.

Quindi l’Algeria, che (dati Eni 2010) ora fornisce 22,71 dei 69,28 miliardi di metri cubi di gas naturale che importiamo ogni anno, può diventare una miniera di energia rinnovabile a basso costo. Prospettiva che riguarda l’intero Nordafrica, come scrive Federico Rendina sul Sole 24 Ore:

“Un domani molto vicino (si parla del debutto nel 2015 per un progetto che dovrebbe assumere le sue forme definitive entro il 2020) […] I fondamentali economici dell’operazione – sottolineano gli analisti di quotidiano energia – sono già imbastiti: secondo le stime attribuite al consorzio Desertec (l’alleanza che raccoglie anche gli operatori europei nell’energia e nella finanza, come le nostre Enel e Terna ma anche Unicredit e Intesa San Paolo, proprio per sviluppare iniziative di generazione da fonti rinnovabili nel continente africano) il costo della generazione eolica nei migliori siti terrestri dell’Algeria è stimato tra 6,5 e 8,5 centesimi di euro a kilowattora, che diventano 9 o 10 centesimi si includono i costi di trasmissione fino all’Italia considerando le infrastrutture in corso di realizzazione. La stima si basa su uno studio realizzato da Desertec insieme all’azienda di Stato algerina Sonelgaz sul potenziale eolico dei paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo. Che per il business dell’elettricità eolica “presentano condizioni particolarmente favorevoli”, rimarca lo studio precisando che nella fascia settentrionale africana il costo della produzione eolica è già oggi competitivo con quello delle centrali che bruciano idrocarburi.

Un affare per tutti. Tant’è che – fa rilevare lo studio di Desertec – i paesi dell’area hanno adottato obiettivi davvero ambiziosi, con l’intenzione di portare le installazioni eoliche ad almeno 20 gigawatt di potenza complessiva entro questo decennio. Particolarmente attivo l’Egitto, che ha un target di 7,2 GW, seguito dal Marocco con 2 GW, dalla Libia con 1,5 GW e appunto dall’Algeria dalla Tunisia che hanno obiettivi quantitativamente più modesti (attorno ai 0,5 GW nella fase iniziale) ma con l’intenzione di debuttare per primi nel mercato dell’export di elettricità”.

Cannabis terapeutica prodotta in Puglia: proposta di legge in Regione

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Coltivare la cannabis da cui poi tirare fuori i principi attivi stupefacenti, a scopo terapeutico. L’idea è quella del parlamentare salentino Sergio Blasi. L’ex segretario del Pd ha infatti depositato la proposta di legge per “introdurre la facoltà di sperimentare l’avvio della produzione”, indirizzata ai pazienti costretti a adoperare il tutto purché sia prescritto “dal medico specialista e dal medico di medicina generale”.

Lello Parise per Repubblica scrive:

Come stanno le cose, questo tipo di farmaci arriva dall’Olanda. Se sono le Asl ad acquistarlo,il costo si aggira tra i 15 e i 20 euro al grammo. Qualora sia un cittadino qualunque a mettere mano al portafoglio, sale fino a 50 euro. Cifre più o meno vertiginose nel momento in cui si confrontano con quella necessaria per preparare il medicamento: sarebbe al di sotto dei 2 euro, 1 euro e 55 centesimi, esattamente, secondo il calcolo di Blasi.

Il guadagno per un azienda sanitaria, si aggirerebbe attorno al 50 per cento. Sarebbe esorcizzato inoltre il mercato illegale, che indispettisce l’assessore alla Salute Elena Gentile, ma che appare destinato a fare ancora affari d’oro poiché gli ammalati dovrebbero scucire 100-150 euro ogni giorno per 2-3 grammi di cannabis qualora non potessero beneficiare del servizio pubblico. Le regole del gioco stabilite da lungomare Nazario Sauro prevedono che il trattamento possa essere somministrato sia all’interno di un nosocomio, sia a casa.

Usa. Nelle carceri permesso anche tenere cani per compagnia a detenuti

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Carceri americane amiche degli animali. Un connubio curioso che offre benefici a cani e carcerati, facilitando – in alcuni casi – anche la vita di chi vive fuori dalle prigioni, che puo’ approfittare di prezzi concorrenziali per alcuni servizi di base legati ai quattro zampe, come il bagno o la pensione. Il tutto creando un ponte – secondo gli osservatori – fra due mondi che raramente si uniscono.

Il programma di introduzione di cani nelle carceri, dopo un avvio a rilento, ha preso piede e ora sembra spopolare. Lanciato nel 1981 e’ stato adottato da un numero crescente di prigioni. Il concetto di base – afferma il Wall Street Journal – e’ far congiungere cani abbandonati, abusati e rifiutati con carcerati che hanno un passato ugualmente difficile, se non simile. Alcuni cani ‘fortunati’ dai canili sovraffollati riescono ad approdare nelle carceri che hanno aderito al programma, e li’ vivono una ‘vita’ piu’ felice preparandosi al dopo. E offrendo sollievo anche ai carcerati, soprattutto donne, che si prendono cura di loro sotto vari punti di vista, fra i quali l’addestramento.

I carcerati per entrare nel programma devono essere ‘puliti’, ovvero non devono aver commesso alcuna infrazione durante il periodo trascorso dietro le sbarre. Una volta dentro il loro ‘stipendio’ aumenta: i membri del programma guadagnano infatti 1,41 dollari l’ora, un buono stipendio considerato che i lavori in cucina e di pulizia fruttano un terzo. E i benefici dei cani nelle strutture carcerarie sono evidenti: cosi’ come negli ospedali, molti cani sono una terapia. ”Mi ha insegnato come controllarmi. Ho imparato a essere piu’ giusta” afferma Alvinita Stuart, carcerata a Gig Harbor, a Washington, per omicidio e con una condanna che finira’ nel 2016.

A Gig Harbor, nello stato di Washington, anche ai cani viene offerta una seconda chance. E’ il caso di Pax, un esuberante Golden Retriever, precedentemente cacciato da un carcere del Wisconsin dove era stato definito incorreggibile. Pax a Gig Harbor ha trovato la sua ‘anima gemella’, una condannata per omicidio che lo ha rimesso sulla giusta strada e gli ha consentito di divenire un cane di sostegno per i disabili. Il carcere di Gig Harbor si e’ spinto anche oltre, offrendo servizi anche a chi e’ fuori dal carcere: per la cifra competitiva di 25-80 dollari offre servizi spa per i cani, come bagno, unghie e taglio. Ma anche programmi di addestramento, talmente richiesti che c’e’ una lista d’attesa di due anni.

Il ritorno agli investimenti ICT

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Nel 2014 le banche dedicheranno agli investimenti ICT il 50% in più rispetto ai budget registrati lo scorso anno. È quanto rilevato dal Rapporto ABI Lab “L’evoluzione dell’ICT nelle banche italiane”, in cui sono stati individuati i nuovi trend di investimento. Ma a trainare l’evoluzione tecnologica, questa volta, saranno le piccole realtà bancarie, pronte (per il 62,5% del totale) ad adeguarsi alle innovazioni ICT ampliando significativamente i budget dedicati. Mentre tra le banche grandi e medie solo il 40% ha previsto un rialzo degli investimenti.

Priorità di investimento

Nel mirino degli investimenti ICT da parte delle banche italiane per il 2014 ci sono le iniziative di mobile banking e mobile payment, la dematerializzazione dei processi e l’adeguamento alle nuove Disposizioni di Vigilanza. Se il tema della multicanalità rimane ancora al centro delle attenzioni bancarie, con l’88% delle banche già attive nel fornire app per il mobile banking, dall’altro lato si vede una maggiore propensione al miglioramento dei processi, tanto che l’81% delle banche segnala tra le priorità di investimento la dematerializzazione, soprattutto a livello enterprise e con logiche che guardano a una completa automatizzazione e dematerializzazione dei workflow. A questa tematica si affianca la compliance che, naturalmente, ha un forte impatto anche sugli investimenti: il 2014, difatti, è l’anno della Circolare 263 (cui le banche si dovranno adeguare entro il febbraio del 2015) e le realtà finanziarie stanno già muovendo i primi passi per capire come gestire al meglio gli investimenti finalizzati all’adeguamento normativo.

Priorità di indagine

Intanto, aumentano anche i campi di indagine: business intelligence e business analytics sono tecnologie a cui le banche guardano con interesse, per la loro capacità di fornire un valore aggiunto nei servizi grazie al monitoraggio, al controllo e a una maggiore comprensione dei bisogni del cliente. Seguono mobile banking e mobile payment, sotto la lente di ingrandimento delle banche non solo per investimenti ma anche per indagine. Diverso lo scenario dei big data e del cloud, verso cui non si muovono investimenti bancari, ma si palesa un forte interesse nel comprendere i vantaggi che queste nuove tecnologie potrebbero portare nel mondo finance.

Stranieri e credito: il podio ai rumeni

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L’11% delle domande di credito raccolte nel 2013 in Italia proviene dagli stranieri, secondo quanto rilevato dal report annuale di CRIF. Di queste, il 21,1% proviene da rumeni, seguiti da albanesi (5,9%), marocchini (5,4%), tedeschi (4,1%), filippini e svizzeri (4%). Nonostante la grande presenza di cinesi in Italia, la loro richiesta corrisponde solo allo 0,9%.

Domanda di mutui

I primi due posti per domanda di mutui ipotecari sono occupati ancora da rumeni e albanesi, svizzeri e tedeschi al terzo e quarto posto, interessati a fare investimenti immobiliari per le vacanze, mentre i filippini sono solo al ventiquattresimo. Non compare invece nessun paese dell’Africa sub sahariana nelle prime 33 posizioni di questa graduatoria.

Importi medi

Per quanto riguarda l’importo medio richiesto, alle cifre più elevate non corrispondono le etnie che hanno fatto più domande: il record spetta infatti agli austriaci con 36.524 euro, seguiti da olandesi (34.133 euro), cinesi (24.179 euro) e russi (23.520 euro); specificatamente per il mutuo, gli svizzeri hanno chiesto in media più soldi.

Ancora shadow banking per i cinesi

I cinesi invece, già al ventisettesimo posto nella classifica del 2012, scendono ulteriormente di due posizioni: riconfermano dunque la loro preferenza per forme “alternative” di credito come lo shadow banking.

«Nel corso del 2013 la domanda di credito da parte di cittadini stranieri ha seguito dinamiche sostanzialmente analoghe a quelle registrate per le famiglie Italiane – dichiara Simone Capecchi, Direttore Sales & Marketing di CRIF – ma con una sorta di autocensura preventiva nel tentativo di non appesantire il proprio indebitamento, determinando una riduzione significativa della domanda agli istituti di credito, sia per finanziare consumi sia per l’acquisto della casa, rinviati a momenti più propizi».

CartaSi e Qui! Group: una partnership per i buoni pasto elettronici

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95mila POS gestiti da CartaSi accettano i buoni pasto elettronici di Qui! Group: un business da 15 milioni di buoni pasto annui, una fetta di mercato dei buoni pasto elettronici pari al 50%, e che presto CartaSi estenderà anche ad altre società emittenti per favorire l’accettazione di diverse tipologie di ticket elettronici con un solo terminale.

Ridurre i tempi di accredito del buono pasto

È sufficiente inserire il buono pasto elettronico nel POS e in pochi istanti avviene il pagamento. La transazione viene infatti trasmessa dal POS al server della società emittente che la memorizza e le elabora per il successivo rimborso al ristoratore e per la fatturazione all’azienda cliente, riducendo anche il periodo di accredito al commerciante (stimato oggi a circa 60 giorni).

Un mercato da 3,42 miliardi

Un accordo strategico, soprattutto considerando i numeri del mercato italiano dei buoni pasto: il business vale 3,42 miliardi di euro, coinvolge 135mila esercenti e oltre 2,3 milioni di lavoratori che in un anno usano 500 milioni di buoni pasto, il 7% dei quali elettronici (dati Università Bocconi, Il settore dei buoni pasto in Italia).

Per le banche arriva il servizio a valore aggiunto

«L’accordo con Qui! Group ci permette di supportare ulteriormente le nostre banche partner nell’ambito della monetica – dichiara Gianluca De Cobelli, Vice Direttore Generale di CartaSi. Il servizio di accettazione di buoni pasto elettronici tramite POS permetterà loro di evolvere la propria offerta commerciale e di fidelizzare gli esercenti tramite un servizio innovativo, utile e con un potenziale di sviluppo importante».

«Questo – spiega Gregorio Fogliani, Presidente di Qui! Group – è un importante caso di apertura dei POS bancari ai servizi a valore aggiunto, che garantirà efficienza all’esercente ed agli istituti di credito, semplificando l’erogazione dei servizi e offrendone di nuovi al cliente finale».

Fondazione Mediolanum Onlus: al via il bando “Nutriamo il futuro”

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Fondazione Mediolanum Onlus ha stanziato 250mila euro per il bando “Nutriamo il futuro”, finalizzato alla promozione di tre progetti che affrontino la tematica della nutrizione e del sostentamento dei piccoli in condizioni di disagio. I progetti verranno votati online, sul sitowww.fondazionemediolanum.it, e potranno essere condivisi sui principali social network.

Il plafond messo a disposizione dalla Fondazione Mediolanum Onlus verrà suddiviso fra i tre migliori progetti: 150mila euro al primo classificato, 70mila al secondo e 30mila al terzo. La partecipazione all’iniziativa da parte delle organizzazioni no profit è totalmente gratuita e avviene attraverso il sitowww.fondazionemediolanum.it: i progetti dovranno essere inseriti entro il 31 marzo, mentre la selezione inizierà il 4 aprile, con la votazione da parte della community entro il 30 aprile e la proclamazione prevista per il 5 maggio 2014