1 Ottobre 2024, martedì
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Soldi ai detenuti per condizioni disumane per legge o per decreto

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Soldi ai detenuti per le condizioni disumane in carcere. Per decreto o con apposito disegno di legge da approvare in tempi rapidi, anzi rapidissimi, onde evitare nuove condanne da Strasburgo. Un indennizzo, quantificabile tra i 10 e i 20 euro al giorno, per chi è già uscito dal carcere. E unosconto di pena, non superiore al 20% per chi, invece, è ancora dietro le sbarre.

Queste le indiscrezioni sul piano che il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, intende portare nella sua trasferta europea: dati aggiornati e un progetto credibile sull’emergenza carceri da presentare alla Corte europea dei diritti dell’uomo che, non più tardi di un anno fa sanzionò l’Italia per le condizioni “inumane e degradanti” delle nostre carceri. Ma una nota del ministero precisa che tali anticipazioni:

“riportano dettagli e ipotesi su sconti di pena ed eventuali risarcimenti che non saranno oggetto della proposta che sarà presentata, poichéaspetti ancora in fase di studio e che dovranno essere ulteriormente approfonditi anche alla luce dei colloqui di Strasburgo”.

La corte di Strasburgo, è bene ricordarlo, a gennaio 2013, ha condannato l’Italia a risarcire sette carcerati di Busto Arsizio e Piacenza, reclusi in uno spazio claustrofobico, meno di 3 metri quadri a testa, imponendole di pagare 100mila euro ai detenuti e di predisporre misure strutturali per risolvere la generale situazione di sovraffollamento.

Emergenza, più volte denunciata anche dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, con un messaggio alle Camere rimasto pressoché inascoltato. In gioco ci sono quindi i risarcimenti legati alle tremila cause che Strasburgo ha congelato fino alla scadenza del termine fissato per il 28 maggio, e l’Italia rischia di pagare un conto salato. Secondo calcoli approssimativi si parla di una cifra intorno ai 40 milioni di euro.

Ma non è solo un questione economica. La dignità di chi vive dietro le sbarre e la qualità della vita negli istituti di pena è il segnale del grado di civiltà di un Paese: in ballo c’è l’immagine dell’Italia alla vigilia del suo turno di guida del semestre europeo e che, non più tardi di due settimane, fa ha ricevuto l’ennesimo avvertimento dal Consiglio d’Europa.

Dopo gli incontri in ambasciata che si terranno lunedì sera, sarà proprio con i rappresentanti del Consiglio d’Europa il primo appuntamento del ministro per la giornata di martedì, a cui seguirà quello con il presidente della Corte dei Diritti dell’Uomo. Orlando non si presenterà a Strasburgo con un “maxi-piano: di piani ce ne sono già stati molti – ha detto – ora serve una serie di misure puntuali e concrete”.

Il primo dato che il ministro potrà far valere è quello sul numero dei detenuti: nel gennaio 2013 erano poco più di 65.700; oggi sono 60mila, quasi 6mila in meno. Un effetto, in parte, del decreto svuota-carceri varato dal precedente governo.

La previsione è che per maggio si scenda a quota 59 mila detenuti e nel contempo salga a 50 mila postila capienza nelle carceri grazie all’apertura di nuovi padiglioni e nuove strutture. L’accelerazione del piano carceri è infatti uno dei punti chiave della strategia Orlando, che fa leva anche sulla possibile cessione di alcune strutture obsolete per liberare risorse e sulla riconversione di altre in comunità per tossicodipendenti con un regime di pene alternative; un processo da promuovere agevolando convenzioni con le Regioni.

Ma Orlando vuole anche portare a Strasburgo una relazione che il Dap, Dipartimento di amministrazione penitenziaria, ha messo a punto per spiegare, tabelle alla mano, che il numero dei detenuti che hanno a disposizione meno di 3 metri quadri a testa è in netto calo: da 10mila si sarebbe passati a 2.500, con l’obiettivo di scendere a breve a quota 2mila.

Tre metri quadri a persona è lo spazio vitale minimo chiesto da Strasburgo perché non si configuri quel“trattamento inumano e degradante”, che viola l’art. 3 della Convenzione dei diritti dell’Uomo.

Risultati sulla popolazione carceraria sono attesi anche dalle conseguenze della sentenza della Corte Costituzionale sulla legge Fini-Giovanardi, che ha reintrodotto la distinzione tra droghe leggere e pesanti, riabbassando le pene per i reati legati alle prime. Il Dap sta conducendo un monitoraggio sulle ricadute di questa novità: il dato di partenza dice che i detenuti per reati di produzione, traffico e detenzione illecita di droga sono circa 13mila: 8.589 definitivi e 4.345 non definitivi.

Scuola, “vietato obbligare famiglie a pagare”. Ministero ordina, ma le scuole…

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Le scuole non possono pretendere soldi dalle famiglie. I cosiddetti contributi volontari, che a molti istituti servono come il pane per far fronte a spese anche banali (le fotocopie, il funzionamento delle aule di informatica…), non sono un obbligo per le famiglie. Lo diceva un’ultima circolare delMinistero dell’Istruzione datata 7 marzo 2013, lo ricorda una nuova circolare di questi giorni del nuovo ministro Stefania Giannini. Il fatto che il Miur ribadisca il concetto significa che molte scuole in realtà continuano a pretendere quei soldi, un contributo che oscilla a seconda dei casi tra i 60 e i 300 euro ad alunno.

Molti presidi scrivono lettere alle famiglie con toni ultimativi, il Corriere della Sera ha raccolto qualche esempio in giro per l’Italia:

Prendiamo, per esempio, una circolare di un liceo di Cuneo. Punti esclamativi inclusi. Scrive il dirigente: «Si ricorda che i contributi, se pure non obbligatori, sono richiesti perché indispensabili per il funzionamento dell’istituto». Quindi il suggerimento: «Per gli alunni, le cui famiglie non intendono versare i contributi, vi sono due possibilità. Pagare ogni volta la quota relativa al servizio, all’acquisto di cui usufruiscono (esempio: pagare ogni fotocopia, ogni ingresso nell’aula informatica). Strada di fatto non percorribile!». Oppure «usufruire di tutti gli strumenti, di tutti i servizi, perché gli altri alunni hanno pagato». Più a est, un liceo scientifico di Milano chiede 150 euro quale «contributo spese di funzionamento». Per arrivare a Mestre, dove i 120 euro (per chi si iscrive al secondo anno) e i 130 euro (per la registrazione alle classi 3°, 4° e 5°) servono, tra le altre cose, anche alla «parziale copertura delle spese di fotocopiatura». «Al netto di chi ha l’esonero per merito, motivi economici o appartenenza a speciali categorie — chiariscono dal ministero — sono obbligatorie soltanto le tasse di iscrizione, di frequenza, di esame e di diploma».

A volte il “contributo volontario” non versato può pregiudicare l’iscrizione di un alunno a una determinata scuola. Il ministero ribadisce che è una prassi illegale, la circolare della Giannini chiarisce che in caso di irregolarità da parte dei presidi i genitori possono rivolgersi «agli Uffici scolastici regionali che sono responsabili della vigilanza sulle scuole».

Smartphone vietati ai concerti: i Rolling Stones non li vogliono, i Radiohead sì

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Smartphone, ma anche tablet, vietati ai concerti. La questione non è recentissima: vietarli o no? Ad alcuni danno fastidio, al pubblico come agli artisti, altri non si pongono il problema, altri cantanti invece usano il materiale video e foto raccolto dai fan per farne a loro volta nuovi video.

La questione si è riproposta dopo il concerto a Milano dei Disclosure il 17 marzo. Nei video dei fan messi su Youtube un mare di schermi accesi rivolti verso il palco. Damir Ivic su Soundwall ha scritto un articolo eloquente, basta leggere il titolo: “Chi filma avvelena anche te (digli di smettere)” .

Gli smartphone danno fastidio o no? I Rolling Stones per esempio chiedono ai loro fan di evitarli, così si legge in un avviso per il live del 27 aprile scorso a Los Angeles. Beyoncé nel 2013 ha vietato persino l’ingresso ai fotografi durante i suoi concerti, per motivi di vanità: circolavano infatti in rete foto che non rendevano giustizia alla sua bellezza. C’è invece chi raccoglie foto e video dei fan per farne nuovo materiale creativo, come i Beastie Boys e i Radiohead.

“Feto è morto”, ma nasce bimbo sano. Denuncia medici che le dissero di abortire

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Il feto è morto, meglio abortire“. Per i medici del pronto soccorso del Fatebenefratelli, alla donna arrivata con perdite ematiche durante le prime settimane di gravidanza, altro non restava che abortire. La diagnosi per i medici era di “aborto interno”, perché il battito del cuoricino non c’era. Ma la donna ha deciso di chiedere un secondo parere e attendere. Oggi quel feto è un neonato sano di 3 mesi e mezzo e la madre ha denunciato i medici del pronto soccorso dell’ospedale San Giovanni Calibita Fatebenefratelli.

Adelaide Pierucci sul Messaggero scrive:

“Ma tutto ciò è stato possibile solo grazie alla testardaggine della giovane madre che quel giorno non si è voluta fidare della diagnosi dei medici del pronto soccorso. Oggi chiede giustizia e, visto che il reato di tentato omicidio colposo non può essere contestato, ha deciso di puntare al risarcimento dei danni morali: «Non si può precludere la vita di un bimbo innocente per una superficialità» chiarisce, assistita dall’avvocato Pietro Nicotera, che per lei ha indirizzato all’ospedale la lettera con cui preannuncia l’azione legale”.

Una diagnosi errata, ricostruisce la Pierucci:

“La mamma che ha salvato la gravidanza grazie al suo istinto si chiama Maria S., abita all’Eur ed ha un altro figlio, una bambina di due anni. Il 4 aprile del 2013 si era presentata al pronto soccorso di ginecologia dell’ospedale sull’Isola Tiberina perché preoccupata dalla comparsa di perdite ematiche. Temeva che quel segno potesse significare la fine della gravidanza appena cominciata. «Signora, ha avuto un aborto interno» le dice una dottoressa «Non c’è traccia del battito in ecografia. E anche se alle prime settimane di gravidanza, alla quinta bisognerà procedere col raschiamento. Consigliamo il ricovero. Se vuole lo disponiamo subito»”.

Ma la donna non è convinta e decide di farsi prescrivere la pillola abortiva e di aspettare:

“Su suggerimento della dottoressa, decide, in alternativa all’intervento, di assumere un farmaco per provocare l’espulsione e torna a casa. Il tutto viene sintetizzato sul verbale di pronto soccorso. La paziente «entra alle 11.06 ed esce alle 15.44». «Diagnosi: aborto interno. Informata sul decorso clinico della terapia, la paziente decide il trattamento con Methergin cpr». La mamma, spinta dal fiuto, compra il farmaco ma non lo assume. Anzi il giorno dopo, di buon’ora, si fa visitare dal suo medico di base, all’Eur, specializzato in ginecologia. «Quel giudizio al pronto soccorso di ostetricia del Fatebenefratelli, nonostante le analisi e l’ecografia, mi era sembrato troppo frettoloso – racconta – quindi la sera, a casa, ho messo subito via il Methergin, e ho cominciato a cercare informazioni su internet dove ho trovato la conferma di quanto avevo già intuito, ossia che non sempre il battito degli embrioni è individuabile alla quinta settimana. Meglio aspettare quindi per farmaci e ferri. Io il mio bambino, anche se la gravidanza non era stata pianificata, lo volevo»”.

La sua dottoressa le conferma che è meglio attendere e la settimana dopo l’ecografia scioglie ogni dubbio: il feto c’è, il cuoricino batte e la gravidanza avanza. Ora la donna ha denunciato i medici:

“«Il mio bambino è nato il 2 dicembre del 2013», racconta ora Maria. «Pesava tre chili e mezzo. Ho avuto una gravidanza e un parto naturale sereno. E ogni volta che mi soffermo a guardare il mio piccolo mi rendo conto del pericolo scampato. Se non avessi seguito il mio istinto sarei stata io stessa la carnefice di mio figlio. Ecco perché sono sempre stata convinta che un’azione legale fosse un’iniziativa non solo giusta, ma doverosa. Nei pronto soccorso il personale deve essere altamente qualificato. Non si può sbagliare con la vita»”.

Multa per sosta su strisce blu oltre orario pagato. Comuni: “Noi le faremo”

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 Sosta sulle strisce blu oltre l’orario pagato, c’è la multa oppure no? Si paga solo la differenza o tutta la sanzione? Il Ministero dice no ma i Comuni son sul piede di guerra e avvertono: noi le multe continueremo a farle. Francesco Grignetti sulla Stampa fa il punto della situazione, cercando di chiarire le idee degli automobilisti italiani.

Il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti,per bocca del sottosegretario Umberto Del Basso De Caro, in Parlamento ha detto che se un automobilista lascia la sua macchina in un’area di parcheggio a pagamento oltre l’orario pagato, non incorre in una multa per divieto di sosta, visto che qualcosa ha pagato, ma dovrà solo saldare il dovuto per l’orario scoperto, trattandosi di “inadempienza contrattuale£.

Ma i Comuni senza quelle multe ci rimetterebbero milioni di euro. A Roma, per esempio, scrive Grignetti,

“le sanzioni per sosta irregolare sulle strisce blu nel 2012 sono state circa 302 mila. Il Comune prevede di incassare circa 11 milioni di euro”.

L’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni, ha perciò detto la sua al governo: “Chi sosta oltre l’orario non può pagare solo la differenza”.

Una cosa è certa, scrive Grignetti:

“i Comuni andranno avanti con le multe per divieto di sosta nei confronti di chi paga metà orario, e se qualcuno vorrà contestarle si finirà in tribunale. Dove peraltro le sentenze sono tante, spesso contraddittorie, ma «bisogna andarci cauti – dice Rita Sabelli, responsabile per l’aggiornamento normativo dell’associazione di consumatori Aduc – perché ci sono sentenze della Cassazione secondo le quali la sanzione amministrativa è comminabile anche in caso di ticket scaduto».”

Finti autovelox, Comuni contro Lupi: “Sono utili, fanno paura a chi corre”

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finti autovelox sono “pericolosi e dannosi” secondo il ministro Maurizio Lupi. I finti autovelox sono “utili come deterrente contro chi corre” secondo i Comuni e i vigili urbani. Ed è la seconda polemica in poche ore tra i Comuni e Lupi dopo quella sulle strisce blu (per le multe a chi sosta anche oltre l’orario pagato, multe che il ministero ha invitato a non fare)

La discussione è nata dopo che è stata diffusa questa circolare dal ministero dei Trasporti, quella di Lupi:

“Non sono inquadrabili in alcuna delle categorie di dispositivo o di segnaletica previste dal vigente Codice della Strada” e pertanto “non sono suscettibili né di omologazione né di autorizzazione”.

Secondo i Comuni invece le “scatole vuote”mettono paura agli automobilisti, che così rallentano e frenano in punti dove prima sfrecciavano.

Cosa sono queste scatole vuote? Si chiamanoSpeed Check e sono grandi scatole arancioni della forma simile a quella dell’autovelox. Ma al loro interno non sempre c’è l’autovelox, che viene montato solo periodicamente. Tuttavia la loro luce blu basta e avanza a spaventare gli automobilisti.

Lupi si è occupato della vicenda in prima persona dopo che Le Iene gli avevano fatto vedere un servizio su costi e pericoli dei finti autovelox. Infatti il ministro ha puntato il dito, a parte che sulla utilità di questi attrezzi, sul costo per l’amministrazione comunale (circa 3mila euro l’uno).

Usata in tutto il mondo, la sigla ”OK” è apparsa negli Usa 175 anni fa

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Non c’è Paese del mondo dove non sia utilizzata e capita:  ‘OK.’,  spesso accompagnata dal gesto che unisce indice e pollice a formare un cerchio, appariva nero su bianco per la prima volta in Usa 175 anni fa, il 23 marzo 1839. La sua ‘culla’ fu il quotidiano Boston Morning Post, che a pagina 2, al termine di un articolo sarcastico contro un giornale di Providence, Rhode Island, stampo’ la dicitura ‘ok’ accanto alla frase “all correct” (“tutto a posto”).

Per motivi ancora tutti da spiegare, la sigla diventò subito una vera mania nell’America di quegli anni. Secondo Allan Metcalf, autore di ”OK: The Improbable Story of America’s Greatest Word”, la sigla doveva essere l’abbreviazione di ‘all correct’ che in quegli anni veniva spesso scritto dai giovani con un volontario errore ‘oll korrect’, con effetti sembra esilaranti per i lettori dell’epoca. Metcalf attribusce la pubblicazione della fortunata espressione a Charles Gordon Greene, che era specializzato in satira sulle pagine del Boston Morning Post, autore del pezzo contro il foglio ‘rivale’ di Providence.

Tanto prese piede la moda, che l’espressione apparve presto su altri giornali, e fece quindi il suo ingresso nel gergo politico della campagna per le elezioni presidenziali americane del 1840, che vedevano in lizza il presidente uscente Martin Van Buren e lo sfidante William Henry Harrison. I sostenitori del democratico Van Buren decisero infatti di usare OK come marchio della loro campagna: il presidente era nato a Kinderhook, stato di New York, ed aveva come soprannome ‘Old Kinderhook’, abbreviato nell’efficace OK.

Nacquero presto gli ‘OK club’, ricorda Metcalf. Alla fine, Van Buren si rivelò non essere poi così Ok per gli americani, che elessero Harrison. Ma l’espressione era ormai dilagante, tanto che nel 1864 fu inserita nello Slang Dictionary of Vulgar Words. Tuttavia, al di là di questa spiegazione tutta a stelle e strisce, nel resto del mondo le origini di OK vengono spiegate nei modi più diversi: tra quelle ricordate da Wikipedia, c’è il greco ‘ola kal�’ (‘tutto bene’); oppure quella molto diffusa in Russia e nei paesi dell’ex Urss, dove si pensa derivi da ‘Ochen Khorosho’ (‘molto bene’), grido usato dagli scaricatori di porto di Odessa, per segnalare agli equipaggi delle navi che l’operazione di scarico era terminata.

Da lì OK avrebbe viaggiato per il mondo attraverso i contatti tra la gente di mare. Infine, una traccia porta anche al latino: nell’impero romano era molto comune dire ‘hoc est’ (‘questo è’) come assenso. La sua contrazione e trasformazione sarebbe diventata secoli dopo l’OK del Boston Morning Post.

Giuseppe Montemurro, l’italiano travolto e ucciso da bus alle Canarie

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E’ Giuseppe Montemurro, 76 anni e originario di Noicattaro (Bari) l’uomo travolto e ucciso alle Canarie dall’autobus turistico sul quale viaggiava.

Sceso con altri passeggeri in aiuto di una compagna di viaggio che aveva accusato un malore, è stato investito mortalmente dalla corriera in manovra.

Nell’incidente sono rimaste ferite altre nove persone, di cui due gravemente.

Spending review: il piano di Cottarelli

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Il piano di spending review di Cottarelli è stato illustrato nel documento illustrato nel documento “PROPOSTE PER UNA REVISIONE DELLA SPESA PUBBLICA (2014-16)”. Si tratta di 72 slide che presentano in modo sintetico il cronoprogramma del piano di spending review, le aree di intervento e le singole misure proposte, evidenziandone i risparmi complessivi.

Ferma restando l’ultima parola della politica sull’individuazione delle misure da mettere effettivamente in atto, il piano stima risparmi pari a 7 miliardi nel 2014, per poi passare ai 18,1 del 2015 ed ai 33,9 del 2016.

 

Ipotesi di partenza

Il piano di Cottarelli evidenzia da subito alcuni principi generali che stanno alla base del quadro complessivo di proposte avanzate:

– occorre avviare da subito alcune riforme strutturali i cui effetti si produrranno, però, nel medio periodo (e quindi con effetti nel triennio di durata del piano);

– le misure proposte si pongono l’obiettivo ambizioso di cambiare il modo di gestire la spesa senza stravolgere il “welfare state” e senza tagli all’educazione pubblica;

– le misure proposte discendono da valutazioni di carattere strettamente tecnico, mentre le scelte da assumere effettivamente e le priorità di intervento sono necessariamente lasciate alla politica;

– i risparmi di spesa sono stati stimati al lordo di possibili effetti sulle entrate; lo spazio effettivamente disponibile per ridurre il cuneo fiscale dipende dall’impatto sul quadro macroeconomico e dai relativi effetti sulle entrate;

– alcune proposte richiedono l’adozione di programmi dettagliati di riforma da definire entro l’estate 2014. Le proposte relative al 2014, inoltre, scontano la necessità di prevedere tempi tecnici per la relativa legislazione;

– non vanno sottaciute alcune criticità, meglio descritte nell’ultima parte del documento. In particolare:

— stante il quadro attuale della finanza pubblica, una parte rilevante dei risparmi di spesa andrebbero a riduzione del deficit, e non della tassazione, soprattutto nel 2015 e 2016;

— i risparmi di spesa ottenuti a livello locale dovrebbero essere utilizzati per ridurre la tassazione locale;

— va rilevato il problema del personale in esubero (si stimano circa 85.000 dipendenti pubblici), per effetto delle misure proposte, per il quale occorrerebbe studiare soluzioni innovative.

 

Le aree di intervento e le misure proposte

Il piano si articola in 5 aree di intervento (vedi tabella), nell’ambito delle quali sono presentate 33 proposte di razionalizzazione. Buona parte di queste proposte si inseriscono nel solco di misure già individuate nei piani di spending review dei precedenti Commissari (Bondi, Giarda) e nelle varie leggi di stabilità e razionalizzazione della spesa pubblica.

Le misure proposte

I risparmi stimati (Mld euro)

2014

2015

2016

Efficientamento diretto

2,2

5,3

12,1

Riduzione spese per beni e servizi (incluso sanità)

0,8 2,3 7,2

Pubblicizzazione telematica degli appalti pubblici

0,2 0,2 0,2

Razionalizzazione della gestione degli immobili

0,2 0,5

Riduzione dei costi della riscossione fiscale

0,4 0,4

Utilizzo dei fabbisogni standard per determinare trasferimenti nei comuni

0.5 2,0

Riduzioni consulenze ed auto blu

0,1 0,2 0,3

Riduzioni degli stipendi dei dirigenti

0,5 0,5 0,5

Razionalizzazione dei corsi di formazione per dipendenti pubblici

0,1 0,1

Riduzione inquinamento luminoso

0,1 0,2 0,3

Altre proposte da gruppi ministeriali

0,4 0,6 0,7

Riorganizzazioni

2,2

2,8

5,9

Riforma delle Province

0,1 0,3 0,5

Sinergie tra corpi di polizia

0,8 1,7

Riduzione (i) spese enti pubblici, agenzie pubbliche; (ii) trasferimenti a enti privatizzati

0,1 0,2 0,3

Digitalizzazione

1,1 2,5

Razionalizzazione Prefetture, Vigili del Fuoco, Capitanerie di Porto

0,2 0,4

Razionalizzazione di altre sedi periferiche delle PA centrali

0,1 0,4

Razionalizzazione delle comunità montane

0,1 0,1

Costi della politica

0,4

0,7

0,9

Razionalizzazione nei comuni, nelle regioni, e nei finanziamenti ai partiti

0,2 0,3 0,4

Razionalizzazione organi costituzionali e a rilevanza costituzionale

0,2 0,4 0,5

Riduzione dei trasferimenti inefficienti a imprese e famiglie

2,0

4,4

7,1

Trasferimenti alle imprese (stato)

1,0 1,6 2,2

Trasferimenti a imprese (regioni)

0,4 0,6 0,8

Introduzione della prova del reddito per indennità di accompagno

0,1 0,2

Lotta agli abusi sulle pensioni di invalidità

0,1 0,2

Tagli ai microstanziamenti

0,1 0,2 0,3

Razionalizzazione trasferimenti a partecipate locali (TPL e altro)

0,1 1,0 2,0

Riduzione dell’eccesso rispetto all’Europa dei trasferimenti al trasporto ferroviario

0,3 0,8 1,5

Spese settoriali (Difesa, Sanità e pensioni)

2,2

5,0

7,9

Razionalizzazioni nel Settore Difesa

0,1 1,8 2,5

Razionalizzazione della spesa sanitaria (esclusi acquisti beni e servizi) e Patto per la salute

0,3 0,8 2,0

Contributo temporaneo pensioni

1,4 1,0 0,5

Indicizzazioni pensioni

0,6 1,5

Allineamento contribuzione donne (da 41 a 42 anni)

0,2 0,5 1,0

Revisione pensioni di guerra

0,2 0,3 0,3

Pensioni reversibilità (flussi)

0,1

Totale generale

7,0

18,1

33,9

I risparmi maggiori e più immediati sono attesi dalle misure di efficientamento diretto (19,6 mld nel triennio), nell’ambito delle quali assumono rilievo le misure in materia di razionalizzazione di acquisti di beni e servizi, che dovrebbero portare risparmi complessivi per 10,4 miliardi nel triennio. È prevista, in particolare, la drastica riduzione delle centrali appaltanti (da 32.000 a circa 30 – 40), concentrando gli appalti essenzialmente su CONSIP, Regioni e città metropolitane.

Altri risparmi rilevanti sono attesi dalle misure di razionalizzazione nei settori della difesa, della sanità e delle pensioni (15,1 Mld nel triennio) e dalla razionalizzazione dei trasferimenti ad imprese e famiglie (13,5 Mld complessivi).

La riorganizzazione di diversi settori della pubblica amministrazione (in special modo centrale), potrebbe portare risparmi sempre più consistenti nel medio periodo. La misura più rilevante, in termini di risparmi attesi, è individuata nella digitalizzazione delle fatturazioni e dei pagamenti e dei flussi informativi, sulla scorta di provvedimenti già almeno in parte avviati.

Meno rilevante è l’impatto economico delle misure di riduzione dei costi della politica, sebbene su tali aspetti entrino in gioco anche valutazioni di equità. Particolarmente significativa è la messa in discussione delle modalità di finanziamento ai partiti: il piano di Cottarelli ritiene siano possibili ulteriori rispetto al DL recentemente approvato. Nel complesso, da tali misure si prevedono risparmi complessivi per 900 milioni di euro nel triennio.

Con riferimento agli enti locali, le proposte del Commissario prevedono un’ulteriore spinta alla creazione delle unioni per i Comuni sotto i 5mila abitanti ed un’ulteriore riduzione sia dei loro consiglieri che degli assegni che percepiscono. Altro capitolo rilevante è l’attuazione della riforma delle province.

Tra le altre misure proposte, si richiamano:

1. i controlli sui contratti di acquisto di beni e servizi in essere al 31/7/2014 e la previsione di tagli di stanziamento per il 2014 basati su indicatori CONSIP, per i centri di spesa meno virtuosi.

2. la drastica riduzione dei tempi di pagamento della PA.

3. risparmi dalla gestione degli immobili pubblici;

4. riduzione dei costi della riscossione fiscale;

5. utilizzo dei fabbisogni standard per determinare i trasferimenti nei comuni;

6. tagli ulteriori a consulenze ed auto blu;

7. riduzioni agli stipendi dei dirigenti pubblici;

8. soppressione e fusione di enti ed agenzie pubbliche.

La road map dei tagli

Il piano di Cottarelli delinea anche un cronoprogramma di massima per dare attuazione alle misure in materia di spending review.

Mese

Attività previste

Marzo – Inizio aprile

  • Decisione politica sulle misure di risparmio, ed attivazione di misure legislative in tempi rapidi per evitare l’impegno degli stanziamenti;
  • Finalizzazione delle proposte per il 2014 in collaborazione con i ministeri;
  • Chiusura del quadro macro nell’ambito del DEF per assicurare l’effettiva disponibilità delle risorse (incluso impatto dei tagli di spesa lordi su entrate ed effetti dei tagli della tassazione sulla spesa);
  • Accordo con enti territoriali su azioni e riduzione tassazione locale.

Aprile

  • Annuncio del piano complessivo per entrata in vigore (inclusa riduzione tassazione) dal 1 Maggio o 1 giugno 2014 Identificazione di “responsabili” per i programmi dettagliati di riforma con cui il Commissario possa interagire

Settembre

  • Presentazione da parte dei responsabili dei programmi dettagliati di riforma per il resto del triennio

Il documento conclude evidenziando alcune criticità e effettuando ulteriori proposte che potrebbero essere prese in considerazione per la razionalizzazione della spesa pubblica, tra cui assumono un rilievo particolare le misure in materia di trasparenza e gli interventi sulle società partecipate locali.

Affitti in nero risarcibili

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Affitti in nero, 500 mila contratti circa in fumo con il rischio, per gli inquilini, di dover pagare gli arretrati della differenza tra il canone in nero e quello imposto dopo la denuncia all’Agenzia delle entrate. Il calcolo degli inquilini interessati è contenuto in una interpellanza urgente presentata ieri da Ileana Piazzoni (Sel) alla Camera. A cui ha replicato a stretto giro il governo con il sottosegretario ai trasporti Umberto Del Basso de Caro prendendo tempo per il conteggio ufficiale degli interessati: «tenuto conto dei tempi tecnici di realizzazione della procedura informatica i dati potranno essere disponibili non prima del 15 aprile».

Il rischio risarcimenti è uno degli effetti paradossali della sentenza della Corte Costituzionale del 14 marzo (si veda ItaliaOggi del 15/3/2014) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, delle norme sulla cedolare secca (dlg 23/2011 articolo 3 commi 8 e 9). Per le norme, cancellate con effetto retroattivo dalla Consulta, il conduttore che avesse denunciato all’Agenzia delle entrate la mancata registrazione dle contratto di locazione, avrebbe ottenuto il diritto ad abitare l’immobile per un periodo di 4 anni con un canone ridotto.