2 Ottobre 2024, mercoledì
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Il turno dell’Europa per la sicurezza nucleare

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Nel quadro dei risultati complessivamente deludenti del disarmo nucleare, vi è un settore, quello della sicurezza nucleare, in cui vi è un interesse da tutti condiviso a fare dei passi in avanti. La sicurezza nucleare è questione diversa dalla”safety”, cioè dalla sicurezza fisica delle centrali nucleari volta ad evitare incidenti (in inglese “accidents”) come quelli di Černobil o Fukushima.

Nel caso della sicurezza si tratta di prevenire “incidents” ossia atti di violenza, furti, traffici clandestini provocati dall’uomo, in primis da parte di gruppi terroristici. Dopo la strage delle torri gemelle, il terrore che tali gruppi si potessero impossessare di armi di distruzione di massa èsalito alle stelle. Se episodi di vero e proprio terrorismo nucleare non si sono sinora verificati, lo si deve in buona parte alla rigorosa, spesso poco conosciuta e riconosciuta, azione preventiva della comunità internazionale.

Riduzione armamenti nucleari e non proliferazione
Gli strumenti a disposizione sarebbero essenzialmente tre. Anzitutto la riduzione del numero degli armamenti nucleari. Meno armi vi sono e meno rischio vi è di incidenti o furti. Dalla fine della guerra fredda, il numero di testate atomiche si è ridotto di due terzi, ma i paesi possessori dell’arma atomica rimangono restii a privarsi di tale strumento bellico.

Vi è poi la non proliferazione che mira a non far crescere il numero di paesi in possesso dell’arma nucleare. In questo caso sono i paesi non possessori a fare resistenza. Ad esempio non desiderano rinunciare all’arricchimento dell’uranio (vedi il caso dell’Iran) che serve per scopi energetici, ma anche a fini bellici.

Obama a Praga
Meno controverso è il ricorso a misure volte a rafforzare la sicurezza nucleare. L’inserimento della sicurezza nucleare ai primi posti dell’ambizioso programma di controllo degli armamenti enunciato dal presidente Barack Obama al Castello dei Praga nel 2009 fu una buona idea.

L’idea statunitense fu quella di portare all’attenzione dei i massimi dirigenti mondiali una materia sinora appannaggio di ermetici “iniziati”. Si trattava anzitutto di applicare nei fatti e non solo a parole le norme esistenti sulla soppressione del terrorismo nucleare e di contrastare fenomeni quali i traffici clandestini e l’impiego ingiustificato di materiale pericoloso, di favorire una cultura della sicurezza nucleare ed il recupero, messa in sicurezza e conversione del materiale fissile disseminato nel mondo.

Un primo vertice si tenne a Washington nel 2010. I leader di 43 paesi approvarono un “Piano di lavoro” divenuto il principale termine di riferimento cui si ispira questa iniziativa. Nel secondo incontro a Seoul nel 2102 si pose l’accento sulla necessità di minimizzare anzitutto l’uso dell’uranio altamente arricchito.

Iran e Corea del Nord assenti all’Aja
È ora venuto il turno dell’Europa. Il prossimo vertice si terrà all’Aja il 24 e 25 marzo. ll numero dei partecipanti crescerà: dai 43 di Washington si arriverà a 58. La composizione rimarrà eterogenea: potenze nucleari riconosciute dal Trattato di non proliferazione (Tnp) siederanno a fianco di stati cui il Tnp non riconosce lo status nucleare (India ,Pakistan, Israele). Paesi schierati in alleanze nucleari si affiancheranno a membri del movimento dei non allineati.

Mancherà all’appello, pur avendo capacità nucleari belliche, la Corea del Nord. Nonostante l’avvio delle trattative nucleari con l’Iran, Teheran non è stata invitata neppure questa volta. La presidenza olandese, paese che ospita il principale impianto di arricchimento dell’uranio in Europa, intende focalizzare l’attenzione sul problema del plutonio.

Debutto di Renzi al vertice sul nucleare 
Pur avendo voltato le spalle al nucleare civile, l’Italia ha sempre partecipato a questi incontri. Le sue capacità scientifico-tecnologiche e il fatto che sia paese di schieramento Nato, la rendono un interlocutore significativo. Si tratterà del primo vertice nucleare cui parteciperà il nostro nuovo Presidente del Consiglio. Sarà affiancato dalla titolare della Farnesina, Federica Mogherini, che sui temi nucleari ha padronanza ed esperienza a livello internazionale e i cui collaboratori lavorano da tempo alla preparazione del vertice.

È inevitabile che in incontri di questo genere si parli anche dei maggiori temi scottanti. A Seoul si parlò molto di Corea del Nord, all’Aja non si potrà non parlare di Ucraina la quale è tra i membri del club. Un incontro G7 sull’Ucraina si terrà ai margini del vertice.

Il prossimo appuntamento sulla sicurezza nucleare è previsto a Washington nel 2016. Con ogni probabilità, quest’ultimo chiuderà il cerchio di questi vertici che hanno il merito di aver portato periodicamente all’attenzione delle massime istanze e dell’opinione pubblica problemi di grande portata e di aver trovato alcune soluzioni.

Bosnia, come uscire dalla claustrofobia politica

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Dopo un inizio disordinato, in alcuni casi violento, la protesta che ha scosso la Bosnia Erzegovina si è mostrata legata a ragioni puramente socio-economiche e si è indirizzata verso forme di mobilitazione civica assolutamente nuove per il paese. Cerchiamo di analizzarne il significato, oltre che di inserirla nel contesto più generale di un paese che stenta a trovare la sua strada verso l’integrazione europea, al contrario di molti stati vicini.

Da Tuzla ai plenum 
Scaturita il 5 febbraio da un’iniziativa dei lavoratori di due società privatizzate e in via di fallimento a Tuzla, importante centro industriale nell’ex-Jugoslavia, la protesta ha trovato sostegno in alcuni gruppi organizzati tramite i social media. Le manifestazioni si sono estese a tutte le principali città della Federazione di Bosnia Erzegovina, una delle due entità che compongono il paese, ma anche, in forme diverse, a centri dell’altra entità, la Repubblica Srpska.

Inizialmente, atti di violenza gratuita hanno generato preoccupazione. Ma le proteste hanno quasi subito prodotto assemblee di cittadini, chiamati plenum: una sorta di democrazia diretta. Creati nella maggior parte delle città della Federazione, i plenum si sono concentrati su istanze legate alle realtà locali: soprattutto l’abolizione dei privilegi concessi ai politici dopo la fine dei loro mandati e la revisione degli accordi di privatizzazione di alcune società pubbliche.

Sotto la pressione dei gruppi di protesta, alcune importanti amministrazioni locali si sono dimesse. I plenum, in molti casi, stanno ora negoziando con le assemblee municipali e cantonali la nomina dei nuovi esecutivi, che vorrebbero composti principalmente da tecnici. Nel frattempo, anche se ridotti di numero, i cittadini continuano a scendere in piazza, pacificamente, quasi ogni giorno.

Tutto ciò rappresenta sicuramente un elemento nuovo nel claustrofobico panorama politico della Bosnia. Da tempo, gli osservatori lamentano un’eccessiva passività della società bosniaca che tende a sopportare apaticamente soprusi e incompetenze di una classe politica diffusamente corrotta, arricchitasi e mantenutasi al potere grazie a un astuto miscuglio di etno-nazionalismo e clientelismo.

Entrambi gli elementi sono stati favoriti da un sistema istituzionale, quello uscito dagli accordi di Dayton, basato sulla separazione e divisione del potere tra bosgnacchi, croati e serbi secondo un complesso sistema di autonomie locali. Questo non ha certo favorito l’integrazione sociale, e ancor meno la governabilità.

Le radici della frustrazione dei bosniaci sono quindi sia economiche che politiche. Spinti da disoccupazione e precarietà (aggravate dalla crisi mondiale), i cittadini vorrebbero essere governati da una classe politica più efficiente e meno corrotta. Ad accentuare la loro demoralizzazione contribuisce senz’altro il fatto che la maggior parte dei paesi balcanici vicini sta facendo progressi nell’integrazione europea. Mentre i politici bosniaci, per timore che maggiori controlli e trasparenza li priverebbero di molti privilegi, ostacolano le riforme.

Integrazione europea
La comunità internazionale, che da qualche anno ha ridotto la propria presenza e delegato al processo d’integrazione europea il compito d’incoraggiare le riforme, non è stata in grado di trovare la strategia giusta per scardinare il meccanismo che tiene al potere l’attuale classe dirigente. La quale è evidentemente impermeabile al “potere di attrazione” di Bruxelles.

Da un lato, l’Ue si è impegnata in negoziati diretti con i partiti politici per completare una riforma costituzionale richiesta da una sentenza della Corte europea per i diritti umani (Sejdić-Finci, 2009). Ha però dovuto dichiararsi sconfitta, proprio a tre mesi dalle consultazioni europee, e a sette dalle elezioni generali in Bosnia.

D’altro canto, se l’Ue dovrà ripensare la sua strategia, le residue strutture di Dayton non sembrano meglio equipaggiate per sciogliere l’impasse. L’ufficio dell’Alto rappresentante con mandato Onu, detiene ancora poteri esecutivi (i Bonn powers). Ma le conseguenze dell’ultima occasione in cui sono stati (maldestramente) usati sono senza dubbio all’origine di alcuni dei guai presenti, giacché la crisi d’ingovernabilità è particolarmente pronunciata nella Federazione.

È quindi importante chiedersi: dove andranno i nuovi movimenti di protesta? Saranno i plenum in grado di coagularsi in veri movimenti politici, capaci di offrire un’alternativa, perlomeno a livello locale, allo strapotere dei partiti tradizionali? I rischi di un fallimento sono grandi.

Esistono già tentativi dell’establishment politico di cooptare le proteste nello status quo, o di allungare i tempi delle riforme. Vi è anche un rischio di calo dell’entusiasmo popolare, o di un logoramento dei movimenti. La speranza è comunque che da questo nuovo attivismo civico nascano delle novità politiche, meglio se in tempo per le elezioni del prossimo ottobre.

Pensioni rubate ai co.co.co.

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Rubare ai poveri per garantire le pensioni dei ricchi (o dei meno poveri). È quello che sta facendo, da qualche anno, l’Inps. I numeri parlano chiaro. La gestione lavoratori autonomi perde ogni anno 12 miliardi, quella dei dipendenti pubblici 8 miliardi, quella dei dipendenti di imprese private uno.

L’unica gestione in attivo è la gestione separata, quella dei parasubordinati, che nel 2012, ultimo anno disponibile, aveva regalato alle casse dell’Inps 8,6 miliardi. Senza questi contributi l’Istituto di previdenza pubblica sarebbe al collasso. In pratica i lavoratori più bistrattati, meno sindacalizzati, con il minor numero di diritti, consentono all’Inps di pagare le pensioni a quelli più tutelati.

Ma l’aspetto più drammatico è che molti dei contributi versati da collaboratori, professionisti senza cassa, associati in partecipazione, venditori a domicilio, sono a fondo perso. Non daranno cioè il diritto a nessuna pensione.

Il problema è quello del «minimale contributivo»: in pratica a questi lavoratori viene accreditato un mese di contributi, validi ai fini pensionistici, solo se dichiarano un reddito di almeno 1.295 euro al mese. Se il loro reddito è invece, per esempio, la metà di questa cifra, ci vorranno due mesi di lavoro per mettere insieme un mese di contributi.

A parte gli amministratori, la stragrande maggioranza di coloro che versano alla gestione separata non arriva a questi livelli di reddito. Quindi rischiano seriamente di versare contributi espropriativi senza riuscire a maturare un diritto alla pensione: l’aliquota contributiva, che già è salita dal 10 al 28% in meno di vent’anni, è destinata infatti ad arrivare al 33% entro il 2018.

Renzi, premier social: Spopola su Twitter e Facebook

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Matteo Renzi è il presidente del Consiglio europeo più popolare su Twitter con 990.000 follower. Dopo l’ex sindaco di Firenze troviamo il presidente francese Francois Hollande con 619.000 seguaci. Chiude il podio il premier inglese David Cameron con 630.000 follower. Dopo questi tre leader, secondo quanto rileva il sito d’informazione IlSocialPolitico.it, si trova Mariano Rajoy Brey, premier spagnolo, con 491mila follower. Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, tocca quota 157.000 follower, piazzandosi davanti al presidente della Commissione Ue Barroso (89.300 follower). Renzi oltre a essere il più popolare è anche il leader che sfrutta meglio l’interazione con i propri follower: nei suoi ultimi 200 tweet sono 188 le volte in cui menziona un altro utente di Twitter, sono invece 119 le risposte dirette date ad un altro utente Twitter. Cameron si ferma a 80 menzioni e ad una risposta, Hollande non supera le tre menzioni e non risponde mai direttamente ai suoi follower. Barroso sfrutta bene l’interazione con i propri seguaci arrivando a 137 menzioni attive ed una risposta; Van Rompuy tocca quota 54 menzioni attive ma non risponde mai ai suoi interlocutori.Il presidente del Consiglio Italiano vince la sfida della popolarità anche su Facebook, il social network più diffuso al mondo. Matteo Renzi con 626.288 “Mi piace” risulta il premier europeo più popolare; dietro di lui troviamo Angela Merkel (non presente su Twitter) con 513.847 “Mi piace”. Terzo leader più popolare,  Hollande con 447.235 “Mi piace”. A seguire troviamoCameron (145.669 “Mi piace”),  Rajoy Brey (101.657 “Mi piace”) e Van Rompuy (24.710 “Mi piace”). Matteo Renzi risulta però leggermente indietro Angela Merkel e David Cameron nel livello di interazione con i propri fan. Per misurare questo indicatore abbiamo usato l’indice “ne parlano” che calcolando il numero di post, like, commenti e condivisioni ci da il termometro di quante conversazioni una pagina di Facebook riesca ad innescare con i propri fan. Il premier Inglese raggiunge i 41.412 “ne parlano”, la cancelliera Tedesca tocca invece quota 22.253. A seguire troviamo appunto Renzi con 13.694 ne parlano. Dopo il trio Cameron-Merkel- Renzi troviamo Mariano Rajoy Brey (4.825 ne parlano), François Hollande (2.762 ne parlano) ed Herman Van Rompuy (1.380 ne parlano).

Expo, Diego Robuschi nuovo direttore lavori

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Diego Riccardo Robuschi è il nuovo direttore lavori di Expo 2015. Lo ha annunciato il governatore della regione Lombardia, Roberto Maroni, durante una conferenza stampa al termine di un tavolo con il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, l’a.d. di Expo 2015 Giuseppe Sala e il prefetto, Francesco Paolo Tronca. Nella riunione è stato affrontato il nodo della continuità dei lavori per l’Esposzione universale del prossimo anno, in seguito allo scandalo giudiziario che alla fine della scorsa settimana ha portato in carcere Antonio Giulio Rognoni, d.g. dimissionario di Infrastrutture Lombarde e amministratore della partecipata Costruzioni autostrade Lombarde e il capo dell’ufficio gare e appalti, Pierpaolo Perez. Il governatore ha inoltre sottolineato che “l’inchiesta riguarda fatti del passato, nulla riguarda la piattaforma Expo. La cosa importante da fare”, ha concluso Maroni, “era garantire la prosecuzione dell’attività, cosa che noi abbiamo fatto”. La nomina dei vertici di Expo 2015 spetta per convenzione alla regione Lombardia.

Bollo auto, mancano all’appello 850 mln di euro di gettito

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Ben 850 milioni di euro. E’ l’ammontare del “buco” nelle entrate fiscali relativo alla tassa di possesso delle automobili, più conosciuta come bollo. La cifra emerge dai conti elaborati da Quattroruote insieme all’Aci. A fronte di 34,4 milioni di veicoli soggetti alla tassa, il gettito stimato è infatti di 6,45 miliardi di euro, ma quello effettivamente riscosso dalle regioni si ferma a 5,6 miliardi. Nell’indagine pubblicata nel numero di aprile, Quattroruote sollecita, insieme all’Aci, un’azione più determinata da parte degli enti preposti ai controlli al fine di stanare gli evasori che indenni continuano a passare i controlli e che, comunque, non rischiano molto, vista l’esiguità delle sanzioni previste per chi almeno paga dopo la scadenza. Solo l’Emilia Romagna ha reso noti introiti, nel 2013, per 473,4 milioni di euro e richieste di pagamento, tra avvisi “bonari” e cartelle di Equitalia, per 41 milioni di euro mai pagati. In Campania, invece, stime attendibili parlano di circa mezzo milione di evasori totali della tassa. Malgrado le pensanti ripercussioni sui loro bilanci, raramente le regioni applicano la facoltà di chiedere la cancellazione d’ufficio del veicolo dagli archivi del Pra, e quindi il ritiro di targa e carta di circolazione, come previsto dall’articolo 96 del Codice della strada dopo almeno tre anni di mancato pagamento. A Quattroruote il presidente dell’Aci Angelo Sticchi Damiani spiega come, dopo la maxi radiazione avvenuta nel 1999 in concomitanza con il passaggio del tributo dallo stato agli enti locali (2 milioni di veicoli), solo Lombardia e Lazio abbiano continuato a ricorrere con regolarità al provvedimento. Eppure, secondo le stime dell’Aci, sarebbero ancora un milione i veicoli abbandonati o finiti all’estero senza che la loro posizione venisse regolarizzata. La loro radiazione permetterebbe alle regioni il risparmio delle spese relative ai tentativi di recupero di crediti di fatto inesigibili, stimate in circa 25 milioni di euro l’anno.

«La tua banca»: ecco le parole chiave per gestire al meglio i conti correnti

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Il rapporto tra gli italiani e le banche, dopo decenni di apparente immutabilità, grazie all’introduzione delle tecnologie di comunicazione digitali sta mutando vorticosamente. Basti pensare che dal 2008 al 2013 le operazioni (depositi, trasferimenti e pagamenti) dei clienti bancari sono passate da un mix iniziale che le vedeva per il 62% allo sportello e per il restante 38% sui canali diretti (online banking, bancomat “evoluti”) a un 21% in filiale e per il 79% sul web. Coinvolti in questa rivoluzione, che cambia la facilità di accesso ai servizi ma anche i problemi da affrontare, sono decine e decine di milioni di concittadini: praticamente ogni famiglia possiede uno o più rapporti bancari attraversi i quali regola numerosissimi aspetti della propria vita quotidiana.

Eppure l’attenzione che gli italiani dedicano alla gestione dei propri risparmi, ma soprattutto il tempo che impiegano per aumentare le proprie competenze e apprendere gli elementi basilari, restano assolutamente inadeguati. Non a caso tutte le indagini segnalano il voto, costantemente insufficiente, che i clienti bancari otterrebbero a un ipotetico ” esame di finanza” di base.

 

Egitto, 529 manifestanti pro-Morsi condannati a morte: anche guida Mohamed Badie

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Condanna a morte per 529 manifestanti pro-Morsi dei Fratelli musulmani. LaCorte d’assise di Minya in Egitto ha decretato le condanne a morte e ha inviato il dossier al Gran Mufti’ d’Egitto, che dovrà decidere se ratificare le condanne o respingerle. Le accuse per i 529 pro-Morsi sono di omicidio, per la morte di due poliziotti, di disordini avvenuti lo scorso agosto e di appartenere ad un‘organizzazione terrorista. Tra i condannati anche Mohamed Badie, la guida spirituale della Confraternita.

Le condanne a morte sono state emesse nell’ambito del processo che vede imputati oltre 1.200 sostenitori dei Fratelli musulmani per i disordini in Alto Egitto il 14 agosto del 2013. La maggior parte degli imputati sono contumaci. Diciassette sono stati prosciolti oggi dalle accuse, mentre nei due giorni a venire dovranno comparire in aula altri 700 pro-Morsi anche loro accusati di avere attaccato un commissariato di polizia e di avere partecipato agli scontri e alle violenze.

Dopo la sentenza, scontri sono esplosi la mattina del 24 marzo davanti al tribunale di Minya in Alto Egitto tra i familiari dei condannati e la polizia. L’Ansa riporta che, secondo alcuni testimoni, alla lettura della sentenza sono stati gridati slogan contro l’esercito, la polizia e la magistratura. La sicurezza ha tenuto a 800 metri di distanza dal tribunale le famiglie degli accusati. Uno dei legali della difesa Tarek Fouda ha affermato che è stato loro vietato di aprire bocca in Aula.

Mauro Moretti: “Lavorerei gratis, i miei collaboratori no”. Lupi: “Sarei felice”

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Mauro Moretti corregge il tiro e dice: “Io potrei anche lavorare gratis, ma i miei collaboratori non lo so“. Le parole sono riportate da Sergio Rizzo sul Corriere della Sera dopo che nei giorni scorsi l’amministratore delegato diTrenitalia aveva minacciato di andarsene dall’Italiase fosse stato toccato il suo super stipendio da 850mila euro all’anno. Il ministro ai TrasportiMaurizio Lupi (che aveva polemizzato con Morettidopo l’uscita) ha accolto favorevolmente questa ultima provocazione: “Sarei contento se lavorasse gratis”.

Queste le parole di Moretti:

“Io posso lavorare anche gratis, ma i miei dirigenti devono essere retribuiti adeguatamente. Dove trovo un direttore finanziario o un capo delle risorse umane adatto per un’azienda come questa, se non posso pagarlo almeno 400, 450 mila euro l’anno? Me lo dicano se non è così. L’alternativa è che si chiude”

Questa la replica di Lupi:

“Se lo vuole fare sono molto contento, forse anche Moretti si è accorto di aver sbagliato”.

“Tante volte sbagliamo noi politici, diciamo una stupidata, basta ammetterlo e finisce lì”.

Brescia, non paga 240 mila euro di Iva: imprenditrice assolta per crisi

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Non ha pagato 240 mila euro di Iva per colpa della crisi: per questo è stata assolta. L’imprenditrice bresciana, titolare di una azienda edile, secondo il giudice monocratico Mencucci delTribunale di Milano, non può essere punita in base a una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha di fatto sdoganato l’ “evasione di sopravvivenza“.

L’imprenditrice è riuscita a dimostrare di non aver pagato l’imposta per cause che non dipendevano dalla sua gestione aziendale e pertanto non c’era dolo nel suo comportamento. Dinanzi al fallimento di numerosi clienti l’impresa edile vantava crediti per oltre 620mila euro. Soldi mai rientrati nelle casse dell’azienda, con relativo calo del fatturato aziendale, passato da 6 a un milione di euro.

Strozzata dalla crisi e dai mancati pagamenti, la sua è risultata essere a tutti gli effetti una “mancanza di liquidità del tutto incolpevole”. Per questo è stata assolta.