2 Ottobre 2024, mercoledì
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La Puglia promuove la semplificazione in materia edilizia

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Il Consiglio Regionale della Puglia ha approvato all’unanimità, il Disegno di Legge n. 1/2014 del 13 febbraio u.s. recante “Disposizioni in materia di certificato di agibilità, in attuazione dell’art. 25, comma 5-ter, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia)”. La Puglia si avvia ad attuare una normativa volta a semplificare e snellire ulteriormente le procedure in materia edilizia.

Certificato di agibilità. Sulla base di quanto previsto dal Disegno di Legge, la richiesta per il rilascio del certificato di agibilità potrà essere sostituita dalla dichiarazione del direttore dei lavori o di un tecnico professionista abilitato, attestante la conformità dell’opera realizzata al progetto presentato allo S.U.E. e la sua relativa agibilità.
In virtù di queste nuove disposizioni, i Comuni potranno, in caso di difficoltà nell’attuazione di controlli sistematici, effettuare controlli a campione (previo sorteggio), nella misura minima del 25% sul totale delle autodichiarazioni presentate.
Partendo dunque dalla legge nazionale in materia di semplificazione e dal Testo Unico sull’Edilizia, la Puglia fa un balzo in avanti sulla strada dello snellimento burocratico, guardando con maggiore fiducia al singolo cittadino e alleggerendo anche la gestione dei controlli che vengono affidati ai singoli comuni, senza seguire particolari tempistiche di vincolo. Il cittadino, dunque, affidandosi al direttore dei lavori o al professionista abilitato (in caso non vi fosse la nomina del primo), si doterà di un vero e proprio attestato sottoscritto, con piena validità giuridica, senza dover attendere le lungaggini burocratiche per l’ottenimento dell’agibilità da parte della pubblica amministrazione.
Nel dettaglio, il Disegno di Legge prevede all’art. 1:
– la dichiarazione del tecnico dei lavori (o del professionista abilitato) attestante la conformità dell’opera al progetto e la relativa agibilità, potrà essere presentata in alternativa alla richiesta di certificato di agibilità, fermo restando però l’obbligo di presentazione della documentazione relativa (di cui all’art. 5, co. 3, lett. a) e all’art. 25, co. 3, lett. a), b), d) D.P.R. n. 380/2001) e della certificazione ASL (ove non sostituibile con la stessa dichiarazione); a corredo:
1. richiesta di accatastamento dell’immobile (lo S.U.E. provvederà alla trasmissione al Catasto);
2. attestazione di conformità degli impianti installati alle condizioni di igiene, sicurezza, salubrità, risparmio energetico e barriere architettoniche (per conto della ditta installatrice);
– qualora scarseggino le risorse per controlli ad ampio raggio, i Comuni possono eseguire controlli annuali a campione (previo sorteggio) in misura di almeno il 25% delle dichiarazioni; entro 10 giorni dal sorteggio, lo S.U.E. è tenuto a darne comunicazione all’interessato e a darne esito entro i trenta giorni successivi al controllo stesso;
– in caso di esito negativo dei controlli dovuto a carenze in termini di requisiti di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico e barriere architettoniche, il responsabile dello S.U.E. richiederà all’interessato di apportare le modifiche atte a conformarne l’opera ai requisiti di norma; restano in vigore le sanzioni previste in caso di non rispondenza alla SCIA, DIA o Permesso di Costruire o di sostanziali variazioni rispetto al progetto.

Recupero dei sottotetti. Oltre alla dichiarazione per l’agibilità la Regione, nello stesso Consiglio, ha approvato anche la legge per il recupero dei sottotetti, dei porticati, di locali seminterrati e di aree pubbliche non autorizzate. Relativamente ai sottotetti (compresi quelli condominiali), la legge consentirà il recupero a fini abitativi purchè nel rispetto dei criteri di funzionalità urbanistica e ambientale (in attuazione di una politica di riduzione del consumo territoriale) e dei requisiti di legge per l’occupazione e la permanenza di persone (oltreché le norme relative a igiene, sicurezza, accessibilità e risparmio energetico).
Potranno essere destinati ad abitazione i sottotetti già esistenti al 30 giugno 2013 e l’autorizzazione viene concessa purchè non vi sia un surplus volumetrico rispetto agli standard urbanistici previsti e che siano garantiti adeguate percentuali di spazi pubblici destinati ad attività collettive, parcheggi, verde pubblico.

Sanzioni internazionali per contenere la Cirenaica

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Il cerchio delle sanzioni internazionali comincia a chiudersi attorno alle milizie del movimento federalista della Cirenaica (in arabo Barqa).

Il Consiglio di sicurezza, Cds, con la nuova Risoluzione 2146 (2014), ha rafforzato la posizione di Tripoli a qualche giorno dalla Conferenza internazionale di Roma sul sostegno alla Libia, dalla destituzione del premier Ali Zeidan e dal caso della nave Morning Glory trasportante illegalmente petrolio imbarcato in zona controllata dalle forze ribelli.

Mercantile Morning Glory
L’interdizione del traffico marittimo della Libia di Gheddafi decretato dalla Risoluzione 1973 (2011) era stato lo strumento con cui il Cds avevano iniziato l’azione internazionale conclusasi con la caduta del dittatore. A questo fine era stato decretato un embargo navale coercitivo relativo alle navi di qualsiasi bandiera, inizialmente applicato agli armamenti ed in seguito esteso ai carichi petroliferi.

Rilevante era stato il ruolo della Nato che con l’operazione Unified Protector aveva abbordato, per controllarne il carico ed eventualmente dirottare, decine di mercantili nell’area del Mediterraneo centrale, Golfo della Sirte compreso.

Con un’operazione condotta da forze speciali, il 17 marzo gli Stati Uniti hanno abbordato e dirottato il mercantile Morning Glory (senza bandiera perché cancellato dai registri della Corea del Nord) con un carico di petrolio proveniente dal terminal di Al- Sidra. L’azione è stata svolta su richiesta di Tripoli e di Cipro verso cui si approssimava la nave.

Il petrolio trasportato era stato sottratto alla società di Stato libica National Oil Corporation (Noc) nell’intento di finanziare il movimento. In precedenza analoga sortita sembra fosse stata tentata da una cisterna maltese perciò cannoneggiata dalle forze navali tripoline.

Black list di mercantili sospetti
Grazie all’iniziativa degli Usa e su richiesta di Tripoli è stata approvata lo scorso 19 marzo la Risoluzione 2146 che, sulla base del Capo VII della Carta, autorizza ispezioni in alto mare di navi sospette di trasportare illegalmente petrolio.

Riserve giuridiche espresse da Russia, Cina ed Argentina hanno determinato l’inserimento nel testo di affermazioni di principio sull’eccezionalità della misura e sull’applicabilità delle ordinarie regole del diritto internazionale del mare.

Di fatto gli abbordaggi non sono autorizzati nei confronti di qualsiasi mercantile sospetto – com’è nella prassi degli embarghi navali – ma solo di quelli compresi in una black list del Comitato sanzioni Onu stabilito dalla Risoluzione 1970 (2011).

Inoltre è previsto che il paese di bandiera dia il consenso all’abbordaggio; questo è comunque obbligato, a prescindere dall’intervento di altri paesi, ad impedire che la propria nave porti a termine il trasporto illecito esercitando così la prevista giurisdizione.

Il nuovo embargo presenta quindi un’inedita forma ibrida essendo selettivo quanto alle navi da fermare e consensuale quanto al ricorso ai poteri coercitivi. Notevolmente ridotti sono perciò i poteri attribuiti ai paesi terzi.

Tripoli non cede sovranità 
La Risoluzione 2146 non cita la Cirenaica ma fa riferimento al divieto di esportazioni illegali del petrolio i cui giacimenti (in gran parte localizzati nella regione orientale) sono considerati fondamentali per garantire l’indipendenza e l’unità del paese. Nessuna soggettività internazionale viene riconosciuta ai sedicenti gruppi insurrezionali i cui aderenti sono ritenuti semplici criminali alla stregua delle leggi libiche.

Questo spiega come sia stata necessaria la richiesta della Libia per giustificare l’interferenza della comunità internazionale su una questione che altrimenti sarebbe solo interna.

Altro sarebbe stato lo scenario se Tripoli avesse stabilito il blocco navale delle coste cirenaiche controllandone il rispetto con i propri mezzi, ma una simile misura postula la sussistenza di un conflitto internazionale come quello condotto da Israele nei confronti delle milizie di Gaza.

Tripoli mantiene invece il controllo delle proprie acque territoriali: il che è rilevante qualora mercanti tentino di aggirare l’embargo in alto mare navigando sottocosta verso est. Se un altro stato ne consentisse l’ingresso in un proprio porto, contravverrebbe però alle disposizioni del Cds.

La stabilizzazione della Libia la cui crisi interna è una minaccia alla pace è l’oggetto principale della nuova Risoluzione che va letta assieme alla 2144 (2014). Con quest’altra Risoluzione il Cds ha infatti prorogato il mandato della United Nation Support Mission in Libya (Unsmil) volta a garantire riconciliazione nazionale, stato di diritto e rispetto dei diritti umani.

L’Italia, tradizionale interlocutore privilegiato della Libia anche sul piano energetico e commerciale, è attivamente impegnata nel sostegno a Tripoli e quindi non può che considerare con favore l’intervento del Cds. Analoga è di certo la valutazione degli Stati Uniti che, come dimostrato con la Morning Glory, appoggiano con decisione il governo legittimo.

Ora c’è da aspettarsi che i paesi rivieraschi del Mediterraneo – e magari i membri Ue – prendendo spunto dalle misure navali adottate dal Cds diano finalmente vita ad una credibile cooperazione per la sorveglianza marittima contro i traffici illeciti.

Exit strategy dallo stato confusionale europeo

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In Europa, la crisi si manifesta sotto forme diverse, con economie che arrancano, alcune di esse vicine addirittura all’implosione, partiti anti-sistema in ascesa, un crescente scollamento tra politica e società ed il sostegno al processo di integrazione europea che registra i minimi storici di popolarità. A tutto ciò fa da contraltare una crescente frammentazione tra e all’interno dei singoli stati.

Le origini di tali problemi vanno ricercate nel passato. Nel corso degli anni, il progetto europeo si è fatto molto più grande, mentre la competizione con l’esterno si è intensificata in un mondo che si globalizza rapidamente. Il permissivo consenso su cui esso ha per vari decenni riposato non può più essere dato per scontato.

Euro e integrazione
La creazione dell’euro ha rappresentato il più audace atto d’integrazione e il fattore trainante all’origine di ciò è stato rappresentato dalla politica piuttosto che dall’economia. Appare oggi chiaro come gli europei abbiano voluto l’unione monetaria, ma non i mezzi necessari a renderla fattibile nel lungo periodo. In tal senso, l’euro ha rappresentato un madornale errore di cui ora paghiamo lo scotto.

Era sì un disegno imperfetto, ma è pur sempre vero la sorte non ha arriso, dato che il primo vero banco di prova è giunto in concomitanza con la più grande crisi finanziaria dopo quella del 1929. Risultato di colossali fallimenti tanto dei mercati quanto delle istituzioni certamente non solo in Europa, la crisi nel suo corso ha messo a nudo la debolezza dell’edificio voluto a Maastricht, così come la fragilità dei rapporti inter-governativi ed inter-statuali.

Ha contribuito altresì a svelare tutta una serie di “casi problematici” all’interno della famiglia europea e ha mostrato i limiti del potere politico rispetto ad un’economia priva di confini, la quale detta il passo e spesso detta anche le regole.

Tuttavia, contrariamente alle previsioni degli euro-scettici, il peggio è stato sinora evitato. Il crollo dell’euro avrebbe prodotto incalcolabili conseguenze politico-economiche dentro e fuori dell’unione monetaria. Molti “atti impensabili” sono stati posti in essere al fine di evitare tutto ciò.

D’altro canto, le misure di assestamento si sono rivelate più dolorose e si sono protratte più a lungo nella zona euro che altrove. I leader politici europei hanno cercato di guadagnare tempo, dimostrando un forte istinto di sopravvivenza ogniqualvolta si siano avvicinati al bordo del precipizio, ma scarsa visione strategica. Chi paga il conto dell’uscita dalla crisi? Questo rimane il nodo politico più spinoso.

Rischi dell’eurozona
L’Europa è divisa tra creditori e debitori, tra eurozona e gli altri. I contrasti solcano profondamente anche gli Stati, dato che le ineguaglianze continuano a crescere. La fiducia è bassa, l’economia imperfetta e la politica tossica. Nel frattempo, l’austerità imposta ai paesi debitori ha avuto ripercussioni devastanti sulle loro economie, società e sistemi politici. È fuor di discussione che questi paesi abbiano vissuto troppo a lungo di tempo e denaro presi a prestito.

Alcuni ritengono o sperano che il peggio sia ormai alle spalle. I mercati appaiono da qualche tempo relativamente calmi, mentre gli Stati iniziano a riemergere da dolorosi programmi di aggiustamento e sono comparsi i primi segnali di ripresa economica. Questo è lo scenario ottimista.

Altri, tuttavia, paiono meno ottimisti. Essi ci ricordano come il rischio deflazione per l’Europa incomba, mentre la crescita rimarrà probabilmente modesta, fragile ed ineguale nel prossimo futuro. Le lunghe fila degli inoccupati non saranno in grado di trovare occupazione in tempi relativamente contenuti e l’estremismo politico ha il vento in poppa.

Il debito pubblico è ora molto più alto di quanto fosse all’inizio della crisi e quello privato rimane anch’esso elevato. L’Europa sembra dover affrontare l’avvenire con scarse probabilità di successo.

La Germania è emersa come il paese indispensabile ed il prestatore di ultima istanza – e la cancelliera Angela Merkel come il leader indiscusso dell’Europa in crisi. Nel Vecchio Continente gli equilibri di potere si sono modificati. La Germania gode di vantaggi strutturali in un’unione monetaria che opera quale moderna versione del gold standard e poco altro.

Tuttavia, l’esperienza storica suggerisce che tale meccanismo potrebbe non avere vita lunga, a meno che l’unione monetaria europea non acquisisca una base di legittimità tanto fiscale quanto politica su cui poggiare.

Le forze centrifughe appaiono forti sia tra che all’interno dei singoli paesi. Ciò che mantiene ancora unita l’Europa è il collante politico che si è solidificato nei vari decenni di stretta cooperazione e, fattore ancor più importante, la paura dell’alternativa.

Allo stato attuale, serpeggia una diffusa insoddisfazione circa lo stato di salute dell’Unione e, agli occhi di molti europei, il processo d’integrazione si è tramutato in un gioco a somma negativa.

Ciononostante, la maggioranza rimane ancora convinta del fatto che i costi della disintegrazione sarebbero anche più alti. In un certo senso, tutto ciò costituisce una sorta di equilibrio del terrore, un equilibrio tuttavia instabile ed incline a provocare incidenti di percorso.

Nuovo patto per l’Europa
L’Europa ha bisogno di un nuovo grande Patto per tagliare il suo nodo gordiano. L’iniziativa può muovere solo dai forti, non di certo dai deboli. In che misura i tedeschi saranno disposti a (o in grado di) sottoscrivere il progetto europeo? In che misura i paesi debitori dimostreranno volontà o capacità di riformarsi?

Questi costituiscono tasselli essenziali del rompicapo europeo, quantunque non sufficienti. Il nuovo grande patto richiederà un’ampia coalizione di paesi e delle principali famiglie politiche europee, che riconoscano il valore del progetto europeo e la necessità di dargli nuova forma in un contesto che evolve molto rapidamente.

L’economia improntata all’offerta e l’obiettivo di un consolidamento fiscale di lungo termine devono essere urgentemente accompagnati da misure volte ad incoraggiare la domanda e stimolare la crescita. In assenza di risposte credibili alle questioni del debito e della ricapitalizzazione degli istituti bancari, in assenza di un chiaro programma per rafforzare la dimensione economica dell’unione economico-monetaria, le prospettive di crescita rimarranno incerte, se non fosche, e la realizzabilità del progetto dell’euro si incrinerà ulteriormente.

Il progetto europeo deve diventare ancor più inclusivo, in modo da poter ovviare sempre più alle necessità di coloro che escono sconfitti da un lungo processo di trasformazione economica culminato nella grande crisi degli ultimi anni. Ad oggi, l’agenda conservatrice dell’Europa non appare in grado di fornire risposte adeguate.

A meno di cambiamenti, i partiti anti-sistema ed i movimenti di protesta continueranno ad avere buon gioco, così come il nazionalismo ed il populismo. Rappresenterebbe un segnale di estrema miopia l’etichettare tutte le forme di protesta come populiste, e così semplicemente sdoganarle. Il populismo e l’euroscetticismo montanti dovrebbero, al contrario, fungere da monito per ferite infettatesi ormai da tempo. Monito che potrebbe trasformarsi in allarme rosso a seguito dei risultati delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo previste per il prossimo maggio.

Futuro del vecchio continente
L’euro costituisce ormai un tema che determinerà il successo o il fallimento dell’Europa. È altresì diventato il vanto del progetto europeo, il che fa pensare che difficilmente cambierà nell’immediato futuro. Dobbiamo pertanto tirare le necessarie conclusioni. Allo stato attuale, la governance dell’euro non appare né efficace né legittimata. Urgono efficaci strumenti di politica, istituzioni comuni più forti, maggiore responsabilità democratica ed organi esecutivi in grado di agire con poteri discrezionali. Ciò garantirebbe il bilanciamento con una serie di politiche nazionali le quasi risultano anch’esse necessarie.

E tutto ciò porta ad un nuovo trattato sull’euro, il quale dovrebbe risultare in grado di affrontare le prove democratiche nei paesi membri, a condizione che nessun paese possa avere il diritto di impedire ad altri di andare avanti e che ogni parlamento nazionale – e/o i cittadini, qualora venisse indetto un referendum in proposito – venga messo di fronte ad una scelta chiara, cioè “dentro” o “fuori”. La legittimazione democratica deve essere conquistata, non può essere concessa.

Alcuni paesi europei, in particolare il Regno Unito ma anche altri, non sembrano avere la voglia o la prontezza necessarie per compiere un tale passo in avanti. Dovrebbe esserci spazio per questi attori sotto il più ampio ombrello dell’Ue mediante una revisione dei trattati esistenti. Maggiore flessibilità e differenziazione saranno necessari in un’Ue a 28 o più.

Se si persiste nell’attuale stato confusionale, l’Europa rimarrà debole, divisa al proprio interno e sempre più incline a guardarsi l’ombelico: un continente in declino ed in fase di invecchiamento, sempre più irrilevante in un mondo in continuo cambiamento e con vicini poveri ed altamente instabili. La sfida non consiste semplicemente nel salvare la comune divisa.

Consiste nell’elaborare una più efficace gestione dell’interdipendenza, nel placare i mercati, nel creare le condizioni per uno sviluppo sostenibile e società più coese, nel rafforzare la democrazia e trasformare l’integrazione regionale una volta ancora in un gioco a somma positiva: obiettivi sicuramente ambiziosi, ma anche una sfida che vale la pena accettare.

Più integrazione dove serve e più responsabilità nazionale o locale ogniqualvolta sia possibile: questo potrebbe essere il motto per l’Europa. Se ce la facessimo, avremmo persino utili lezioni da impartire al resto del mondo.

Risposta italiana alle calamità naturali

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Nel campo della sicurezza dei cittadini l’Italia ha un ruolo in Europa maggiore di quanto sembri. Così come l’Ue ha sostenuto la risposta italiana ai recenti disastri naturali più di quanto ne fosse a conoscenza l’opinione pubblica.

Negli ultimi anni l’Italia è stata spesso colpita da disastri naturali e antropici, basti ricordare tra questi i terremoti dell’Aquila nel 2009 e dell’Emilia Romagna nel 2012, o il deragliamento di Viareggio nel 2009. Questi eventi hanno portato l’attenzione sui meccanismi di gestione delle crisi a livello nazionale nonché sull’importanza di un’azione coordinata in ambito Ue al fine di rendere la risposta alle emergenze più efficace.

Il funzionamento del sistema italiano di risposta a crisi quali epidemie e disastri naturali (terremoti, incendi, alluvioni, frane, ecc), incidenti industriali e nel settore dei trasporti, danni alle infrastrutture critiche (es. blackout), nonché atti terroristici è stato oggetto di uno studio IAI che sarà presentato al pubblico durante una conferenza a Roma il 3 aprile.

La ricerca ha analizzato gli aspetti caratterizzanti il sistema nazionale cosiddetto di “sicurezza civile”, l’interazione tra questo e altri Paesi nell’ambito di accordi multilaterali e bilaterali, nonché il livello europeo ed in particolare il ruolo dell’Ue in materia.

Italia e cooperazione transfrontaliera
Sia i singoli Stati membri che l’Unione sono sempre più impegnati a migliorare la risposta alle suddette crisi e minacce, e tale impegno si concretizza anche in diverse forme di assistenza e cooperazione cui i Paesi europei prendono parte.

L’Italia, oltre alla cooperazione in ambito Consiglio d’Europa, Ue, Nato, Osce, e Onu, ha preso parte a numerosi progetti con Paesi confinanti e non. Tra questi, vanno ricordati ad esempio il progetto Picrit (Protezione delle infrastrutture con rilevanza transfrontaliera) volto a trovare misure efficaci per affrontare i rischi naturali che colpiscono le aree transfrontaliere di Italia e Francia, e il progetto Fire (Force d’intervention rapide européenne) promosso nel quadro del Meccanismo europeo di protezione civile.

L’Italia ha inoltre partecipato ad altri progetti specifici dell’area mediterranea come Pprd-South Euromed (Programme for Prevention, Preparedness and Response to Natural and Man-made Disasters) o alle iniziative dell’Adriatic-Ionian Initiative (Aii). A livello bilaterale, l’Italia ha concluso accordi con 25 paesi, inclusi Stati membri dell’Ue e non.

Va segnalato inoltre che la cooperazione transfrontaliera può avvenire non solo a livello nazionale ma anche a livello locale. Infatti anche province e regioni possono avviare progetti per il potenziamento delle attività di preparazione e risposta focalizzate su aree geografiche specifiche: è il caso, ad esempio, della Regione Autonoma della Valle d’Aosta che ha partecipato al programma Alcotra 2007-2013 (Alpi Latine cooperazione transfrontaliera) per il monitoraggio di eventi sismici, rischi tecnologici e minacce di tipo Nbcr (nucleare, biologico, chimico, radiologico).

Oltre a promuovere progetti comuni, tali iniziative prevedono una concreta assistenza tra i soggetti che vi aderiscono, ad esempio tramite l’invio di equipaggiamento o personale di supporto alla gestione di un’emergenza.

L’Italia e il meccanismo europeo di protezione civile
Parallelamente all’attività e al ruolo svolto nella cooperazione transfrontaliera, il sistema italiano di sicurezza civile agisce in ambito europeo sia come beneficiario sia come contributore attivo.

Lo studio IAI indica ad esempio che tra il 2007 e il 2012 l’Italia ha attivato 9 volte il Meccanismo europeo di protezione civile al verificarsi di particolari disastri naturali, come terremoti, alluvioni o incendi boschivi, che hanno richiesto un supporto specifico da parte degli strumenti Ue, o di altri Stati membri dell’Unione come Francia e Spagna.

L’Italia ha anche ricevuto notevoli aiuti economici dal Fondo di solidarietà dell’Ue per fronteggiare i terremoti dell’Emilia-Romagna e dell’Aquila, risultando tra i principali beneficiari del Fondo: nel primo caso, lo stanziamento è stato di 670 milioni di euro, la maggiore somma mai messa a disposizione in risposta a disastri naturali dall’istituzione del Fondo stesso nel 2002.

Nel caso del terremoto in Abruzzo del 2009, il Fondo ha concesso aiuti pari a 493,8 milioni di euro, destinati a finanziare le operazioni di soccorso e i principali progetti edilizi per gestire l’emergenza abitativa della popolazione della zona dell’Aquila.

Se quindi l’Italia ha beneficiato in modo rilevante dello strumento europeo, si può dire altrettanto in merito al suo contributo, avvenuto soprattutto in termini di formazione, esercitazioni, programmi di scambio tra esperti e partecipazione alle attività organizzate dagli Stati partecipanti e cofinanziate dalla Commissione europea.

Ne sono un esempio l’assistenza che l’Italia ha fornito e fornisce ad altri Paesi dell’Unione oppure la partecipazione, il coordinamento e l’organizzazione di una serie di esercitazioni tenute a livello europeo, come Eu Terex in Toscana del 2010 – coordinata dal Dipartimento della Protezione Civile – Twist e Eu Taranis entrambe avvenute nel 2013.

In un’ottica più ampia, il ruolo di coordinamento e supporto nel settore della sicurezza civile da parte dell’Ue è via via aumentato e maturato nel tempo. A tale azione sempre più importante non corrisponde tuttavia una visibilità altrettanto rilevante in termini di opinione pubblica.

Infatti, secondo la rilevazione dell’Eurobarometro 393 del giugno 2012, i cittadini europei, compresi quelli italiani, non sembrano per nulla o quasi consapevoli né del ruolo di coordinamento dell’Unione né delle attività europee di protezione civile. Sebbene la visibilità del livello europeo in questo ambito sia carente, la maggioranza dei cittadini italiani ed europei è convinta che un’azione coordinata dell’Ue per affrontare le suddette crisi sia più efficace delle azioni individuali dei singoli Stati membri.

In questo senso, una maggiore comprensione e cooperazione tra l’Unione e i governi, nonché tra enti di diversi Stati membri, potrebbe contribuire a indirizzare meglio gli sforzi a livello nazionale ed europeo in un settore cosi importante e sensibile per la sicurezza dei cittadini.

CORTE DI CASSAZIONE

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L’ultimo deposito delle sentenze tributarie
 
 
Sentenza 7311/14 – Onlus. La Onlus può ottenere i benefici fiscali a patto che beneficiari dei servizi prestati siano soggetti che versino in situazione di svantaggio. Situazione questa che non è ravvisabile in presenza di corsi per studenti e insegnanti di scuola media o per educatore di asilo nido.
 
Sentenza 7315/14 – Notifiche. L’ufficio non può effettuare la notifica senza rispettare i tempi motivando genericamente per l’imminente scadenza del termine di decadenza per la rettifica dell’annualità. Punto importante a favore del contribuente.
 
Sentenza 7318/14 – Riscossione. Il contribuente non può contestare il cambiamento della società di Riscossione (Cerit divenuta Equitalia Cerit con relativa successione nell’universalità dei rapporti facenti capo al soggetto inizialmente considerato) in quanto non ricade sicuramente sul riscossore fornire la prova della propria legittimatio ad causam.
 
Sentenza 7320/14 – Autotutela. Il potere di autotutela dell’amministrazione a salvaguardia dell’eventuale compensazione legale dell’altrui credito con quello che l’amministrazione pretenda di avere nei confronti del suo creditore si applica anche ai rimborsi Iva.
 
Sentenza 7322/14 – Avviamento. I criteri per la determinazione del valore di avviamento di un’azienda per l’attuazione dell’accertamento con adesione hanno la funzione di fornire indicazioni minime all’amministrazione finanziaria. Con la conseguenza che il valore indiziario cui si perviene a seguito dei suddetti criteri è nel senso che il valore effettivo non possa essere inferiore a esso.
 
Sentenza 7324/14 – Avviamento. Nel calcolo del valore dell’avviamento commerciale per la determinazione della base imponibile dell’imposta di registro quest’ultima ha una funzione di parametro minimo per il relativo calcolo. Quindi dovrà applicarsi la percentuale di redditività nella misura ritenuta congrua dal giudice di merito alla media dei ricavi.
 
Sentenza 7327/14 – Accertamento. Un atto che contenga la specificazione dell’imposta con invito a pagare ha natura di atto di accertamento.
 
Sentenza 7335/14 – Abuso del diritto. Riscontrato abuso del diritto nel caso in cui il contribuente non abbia fornito adeguate spiegazioni in merito a conferimento d’azienda e di immobili.
 
Sentenza 7339/14 – Imposta di registro. Quando l’assegnazione dell’area non è assoggettata a Iva perché il terreno era stato acquisito dal Comune a seguito di procedura d’esproprio seppur conclusa con accordo bonario, la cessione deve essere assoggettata a imposta di registro in misura proporzionale e non fissa.
 
Sentenza 7406/14 – Arricchimento senza giusta causa. L’imponibilità fiscale non deve essere esclusa nell’arricchimento senza giusta causa in quanto l’elemento che va considerato è l’attività prestata.
 
Sentenza 14600/14 – Confisca. La confisca ex articolo 240 del Codice penale come misura di sicurezza patrimoniale è applicabile anche nei confronti di soggetti privi di capacità penale.

Statali, prepensionamenti: pronta l’uscita dei primi 10mila. I 4mila esuberi Inps

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Statali, prepensionamenti: pronta l’uscita dei primi 10mila. I 4mila esuberi Inps. In tema di prepensionamenti dei dipendenti pubblici, per 10 mila ci sono già le norme che consentono l’accesso alla pensione con le regole ante-Fornero. Il decreto 95 del 2012 contiene questa possibilità (purché il relativo trattamento decorra entro l’anno 2014), cioè l’accesso anticipato alla pensione per i dipendenti in sovrannumero. Ora in questa condizione, diciamo di esubero, ci sono 11mila persone nelle amministrazioni centrali di cui 5500 solo nei ministeri, e 13mila negli enti locali.

10mila pronti all’uscita. Di questa platea, la Ragioneria ha stimato che 6mila dipendenti tra ministeri ed enti pubblici hanno conseguito i requisiti entro il 2011, 2mila degli enti locali. Sono in totale 8mila, per i quali l’onere sui conti pubblici è dato solo dalle liquidazioni (poiché, dato che escono, le pensioni sono compensate da meno stipendi). A questi 8mila va aggiunta una quota non quantificata (un paio di migliaia)  che maturando i requisiti dal 2012 in poi non costerebbero nulla perché le liquidazioni sarebbero ritardate. Dunque, almeno 10mila sono i posti disponibili per i prepensionamenti senza particolari oneri per lo Stato, a patto che non vengano sostituiti.

35 anni contributi e 62 anni e 3 mesi di età. Una circolare della Funzione Pubblica è attesa per dare istruzioni a tutte le amministrazioni sulla possibilità che gli enti locali sfruttino le regole ante-2012 per lasciare il lavoro a quota 35 anni di contributi e 62 anni e tre mesi di età. Negli enti locali già il comune di Novara è stato autorizzato ai prepensionamenti. Ci proverà anche Roma che vorrebbe accompagnare all’uscita 4mila dipendenti.

4300 esuberi Inps-Inail. I due enti hanno esuberi di personale rispettivamente di 3200 e 1100 unità: per 4300 dipendenti è giunta o in procinto di arrivare la lettera di prepensionamento con con 62  anni e tre mesi di età e 35 di contributi.

Spending delle Regioni. Stipendi consiglieri -3500 euro, governatori fino a -85%

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Spending delle Regioni. Stipendi consiglieri meno 3500 euro, governatori -85%. Se vale il principio esposto da Matteo Renzi per cui presidenti e consiglieri delle Regioni non possono guadagnare più dei sindaci dei capoluogo di appartenenza, i tagli avranno conseguenze pesanti sulle loro buste paga. In media per i consiglieri si alleggerirà di 3500 euro. Per i governatori il sacrificio potrebbe arrivare fino all’85% della vecchia retribuzione.

La stima sulla spending review delle Regioni (l’ha calcolata l’ufficio studi Uil per La Stampa) presenta un risparmio totale di 44 milioni annui per lo Stato. Per consiglieri e governatori il taglio sarà più consistente laddove i sindaci di capoluogo abbiano già effettuato riduzioni di stipendio importanti. Per esempio a Torino il sindaco Fassino lo ha portato da da 9.580 lordi mensili a 4.650, mentre Giuliano Pisapia a Milano è sceso da una cifra analoga a 5.930: risultato, Cota (o il suo successore) presidente del Piemonte si dovrà ridurre lo stipendio di oltre 9mila euro, Maroni in Lombardia di circa 7mila euro. Zingaretti nel Lazio perderebbe invece non più di 4mila euro per allinearsi al sindaco di Roma Marino.

Più vicino dunque a quanto lasceranno sul campo i consiglieri, in media il 48%, praticamente la metà. I circa mille consiglieri regionali vedranno dimezzati stipendi che in media si attestano a 13255 euro mensili.

Corte Ue taglia 80 milioni alla Regione Puglia per malagestione fondi europei

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“Irregolarità gravi e sistemiche” nella gestione dei fondi Ue. Per questo la Corte europea ha tagliato 80 milioni di euro al Fondo per la Regione Puglia, taglio già applicato dalla Commissione nel 2009 e contro il quale l’Italia aveva presentato ricorso. “Le gravi carenze di cui le autorità italiane hanno dato prova su gestione e controllo dell’utilizzo dei fondi Ue sono tali da condurre a irregolarità sistemiche”, spiega la Corte Ue.

Il taglio riguarda il bilancio 2007-2013, e in particolare i fondi destinati alla Puglia e stanziati dopo l’approvazione nel 2000 del programma operativo per la Regione Puglia (POR Puglia). Scrive la Corte:

“Nel 2007 la Commissione ha effettuato un audit dei sistemi di gestione e di controllo istituiti dalle autorità italiane e ha concluso che non avevano stabilito un sistema che garantisse una buona gestione finanziaria dei fondi”.

Un nuovo audit, nel 2007, “ha dimostrato che l’Italia non si era conformata agli obblighi cui è tenuta” e che quindi non aveva posto rimedio alle carenze riscontrate.

“La Commissione ha quindi sospeso i pagamenti intermedi del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e ha fissato per l’Italia un termine per effettuare i controlli ed apportare le rettifiche necessarie. Nel 2009 un terzo audit ha rivelato che i requisiti indicati nella decisione di sospensione non erano stati rispettati entro i termini impartiti. Sono state constatate diverse irregolarità nei controlli di primo e di secondo livello nonché nel funzionamento dell’autorità di pagamento. La Commissione ha concluso che non sussistevano ragionevoli garanzie che il sistema di gestione e di controllo del POR Puglia funzionasse efficacemente”.

Quindi, il 22 dicembre 2009 la Commissione ha ridotto il contributo finanziario assegnato all’Italia, applicando una rettifica del 10% sulle spese certificate e ha ridotto il contributo di 79,33 milioni di euro.L’Italia ha presentato un ricorso dinanzi al Tribunale dell’Unione europea contro tale decisione della Commissione, per ottenerne l’annullamento, ma la Corte ha respinto il ricorso, ritenendo inoltre che “le insufficienze constatate dalla Commissione rimettano in discussione l’efficacia dell’insieme del sistema di gestione e di controllo del POR Puglia e presentino quindi un rischio rilevante di perdita per il bilancio dell’Unione”.

Lugo. Salda affitto, banca trattiene 3€ di spese: sfrattato per quei soldi…

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Ha saldato il conto dell’affitto che non era riuscito a pagare per mesi. Ma ai 1938 euro versati, la banca aveva trattenuto 3 euro di spese di commissione. E proprio per 3 euro l’uomo si è visto notificare lo sfratto. L’uomo e la sua famiglia dovranno abbandonare la casa nel giorno diPasqua, il prossimo 20 aprile.

La storia arriva da Lugo, in provincia di Ravenna, e il protagonista è un artigiano edile, sposato e padre di due figli. A causa della crisi economica l’uomo si è ritrovato a non poter pagare l’affitto della casa in cui viveva per 4 mesi, da ottobre 2013 a gennaio 2014.

Dopo l’intimazione da parte del padrone di casa era riuscito a racimolare la somma, 1.938 euro, ma la banca aveva trattenuto 3 euro per spese di commissione. Tre euro mancanti che hanno convinto il giudice onorario del tribunale ravennate a convalidare lo sfratto. Data di esecuzione: 20 aprile, proprio nel giorno di Pasqua.

Don Alberto Barin, condanna 4 anni: “Violenza sessuale su detenuti San Vittore”

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Don Alberto Barin, ex cappellano del carcere di San Vittore a Milano, è stato condannato a 4 anni di carcere per violenza sessuale sui detenuti.

La sentenza emessa la mattina del 28 marzo dal tribunale di Milano ha inflitto una condanna inferiore a quella richiesta dai pm, che avevano chiesto al gup 14 anni e 8 mesi di carcere per 12 episodi di abusi contestati al prete.

In particolare, al termine del processo con rito abbreviato, il giudice Luigi Gargiulo ha condannato Don Barin, difeso dall’avvocato e professore Mario Zanchetti, per un totale di 8 casi sui 12 contestati dalla Procura, ma ha riqualificato i fatti.

Da quanto si è saputo il gup ha riqualificato 4 casi come fatti di lieve entità, ossia toccamenti, e per altri quattro casi ha riqualificato il reato di violenza sessuale nella formula della vecchia concussione sessuale, ossia il religioso avrebbe indotto i detenuti ad avere rapporti sessuali con lui.

Il procuratore aggiunto di Milano, Pietro Forno, e i pm Daniele Cento e Lucia Minutella avevano chiesto invece una condanna a 14 anni e 8 mesi per violenza sessuale aggravata nei confronti di 12 detenuti, tutti uomini di origine nordafricana, di età compresa tra i 23 e i 43 anni, per episodi di presunti abusi avvenuti fra il 2008 e il 2012.

Don Barin, che era il cappellano del carcere milanese di San Vittore, era stato arrestato il 20 novembre 2012, perché, secondo i pm, avrebbe fatto leva sullo stato di bisogno dei detenuti e avrebbe fatto avere loro sigarette, saponette, spazzolini e altri piccoli beni per vivere meglio in carcere, in cambio di favori sessuali.

Sempre secondo l’accusa i presunti abusi sarebbero proseguiti anche fuori dal carcere quando il religioso invitava a casa i detenuti scarcerati. Per Don Barin in gip di Milano Enrico Manzi, dopo alcuni mesi, aveva disposto gli arresti domiciliari e il religioso era passato dal carcere in un convento. La sentenza del 28 marzo ha fatto cadere gran parte delle accuse contestate a Don Barin.