2 Ottobre 2024, mercoledì
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Colpo di scena: nella patria dell’espresso, il caffè al bar fa schifo

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Colpo di scena: nella patria dell’espresso, il caffè al bar fa schifo. Siamo troppo indulgenti quando sorbiamo il nostro caffè al bar. Cioè noi italiani, maestri riconosciuti della tazzina di espresso che rimpiangiamo non appena varchiamo i confini nazionali, non ci accorgiamo che in realtà, nella maggioranza dei casi, ci viene propinata un’autentica “ciofeca”, avrebbe detto Totò. Non parliamo dei bar degli autogrill, potenzialmente il bar più grande d’Italia, una deriva “drammatica” secondo il parere degli esperti di Slow food.

Il problema è che anche i rinomati bar del centro, se sottoposti a giudizio tecnico, non spuntano più di un 4 di pura stima. Gli assaggiatori dello Scae (Society coffee association of Europe) hanno effettuato dei sondaggi a Roma (a piazza Navona e al Caffè Greco) e a Firenze (in pieno centro) hanno bocciato senza appello il contenuto delle tazzine testato e spacciato per buon caffè. I risultati del loro lavoro potremo vederli, facendoci il sangue più amaro del pessimo caffè cui siamo costretti, in una puntata di Report (Rai3) in programmazione il prossimo 17 aprile.

Possiamo anticipare che a Piazza Navona il bar selezionato per la prova caffè serve un prodotto che al naso evidenzia sentori di rancido, insieme a un ricordo di paglia e legno marcio, mentre il palato è offeso da una sensazione amara e astringente di secchezza vagamente allappante. Voto 2. Al Caffè Greco va un pochino meglio (voto 4) ma resta l’amaro in bocca mentre si avverte una minaccia di gomma bruciata e di base inrancidita. Di sicuro fa la sua parte la scelta della miscela “robusta”, in alta percentuale, rispetto alla più buona “arabica” (la prima è molto meno pregiata perché ha meno olii e zuccheri e più caffeina).

A Firenze, altro 2, non fa davvero onore al gusto quella sensazione ineliminabile (almeno al naso più esperto) di straccio bagnato, irrimediabilmente marcescente. Per i nasi e i palati ordinari è solo una schifezza.

Immigrazione clandestina e coltivare marijuana non sono più reati

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Immigrazione clandestina e coltivazione di marijuana non saranno più reati: è stata approvata la legge che recepisce una delle riforme sulla depenalizzazione di inizio legislatura, quella sulla cosiddetta “messa in prova”. In altre parole, chi finisce sotto processo per la prima volta per reati con pena fino a 4 anni può concordare con lo Stato un percorso di riabilitazione e di lavori socialmente utili. Alla fine di questo iter, se sarà andato tutto bene il reato risulterà estinto, non ci sarà alcun processo e la persona sarà libera senza essere stata in carcere. La misura è diventata legge nonostante la forte opposizione di Lega Nord e Fratelli d’Italia, almeno per quanto riguarda il reato di immigrazione clandestina.

Il segretario Matteo Salvini ha annunciato un referendum, Gianluca Buonanno ha definito la misura “un pesce d’Aprile”, mentre in Fratelli d’Italia l’ex ministro Ignazio La Russa attacca Forza Italia:

“Non mi meraviglia la sinistra, che è sempre stata coerente nella sua posizione, ma Forza Italia. Capisco gli esponenti dell’Ncd che sono al governo e che hanno quindi un obbligo di permanenza, non quelli di Fi che dicono di stare all’opposizione”.

Plaude invece il governo. Per il vice ministro della Giustizia, Enrico Costa, del Nuovo centrodestra, si tratta di

“un indubbio passo avanti in termini di civiltà giuridica”. E sottolinea: “La messa in prova ci aiuterà nel deflazionare i tribunali e ad alleviare il sovraffollamento delle carceri. Ovviamente ci aiuterà anche con l’Europa che ci tiene sotto osservazione”.

Il punto è proprio questo. A portare alla “messa in prova”, e quindi alla mancata incarcerazione per alcuni tipi di reato, è  stato proprio il problema del sovraffollamento carcerario, costato una condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Se non farà qualcosa subito su celle troppo piccole e affollate e poche ore d’aria per i detenuti, a maggio l’Italia potrebbe trovarsi a pagare una maxi multaai quasi 67 mila detenuti per violazione dei diritti umani.

Pensioni: il 42,6% sotto 1000 euro. Ma quasi un pensionato su 3 ne ha due o più

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Pensioni: il 42,6% sotto 1000 euro. Ma quasi un pensionato su 3 ne ha due o più. Nel 2012 il 42,6% dei pensionati ha percepito un reddito da pensione inferiore a 1.000 euro al mese. Lo rileva l’Istat.

Si tratta di poco più di 7 milioni di persone, visto che i pensionati in Italia sono 16,6 milioni. Il 38,7% dei pensionati incassa tra mille e 2mila euro, il 13,2% tra 2mila e 3mila euro; il 4,2% tra 3mila e 5mila euro e il restante 1,3% (210mila pensionati) percepisce un importo superiore a 5mila euro.

Quasi uno su tre con doppia pensione quando non tripla. Spicca un altro dato rilevato dall’Istat: il 67,3% dei pensionati è titolare di una sola pensione, mentre un pensionato su quattro (il 24,9%) ne percepisce due. Il 6,5% ne incassa tre; il restante 1,3% è titolare di quattro o più pensioni.

Agevolazione prima casa solo con residenza anagrafica

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D: Un cittadino francese acquista immobile abitativo in Italia con agevolazione prima casa dichiarando in atto di voler stabilire residenza entro diciotto mesi. E’ possibile usufruire agevolazione comunicando domicilio fiscale ai sensi art 60 dpr 600/73 senza trasferire residenza?

R: A parere di chi scrive, non è possibile usufruire dell’agevolazione c.d. prima casa con la sola comunicazione del domicilio fiscale. La norma (lett. a) della nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, Parte Prima allegata al D.P.R. n. 131/86) richiede che l’acquirente trasferisca la propria residenza entro 18 mesi dalla data di acquisto dell’immobile. Sia l’Amministrazione finanziaria (R.M. n. 76/E/2000, reperibile presso il Centro di Documentazione Economica e Finanziaria del Ministero delle Finanze all’indirizzo http://def.finanze.it/DocTribFrontend/RS1_HomePage.jsp) sia la giurisprudenza di legittimità (Cass., 16 aprile 2008, n. 9949) hanno affermato che, a questi fini, rileva solo la residenza anagrafica, non essendo sufficiente nemmeno il mero trasferimento di fatto (a maggior ragione non potrebbe bastare la comunicazione del domicilio fiscale, in assenza del trasferimento della residenza anagrafica).

Nuda proprietà. Le spese condominiali rimangono a carico di chi continua ad abitare l’appartamento

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La crisi economica ha fatto registrare negli ultimi anni un vero e proprio boom di  vendite di immobiliin nuda proprietà,soprattutto tra le fasce economicamente più deboli della popolazione. L’obiettivo è quello di “monetizzare” il valore della propria casa cedendone la proprietà, ma conservando per sé il diritto di abitarla.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 6877 del 24 marzo 2014 ha affrontato l’argomento nell’ambito degli edifici in condominio e con specifico riferimento alla ripartizione delle spese condominiali, stabilendo che il condominoche vende l’appartamento, conservando per sé il diritto di abitazione, rimane obbligato ad adempiere tutti gli oneri relativi alla custodia, all’amministrazione ed allamanutenzione dell’immobile ceduto, compreso l’obbligo di pagare le spese condominiali. Al nudo proprietario, invece, spettano le sole spese straordinarienei limiti di cui all’art. 1005 c.c.

Non è il nudo proprietario, dunque, ma il venditore che rimane a vivere in condominio a dover pagare le spese condominiali. L’atto di costituzione del diritto di abitazione intervenuto tra le parti – precisa la Corte – è opponibile al Condominio anche in assenza di trascrizione nei registri immobiliari. Ai fini dell’opponibilità è sufficiente la comunicazione dell’atto predetto effettuata dal venditore.

Il diritto di abitazione conferisce al titolare il diritto di abitare in un immobile di cui non è proprietario. Non è né cedibile né trasmissibile per successione (art. 776 c.c.) e dura fine alla morte del titolare o all’uscita di quest’ultimo dall’immobile per trasferirsi altrove. Ha una disciplina simile a quella dell’usufrutto, di cui costituisce una specie. Se ne differenzia per il contenuto (il diritto d’abitazione conferisce unicamente l’uso dell’immobile per abitarci, mentre l’usufrutto attribuisce il pieno ed esclusivo godimento del bene) e per i poteri di disposizione (il diritto di abitazione, come detto, è incedibile e intrasmissibile, mentre l’usufrutto è cedibile a terzi (art. 758 c.c.).

In particolare, dal combinato disposto degli artt. 1025, 1004 e 1005 c.c. si ricava che chi ha ildiritto di abitazione e occupa tutta la casa è tenuto alla spese e, in genere, agli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa. Le riparazioni straordinarie sono, invece, a carico del nudo proprietario, tranne quelle che si rendono necessarie dall’inadempimento degli obblighi di ordinaria amministrazione spettanti all’utilizzatore.

Il caso affrontato dalla cassazione. La complessa vicenda al vaglio della suprema Corte ha inizio nel 1993, quando una condomina comunica a mezzo raccomandata al Condominio di aver venduto il proprio appartamento con la clausola di nuda proprietà e costituzione del diritto di abitazionea suo favore, chiedendo la suddivisione delle spese condominiali secondo le disposizioni di legge. A seguito dell’avvio del procedimento per ingiunzione di pagamento da parte dell’amministratore, si apriva una diatriba giudiziaria per il pagamento delle spese condominiali ordinarie.

In sintesi, secondo la venditrice l’atto costitutivo del diritto di abitazione in suo favore non era stato trascritto, per cui unica obbligata nei confronti del Condominio era l’acquirente. Quest’ultima, dal canto suo, richiamava il contenuto dell’atto di costituzione predetto, che prevedeva l’obbligo della venditrice di corrispondere qualsiasi onere condominiale.

La vicenda veniva definita dalla Corte d’appello con la condanna della venditrice al pagamento delle spese. Per il giudice di merito, la comunicazione inviata dalla stessa al Condominio, indipendentemente della mancata trascrizione della scrittura privata, costitutiva del diritto di abitazione, aveva validità ed efficacia per pretendere gli oneri condominiali, non ponendosi alcuna ipotesi da risolvere alla luce dell’art. 2644 c.c.

La Corte di cassazione ha confermato la decisione di merito.

Secondo i giudici del Palazzaccio, nel caso in esame la questione dell’individuazione del soggetto tenuto al pagamento degli oneri nei confronti del Condominio va risolta tenendo conto della natura del diritto di usufrutto (o di abitazione), che costituisce un diritto reale che deve essere reso pubblico con il messo della trascrizione (art. 2643, comma 2, c.c.).

Correlando tale disciplina a quella, sopra richiamata, relativa agli obblighi nascenti dell’usufrutto, si ricava che l’usufruttuario è obbligato ad adempiere tutti gli oneri relativi alla custodia, all’amministrazione ed alla manutenzione della cosa oggetto del diritto e, per altro verso, che la sua posizione di titolare di un diritto valevole erga omnes determina tutti gli effetti conseguenti, sostanziali e processuali.

Le disposizione citate consentono, pertanto, di individuare una precisa e distinta legittimazione attiva e passiva in capo all’usufruttuario ed al nudo proprietario: è l’usufruttuario (o il titolare del diritto di abitazione) legittimato attivo e passivo in tutti i rapporti ordinari che sono comunque riconducibili al godimento della cosa (nella specie, l’unità immobiliare facente parte del condominio), nei limiti previsti dall’art. 1004, commi 1 e 2, c.c., mentre è il nudo proprietario che deve provvedere alle riparazioni straordinarie ex art. 1005 c.c.

Confermata dunque la condanna della venditrice al pagamento degli oneri condominiali, in quanto rientranti, appunto, nei rapporti ordinari riconducibili al godimento dell’immobile. A nulla rileva la mancata trascrizione del titolo costitutivo del diritto di abitazione. Nel caso di specie, osserva la Corte, la scrittura privata di costituzione del diritto di abitazione è opponibile al Condominio, pur in assenza di prova dell’intervenuta trascrizione del diritto, sulla base della mera comunicazione di detto atto effettuata, all’epoca, dalla stessa venditrice.

Su quest’ultimo punto, peraltro, merita di essere richiamato l’ultimo comma dell’art. 63 disp. att. c.c., riscritto dalla legge di riforma del condominio n. 220 del 2012, ai sensi del quale chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto.

Farmacie: discrezionalità nell’apertura anche fuori dagli orari stabiliti da autorità competenti

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Le disposizioni dell’autorità competente, in tema di orari e turni delle farmacie, sono vincolanti solo nella parte in cui obbligano gli esercizi all’apertura, non disponendo in merito alla chiusura nel tempo rimanente, che rimane pertanto rimesso alla facoltà del titolare esercente.
Il TAR Toscana è stato chiamato a pronunciarsi sul ricorso promosso dall’Associazione Provinciale Titolari di Farmacia, con cui si impugnava l’ordinanza che autorizzava la resistente ad espletare un orario differenziato di apertura al pubblico, escludendola dalla turnazione annuale prevista per la chiusura per ferie.
I ricorrenti lamentano che il Comune abbia consentito alla controinteressata di tenere aperto il suo esercizio anche in periodi in cui le altre farmacie sono obbligate alla chiusura, il che altererebbe le regole della concorrenza e violerebbe il principio di uguaglianza.
La materia è stata modificata dal decreto Salva Italia, in cui all’art. 8 L. n. 27/2012, viene stabilito che i turni e gli orari stabiliti dalle autorità competenti non impediscono l’apertura delle farmacia in orari diversi da quelli obbligatori.
La normativa sottoposta ad esame disciplina i turni e gli orari delle farmacie, obbligandole a rimanere aperte in determinati orari e turni, ma non vincolerebbe gli esercizi a rimanere chiusi per i periodi rimanenti. (Cfr. TAR Campania, n. 1125/13; Cons. Stato, ord. 3555/12).
La norma attribuisce, inoltre, a ciascun farmacista titolare la facoltà di programmare gli orari e il calendario di apertura discrezionalmente, salvo il rispetto degli obblighi imposti dall’autorità.
Sul punto è consolidato l’orientamento, confermato anche dalla Corte Costituzionale, con sent. n. 27/2003, che ha riconosciuto la legittimità delle disposizioni sugli orari di apertura e sui turni di servizio, affermando che le norme regionali che limitano gli orari di apertura assicurano il diritto alla salute, il diritto degli esercenti delle farmacie e l’efficienza del servizio pubblico farmaceutico. Sempre secondo la Corte, “l’accentuazione di una forma di concorrenza tra le farmacie basata sul prolungamento degli orari di chiusura potrebbe contribuire alla scomparsa degli esercizi minori e così alterare quella che viene comunemente chiamata la rete capillare delle farmacie”.
Dopo queste considerazioni, è pacifico che, a causa della sopravvenuta normativa che vanifica le conseguenze dannose dell’ordinanza comunale, il ricorso è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Cessione di crediti futuri, le condizioni per l’opponibilità al creditore pignorante

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Il contratto di factoring – contratto ancora oggi considerato atipico nonostante l’intervento legislativo effettuato con la legge 21 febbraio 1991, n. 52, che lo ha disciplinato – è definito come l’accordo con cui un imprenditore cede o si impegna a cedere la totalità o parte dei crediti derivanti dall’esercizio della sua attività imprenditoriale ad altro imprenditore (il c.d. factor), il quale, dietro corrispettivo, si impegna a fornire al cedente una serie di servizi accessori (quali, ad esempio, la gestione, la contabilizzazione e l’incasso dei crediti; l’assunzione del rischio di insolvenza del debitore, etc).

Il contratto di factoring per la Cassazione

Al riguardo la Suprema Corte di Cassazione ha statuito che: «Il contratto di factoring, anche dopo l’entrata in vigore della disciplina contenuta nella l. 21 febbraio 1991 n. 52, è una convenzione atipica – la cui disciplina, integrativa dell’autonomia negoziale, è contenuta negli art. 1260 ss. del codice civile – attuata mediante la cessione, pro solvendo o “pro soluto”, della titolarità dei crediti di un imprenditore, derivanti dall’esercizio della sua impresa, ad un altro imprenditore (factor), con effetto traslativo al momento dello scambio dei consensi tra i medesimi se la cessione è globale e i crediti sono esistenti, ovvero differito al momento in cui vengano ad esistenza se i crediti sono futuri o se, per adempiere all’obbligo assunto con la convenzione, è necessario trasmettere i crediti stessi con distinti negozi di cessione, ma in ogni caso derivante dal perfezionamento della cessione tra cedente (fornitore) e cessionario (factor), indipendentemente dalla volontà e dalla conoscenza del debitore ceduto». (Cassazione, sezione terza civile, 08/02/2007, n. 2746).

L’elemento centrale del contratto di factoring, dunque, è costituito dalla cessione dei crediti; cessione che, a seconda dello schema contrattuale adottato dalle parti, potrà avere efficacia immediatamente traslativa ovvero meramente obbligatoria (nell’ipotesi che oggetto di cessione siano crediti futuri).

La cessione dei crediti futuri
Il presente contributo intende soffermarsi sulla problematica della efficacia della cessione di crediti futuri nei confronti del creditore pignorante, tentando, sulla scorta degli arresti della Suprema Corte e della disciplina positiva introdotta dalla legge 52 del 1991, di individuare le condizioni in presenza delle quali la cessione di crediti futuri sia opponibile al creditore pignorante.

L’articolo 1265 cod. civ., come è noto, nel disciplinare la efficacia delle cessione di credito nei confronti di terzi dispone che «se il medesimo credito ha formato oggetto di più cessioni a persone diverse, prevale la cessione notificata per prima al debitore, o quella che è stata accettata dal debitore con atto di data certa, ancorché sia di data posteriore».

L’articolo 2914, n. 2, cod. civ., a sua volta, dispone che «non hanno effetto nei confronti del creditore pignorante e degli altri creditori che intervengono nell’esecuzione, sebbene anteriori al pignoramento …2) le cessioni di crediti che siano state notificate al debitore ceduto o accettate dal medesimo successivamente al pignoramento».

In sostanza, a mente delle citate disposizioni del codice sostanziale (storicamente dettate con riferimento alla fattispecie della cessione di crediti già esistenti e, dunque, avente efficacia immediatamente traslativa), il conflitto tra cessionari, ovvero tra il cessionario ed il creditore pignorante (o la curatela fallimentare) trova soluzione sulla base del criterio della prevalenza della cessione notificata al debitore ceduto o da questi accettata prima, ovvero notificata (o accettata) prima del pignoramento.

Il regime antecedente alla legge 52/1991
A tale proposito si osserva come la sezione prima civile della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 14 novembre 1996, n. 9997, ebbe a pronunciarsi su una fattispecie precedente alla entrata in vigore della legge 52 del 1991, sulla questione se ai fini della opponibilità al fallimento di una cessione di crediti futuri fosse sufficiente la notifica al debitore ceduto del “contratto quadro” di factoring (ad effetto traslativo differito), ovvero fosse necessaria, prima della dichiarazione di fallimento, la notifica o l’accettazione da parte del debitore ceduto di ciascun credito successivamente al suo sorgere.

La suprema Corte, con la sentenza in discorso, aveva statuito che «il problema posto dalla presente controversia . . . è quello di verificare se, in caso di cessione di crediti futuri, per l’opponibilità al fallimento sia sufficiente l’accettazione o la notifica, avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, della cessione o non sia anche necessaria una accettazione o notifica, sempre avente data certa, di ciascun credito, successivamente al suo sorgere.

Il problema impostato non ha ovviamente nulla a che fare con quello della validità della cessione dei crediti futuri tra le parti, ormai ammessa pacificamente nella giurisprudenza di questa Corte (a partire dalle sent. 1277-62, 184-66, 1209-66 alle più recenti 3099-95, 8497-94, 11516-93, 4040-90) e oggetto di esplicita disciplina legislativa (art. 3 legge n. 52 del 1991), nè con quello della individuazione del momento in cui si determina l’effetto traslativo, essendo altrettanto pacifico che tale effetto si produce soltanto quando il credito viene effettivamente ad esistenza e che pertanto la cessione di cui si discute, a differenza di quella di crediti già esistenti, ha effetti meramente obbligatori.

La questione che si pone è invece quella della opponibilità della cessione di crediti futuri rispetto ai terzi, questione che la sentenza impugnata ha risolto nel senso della insufficienza della notifica e della accettazione del solo contratto di cessione. Tale conclusione deve essere sostanzialmente condivisa, tenendo presente che nella specie, come risulta dal ricorso (pag 3), la cessione dei crediti futuri si inseriva in un’operazione di factoring, perfezionatasi attraverso la sottoscrizione di un “contratto-quadro”, in attuazione del quale la O. aveva proceduto alla “segnalazione” del debitore ceduto e a ulteriori cessioni.

Non è certamente decisiva per la soluzione del problema la lettera dell’art. 1265 c.c., che prevede la notifica o l’accettazione della “cessione”, perché è evidente che il legislatore non ha tenuto presente la fattispecie della cessione di crediti futuri (oggetto di elaborazioni giurisprudenziali e dottrinarie di epoca successiva alla elaborazione del codice), ad effetti meramente obbligatori, ma la cessione di crediti già esistenti, che ha immediata efficacia traslativa, onde notifica e accettazione della cessione coincide con la trasmissione o l’acquisizione della conoscenza del credito. Occorre piuttosto tenere presente la ratio dell’art. 1265 (e dell’art. 2914, n.2), che nel disciplinare l’opponibilità della cessione, al fine di risolvere i conflitti tra i terzi, richiede il requisito della certezza della data della notifica e dell’accettazione, per contemperare le esigenze di facile circolazione dei crediti con quella di tutela dei terzi. Entrambe le esigenze sarebbero del tutto frustrate se fosse seguita la tesi della ricorrente che difatti è costretta ad ammettere che, per accertare quali crediti siano venuti ad esistenza prima del pignoramento (o del fallimento), occorrerebbe affidarsi alla dichiarazione del debitore ceduto o alle scritture contabili del fallito, e, in caso di contestazione, all’accertamento giudiziario. Deve in conclusione ritenersi che per poter opporre al fallimento la cessione di crediti futuri sia necessario non solo che i crediti, sorti dopo il perfezionamento della cessione, siano comunque anteriori al fallimento, ma che prima di tale data siano divenuti esigibili (sent. 11516-93; il che, per altro verso, richiama l’esigenza di una loro specifica notifica o accettazione ex art. 1264 c.c.) ma anche che siano stati singolarmente notificati o accettati dal debitore con atto avente data certa».

La Suprema Corte, dunque, con la citata sentenza, aveva ritenuto che la opponibilità della cessione di crediti futuri al fallimento, postulasse, non solo che i crediti sorti dopo il perfezionamento della cessione fossero anteriori al fallimento, ma pure che tali crediti fossero divenuti esigibili prima della dichiarazione di fallimento e prima di tale data notificati o accettati dal debitore ceduto con atto di data certa.

L’evoluzione della giurisprudenza di Cassazione

Più di recente, la Suprema Corte di Cassazione, affrontando la medesima questione già affrontata nel succitato arresto ha statuito che «nel caso di crediti futuri ma probabili perché nascenti da un unico rapporto – base (come quelli di lavoro), il contratto di cessione, perfetto ab initio pur se con effetto reale differito, possa essere assimilato alla cessione del credito attuale e quindi debba prevalere sul pignoramento se notificato al debitore, già identificato grazie al rapporto base, o da questo accettato prima del pignoramento stesso … Per contro, nel caso di crediti solo eventuali ed aleatori, la maggiore incertezza di essi, ossia l’effetto traslativo della cessione e (almeno di regola) la non attuale identificazione del debitore inducono ad affermare che la cessione possa essere con successo opposta al creditore pignorante solo se essi siano divenuti esigibili e vi sia stata la notificazione o l’accettazione del debitore prima del pignoramento … In questo senso si è espressa Cass. 14 novembre 1996, n. 9997, che ha ritenuto necessario, per la opponibilità al fallimento, la preventiva notificazione o accettazione non della conclusione del contratto di factoring (ossia di cessione globale di crediti presenti e futuri inerenti ad un’impresa quale corrispettivo di un finanziamento o di altre controprestazioni) bensì del singolo credito venuto successivamente ad esistenza» (Cassazione, sezione lavoro 26 ottobre 2002, n, 15141).

In sostanza, la sezione lavoro della Suprema Corte, proseguendo nel solco tracciato dall’arresto 9997/96 ha ritenuto che la cessione di crediti futuri (ad effetti obbligatori e non immediatamente traslativa), intanto prevarrebbe sul pignoramento, in quanto abbia ad oggetto crediti «concretamente eventuali» e cioè contrassegnati «da un alto grado di probabilità».

Di contro nel caso in cui la cessione abbia ad oggetto crediti «eventuali ed aleatori» , la «maggiore incertezza … dell’effetto traslativo» fa si che la cessione intanto possa essere opposta al creditore pignorante, in quanto tali crediti «siano divenuti esigibili e vi sia stata la notificazione o l’accettazione del debitore prima del pignoramento».

In sostanza, la Suprema Corte di Cassazione, ammessa pacificamente la cedibilità con effetto traslativo differito di crediti futuri, ha puntualizzato che la cessione di crediti futuri intanto è opponibile al creditore pignorante in quanto sia stata notificata prima del pignoramento ed abbia ad oggetto crediti «concretamente eventuali»; di contro, nel caso la cessione abbia ad oggetto crediti «astrattamente eventuali», con riferimento ai quali sussista una maggiore incertezza in ordine all’inverarsi dell’effetto traslativo, la opponibilità al creditore pignorante postula che il credito sia esigibile e venuto ad esistenza e che la notificazione o l’accettazione da parte del debitore ceduto sia anteriore alla notifica del pignoramento.

Dunque, nella ipotesi in cui la cessione abbia ad oggetto crediti meramente eventuali e non ancora identificati in tutti gli elementi oggettivi e soggettivi, per predicare la prevalenza della cessione e, dunque, la sua opponibilità al creditore pignorante, occorre che la notificazione o la accettazione della cessione sia, da un lato, anteriore al pignoramento, e, dall’altro, comunque successiva al momento in cui il credito sia venuto ad esistenza. (ex multis, Cassazione, sezione prima civile, 14 aprile 2010, n. 8961; Cassazione sezione prima civile, 21 dicembre 2005, n. 28300).

In particolare, la sezione prima civile con la sentenza 28300/2005, collocandosi nel solo della citata pronuncia della sezione lavoro 15141/2002, ha statuito che «in materia di efficacia della cessione di crediti maturandi con origine da un unico e già esistente rapporto base, la cessione prevale sul pignoramento stesso, diversamente da quanto accade per i crediti soltanto eventuali, non necessariamente identificati in tutti gli elementi oggettivi e soggettivi: solo con riguardo a questi ultimi, la prevalenza della cessione richiede che la notificazione o accettazione siano non solo anteriori al pignoramento, ma altresì posteriori al momento in cui il credito sia venuto ad esistenza».

Il regime successivo alla legge 52/1991

Ciò detto, giova peraltro osservare come, la citata sentenza 15141/2002, la sezione lavoro della Suprema Corte di Cassazione, all’esito della ricostruzione operata, abbia sottolineato, come «tutto ciò spiega perché la legge 21 febbraio 1991, n. 52 preveda bensì, in materia di rapporti obbligatori costituiti nell’esercizio dell’impresa, la cessione di crediti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgevano, ma l’efficacia della cessione riguardo ai creditori del cedente non è subordinata alla preventiva notificazione ad (ancora inesistenti) debitori, bensì al previo pagamento del corrispettivo della cessione».

Tale obiter dictum consente di inquadrare la problematica della opponibilità al creditore pignorante delle cessioni di crediti futuri accessive ad un contratto di factoring, collocandola nel quadro della disciplina positiva riveniente dalla legge 52 del 1991.

L’articolo 3 della Legge n. 52/1991 (recante la «disciplina della cessione dei crediti di impresa») ha previsto che possono essere ceduti, anche in massa, i crediti futuri, anche prima che siano stipulati i contratti da cui tali crediti sorgeranno, a condizione che i contratti stessi siano stipulati entro i successivi 24 mesi.

Il quarto comma dello stesso articolo, inoltre dispone che «la cessione dei crediti in massa si considera con oggetto determinato, anche con riferimento a crediti futuri, se è indicato il debitore ceduto, salvo quanto prescritto nel comma 3».

L’articolo 5 della legge 52/1991 ha attribuito al cessionario che abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione il corrispettivo della cessione, con pagamento avente data certa, la facoltà di opporre la cessione «i) agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi anteriormente alla data del pagamento; ii) al creditore del cedente che abbia pignorato il credito successivamente alla data del pagamento; iii) al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento (fermo restando quanto previsto dall’art. 7, comma 1)».

L’opponibilità della cessione al creditore pignorante

La legge 52 del 1991, dunque, nel dettare la disciplina delle cessione dei crediti di impresa, ha risolto la questione consentendo al factor di opporre la cessione di crediti futuri a condizione che abbia corrisposto in tutto in parte il prezzo della stessa con pagamento di data certa anteriore al pignoramento.

In sostanza, acclarato che in caso di cessione di crediti futuri l’effetto traslativo si produce soltanto quando il credito viene effettivamente ad esistenza, avendo sino a tale momento la cessione effetti meramente obbligatori, nondimeno, ove, venuto ad esistenza il credito, il factor abbia con atto di data certa versato al cedente il corrispettivo della cessione di esso, la cessione sarà opponibile al creditore pignorante, che abbia pignorato il credito dopo la data del pagamento.

«In forza della legge n. 52 del 1991, articolo 5, qualora il cessionario abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione ed il pagamento abbia data certa, la cessione è opponibile al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento, salvo quanto disposto dalla stessa Legge n. 52 del 1991, articolo 7, comma 21 …. nella prospettiva della Legge n. 52 del 1991, il momento dal quale si fa discendere la sua opponibilità ai terzi non è il perfezionamento dell’atto contrattuale, bensì il pagamento del cessionario al cedente
….»
, Cassazione, sezione prima civile, 5 luglio 2013, n. 16828.

Un ced in sicurezza per latte e formaggio

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Datacenter di nuova generazione, armadi di contenimento di server e storage dotati di sistema di controllo e climatizzazione e cablatura delle sedi. Quando si pensa a una latteria, qualsiasi siano le dimensioni, l’infrastruttura It non è certamente la prima cosa che viene in mente, per quanto sia ormai scontato che le operazioni siano ormai automatizzate in ogni settore.

Eppure per Latterie Vicentine qualche anno fa è stato importante ripensare al datacenter in modo da ridurre al minimo, fino ad azzerarle, le occasioni di fermo macchina, andando a ripensare anche l’alloggiamento dei server, che è stata dotata di tutti gli accorgimenti che potessero aiutare in tal senso.

«La latteria raccoglie il latte e lo lavora fino a confezionarlo per il consumatore, formaggi compresi, ma le tracce di tutte queste attività passano necessariamente per i sistemi informatici», ha spiegato Carlo Mantese, responsabile It di Latterie Vicentine, «registriamo il latte che viene raccolto dai soci, teniamo traccia del prodotto acquistato e conferito, così come di cosa viene fatto del latte: quanto e quale viene utilizzato per produrre formaggio, dal momento che noi siamo i primi produttori di Asiago. Teniamo traccia del camion, dello scomparto e sappiamo quale latte è stato trasformato in specifiche forme di Asiago. Sono adempimenti necessari al business quanto a fini burocratici, questi ultimi molto aumentati nel tempo».

Il datacenter per Latterie Asiago non ha la necessità di operare 24 ore su 24, sebbene si avvicini molto a questo traguardo impegnativo.

Durante la notte la piattaforma distributiva prepara i bancali sui camion dall’una fino alle sei del mattino. Buona parte dei camioncini esce poi per una tentata vendita, carica via linea dati mobile le informazioni sulle merci collegandosi al server remoto dell’azienda appena prima di partire, e così via per il resto della giornata.

Latterie Vicentine ha due stabilimenti di proprietà a Bassano del Grappa e a Bressanvido, sede da poco rinnovata e che ha portato alla centralizzazione degli uffici direzionali, amministrativi, tecnici e commerciali. Il datacenter è stato rinnovato con macchine Ibm, mentre Schneider Electric, attraverso il partner Reti di Thiene, è stata scelta per le soluzioni di contenimento, di condizionamento e per i gruppi di continuità. In particolare le macchine sono state organizzate all’interno degli armadi NetShelter SX 42U, che consentono di ottimizzare lo spazio degli ambienti e di effettuare interventi di manutenzione in modo agevole. All’interno della struttura di contenimento ha preso posto anche il sistema di climatizzazione InRow di Schneider Electric, che mantiene la temperatura ideale solo nei punti utili ottimizzando i consumi. Completa la struttura Symmetra LX, il gruppo di continuità Apc by Schneider Electric. A corredo di tutto ciò è stato messo a punto il controllo a distanza: il sistema invia una email di allerta ogni volta che un parametro fra quelli rilevati (per esempio la temperatura o il consumo di corrente elettrica) non rientra nei limiti stabiliti, permettendo un intervento immediato. Il nuovo datacenter fa anche da collettore di tutte le dorsali in fibra che interconnettono la produzione e contiene tutti i sistemi di comunicazione, videosorveglianza e accesso integrati nella rete Ip aziendale. «Prima avevamo un sottoscala a livello di sala ced, dove oltre a problematiche di spazio c’erano anche problemi di climatizzazione. Per questo nella riprogettazione abbiamo subito voluto che ci fosse un sistema di climatizzazione adeguato. L’InRow è una sorta di piccolo armadietto, posto a fianco degli armadi che contengono i server e gli altri apparati, che ottimizza il flusso dell’aria da climatizzare», ha concluso Mantese, «grazie a questo progetto abbiamo razionalizzato la struttura, realizzato reti, centralino, infrastruttura telefonica e videosorveglianza completamente nuovi, razionalizzato altri servizi e in prospettiva siamo in grado di installare anche una soluzione di disaster recovery».

Alla scoperta del cloud

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Sin da quando il cloud computing è apparso per la prima volta nel mondo IT, tutti hanno cercato di dargli una definizione e capire perché sia così importante. «Quello che è chiaro è che non esiste un’opinione comune su che cosa sia realmente il cloud computing,» ha ammesso pubblicamente l’organizzatore di una conferenza sull’argomento nel 2008 nelle annotazioni finali.

Il cloud è forse la versione del XXI secolo del time sharing, che permette agli utenti di accedere virtualmente ai vari tipi di risorse IT senza dover possedere un computer? È un ritorno al computing centralizzato, dovuto alle complessità in aumento, ai costi di gestione e alle inefficienze energetiche dei sistemi distribuiti? È forse l’evoluzione verso l’utility computing dove, come per l’elettricità e l’acqua, si può accedere all’IT da fornitori di servizi di grandi dimensioni e dietro un pagamento commisurato al consumo effettivo? Oppure il cloud è il passo successivo nella storia dei computer, le macchine stanno svanendo e diventando accessibili da qualsiasi luogo e la capacità elaborativa sta diventando sempre più incorporeo e sarà consumata dove e quando necessario.

«La crescita del cloud è qualcosa di più di un altro cambiamento di piattaforma, particolarmente gradito agli appassionati di tecnologia,» ha aggiunto, «senza dubbio trasformerà l’industria dell’information technology ma cambierà anche in maniera radicale il modo di lavorare delle persone e di operare delle aziende. Permetterà alla tecnologia digitale di penetrare in ogni angolo dell’economia e della società, portando con sé problemi politici piuttosto complessi».

La ragione, sia della grande eccitazione sia della mancanza di un consenso generale, è che il cloud è fondamentalmente un nuovo modello di computing, solo il terzo nella storia dell’industria IT, il primo era centralizzato e il secondo client-server. Non esiste un’unica dimensione intorno alla quale definire un modello di computing che rappresenti tutte le diverse opinioni. È come la fiaba degli uomini chiechi e dell’elefante, in cui ognuno di loro tocca una parte diversa dell’animale. Poi, confrontandosi su quello che hanno sentito, scoprono di essere in totale disaccordo.

Secondo alcuni, il cloud è essenzialmente l’Internet dei servizi che fornisce applicazioni, contenuti, gestione e molto altro a miliardi di persone e miliardi di cose. Non sarebbe assolutamente possibile supportare questi enormi volumi di servizi e dispositivi con architetture custom e ad-hoc. I servizi basati sul cloud richiedono un processo più standardizzato, una personalizzazione di massa, un approccio industrializzato alla produzione tra cui l’applicazione della tecnologia avanzata e una scienza rigorosa, l’ingegneria e delle metodologie di gestione.

Nell’economia industriale, la produzione era applicata soprattutto ai beni materiali, mentre i servizi erano secondari. Mentre la produzione di beni ottenne dei sostanziosi miglioramenti nella produttività, i servizi erano considerati di minore importanza. Nell’economia digitale questo sta cambiando, visto che gli strumenti IT stanno apportando ai servizi aumenti importanti della produttività dal punto di visto della tecnologia e dell’organizzazione. Una recente ralazione del professor John Zysman di UC Berkeley, «Escape from the Commodity Trap», spiega bene il ruolo delle tecnologie digitali nella trasformazione della produzione dei servizi. La prima parte della relazione tratta della trasformazione della produzione. «La trasformazione in corso della produzione di beni e servizi sta drammaticamente alterando ciò che viene prodotto, dove, come e chi trattiene il valore», scrive nell’abstract della relazione. La produzione include sia la fabbricazione che i servizi IT. La loro distinzione sta sfumando perché le aziende sono sempre più alla ricerca di nuove opportunità economiche aggiungendo servizi ai loro prodotti, elaborando tutti i tipi di prodotti come un servizio e migliorando l’efficienza dei servizi, offrendoli come prodotti ben progettati.

Nella relazione, Zysman esamina l’ampio spettro dell’attività dei servizi. Da una parte ci sono quelle attività che possono essere completamente automatizzate dall’IT, come gli Atm per le attività bancarie, le agenzie di viaggio su internet e altri siti web come Google, Skype e Netflix. Dall’altra ci sono quelle chiamate attività dei servizi irriducibili, che possono essere fornite solamente dagli esseri umani sia perché necessitano di capacità relazionali e giudizi che solo questi possono offrire, per esempio i giudici, sia per ragioni di costi e praticità, come parrucchieri o cuochi. Tra questi due poli si trova un’ampia varietà di servizi ibridi, che combinano gli esseri umani e gli strumenti IT, in settori come quello amministrativo, sanitario e vari tipi di attività di progettazione. La maggior parte delle attività di servizi nell’economia sono ancora irriducibili, ovvero forniti dagli esseri umani senza alcuna o poca assistenza tecnologica. Tuttavia, data la potenza in aumento e la sofisticatezza dell’IT, le tecnologie digitali sono sempre più applicate alle attività che richiedono intelligenza e capacità cognitive che fino a poco tempo fa erano viste come un ambito esclusivo degli esseri umani. «Le trasformazioni economiche più profonde e significative sono quelle che uniscono prodotti ICT con sensori – come nel settore infermieristico, nelle gru o nelle auto – con le capacità e il giudizio umano. Il valore dei servizi ibridi dipende da quanto le capacità umane sono aumentate attraverso sistemi ICT sempre più sofisticati».

L’iPod di Apple e il Kindle di Amazon.com sono due esempi di prodotti ibridi, dove i dispositivi fisici sono essenzialmente portali verso una pletora di musica e libri nel cloud. Il cloud computing sta accelerando questa trasformazione IT della produzione. Per capirne il perché, Zysman spiega la distinzione tra il cloud visto come «luogo dove avviene il computing» e il cloud come architettura, «un cambiamento nel modo in cui il computing è organizzato e in cui i nuovi concetti architetturali vengono attuati».

L’attività manifatturiera frena nell’Eurozona. Ma in Italia, Francia e Spagna l’indice sale

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L’attività manifatturiera nell’Eurozona frena a marzo, pur restando sopra i 50 punti e dunque un espansione. L’indice pmi manifatturiero, calcolato da Markit, si attesta nell’area euro a 53 punti, in linea con la stima flash ma sotto i 53,2 punti di febbraio. In Italia l’indice pmi manifatturiero sale dai 52,3 punti di febbraio a 52,4 punti. In Germania l’indice frena a 53,7 punti, sotto i 53,8 punti della stima flash e ai 54,8 punti di febbraio. In Francia invece sale dai 49,7 punti di febbraio e dai 51,9 punti della stima flash a 52,1 punti, il top da 33 mesi. Bene anche la Spagna, dove l’indice avanza a 52,8 punti, il massimo dall’aprile 2012, dai 52,25 punti di febbraio.