2 Ottobre 2024, mercoledì
Home Blog Page 1950

Il grande azzardo di Putin

0

Il parlamento regionale della Crimea ha deciso di complicare la vita a tutti, e di aggravare la crisi, votando a favore dell’integrazione della penisola nella Russia, e annunciando un referendum confermativo per metà marzo, a condizione naturalmente che Vladimir Putin e la Russia dichiarino il loro accordo.

Ciò mette Putin in difficoltà perché pone indirettamente il problema delle altre regioni dell’Ucraina a maggioranza russofona, obbliga il governo di Kiev a reagire e rende più difficile la soluzione della crisi che sembrava delinearsi con il “soffice” ultimatum europeo alla Russia, che offriva a Mosca la foglia di fico di un “gruppo di contatto” per decidere assieme del futuro dell’Ucraina.

Guerra fredda
Molte cose possono quindi ancora andare male e obbligarci ad una sorta di nuova “guerra fredda”. I nazionalismi contrapposti dei militanti russi ed ucraini non sono facili da gestire e possono sempre provocare un pasticcio insanabile. D’altro canto anche Putin potrebbe decidere che il compromesso offertogli è insufficiente, o il Consiglio europeo potrebbe veder dissolversi quell’unione apparente di intenti che si è sinora coagulata attorno all’iniziativa tedesca.

E infine, tanto per completare il quadro del “caso peggiore”, una grossa crisi potrebbe scoppiare in qualsiasi momento nel Golfo o nel mar della Cina, rimescolando tutte le carte.

Tuttavia, in questo momento, a bocce ferme, e malgrado la grave provocazione della Crimea, la possibilità che la crisi ucraina possa cominciare a rientrare nei binari della normalità sembra ancora forte. Le cose ancora da decidere – quale status dare alla Crimea, come formalizzare i rapporti tra Ue e Ucraina, come regolare il triangolo Ue-Ucraina-Russia – occuperanno a lungo il tempo e l’ingegno di numerosi negoziatori, ma il rischio di uno scontro aperto al centro dell’Europa sembrerebbe recedere.

Russia perdente?
Se così fosse, ancora una volta, il perdente sarebbe la Russia, anche se dovesse assicurarsi un qualche controllo sulla Crimea e un qualche “droit de regard” sull’Ucraina. Comunque si rigiri la situazione, infatti, il “grande disegno” attribuito a Putin di ricostituire un grande spazio strategico, politico ed economico sulle terre dell’ex-Urss, con al centro Mosca, sarebbe fallito, perché non riuscirebbe ad includere l’Ucraina oltre a buona parte del Caucaso, alla Moldova e, ovviamente, alle tre repubbliche baltiche che già sono parte dell’Ue e della Nato.

In altri termini la Russia non avrebbe “clientes” europei, a parte la Transnistria, l’Armenia e forse la Biellorussia (ma per quanto ancora? Persino Lukaschenko, il padre padrone di Minsk, deve essere rimasto scosso e preoccupato per il trattamento sprezzante riservato da Putin all’ex-presidente ucraino Viktor Ianukovich).

Le ragioni di questa possibile sconfitta non sono ancora chiare, ma si possono fare alcune ipotesi. In primo luogo la crisi finanziaria ucraina, che minaccia soprattutto le banche e l’economia russa: a salvare il salvabile è dovuto intervenire con una sua dichiarazione il Fondo monetario internazionale (Fmi), ed ora potrebbero arrivare, se approvati, gli aiuti dell’Ue, ma questo significa che Mosca, oltre ad aver perso uno strumento di pressione, deve anche stare attenta a non aggravare una crisi che le farebbe molto male.

In secondo luogo, l’ipotesi di annettersi la Crimea ha lo svantaggio di aprire il vaso di Pandora delle altre regioni russofone dell’Ucraina: come dire loro di no? E se invece la Russia si imbarcasse in questo smembramento dell’Ucraina, malgrado i solenni impegni internazionali presi nella opposta direzione, come potrebbe evitare l’isolamento, la ghettizzazione e le inevitabili sanzioni?

Non basterebbe certo Gazprom a salvarla e la sua ambizione di ridiventare una grande potenza si allontanerebbe. Addio Europa, il futuro incerto di Mosca si giocherebbe solo in Asia, in un rapporto certo non facile né evidente con la Cina, vera grande potenza globale emergente.

In terzo luogo una simile operazione di smembramento e annessione porterebbe in Russia anche molti problemi economici e politici, incluse nuove minoranze agguerrite e ferocemente contrarie al governo di Mosca. Un cavallo di Troia?

Se la crisi rientra
Mettiamo dunque che la crisi finisca come vorrebbe l’Ue. Cosa accadrà poi? Sul fronte russo, un Putin insoddisfatto e frustrato sarebbe sempre più convinto della esistenza di un grande complotto occidentale per favorire in ogni occasione i mutamenti di regime; una strategia che, agli occhi di Putin, non può che mirare, a breve o lungo termine, a Mosca. Sarà possibile instaurare con il Cremlino un rapporto più equilibrato e comprensivo? Sinora l’Occidente non ha compiuto grandi sforzi in questa direzione, ed è un peccato.

Sul fronte europeo, l’Ue è oggi più tedesca di ieri, anche in senso politico, e non solo finanziario, e questo non piace molto alla Francia, che però non ha alternative, soprattutto perché il Regno Unito è divenuto sostanzialmente un “non-attore” europeo, privo di idee e di politiche.

Ciò potrebbe aprire qualche spazio per paesi come l’Italia, la Spagna, la Svezia o la Polonia, ammesso che abbiano qualcosa di proporre.

Certamente un’Europa che riuscisse a risolvere la crisi ucraina utilizzando l’appoggio americano, ma di fatto prendendo l’iniziativa, deve poi riuscire a restare all’altezza delle aspettative che suscita, sia ad Est che a Sud, ma per far questo ha bisogno di mobilitare grandi risorse e di uscire dallo schema riduttivo in cui si è rinchiusa durante la crisi economica.

È una grande sfida cui non sembriamo molto preparati, ma che difficilmente potremo evitare, specie se, in questa occasione, avremo successo.

Russia in Crimea contro il diritto internazionale

0

Di fronte alle titubanze dell’Occidente e alle reazioni per ora solo verbali, il presidente russo Vladimir Putin è prontamente passato all’azione occupando la Crimea, dopo essersi fatto autorizzare dal parlamento russo l’azione militare.

Autorizzazione di ampia portata, poiché non è limitata alla sola Crimea, ma all’intera Ucraina, il cui nuovo governo non è riconosciuto dal Cremlino che continua invece a ritenere il deposto Viktor Yanukovich il legittimo governante. Il che complica ancora di più la questione e la possibilità di arrivare in tempi brevi a una soluzione negoziata.

Sotto il profilo giuridico, l’invasione russa è una chiara violazione del diritto internazionale, della Carta delle Nazioni Unite e dei principi di base dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa che vietano la minaccia e l’uso della forza.

Rischio secessione
Le motivazioni accampate dalla Russia non reggono. È stato invocato il diritto d’intervenire a difesa dei propri connazionali che si trovano nelle basi russe in Crimea. Ma tale diritto, che un tempo era rivendicato solo dagli stati occidentali, non è stato esercitato nel caso concreto o è stato perseguito in modo abnorme. La dottrina dell’intervento a protezione dei cittadini all’estero prevede che si possa intervenire in territorio altrui quando i propri cittadini siano realmente in pericolo di vita e il sovrano territoriale non voglia o non possa difenderli. Una situazione non ricorrente in Crimea.

Inoltre, in tale tipo d’intervento si salvano i propri cittadini e si riportano in patria e l’azione militare non produce un’occupazione del territorio straniero. L’azione dei militari armati senza mostrine che hanno circondato le basi ucraine in Crimea era chiaramente imputabile alla Federazione russa e non dovuta a forze ribelli locali.

Né potrebbe essere invocata l’esimente del consenso delle autorità locali all’intervento. La Crimea non è uno stato, ma solo una provincia ucraina, sia pure dotata di ampia autonomia. Fu trasferita all’Ucraina nel 1954, un atto interno all’Unione Sovietica.

Quando l’Ucraina è diventata indipendente nel 1991, il suo territorio, come stato sovrano, comprendeva anche la Crimea, tanto è vero che la Russia ha negoziato e concluso, nel 1997, un accordo per lo stazionamento della flotta russa del Mar Nero. Quindi non si potrebbe neppure parlare di riappropriazione di un territorio appartenente alla Federazione russa, tesi che peraltro non è stata invocata.

Probabilmente si andrà verso la secessione della provincia e la costituzione di un nuovo stato, ma questo difficilmente otterrà il riconoscimento da parte della comunità internazionale, essendo la secessione fomentata dall’esterno e ottenuta con l’intervento di una potenza straniera in violazione delle più elementari regole del diritto internazionale. In questi casi il principio dell’integrità territoriale prevale.

Legittima difesa collettiva
L’Ucraina ha mobilitato le proprie forze armate. Essa ha diritto di esercitare la legittima difesa, come consentito dalla Carta delle Nazioni Unite, diritto che è connaturato all’esistenza stessa dello stato e che non richiede, per il suo esercizio, di essere autorizzato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Ben vengano le parole di moderazione come quelle espresse dal governo italiano, ma è assurdo non ricordare i diritti della vittima dell’aggressione e in particolare che questa può reagire con la forza armata, quantunque le forze in campo siano incommensurabili.

Alla vittima dell’attacco armato spetta non solo il diritto di legittima difesa individuale, ma anche quella collettiva: terzi stati possono intervenire a suo favore.

La Nato dispone di un meccanismo di legittima difesa collettiva a tutela dei propri membri, nel senso che se uno stato dell’alleanza è attaccato gli altri debbono intervenire a suo favore. Questo non è il caso dell’Ucraina, che non è membro della Nato.

Teoricamente però, la Nato, pur non essendovi obbligata, potrebbe intervenire a favore dell’Ucraina, con una missione decisa dal Consiglio atlantico. Teoricamente, poiché nessuno vuole morire per Kiev e infatti la Nato non è andata oltre la deplorazione dell’intervento russo e la sua stigmatizzazione come violazione del diritto internazionale.

Il Consiglio di sicurezza Onu (Cds) ha già tenuto, a porte chiuse, una riunione e il Segretario generale si è mobilitato. Le capacità d’intervento sono però limitate. La Russia è membro permanente del Consiglio e qualsiasi azione incisiva sarebbe paralizzata dal veto. Per questo motivo il Cds non potrebbe decretare delle sanzioni neppure nella forma blanda di una raccomandazione.

Quanto all’Unione Europea, non vale neppure la pena parlarne. Come dimostrano gli esempi passati, quando si tratta di passare all’azione militare i suoi membri procedono in ordine sparso. Almeno dovrebbe ribadire il diritto alla legittima difesa dell’aggredito!

Memorandum di Budapest
Il Memorandum di Budapest del 5 dicembre 1994 è stato invocato con riferimento alla situazione ucraina, ma in termini errati. Il Memorandum fu concluso da Federazione Russa, Regno Unito, Stati Uniti e Ucraina quando l’Ucraina aderì al Trattato di non-proliferazione nucleare come stato non nucleare, dopo che l’arsenale atomico che stazionava nel suo territorio, ai tempi dell’Unione Sovietica, fu traferito alla Russia.

Il Memorandum di Budapest riguarda le garanzie di sicurezza negative e positive. I tre stati nucleari s’impegnano a non usare le armi nucleari nei confronti dell’Ucraina e, in caso di aggressione o minaccia di aggressione con armi nucleari, a portare immediatamente la questione dinanzi al Cds per ricevere adeguata assistenza. Vi è anche un obbligo di consultazione tra gli stati parti del memorandum, ma solo in caso di minaccia nucleare.

Non è il nostro caso. Però il Memorandum una rilevanza indiretta ce l’ha. Si pronuncia infatti per la conservazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina nell’ambito delle “frontiere esistenti”. Quindi viene riconosciuta, anche dalla Federazione Russa, l’appartenenza della Crimea all’Ucraina, di cui faceva parte nel 1994.

Non occorre una risoluzione del Cds per raccomandare o decidere sanzioni obbligatorie, quando uno stato si sia reso responsabile di violazioni gravi del diritto internazionale. Le sanzioni possono comprendere il congelamento delle risorse finanziarie, il divieto di import/export ed anche sanzioni individuali che includono il congelamento di beni e la limitazione dell’ingresso nei territori degli stati partecipanti.

Gli Stati Uniti si sono già mossi. Per l’Italia e l’Unione europea in genere una politica sanzionatoria solleva problemi politici ed economici di non poco momento. C’è da giurare che saranno avanzati dubbi sulla loro efficacia.

Drago, il gene che difende l’uomo dal cancro e inibisce le cellule tumorali

0

Esiste un gene in grado di inibire le cellule tumorali e “fare la guardia” al genoma umano, difendendolo dal cancro. Il gene si chiama “Drago” ed è stato scoperto dai ricercatori dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, che hanno pubblicato i risultati dello studio sulla rivista Journal of the National Cancer Institute.

Massimo Broggini, responsabile del Laboratorio di Farmacologia Molecolare del Mario Negri, spiega che il gene Drago è un inibitore di cellule tumorali:

“La struttura e la sequenza sono simili nelle diverse specie animali, e questo fa pensare a un suo ruolo importante. Il gene coopera con p53, una proteina coinvolta nel ciclo cellulare e quindi nella loro proliferazione; e in animali geneticamente modificati in cui mancano sia p53 sia Drago si sviluppano tumori in un tempo molto più rapido rispetto agli animali privati della sola p53″.

Inoltre, sottolinea Broggini,

“in diversi tumori la diminuzione dei livelli di Drago è direttamente correlata all’aggressività del tumore, a conferma del suo potenziale ruolo come onco-soppressore. I risultati ottenuti  aggiungono un importante tassello alle funzioni antitumorali di p53 e, vista la regolazione molto stretta dei livelli di Drago, la prossima sfida è trovare strategie per ripristinarne la sua presenza in tumori dove è venuta meno la sua funzione di contrasto della crescita tumorale”.

The Cove, scene inedite sulla caccia ai delfini in Giappone

0

Lo avevano accusato di aver truccato le immagini così Luoie Psihoyos, il regista di The Cove (film documentario del 2009, vincitore dell’Oscar, e incentrato sulla caccia ai delfini nella baia di Taiji, in Giappone) ha deciso di pubblicare  video e foto inedite, riprese escluse dal montaggio finale perché erano state ritenute troppo crude. “Avevo pensato che non sarebbe stato opportuno pubblicarle, perché brutali, raccapriccianti” ha raccontato il regista all’Huffington Post.

Guerra alle false collaborazioni

0

È guerra aperta alle false collaborazioni. Le novità in materia di contratto a termine «rendono più facile il ricorso al lavoro dipendente, mettono al riparo l’imprenditore dal rischio di contenziosi e garantiscono ai lavoratori tutele come nel contratto a tempo indeterminato». A dichiararlo è il ministro del lavoro, Giuliano Poletti, che ha per questo deciso di rafforzare i controlli sull’utilizzo improprio delle tipologie contrattuali c.d. flessibili e, in particolare, delle collaborazioni a progetto e delle partite Iva che possono mascherare rapporti subordinati. A spiegarlo è un comunicato diffuso ieri, che annuncia anche l’obiettivo: superare le 19 mila posizioni lavorative già «riqualificate» nel 2013.

Co.co.pro., il giro di vite Fornero. Il lavoro a progetto è stato rivisto dalla legge n. 92/2012, la riforma Fornero in vigore dal 18 luglio 2012. La legge Fornero ha voluto fortemente limitarne l’utilizzo, a tal fine prevedendo disincentivi normativi (quali le definizioni più stringenti del ‘progetto’ e delle condizioni di praticabilità) e contributivi (innalzamento delle aliquote Inps)

A Bologna Coopservice paga 2,80 euro all’ora

0

Hanno appeso le mutande davanti al rettorato dell’università di Bologna. Il rettore, il filosofo Ivano  Dionigi, alza le braccia al cielo. Qualche colpa l’ateneo ce l’ha, ha esternato, per risparmiare, il servizio di custodia della biblioteca di palazzo Paleotti. Ma non si aspettava, assicura Dionigi, che la cooperativa rossa, cioè di Legacoop, l’organizzazione di cui fino a ieri è stato presidente il ministro del lavoro, Giuliano Poletti, trattasse in questo modo i suoi dipendenti. La loro remunerazione, busta paga alla mano, è di 2,80 euro l’ora e la giornata lavorativa può durare, secondo le esigenze, anche 11 ore. Da qualche tempo è incominciata la ribellione ma le proteste non hanno finora ottenuto alcun risultato. Perciò i lavoratori sono passati a quelle che chiamano iniziative esemplari, la prima è appendere le mutande in università. «Con quello che portiamo a casa»,dice Antonella Zago, del sindacato di base Cub, «siamo finiti davvero in mutande, anzi senza neppure più quelle, come si fa a vivere con 2,80 euro l’ora?». La cooperativa sotto accusa è la Coopservice. Ha vinto l’appalto e ha cancellato tutto il pregresso ai dipendenti, decidendo di applicare un nuovo contratto, quello degli operatori per la «vigilanza e servizi fiduciari». Il che ha comportato la perdita di anzianità, quattordicesima, buoni pasto e il taglio di quasi la metà dello stipendio che prima pagava l’università, ora ridotto appunto a 2,80 euro l’ora. Cgil e Cisl hanno accettato queste condizioni ma nessuno dei dipendenti ha approvato ed è iniziata la mobilitazione. «Lavoro qui da 11 anni», spiega una delle dipendenti. «Le mie mansioni non sono mai cambiate, offro assistenza informatica a studenti e professori, faccio front office e lavoro circa 11 euro al giorno per 6 giorni a settimana. Sa quanto mi dà la coop?  750 euro al mese, 800 se decido di lavorare tutte le domeniche, quindi 7 giorni su 7». Altri dipendenti di biblioteche e servizi universitari, finiti con gli appalti, alla Coopservice, sono in procinto di fare la stessa fine dei 13 dipendenti della biblioteca di palazzo Paleotti che hanno incominciato la mobilitazione. Ormai sulle barricate sono oltre un centinaio, cioè tutti coloro che finiranno nel calderone coop. «Chiediamo all’ex-presidente Poletti se la sbandierata mutualità e solidarietà cooperativa è questa». In verità dopo gli scioperi e i conseguenti disservizi, ma anche in seguito alla solidarietà espressa dal rettore, Cgil e Cisl si sono incontrare con Coopservice e hanno firmato un altro accordo: un aumento della retribuzione oraria. Quanto? 0,80 euro lordi. Col risultato di fare arrabbiare ancora di più i dipendenti coop. «Qui non si svolgono mansioni di vigilanza», aggiunge Zago, «ma si offre assistenza tecnica e bibliografica a studenti e professori, si gestiscono aule e corrispondenza, si fanno manutenzione alle apparecchiature. E tutto per un contratto da fame, vergognoso in ogni caso, tanto più se si parla di una cooperativa. Inoltre l’università sostiene di pagare alla coop tra i 15 e i 17,5 € l’ora. Ci chiediamo dove finiscono questi soldi se ai lavoratori ne arrivano 2,80». Fa eco una docente (di filologia romanza), Giuseppina Brunetti: «Mi rendo conto della situazione, sono persone di fiducia,  sempre disponibili e collaborative, bisogna chiarire». Lo stesso rettore, di fronte alle mutande stese, dice: «Seguo con attenzione e anche con preoccupazione la situazione economicamente anomala in cui versano i dipendenti della Coopservice: per questo mi sto adoperando affinché al più presto venga trovata una soluzione che riconosca le legittime istanze dei lavoratori» Pure gli studenti hanno solidarizzato e anche loro hanno appeso la biancheria intima, con la scritta: «la coop lascia in mutande. Poletti non hai niente da dire?». Proprio a Poletti alcuni deputati di Sel hanno presentato un’interrogazione: «cosa ne pensa il ministro delle retribuzioni orarie per i dipendenti stabilite da Coopservice? È questa l’idea di valorizzazione del lavoro che ha in mente il nuovo governo?». Un messaggio al ministro, ma di tutt’altro tenore, lo ha mandato il presidente di Coopservice, Roberto Olivi: «vogliamo esprimere la nostra soddisfazione per la nomina di Poletti a ministro del Lavoro, sottolineandone l’importanza e la novità. Siamo un’azienda cooperativa che impegna l’80% del proprio bilancio per i suoi 12.000 dipendenti e la scelta di coinvolgere il nostro principale rappresentante in questa difficile sfida ci riempie di orgoglio». Il bello è che i 13, cioè l’avanguardia dei sottopagati, lavorano in una biblioteca e sala studio multimediale che è un vanto dell’ateneo. Quindi da un lato vi è il fiore all’occhiello tecnologico dell’università e dall’altro il salario inverecondo. Coopservice è leader, in alcune regioni, nella sorveglianza, nei sistemi di sicurezza, nelle pulizie e nella vigilanza privata. Per la prima volta si occupa anche di università. Fattura oltre 600 milioni di euro e ha un patrimonio netto di 157 milioni.  A difendere l’operato della coop è Salvatore Fiorentino, direttore del comparto vigilanza e sicurezza: «Abbiamo applicato il contratto nazionale sottoscritto con le sigle più rappresentative. Non metto in dubbio che i dipendenti facciano fatica. Affermo però che quanto applicato da Coopservice è assolutamente legittimo». L’ultima assemblea dei dipendenti e degli studenti, nei giorni scorsi, ha approvato un documento: «Si tratta di un accordo implicito, di quelli di tipo familiare nella Bologna rossa, tra Pd, Legacoop e università, che punta al massimo ribasso del costo del lavoro. Poi, ancora come parte del gioco, assistiamo allo scarica barile reciproco tra i soggetti coinvolti». Per Coopservice non c’è solo questa grana bolognese. All’azienda sanitaria di Monselice ed Este i sindacati sono scesi in sciopero «contro i tagli feroci», la Cgil di Chieti protesta perché «da qualche tempo diciotto lavoratori su settanta dipendenti della Coopservice sono finiti in cassa integrazione: perdita di salario e rischio del posto di lavoro non sono da addebitare, come si vuol far credere da parte dell’azienda, genericamente alla crisi, ma ai tanti errori che il management aziendale ha commesso nel tempo avendo utilizzato le migliori energie in lotte intestine», al policlinico di Tor Vergata 39 dipendenti sono stati licenziati: «la motivazione ufficiale è che i tagli sono un effetto della spending review, denunciano Cgil, Cisl e Uil, ma visto che tutte le altre ditte che operano nel settore dei servizi della sanità di Roma hanno trovato forme di risparmio che non toccano i posti di lavoro o le retribuzioni, vuol dire che la verità è un’altra: la Coopservice vuole mano libera nell’organizzazione del lavoro attraverso la flessibilità selvaggia». Coop sei tu, chi può darti di più?

Francia, la situazione fiscale dei ministri passata al setaccio. Per legge

0

Tutti i membri del governo francese saranno sottoposti, a partire dalla nomina, a una verifica della loro situazione fiscale.
E’ quanto stabilisce un decreto pubblicato ieri sulla gazzetta ufficiale francese.
I controlli, che interesseranno sia l’imposta sul reddito sia l’imposta di solidarietà sulla ricchezza (la cosiddetta tassa sui ricchi, un’imposta sul patrimonio personale e generale delle persone fisiche appartenenti alla fascia dei “più ricchi”), saranno effettuati dall’alta autorità per la trasparenza della vita pubblica, un organismo indipendente creato dopo lo scandalo Cahuzac, l’ex ministro del bilancio che l’anno scorso, dopo aver mentito per mesi, aveva ammesso di avere un conto all’estero da vent’anni.

Letta: le elezioni europee saranno uno spartiacque

0

“Sara’ il vero spartiacque: si dovranno valutare le percentuali delle forze ostili all’Europa e il peso degli astensionisti. Anche loro saranno decisivi e dovremo porci questa domanda: che pensa dell’Europa un elettore che non va a votare”? Lo dice l’ex premier Enrico Letta, intervistato dalla Stampa, a proposito del voto di maggio per le europee.

“Queste elezioni sono un passaggio cruciale – spiega – e abbiamo bisogno di capire che tipo di politica ci aspetta per il futuro e quali saranno davvero le relazioni fra i cittadini e gli eletti”. I sondaggi danno i grillini ancora molto in alto. Serve, per Letta, “un’Europa piu’ semplice, in grado di dimostrare meglio che cosa ha fatto di positivo per gli europei. Ma soprattutto deve tornare la crescita, altrimenti avremo un grosso problema e rischiamo la catastrofe”. “Al centro del dibattito in Europa – prosegue Letta – in questo momento c’e’ il populismo. Riguarda molti paesi ma Francia, Italia e Gran Bretagna sono i piu’ colpiti. Sono qui – spiega Letta che da oggi terra’ una serie di lezioni su Europa alla Sciences-Po di Parigi – anche per capire e mettere a fuoco la questione populista nel confronto con gli studenti dai quali spero di poter imparare molto”. E a proposito di Grillo e Marie Le Pen, l’ex premier afferma: “non sono la stessa cosa”, ma entrambi, spiega, raccolgono un disagio comune e un voto contro le istituzioni. Grillo, “non l’abbiamo percepito – ha commentato Letta – è stato un fenomeno inedito. Il 5% degli elettori ha deciso di votare per i Cinque Stelle solo negli ultimi giorni. I sondaggi lo davano al 20, hanno preso il 25% e questo ha sconvolto l’equilibrio politico”.

I visti turistici in dieci giorni

0

Visti turistici sulla corsia preferenziale (ottenuti in una decina di giorni e con la possibilità di richiederli online), per entrare in Europa. E, ancora, chance d’ingresso agevolate per chi intende assistere ad eventi speciali, come le manifestazioni sportive come le Olimpiadi e l’Expò di Milano, nel 2015. È quanto contiene un pacchetto di misure che è stato presentato ieri dai commissari Ue Cecilia Malmström e Antonio Tajani, con l’obiettivo di dare lo sprint all’economia del comparto dell’accoglienza dei visitatori, con potenzialità di creare 1,3 milioni di nuovi posti di lavoro, e nell’ottica di avviare «una politica dei visti più intelligente per attirare più turisti, ricercatori e uomini d’affari». Si punta, dunque, a ridurre da 15 a 10 giorni la concessione del permesso (la cui domanda potrà essere presentata anche via web) ma non mancano delle semplificazioni procedurali quando ci si rivolgerà ai consolati, meno obblighi per viaggiatori regolari con visti per entrate multiple validi per tre anni, nonché si prevede una nuova tipologia di documento valida per un anno per girare i paesi europei, senza però restare nella stessa nazione per più di 90 giorni in un periodo di 180. All’indomani del lancio del piano, la proposta passa agli stati membri e all’Europarlamento per essere esaminata, anche se il vaglio vero e proprio avverrà nella prossima legislatura, ossia dopo le elezioni di maggio. E il pacchetto non potrà essere adottato prima dell’inizio del 2015.

Fattura elettronica, inizio soft

0

Le fatture cartacee emesse nei confronti delle pubbliche amministrazioni prima della decorrenza dell’obbligo di fatturazione elettronica saranno comunque pagate senza che sia necessario riemettere il documento in formato digitale. Inoltre, nel caso in cui il sistema di interscambio notifichi al fornitore il messaggio di mancata consegna della fattura elettronica, questa deve comunque considerarsi emessa. Questi, nell’ottica delle imprese, i chiarimenti principali contenuti nella circolare n. 1 del 1° aprile 2014, emanata congiuntamente dai dipartimenti delle finanze e della funzione pubblica in relazione alle disposizioni concernenti l’obbligo della fatturazione elettronica delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi nei confronti delle amministrazioni pubbliche, introdotto dalla legge n. 244/2007 e attuato dal regolamento n. 55/2013.

Anagrafiche delle amministrazioni. La circolare ricorda che le amministrazioni destinatarie di fatture elettroniche devono inserire l’anagrafica dei propri uffici abilitati alla ricezione delle fatture nell’Indice delle pubbliche amministrazioni (Ipa), il quale provvede ad attribuire un codice univoco ad ogni ufficio e a renderlo pubblico nel proprio sito internet. Il codice è essenziale: se manca, la fattura viene rifiutata dal sistema di interscambio.