3 Ottobre 2024, giovedì
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Unioncamere, premio da € 38.000 per giovani innovatori d’impresa

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Unioncamere promuove il premio Innovatori d’Impresa che si inserisce tra le attività prioritarie in tema di sostegno all’imprenditorialità ed all’occupazione giovanile. Il premio è diviso in 3 categorie:

  1. premio “Impresa ecosistema di innovazione”, alla migliore innovazione nei servizi alle imprese e alla persona, con una significativa ricaduta a livello sociale e culturale;
  2. premio “New Made in Italy”, alla migliore applicazione di nuove tecnologie, processi, strumenti o l’applicazione dei risultati della ricerca ai settori del Made in Italy (moda, artigianato, agroalimentare, meccanica, beni per la casa, arredamento, ecc.);
  3. premio “Impresa Connettiva”, alla migliore innovazione d’impresa nella logistica, nei servizi di comunicazione, negli spazi e strumenti di collaborazione tra imprese.
Soggetti partecipanti e premi in palio

Il Premio è rivolto alle imprese di tutti i settori con sede legale in Italia.
Le 3 imprese vincitrici per le singole categorie beneficeranno di un cofinanziamento per la copertura dei costi necessari a garantire la collaborazione e/o assunzione per 1 anno di uno o più collaboratori in una o più delle seguenti aree tematiche al fine di implementare i contenuti dell’innovazione premiata:

  • competizione, strategia e crescita d’impresa;
  • processi produttivi;
  • strategie di marketing, commerciali e strategie digitali;
  • bilancio e finanza d’impresa;
  • gestione del personale;
  • mentorship, coaching e sviluppo personale.

Il cofinanziamento è pari al 70% dei costi relativi alla assunzione e/o collaborazione professionale. Non può essere superiore ad € 38.000 per ciascuna impresa.

Saranno prese in considerazione le candidature trasmesse mediante il portale www.innovatoridimpresa.it entro il 5 maggio 2014.

 

“33 false verità sull’Europa”

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33 FALSE VERITÀ SULL’EUROPA

di Lorenzo Bini Smaghi

il Mulino, 2014

 

Ne discutono con l’autore

Michele Boldrin
Sandro Gozi
Gennaro Migliore
Giovanni Toti

ModeraAntonio Polito

Saluto iniziale diEttore Greco

Mercoledì 9 aprile 2014, ore 18.00
Sala Conferenze di Piazza Monte Citorio 123/A – Roma

 Programma (link)
Scheda di registrazione (link)

Responsabilità per omicidio colposo: è limitato il concorso di colpa della vittima

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Non è esonerato da responsabilità il conducente del veicolo che ha travolto ed ucciso un pedone, il quale, appena sceso da un autobus, aveva attraversato la strada, priva, in quel punto, di strisce per l’attraversamento pedonale, avventatamente e senza prima assicurarsi che non sopraggiungesse alcun veicolo.

Questo è quanto affermato dalla Corte di cassazione, sezione IV penale, con sentenza n. 14776, depositata il 31 marzo 2014, che ha rigettato il ricorso dell’imputato, il quale chiedeva che fosse riconosciuta e addebitata alla vittima la totale responsabilità nel sinistro (in modo da giungere all’assoluzione dall’accusa di omicidio colposo) e non un suo semplice concorso di colpa (nella fattispecie, riconosciuto dalla Corte d’Appello di Roma nella misura del 40% e non più sindacato dalla Suprema Corte di Cassazione, in quanto valutazione di merito – non vagliabile dalla Corte di Cassazione – e non di diritto).

Fondamento della decisione:

1. Disposizioni normative sulla circolazione stradale

Gli ermellini, riprendendo la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, affermano che l’articolo 141 del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della Strada), rubricato “Velocità” e i principi generali della circolazione stradale impongono al conducente l’obbligo non solo di regolare la velocità del veicolo e la propia condotta, in modo che la stessa non costituisca pericolo per per la sicurezza delle persone e delle cose, ma anche di prevedere, a seconda delle circostanze, dei luoghi e delle condizioni, i prevedibili comportamenti irregolari e finanche incoscienti degli altri utenti della strada che possano determinare situazioni di pericolo e tenere, di conseguenza, una condotta tale da prevenire sinistri o altri eventi antigiuridici, quale nella fattispecie l’omicidio di un pedone.

2. Norme prudenziali non scritte 
La Suprema Corte non si ferma qui, ma prosegue specificando come il conducente di un veicolo coinvolto in un sinistro possa considerarsi completamente esonerato da responsabilità solo in caso di sua osservanza di norme precauzionali scritte, assolutamente complete ed esaustive di tutti i possibili comportamenti prudenziali esigibili in relazione a determinate situazioni di pericolosità.
Tuttavia – per giurisprudenza costante della Corte di Cassazione – l’osservanza di tutte le norme prudenziali “scritte” non esclude che possa comunque residuare una responsabilità generica derivante da quelle non scritte. In tal caso, l’adempimento delle norme scritte non esaurisce i doveri degli utenti della strada.

Tra le suddette regole cautelari non scritte, relative alla circolazione stradale, rientra certamente il dovere generale del neminem laedere, principio del diritto romano che si riferiva alla civile e pacifica convivenza, nonchè fondamento della responsabilità extracontrattuale, secondo il quale tutti sono tenuti al dovere (generico) di non ledere l’altrui sfera giuridica.

Pertanto, per il solo fatto di aver cagionato un danno ad un altro soggetto, il conducente di un veicolo può essere chiamato a rispondere.

In tal caso per poter escludere del tutto la responsabilità del conducente del veicolo investitore e porre esclusivamente a carico del pedone la responsabilità per i danni o la morte allo stesso derivati, è necessario che il primo si sian trovato nell’impossibilità di prevenire e/o evitare l’investimento stesso, per fatti estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, da qualsiasi fonte derivante.

 

LE MASSIME

Corte di cassazione, Sezione IV penale, sentenza 31 marzo 2014, n. 14776

Circolazione stradale – Sinistro – Esonero responsabilità del conducente – Norme prudenziali complete ed esaustive – Possibile 
Il conducente di un veicolo coinvolto in un sinistro può considerarsi completamente esonerato da responsabilità solo nel caso in cui le norme che disciplinano la circolazione stradale relative alla fattispecie in questione siano del tutto complete ed esaustive dei comportamenti prudenziali.

Circolazione stradale – Sinistro – Investimento pedone – omicidio colposo – concorso di colpa della vittima – esonero responsabilità del conducente – Negativo 
L’osservanza di tutte le norme prudenziali “scritte” non esclude la responsabilità generica derivante da regole prudenziali non scritte. Tra le suddette regole cautelari non scritte, relative alla circolazione stradale, rientra certamente il dovere generale del neminem laedere, principio del diritto romano che si riferiva alla civile e pacifica convivenza, nonchè fondamento della responsabilità extracontrattuale, secondo il quale tutti sono tenuti al dovere (generico) di non ledere l’altrui sfera giuridica.
Circolazione stradale – Sinistro – Investimento pedone – Articolo 141 CdS – Previsione comportamenti pedoni – Obbligo – Affermativo 
I principi generali della circolazione stradale impongono al conducente l’obbligo non solo di regolare la propia condotta, in modo che la stessa non costituisca pericolo per per la sicurezza delle persone e delle cose, ma anche di prevedere, a seconda delle circostanze, dei luoghi e delle condizioni, i prevedibili comportamenti irregolari degli altri utenti della strada, inclusi i pedoni, che possano determinare situazioni di pericolo.

Arcoretail assume l’incarico di gestione, marketing e commercializzazione dell’Outlet “Fashion Valley” di Reggello (Fi)

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Arcoretail si occuperà del rilancio dell’Outlet di Reggello e il Gruppo Arcotecnica Real Estate seguirà property e facilities management

 

 

Milano, 3 Aprile 2014

 

Arcoretail arricchisce il proprio portafogli di gestione e management centri commerciali/Outlet in Italia aggiudicandosi l’incarico per la gestione, il marketing e la commercializzazione di “Fashion Valley”.

 

La proprietà ha incaricato il Gruppo anche per la realizzazione di un piano di rilancio globale della struttura con investimenti particolarmente significativi, oltre che per una reingegnerizzazione totale dei servizi offerti in una logica di maggior rendimento a fronte di un importante saving finalizzato alla riduzione dei costi di gestione, mantenendo inalterato lo standard qualitativo atteso.

 

Fashion Valley si sviluppa su una superficie di 4.500 mq, con 30 punti vendita. Sorge in località Reggello, nella zona del Valdarno, polo d’eccellenza e distretto incontrastato dell’outlet, situato 30 minuti da Firenze.

Arcoretail, grazie alla solidità del Gruppo Arcotecnica e all’approccio innovativo del proprio management, si conferma come player di primaria importanza per lo sviluppo di nuove soluzioni legate al commercio e al retail.

Contatti

Press: Cristiano Brando Tagliabue +39/3356935966          Leasing: Alberto Francardo +39/3429013841

 

Arcoretail

Retail & Management Company facente parte del Gruppo Arcotecnica, Arcoretail è specializzata nello sviluppo di nuovi format retail, oltre che nelle attività generali di commercializzazione, gestione e valorizzazione di centri commerciali, outlet village, retail park ed entertainment centre. Realtà dinamica e all’avanguardia, opera con una visione globale del settore retail e complementari grazie a competenze specialistiche articolate e integrate. Creatività commerciale, unicità dei mix merceologici, soluzioni tecniche gestionali e controllo rigoroso dei costi sono i suoi punti di forza.

 

Gruppo Arcotecnica 

Attivo da oltre 35 anni sul mercato italiano, il Gruppo Arcotecnica opera ai vertici del mercato real estate nei settori Project, Property e Asset. La sua organizzazione, solida e indipendente e il team di 250 professionisti specializzati, consentono di offrire a investitori, sviluppatori, proprietari e operatori di settore una gamma di servizi e consulenze complete ai massimi livelli qualitativi durante l’intero ciclo di vita di un immobile.

 

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Dati catastali e ipotecari online a zero spese Visure disponibili per gli utenti di Entratel e Fisconline Invio telematico degli atti alle Conservatorie dei registri immobiliari

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Da oggi i contribuenti possono conoscere tutte le informazioni sui propri immobili
tramite i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate. Attraverso i canali Entratel e
Fisconline è possibile ora consultare gratuitamente le banche dati ipotecaria e catastale e
verificare, ad esempio, la planimetria o la rendita, la classe e la categoria catastale.
Questo nuovo servizio è previsto dal provvedimento del direttore dell’Agenzia dello
scorso 4 marzo.
Sempre in un’ottica di semplificazione si inserisce l’invio telematico, con il modello
unico informatico, degli atti alle Conservatorie dei registri immobiliari che viene adesso
esteso anche a tutti i pubblici ufficiali e agli agenti della riscossione, oltre che ai notai.
Questa novità è contenuta nel provvedimento del direttore delle Entrate del 10 marzo
2014.

Visure catastali e ipotecarie a portata di click – I contribuenti – persone fisiche –
abilitati ai servizi Fisconline ed Entratel dell’Agenzia possono consultare gratuitamente
e comodamente dal proprio pc le informazioni relative alla casa di loro proprietà come:
§ la visura catastale (per soggetto e per immobile);
§ la mappa con la particella terreni;
§ la planimetria del fabbricato;
§ la visura ipotecaria.
La procedura è attiva per gli immobili presenti su tutto il territorio nazionale (ad
eccezione delle Province autonome di Trento e Bolzano e, per le visure ipotecarie, delle
zone dove vige il sistema tavolare) dei quali i contribuenti risultano titolari, anche in
parte, del diritto di proprietà o di altri diritti reali di godimento.
Il servizio di consultazione di questi dati è già disponibile negli uffici provinciali –
Territorio dell’Agenzia.
Le informazioni catastali potranno essere consultate gratuitamente anche presso gli
sportelli catastali decentrati, in questo caso non solo per le persone fisiche.

Invio telematico degli atti ad ampio raggio – Oltre ai notai, da oggi, anche i pubblici
ufficiali come i segretari comunali, gli ufficiali roganti della Pa e gli agenti della
riscossione possono inviare online – con il modello unico informatico disponibile sul
sito dell’Agenzia – i documenti che costituiscono il titolo per gli atti da presentare alle
Conservatorie dei registri immobiliari. Non sarà, quindi, più necessario recarsi presso
gli uffici per richiedere le trascrizioni, le iscrizioni e le annotazioni.

Con l’Iban accelerano i rimborsi per 70mila imprese La richiesta del codice arriva con la Pec

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Per accelerare l’erogazione dei rimborsi, l’Agenzia delle Entrate sta richiedendo alle
società beneficiarie di comunicare il proprio Iban per poter accreditare le somme
direttamente sul conto corrente bancario dell’azienda. I destinatari riceveranno la
richiesta delle coordinate via Posta elettronica certificata (Pec), all’indirizzo della
società presente nel registro delle imprese.

Il codice Iban si comunica tramite internet o di persona – Sono due le strade da
seguire per trasmettere all’Agenzia il codice Iban del conto della società. E’ possibile
comunicare o aggiornare l’Iban utilizzando i servizi online disponibili sul sito
www.agenziaentrate.it, nell’area autenticata riservata agli utenti registrati. In alternativa,
le società possono fornire o modificare l’Iban del conto corrente direttamente presso
qualsiasi ufficio dell’Agenzia, presentando il modello per la richiesta di accredito
disponibile presso gli sportelli o sul sito delle Entrate.

I rimborsi con l’Iban mandano in pensione le lunghe attese – Fornire all’Agenzia
l’Iban è il modo migliore per accelerare i tempi del rimborso: anziché impiegare alcuni
mesi per arrivare a destinazione, arriva sul proprio conto in maniera veloce e sicura,
senza alcun aggravio economico per il contribuente. Un’opportunità offerta a tutti i
cittadini, non solo alle società. Basta, infatti, compilare il modello dedicato disponibile
sul sito internet dell’Agenzia.

Con la mediazione più della metà dei contribuenti evita il ricorso al giudice Liti minori chiuse con l’accordo nel 57 per cento dei casi

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Le controversie fiscali di valore fino a 20mila euro si risolvono nella maggior parte dei
casi con la mediazione, senza arrivare davanti al giudice. Su circa 125mila mediazioni
attivate dal 2 aprile 2012 al 2 ottobre 2013 quasi 72mila si sono chiuse con un accordo,
registrando un indice di definizione di circa il 57%. Un risultato significativo anche in
termini di celerità dell’azione amministrativa, visto che il 97% circa delle richieste di
mediazione si chiude in 90 giorni, che incide positivamente sull’intera gestione del
contenzioso tributario riducendo il tasso di “litigiosità”. Infatti, il numero dei ricorsi
presentati in commissione tributaria è stimato in discesa di quasi 39 punti percentuali in
due anni, passando dai 159.392 del 2011 a meno di 100mila del 2013. Continua a
crescere, infine, la percentuale delle controversie vinte dall’Amministrazione
finanziaria, che ha ragione in circa il 65% dei casi. Ancor più positivo è il trend
registrato dall’indice di vittoria per valore, che è pari al 75%, contro il 70% nel 2012.

Giù del 25% i ricorsi sulle liti minori – La diminuzione considerevole del contenzioso
si registra soprattutto sulle liti fino ai 20mila euro cioè quelle interessate dalla
mediazione. Nei primi nove mesi del 2013, infatti, le mini controversie scendono del
25% rispetto allo stesso periodo del 2012, passando da circa 59mila a 44.229. Si attesta
intorno a 31mila il numero dei ricorsi di importo superiore ai 20mila euro, segnando una
lieve variazione dello 0,5% tra il periodo di riferimento del 2013 e lo stesso periodo del
2012. Questo dato rimarca indirettamente proprio l’efficacia deflativa della mediazione.

Aumentano le conciliazioni col Fisco – Nel 2013 cresce anche il dato sulle
conciliazioni: al 31 dicembre scorso, infatti, sono 4.720 le conciliazioni raggiunte tra
Agenzia e contribuenti, contro le 2.857 del 2012. Salgono anche gli importi conciliati,
pari a 401 milioni di euro circa nel 2013 rispetto ai 308 milioni del 2012.

Europa in ritardo sui diritti umani in Ucraina

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Come è possibile che uno Stato membro del Consiglio d’Europa sia scivolato sull’orlo di una guerra civile? E com’è possibile che un altro Stato membro del Consiglio d’Europa, ovvero la Federazione russa, abbia manovrato senza scrupolo prima la leva del ricatto economico e poi addirittura quella militare?

Kiev vista dal Consiglio d’Europa
Il Parlamento ucraino, il 14 gennaio, ha varato in condizioni caotiche le cosiddette norme anti-protesta, decisione che secondo l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (Risoluzione 1974/2014) ha contribuito all’escalation violenta della crisi a Kiev.

E al di là degli eccessi da parte dei manifestanti più estremisti, moltissime persone sono scese in piazza per opporsi a un regime ormai tendenzialmente autoritario e le forze dell’ordine hanno usato una violenza brutale e spropositata (dai numerosi casi di sparizioni, torture e stupri al “tiro al bersaglio” sui manifestanti di giovedì 19 febbraio).

Gli eventi di Piazza Maidan, la fuga dell’ex presidente Viktor Ianukovich e l’intervento russo appaiono l’esito di un’involuzione annunciata. L’opera di controllo svolta dal Consiglio d’Europa indicava già da tempo che il livello di rispetto dei principi di democrazia, Stato di diritto e diritti umani in Ucraina era andato pericolosamente abbassandosi.

È vero che di fronte ad una repressione brutale, ma anche al coraggio degli oppositori, il Consiglio dell’Unione europea ha infine deciso l’adozione di sanzioni mirate e ha auspicato che i responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani siano giudicati in seguito ad un’inchiesta indipendente, condotta sotto la supervisione di un “International Advisory Panel” del Consiglio d’Europa (ma Ianukovich ora è sotto protezione russa e né l’Ucraina né comunque la Federazione russa hanno ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale).

È vero anche che l’Ucraina ha disperatamente bisogno di aiuti finanziari (ma non sappiamo se la situazione sarebbe stata diversa qualora l’Unione europea avesse messo in campo i miliardi necessari per tentare di indurre Ianukovich a scegliere l’accordo di associazione).

È pure indubbio che l’Ucraina è una realtà complessa da un punto di vista politico e identitario e che è stato azzardato, specialmente da parte di alcuni Stati, affrontare la questione principalmente nell’ottica strategica di attrarla nell’orbita occidentale. È vero infine che le relazioni con Mosca sono importanti e delicate (anche per via di ben noti interessi economici).

Affinità autoritarie con Mosca
Ciò detto, in un contesto autoritario e caratterizzato da gravi e ripetute violazioni dei diritti fondamentali, cui la presidenza Ianukovich assomigliava sempre più, tutto diventa più difficile anche perché un regime autoritario tenderà ad allinearsi con un regime affine, come quello al potere a Mosca, il quale tenderà a sua volta ad assecondarne altri della stessa fatta, se non peggiori (come in Siria), anche per interessi economico-militari.

E a complicare le cose, nei rapporti con la Federazione russa (e con la Cina), contribuisce anche l’incoerenza, rispetto alla legalità internazionale, di cui alcuni paesi occidentali hanno dato prova in più di un’occasione (in Iraq, in Libia e altrove).

Gli eventi in Ucraina mostrano, in fondo, che in Europa si tende ancora a dimenticare due lezioni duramente apprese alla fine della seconda guerra mondiale: un regime che vìola i diritti umani prima o poi diventa pericoloso per la propria popolazione ed eventualmente per altri paesi, mettendo quindi a rischio pace e sicurezza. Pertanto più si attende a reagire, più sarà difficile influire sugli eventi quando questi saranno precipitati.

Naturalmente, prima della seconda guerra mondiale non avevamo gli strumenti istituzionali di cui disponiamo oggi, il che rende ancora più seria la questione che ci poniamo.

Sanzioni 
Gli stati membri del Consiglio d’Europa si affidano essenzialmente alla persuasione e al dialogo e tendono a procrastinare misure più incisive (l’espulsione dall’organizzazione, peraltro, è un’opzione più simbolica che realmente percorribile). D’altra parte l’Unione europea, che dispone invece di leve più efficaci, tende quasi sempre a muoversi tardivamente, non senza esitazioni, quando è costretta a farlo da una situazione che sta precipitando e più spesso in ordine sparso che in modo coeso.

È come se vi fosse una latenza eccessiva tra il lavoro di controllo, monitoraggio e allerta del Consiglio d’Europa e dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea da una parte e l’attivazione degli strumenti di intervento dell’Ue dall’altra. Il che solleva anche un serio problema di coordinamento fra istituzioni.

C’è tuttavia una soglia critica al di là della quale il dialogo ha una presa molto relativa e sembra anzi incoraggiare un potere autoritario ad osare di più. Se in tale evenienza non si reagisce tempestivamente, secondo modalità che ovviamente variano da caso a caso, ma in modo comunque deciso quando è necessario, ci si troverà probabilmente costretti a dover intervenire in uno scenario ben peggiore.

Il dialogo e la pressione politico-morale vanno percorsi per quanto possibile ma affidarsi solo a tali strumenti offre prospettive di successo decrescenti a fronte di strutture di potere che non mostrino più alcuna reale volontà di rispettare gli standard europei fondamentali.

Una volta superata la suddetta soglia critica occorre dunque passare a contromisure serie (escluso ovviamente il ricorso unilaterale alla forza), anche perché rinunciarvi scredita norme – e i valori che le sostengono – su cui (non dimentichiamolo) è stata (ri)costruita l’Europa del secondo dopoguerra.

Questo vale anche con riferimento alla Russia di Putin.

L’Osce nel risiko di Putin

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Mentre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu è paralizzato dal veto russo, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) è riuscita almeno a raggiungere un accordo per il dispiegamento di una missione di osservatori in Ucraina – esclusa la Crimea – con il compito di ridurre le tensioni, cercando di raggiungere pace, stabilità e sicurezza.

All’inizio degli anni novanta alcuni conflitti locali di natura secessionistica seguiti al crollo dell’Unione Sovietica furono affidati alle cure della nuova organizzazione paneuropea, nata dalla istituzionalizzazione della Csce.

Quella che dalla fine del 1994 prese il nome di Osce non fu in grado di risolvere alcuno di quei conflitti, per la semplice ragione che Mosca aveva tutto l’interesse a mantenerli aperti e sosteneva le piccole repubbliche separatiste, pur riconoscendo teoricamente il principio dell’integrità territoriale di Moldova, Azerbaigian e (fino allo strappo del 2008) Georgia.

Crimea secessionista
Più che per la conflict resolution, l’Osce si è rivelata uno strumento valido per la conflict prevention. Un successo ormai dimenticato (ma si sa che la cronaca registra gli incidenti avvenuti, non quelli evitati) riguardò proprio la Crimea: nel 1994 la maggioranza russa della penisola fu ad un passo dal distacco dall’Ucraina. Intervenne l’Osce, la presidenza (allora tenuta dall’Italia) mediò fra Kiev e Simferopoli, istituì missioni permanenti nelle due città; la secessione fu disinnescata.

Evidentemente le circostanze erano allora molto più favorevoli di oggi al mantenimento dell’integrità territoriale dell’Ucraina: il regime di Eltsin non era propenso a sfidare l’Occidente, e a Kiev governava una dirigenza che Mosca non aveva ragione di inimicarsi.

La secessione crimeana di questi giorni non è dunque una svolta imprevedibile. La storia è ricca di esempi di regioni che covano a lungo le loro aspirazioni separatistiche, e insorgono quando il potere centrale perde forza o legittimità per effetto di un attacco esterno o una rivoluzione.

L’avvento del nuovo regime a Kiev, avvenuto sotto la spinta della piazza e in modi costituzionalmente discutibili, ma soprattutto alcuni errori commessi in partenza (declassamento della lingua russa, posti ministeriali e altre cariche dati ad esponenti dell’estrema destra) avrebbero comunque offerto lo spunto al parlamento di Simferopoli per proclamare l’indipendenza, anche senza un intervento militare russo (che innegabilmente c’è stato, e va condannato).

Questo intervento, peraltro senza vere operazioni belliche, è servito a dissuadere Kiev dal contemplare un comunque problematico ricorso alle proprie forze armate per soffocare la secessione.

Prevedibile colpo di mano di Putin
La sorpresa per il colpo di mano di Putin è tanto più fuori luogo se si considera che non erano mancati segnali di avvertimento. Basterebbe rileggersi il discorso del febbraio 2007 alla Conferenza sulla Sicurezza (Wehrkunde-Tagung) di Monaco, in cui il presidente russo esplicitava tutti i suoi motivi di risentimento nei confronti della politica estera degli Stati Uniti e della Nato.

È noto, in particolare, che Putin non ha mai digerito l’incoraggiamento dato dagli americani alla “rivoluzione arancione” del 2004, anche se poi superata dal ritorno di Yanukovich al potere; e che l’ingresso dell’Ucraina (e della Georgia) nella Nato, fortemente voluto da Bush, sarebbe stato una sfida per lui intollerabile; lo avevano ben capito tedeschi e francesi, che perciò dissuasero Washington. Ma il segnale più chiaro si è avuto con la breve guerra dell’agosto 2008.

La spedizione punitiva contro la Georgia, il riconoscimento formale dell’indipendenza della Abkhazia e Ossezia Meridionale e lo stanziamento di truppe russe in tali territori hanno chiarito che entro certi limiti Putin è pronto a commettere violazioni del diritto internazionale, che si considera legittimato a farlo da violazioni analoghe o più gravi commesse dagli Stati Uniti e dai loro alleati, e che questi non sono in grado di impedirglielo.

L’argomento più efficace di cui si è avvalso allora, in varie successive occasioni, e in questi giorni, è il precedente costituito dal distacco del Kosovo imposto alla Serbia, contravvenendo non solo al principio di integrità territoriale ma anche ad una fondamentale Risoluzione del CdS del 1999.

Nel tentativo di dissuadere gli americani ed altri occidentali dal riconoscere l’indipendenza del Kosovo, Putin aveva avvertito che una simile mossa poteva ritorcersi contro di loro, facendo chiare allusioni all’Abkhazia (minaccia attuata di lì a poco). La risposta delle nostre diplomazie fu allora alquanto curiosa: “il Kosovo è un caso sui generis”.

Oggi, di fronte alle proteste per l’annessione della Crimea, il presidente russo si avvale di nuovo di quel precedente creato dagli occidentali per relativizzare il diritto dell’Ucraina all’integrità territoriale, e ha buon gioco ad accusare l’Occidente di usare due pesi e due misure.

Controllo Ucraina orientale 
In realtà il vero problema non è più la Crimea. Certo, i governi occidentali devono continuare a protestare per quello che sanno essere un fatto compiuto, irreversibile. Ma al tempo stesso devono concentrare i loro sforzi sulla prevenzione di guai peggiori in altre regioni russofone dell’Ucraina.

Putin, nel salutare il ritorno dell’amata Crimea fra le braccia della Madre Russia, ha assicurato di volere il mantenimento dell’unità dell’Ucraina. Il nostro obiettivo deve essere di consolidare questa linea, evitare slittamenti sull’onda di pronunciamenti dei gruppi russofili più accesi a Donetsk e Kharkiv.

Quelle assicurazioni di Putin sono state accolte da varie parti con scetticismo (e qualcuno ha ricordato, del tutto a sproposito, quelle date da Hitler a Monaco nel ’38). Il test circa le sue vere intenzioni è venuto con la proposta di inviare squadre di osservatori internazionali nelle città dell’Ucraina orientale e meridionale: una missione che era naturale affidare all’Osce.

I monitors, se distribuiti sul territorio in numero sufficiente (alcune centinaia) avrebbero reso difficile l’infiltrazione di militari russi “senza mostrine” e la diffusione di false voci circa “persecuzioni” da parte delle autorità ucraine con cui infiammare la piazza.

Se Putin voleva riservarsi l’opzione di fomentare una rivolta contro-Majdan a Donetsk, Kharkiv e Dnepropetrovsk, per poi “vedersi costretto” a varcare un nuovo Rubicone e ratificare un ulteriore Anschluss, doveva sabotare questo progetto, frapponendo ostacoli, anche solo procedurali, all’adozione del mandato degli osservatori. Per parecchi giorni è parso che gli scettici avessero ragione.

Sembrava ripetersi lo scenario del 2008: dopo la breve guerra di agosto il governo di Tbilisi aveva posto la condizione, inaccettabile per Mosca, che un’unica missione Osce avesse competenza per la Georgia e per l’Ossezia meridionale (per marcare il non riconoscimento dell’indipendenza di quest’ultima, de facto ormai irreversibile). Con il risultato che l’Osce dovette fare le valige (ma c’erano gli osservatori dell’Ue, che certo non sarebbe stato il caso di dispiegare a Donetsk).

Osservatori Osce
Anche in questo caso l’Ucraina insisteva per una formulazione compatibile con l’estensione della competenza alla Crimea, mentre i russi si irrigidivano sulla posizione contraria, alimentando il sospetto di voler affondare la missione addossandone però la colpa a Kiev.

Poi venerdì sera la svolta, immediatamente seguita, sabato, dall’arrivo dei primi “monitors”. La decisione Osce in data 21 marzo accoglie una formula accettabile per l’Ucraina: access throughout Ukraine, cioè sull’intero territorio; ma a controbilanciarla elenca tassativamente le città in cui la missione sarà inizialmente (sino a nuova decisione del Consiglio) dislocata, ivi comprese alcune città nell’Ovest del paese. La “ambiguità costruttiva”, si sa, è uno dei ferri del mestiere dei mediatori.

Considerando il diffuso pessimismo della vigilia, l’aver convinto i russi e gli ucraini ad accettare quella formulazione costituisce un notevole successo per la presidenza svizzera e per il Segretario generale dell’Osce, il diplomatico italiano Lamberto Zannier. Potrebbe essere un freno alla disgregazione dell’Ucraina e allo scivolamento verso una nuova guerra fredda.

Nato, passepartout risolutivo tra Kiev e Mosca

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Ciò che osserviamo in Ucraina e in Crimea covava da tempo sotto la cenere. C’era da aspettarselo, visto che il presidente russo Vladimir Putin non ha mai fatto mistero della volontà di riscatto dall’ingestione dei troppi bocconi amari che Usa e Nato, nel tempo, gli hanno fatto inghiottire. Come, ad esempio, la questione antimissile, la cooptazione nella Nato di tanti ex-satelliti, l’indipendenza del Kosovo e il sostegno alla Georgia.

Il modo risoluto in cui aveva affrontato la crisi georgiana, per lui nient’altro che un test, avrebbe pur dovuto insegnarci qualcosa. Alla fine, il pressante – ed a volte anche maldestro – corteggiamento della Nato e dell’Unione europea (Ue) all’Ucraina a questo orgoglioso ammiratore di Pietro il Grande deve essere sembrato davvero intollerabile.

Nato-Russia Council
Va poi considerato che, a questo punto, troppe sono le “credibilità” ormai in gioco, e ciò limita la flessibilità del sistema internazionale. La prima, come abbiamo detto, riguarda direttamente Putin. La seconda coinvolge il presidente Barack Obama, accusato dai repubblicani e da una parte dei democratici di essere pavido, timido ed indeciso.

In effetti, il modo in cui ha trattato gli ultimi eventi in Medio Oriente non ne esaltano affatto la credibilità internazionale, costringendolo a “fare qualcosa”. Anche la Nato, che con qualche isteresi finisce per uniformarsi al comportamento degli Stati Uniti, si trova decisamente associata a questa crisi di credibilità. Lo è anche l’Ue, ma ormai tutti lo sanno, ci è abituata e fa l’unica cosa che può fare chi ha abdicato ad un minimo di forza: crearsi un piccolo spazio con la mediazione.

In ogni caso, per dialogare con la Russia lo strumento operativo esiste, è istituzionale e si chiama Nato-Russia Council (Nrc). Firmato al vertice Nato di Pratica di Mare nel 2002, si riunisce periodicamente in diversi formati. Una volta al mese a livello ambasciatori, due volte all’anno a livello ministeriale e quando richiesto a livello di summit.

Nei giorni scorsi il Consiglio si è riunito al primo livello, ma è fallito per la rigidità delle parti. Unico accordo, quello di rivedersi ancora. La Nato dispone quindi di un’ottima palestra, che va mantenuta aperta evitando di tirare troppo la corda. Non è male ricordare che, dopo la guerra del Kosovo, per un paio d’anni la Russia per protesta aveva rinunciato a partecipare al Permanent Joint Council (Pjc, predecessore dell’Nrc). Occorre molta attenzione, perché l’inconveniente – in questa fase sarebbe assai grave – non si debba assolutamente ripetere.

Soldati, F-15 e Awacs
Al momento, la Russia ha solo utilizzato i soldati, non le armi. Gli statunitensi hanno appena accennato a mostrare i muscoli, limitandosi ad inviare all’Est una squadriglia di F-15 e aero-rifornitori per “integrare” la difesa aerea, mentre la Nato ha schierato in Polonia e in Romania un paio di radar volanti (Awacs) per coordinare il tutto e sorvegliare gli spazi aerei. Dalle loro orbite, riescono a vedere anche ciò che succede nella Russia meridionale e in Crimea.

Nel corso dell’Nrc, il segretario generale della Nato Andres Fogh Rasmussen ha fatto il duro, specificando i provvedimenti immediati: sospendere la pianificazione della prima missione congiunta Nato-Russia (la scorta alle navi cargo che evacuano le armi chimiche siriane); annullare, al momento, gli staff meeting civili-militari; rimandare al vertice dei ministri degli esteri di aprile ogni decisione sul futuro della collaborazione con la Russia.

Ciò detto, il segretario ha attenuato il tono, affermando che la Nato intende mantenere aperto il dialogo nella sede più adatta. Tuttavia, ha voluto subito controbilanciare, assicurando che la cooperazione con l’Ucraina sarà comunque rinforzata e le riforme sostenute.

Unilateralismo russo svantaggioso
Il problema della Nato ora è come reagire – farlo è un obbligo – senza cadere in una nuova Guerra Fredda. In altre parole, è necessario rimanere ottimisti sul fatto che prima o poi Putin dovrà rendersi conto degli svantaggi del proprio unilateralismo. Nel frattempo, creandone le condizioni, occorrerà aiutarlo a convincersi che la sua immagine non ne trarrebbe alcun danno.

Ciò che può fare ora la Nato, oltre alle misure già prese, è, in primo luogo, mantenere tranquilli i nuovi membri dell’Est, in evidente fibrillazione; allontanare ogni occasione di confronto militare; favorire, con il foro Nato-Russia, un approccio multilaterale, coinvolgendo anche la Nato-Ukraine Commission ed, eventualmente, altri partner non-Nato.

E, soprattutto, la Nato non si “impunti” troppo sullo status della Crimea, e accetti l’evidenza che può esserci dell’illegalità non solo nell’ “invasione” russa, ma anche in quanto disgiuntamente e frettolosamente deciso da Kiev e da Simferopoli.