3 Ottobre 2024, giovedì
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Ferie, top ten dei paesi più generosi: prima Austria (35 gg.), Italia quarta

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Ferie, top ten dei paesi più generosi: prima Austria (35 gg.), Italia quarta. Sarà la Pasqua che si avvicina, ma il desiderio di scappare dagli uffici, il sogno di mari esotici o di vette incantate, insomma la voglia matta di ferie (retribuite) occupano stabilmente un cantuccio privilegiato dei nostri pensieri. Per questo è di qualche aiuto sapere che in Italia, quanto a ferie, non siamo messi così male: nella top ten dei paesi Ocse siamo piazzati al quarto posto (le preoccupazioni sulla produttività lasciamole ai manager). L’Austria felix è la prima al mondo quanto a generosità (al contrario, gli Usa sono l’unico paese dove il contratto non prevede ferie). Vediamo insieme la classifica stilata dal Sole 24 Ore online del 4 aprile:

1) Austria, 35 giorni. E’ il record dei paesi Ocse: 5 settimane di ferie pagate annue, equivalenti a 30 giorni totali e 22 lavorativi. Per i giovani base minima di 4 settimane (con opzione di altre due settimane tra il 15 giugno e il 15 settembre). Dopo 25 anni bonus di 6 giorni in  più. Sono 13 le festività obbligatorie.

2) Portogallo, 35 giorni. Stessa generosità austriaca (ma con meno benefit e premi salariali) comprese le 13 festività obbligatorie.

3) Spagna, 34 giorni. Il diritto alla “siesta” è stato sancito 20 anni fa sulla base di un un mese “lordo” di ferie, cioè 22 giorni lavorativi, cui vanno aggiunte 12 festività su scala nazionale. Il totale fa 34 giorni di media. Il matrimonio vale un congedo retribuito di 15 giorni.

4) Italia, 30-32 giorni. Il codice civile indica un minimo di 4 settimane di riposo, con possibilità di aumento a seconda della contrattazione nazionale. Se si aggiungono però le 10 festività obbligatorie e i vari appuntamenti su scala locale (i santi patroni) la media oscilla tra 30 e 32 giorni di ferie.

5) Francia, 31 giorni.

6) Belgio, 30 giorni (per chi lavora anche il sabato, 34 gg.).

7) Germania, 30 giorni.

8) Nuova Zelanda, circa 30 giorni.

9) Irlanda, 29 giorni.

10) Regno Unito, 28 giorni.

Terremoto L’Aquila. A Cansatessa casette da 1300 € mq puzzolenti e già rottamate

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Teremoto L’Aquila. A Cansatessa casette da 1300 € mq. puzzolenti e già rottamate. A due passi da Coppito, uno degli epicentri del sisma aquilano di 5 anni fa, spuntò con sorprendente celerità il “villaggio modello” di Cansatessa, quello delle lenzuola cifrate e dello spumante in frigo. A 5 anni di distanza il villaggio è una città morta, le casette nemmeno buone per la rottamazione perché si sono portati via tutti i sanitari e le suppellettili raccattabili, il fetore emanato dal legno scadente, la puzza di rancido della mobilia scoraggiano la presenza di umani. “Mobili e materassi lasciati lì: facevano schifo anche agli sciacalli” commenta amaro Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera.

E dire che le casette della speranza costavano la bellezza di 1300 euro al mq (la Corte dei Conti europea ha denunciato la corruzione nel processo di ricostruzione), offrirono un riparo sicuro dal rigido inverno abruzzese a 103 famiglie disperate. Oggi possono dire di essere state sfollate due volte. E quanto al conto, il confronto con il contributo per ristrutturare le case di pietra è deprimente: quelle di cartongesso, ferro e legno 1300 euro a metro quadro per durare forse una stagione integre (in questi pochi anni chi ci ha abitato ha dovuto combattere con bronchiti, asme ecc..), quelle di pietra in media 900 euro per resistere nei secoli (incrociando le dita).

Vegetariani, contrordine: “Fa male alla salute: più ansia, depressione e tumori”

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 Vegetariani, contrordine: eliminare carne e pesce dalla propria alimentazione fa male alla salute. Per essere più chiari, aumenterebbe il rischio di ansia, depressione, allergie, tumori e infarto. Uno studio dell’Università medica di Graz, in Austria, ripreso da Paolo Mastrolilli sulla Stampa,avverte:

“I vegetariani godono di una qualità della vita peggiore e hanno più bisogno di assistenza medica”.

I vegetariani, sostengono gli studiosi, sono più esposti a soffrire di ansia, depressione e allergie. “Il problema è la dieta sbilanciata”, dicono. Non solo: eliminare la carne aumenta del 50% il rischio di ammalarsi di cancro o di avere un infarto. 

I ricercatori riconoscono che i vegetariani, in media, hanno un indice di grasso corporeo inferiore, praticano più spesso attività fisica, bevono meno alcol e non fumano. Ma a queste buone abitudini non corrisponde un livello di salute migliore. Anzi.

“I vegetariani godono di una qualità della vita peggiore e hanno più bisogno di assistenza medica”.

Colpa di una dieta sbilanciata. Anche i grassi animali, infatti, fanno bene se assunti con moderazione. Per questo i ricercatori austriaci invitano i vegetariani ad integrare anche gli altri alimenti di origine animale.

Adottati due nuovi decreti di prevenzione incendi

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I decreti ministeriali in corso di pubblicazione sulla G.U. sono modificativi e integrativi di regole tecniche di prevenzione incendi; i decreti sono:
– decreto del Ministero dell’interno 31 marzo 2014 recante”Modifiche ed integrazioni all’allegato A al D.P.R. 24 ottobre 2003, n. 340, recante la disciplina per la sicurezza degli impianti di distribuzione stradale di G.P.L. per autotrazione”;
– decreto del Ministero dell’interno 31 marzo 2014 recante “Modifiche ed integrazioni al decreto del Ministro dell’interno 24 maggio 2002, recante norme di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli impianti di distribuzione stradale di gas naturale per autotrazione”.
Adottati di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, detta nuovi criteri e modalità per:
1. l’erogazione self-service negli impianti di distribuzione del metano e del GPL;
2. l’erogazione contemporanea di carburanti liquidi e gassosi, metano e GPL, negli impianti di rifornimento multi prodotto.
Entrambi entreranno in vigore 30 giorni dopo la loro pubblicazione.

Asilo nido: da servizio sociale a percorso educativo

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Negli ultimi anni, in ragione degli elevati costi di fruizione del servizio pubblico di asili nido – dati statistici parlano di una voce di spesa per le famiglie che varia dai 150 euro ai 500 euro al mese a bambino  – il numero di bambini iscritti nelle strutture comunali a ciò adibite è in continua diminuzione. Peraltro a fronte delle indicazioni fornite dalla Unione Europea, che fissava al 33 per cento per i bambini sotto i tre anni gli obiettivi di copertura dell’utenza da raggiungere entro il 2010, in Italia su scala media nazionale, risulta ad oggi raggiunto a malapena il 15%.
Il tema, anche per il suo stretto collegamento a quello della occupazione femminile, riceve particolare attenzione.
Avviene così che la Lega Nord presenti in conferenza stampa alla camera, una proposta di legge per rendere gli asili nido pubblici e gratuiti, oltre che maggiormente diffusi nelle aree più produttive e densamente popolate. La copertura finanziaria necessaria, secondo i sostenitori della proposta, potrebbe essere agevolmente reperita a livello nazionale introducendo un’imposta di bollo sui trasferimenti di denaro all’estero effettuati da agenzie ‘money transfer’ (generalmente utilizzata dagli stranieri per trasferire denaro nei propri paesi di origine), aumentando l’aliquota Imu all’1,06% per gli immobili di proprietà di banche e assicurazioni e prevedendo, altresì, un aumento del prelievo erariale unico della tassa applicata ai giochi.
Intanto in Commissione Istruzione pubblica e beni culturali al Senato va in discussione una proposta di legge sulla riorganizzazione prescolare che ha l’obbiettivo di ridisegnare “il sistema dei servizi integrati dell’infanzia” e qualificare il nido “quale servizio educativo”, ovvero “servizio di interesse generale con funzione fondamentale” e non più “servizio sociale a domanda individuale”.
Il nuovo inquadramento accoglierebbe le indicazioni pervenute dalla Corte Costituzionale che, investita di problematiche afferenti al tema, ha in più decisioni chiarito  che “il servizio fornito dall’asilo nido non si riduce ad una funzione di sostegno alle famiglie nella cura dei figli o di mero supporto per facilitare l’accesso dei genitori al lavoro, ma comprende anche finalità formative, essendo rivolto a favorire l’espressione delle potenzialità cognitive, affettive e relazionali del bambino”, rilevando altresì che “in relazione alle finalità educative e formative riconosciute [agli asili nido], […] la relativa disciplina non possa che ricadere nell’ambito della materia dell’istruzione (sia pure in relazione alla fase pre-scolare del bambino)”.
Oggi – si legge nel disegno di legge – il sistema di educazione prescolare italiano risulta diviso in due segmenti separati, secondo l’età dei minori: quello dei servizi per l’infanzia per i minori sotto i tre anni e quello delle scuole dell’infanzia per i minori fino all’obbligo scolastico. I due segmenti differiscono per la rispettiva collocazione nel settore del sociale o dell’educazione ai diversi livelli di governo (nazionale, regionale e locale), le conseguenti competenze istituzionali regionale o nazionale, le normative distinte, le competenze professionali e le condizioni lavorative degli operatori, la riflessione pedagogica. La programmazione e regolamentazione dei servizi di asilo nido, in particolare,  sono affidate alle regioni e la loro costruzione e gestione alle amministrazioni comunali, fatto che ha determinato  – oltre che una diversificazione crescente delle normative – una diffusione assolutamente ineguale dei nidi e degli altri servizi per l’infanzia sul territorio nazionale.
Obiettivo del disegno di legge sarebbe quello di approntare un nuovo piano straordinario per l’estensione dell’offerta formativa prescolare e il progressivo riequilibrio territoriale fino a dar risposta ad almeno il 33 per cento dei bambini sotto i tre anni e alla totalità dei bambini tra i tre e i sei anni.

Firma elettronica: una riflessione

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Come è noto l’atto giuridico consiste in un comportamento umano volontario rilevante per l’ordinamento giuridico. L’atto assume rilevanza nel momento in cui viene esternato, ossia reso visibile ad altri soggetti. Il mezzo con il quale viene portato a conoscenza di altri costituisce la forma dell’atto. Quando è richiesta la forma scritta l’atto viene esternato per mezzo di un documento, che in passato veniva redatto su un supporto cartaceo ed oggi anche su supporto informatico.

Per gli atti giuridici, a differenza dei meri fatti, è rilevante “l’imputazione” ossia la riconducibilità dell’atto ad un soggetto, che può essere una persona fisica o una persona giuridica per conto della quale la persona fisica agisce in qualità di organo. Il modo ordinario mediante il quale l’autore dell’atto se ne assume la paternità è la sottoscrizione che consiste nell’apposizione della firma in calce all’atto.

L’avvento dell’informatica

Con l’avvento dell’informatica l’importanza del supporto cartaceo è venuta sempre più a ridursi e i documenti sono stati trasformati in file, creati e conservati sul computer, molto più maneggevoli del documento cartaceo. Rimaneva, però un problema fondamentale: quello relativo alla sottoscrizione del documento.

Il documento informatico, infatti, doveva essere stampato e sottoscritto dall’autore. Pertanto la rivoluzione informatica non era ancora riuscita ad eliminare del tutto il documento cartaceo con i relativi problemi di spedizione e conservazione. Paradossalmente per ogni documento informatico esisteva il doppione cartaceo.

Il problema è stato risolto mediante l’istituzione della firma digitale che non obbliga più il redattore dell’atto a stamparlo per farlo sottoscrivere al soggetto a cui si riferisce. Era, però, necessario compiere un ulteriore passo consistente nel conferire valore giuridico al documento informatico e alla firma digitale, equiparandola alla tradizionale sottoscrizione posta in calce all’atto.

Il Codice dell’Amministrazione Digitale

Il D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, “Codice dell’amministrazione digitale” (di seguito CAD) ha gettato le basi per la dematerializzazione dei documenti. Il CAD, entrato in vigore il 1° gennaio 2006, si prefigge lo scopo di assicurare la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale utilizzando, con le modalità più appropriate, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (art. 2, comma 1).

Pochi mesi dopo l’entrata in vigore, il CAD è stato sottoposto ad una serie di correttivi apportati con il D.lgs. 4 aprile 2006, n. 159 che ha modificato diversi articoli. Successivamente, il D.L. 185/2008, convertito in legge n. 2/2009 (c.d. “Decreto anti crisi”) ha apportato modifiche ai commi 4 e 5 dell’art. 23 conferendo alla copia con firma digitale lo stesso valore dell’originale senza l’obbligo di autentica da parte di un notaio o di altro pubblico ufficiale.

Altre modifiche sono state apportate con la legge 18 giugno 2009, ma le modifiche e le integrazioni più importanti sono state introdotte dal D.lgs. 30 dicembre 2010, n. 235 che ha modificato 53 articoli sui 92 originari introducendone altri 9. L’ultima modifica è quella apportata dal D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98.

Opinioni contrastanti

L’entrata in vigore del Codice non è stata unanimemente accompagnata da giudizi positivi da parte degli operatori e della dottrina. Infatti, mentre alcuni autori hanno considerato il Codice un importante atto di riordino della materia, altri, invece, né hanno sminuito la portata innovativa sostenendo che in esso sono contenute molte enunciazioni di principio non accompagnate da disposizioni operative che né consentano la concreta attuazione.

Altri ancora hanno contestato il collocamento della disciplina sul documento informatico la cui sede naturale avrebbe dovuto essere il Testo Unico sulla documentazione amministrativa (D.P.R. n. 445/2000) dove l’atto in forma elettronica  avrebbe potuto essere disciplinato insieme all’atto cartaceo, come alternativa a quest’ultimo.

Secondo altri, infine, il Codice sarebbe venuto meno al suo intento iniziale, che era quello di utilizzare l’informatica come strumento di semplificazione dell’attività amministrativa, sottovalutando i rischi del passaggio improvviso e non graduale dal supporto cartaceo a quello elettronico, creando in tal modo una discriminazione fra i cittadini abituati ad utilizzare strumenti informatici e quelli che, non essendo esperti, avrebbero avuto maggiori difficoltà a dialogare con la pubblica amministrazione in via telematica.

Tipologie di firma elettronica

Il CAD prevede quattro tipologie di firma:

  • la firma elettronica pura e semplice, che consiste nell’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica (art. 1, lett. q);
  • la firma elettronica avanzata intesa come insieme di dati, allegati oppure connessi tramite associazione logica a un documento informatico che consentono l’identificazione del firmatario del documento e garantiscono la connessione univoca al firmatario, creati con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo, collegati ai dati ai quali detta firma si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati (art. 1, lett. q-bis);
  • la firma elettronica qualificata, che costituisce un particolare tipo di firma elettronica avanzata che sia basata su un certificato qualificato e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma (art. 1, lett. r);
  • la firma digitale che costituisce anch’essa un particolare tipo di firma elettronica avanzata basata su un certificato qualificato e su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici.

Nelle applicazioni pratiche si sono inoltre diffuse alti due tipi di firme: la firma grafometrica, che consiste nell’apposizione di una sottoscrizione autografa su un particolare tablet e la firma apposta tramite “one time password”. Per poterle considerare come firme elettroniche avanzate è necessario che siano strutturate in modo tale da garantire le condizioni richieste dalle regole tecniche previste dall’art. 56, altrimenti saranno considerate firme elettroniche pure e semplici.

La differenza tra la firma elettronica pura e semplice e quella avanzata è, pertanto, nel “collegamento” dei dati. Nella firma elettronica pura e semplice i dati elettronici sono allegati o connessi ad “altri dati”, che vengono poi utilizzati per l’identificazione informatica, mentre in quella avanzata i dati sono collegati ad un “documento informatico” e consentono l’identificazione del firmatario del documento.

La firma elettronica qualificata e quella digitale, invece, sono particolari tipologie di firma avanzata. La prima si basa su un “certificato qualificato” (e non su un “documento informatico” come quella avanzata) ed è realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma. La seconda, invece, si basa su un “certificato qualificato” come la precedente e su un sistema di chiavi crittografiche.

In altri e più chiari termini, la firma elettronica pura e semplice si associa al documento al quale viene apposta, restando però distinta dal documento.

La firma elettronica avanzata realizza un’unione inscindibile fra il documento e la sottoscrizione e, pertanto, consente non solo l’identificazione del sottoscrittore, ma, essendo stata creata con mezzi sui quali il sottoscrittore ha un controllo esclusivo che gli consentono anche di rilevare se i dati sono stati modificati, realizza un collegamento del documento al firmatario.

La firma elettronica qualificata è una firma avanzata è basata su un certificato qualificato e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma. La firma elettronica digitale è anch’essa una firma avanzata, basata su un sistema di due chiavi crittografiche, una pubblica e l’altra privata, collegate tra di loro, che consente sia al titolare che al destinatario di verificare la provenienza e la titolarità dei documenti informatici.

L’art. 21 del CAD sancisce il principio secondo cui il documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità.

Al comma successivo, però, conferisce rilevanza giuridica alla firma avanzata e alle due particolari categorie di firma qualificata e digitale, stabilendo che, il documento informatico sottoscritto con tali categorie di firme, possiede l’efficacia prevista dall’art. 2702 del codice civile e conferma la presunzione di riconducibilità dell’utilizzo del dispositivo di firma al titolare salvo prova contraria da parte di quest’ultimo.

Le regole tecniche (D.P.C.M. 22 FEBBRAIO 2013)

La legge 7 marzo 2005 n. 82, si era limitata a dettare i requisiti generali che una firma elettronica avanzata deve avere stabilendo, all’art. 71, che le regole tecniche previste nel Codice avrebbero dovute essere adottate con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro delegato per l’innovazione e le tecnologie, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica e con le amministrazioni indicate nel codice, sentita la Conferenza unificata ed il Garante per la protezione dei dati personali, previa acquisizione obbligatoria del parere del CNIPA. Pertanto, mancando le regole tecniche, le disposizioni del CAD sull’equiparazione del documento informatico con firma digitale alla scrittura privata era rimasta priva di effetto.

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.P.C.M. del 22 febbraio 2013 si è provveduto a colmare il vuoto legislativo emanando le regole tecniche per la generazione, apposizione e verifica della firma elettronica avanzata, qualificata e digitale, per la validazione temporale, nonché per lo sviluppo delle attività dei certificatori qualificati.

Moneta elettronica. Dalla war on cash alla loyalty

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Sfruttare la base dati sui clienti facendo leva sulla tecnologia. E puntare sulla forte relazione duale che le banche hanno con consumatori ed esercenti. Sono questi gli ingredienti che, secondo Laura Cioli, Amministratore Delegato di CartaSi presente al convegno ICBPI “Società digitale ed evoluzione dei modelli di riferimento”, bisogna valorizzare nel mondo dei pagamenti elettronici, per evitare la disintermediazione sospinta dagli Over The Top e contribuire alla war on cash.

Tre spazi da aggredire

Difatti, come enfatizza Cioli, la base dati sui clienti che possiede la banca è più ampia rispetto a quella raccolta da Amazon, Google o PayPal, ma ciò che manca è ancora la capacità di utilizzare in modo aggregato questa mole di informazioni per servizi di CRM. Un passo in avanti che bisogna compiere con una certa velocità, andando inoltre a occupare tre spazi fondamentali nell’ecosistema degli e-payments: il mobile, tecnologia ormai familiare a una ampia base di consumatori; l’engagement del cliente attraverso programmi di cash back e loyalty; e i mobile POS, nuovo strumento di accettazione per i professionisti. «Per fare tutto questo, tuttavia, dobbiamo fare squadra e creare un ecosistema comune – afferma Cioli. Bisogna quindi puntare alla flessibilità e gestire insieme anche quattro tecnologie diverse nell’ambito dei pagamenti, fino a quando non sapremo quale sarà quella vincente».

Educare per frenare il contante

Una innovazione, quella dei pagamenti elettronici, che potrebbe anche contrastare l’elevato utilizzo del contante in Italia, oggi pari all’87% (al 65% in Europa e al di sotto del 30% negli Stati Uniti). «È però necessario andare oltre la logica punitiva dell’uso delle carte di credito, visto solo come un mezzo per eliminare il sommerso, e offrire invece dei reali vantaggi al consumatore, come servizi di loyalty, una maggiore sicurezza e, soprattutto, un minor costo – racconta Cioli. Naturalmente, bisogna partire dalla educazione ai pagamenti elettronici sia all’interno delle banche, sia tra i consumatori sia agli esercenti».

La brand awareness può essere decisiva

Ma, tra le tante applicazioni e alternative di pagamento presenti sul mercato, ciò che guiderà il cliente a prediligere una soluzione piuttosto che un’altra sarà, secondo Cioli, la riconoscibilità e l’affidabilità del brand. «Il marchio è importante, perché scatena nel consumatore un senso di sicurezza e vicinanza – precisa Cioli. Di conseguenza è ora di modificare anche i meccanismi di comunicazione e inserirsi all’interno degli spazi in cui i consumatori cercano informazioni: i social network».

La comunicazione social rende reale la banca che non c’è

Una strategia che Widiba, la banca online di Monte dei Paschi di Siena, sta perseguendo, raccogliendo sulla piattaforma di ascolto della banca che ancora non c’è 70mila persone che raccontano e suggeriscono la costruzione del loro istituto di credito ideale. «Negli ultimi 10 anni la banca ha perso la sua vicinanza con il cliente e ora è giunto il momento di tornare sul mercato tramite l’economia dell’ascolto – chiarisce Andrea Cardamone, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Widiba. Un nuovo modo di ascoltare i clienti e di raccogliere le loro opinioni che ci ha permesso di essere percepiti dal mercato come la prima banca social, nonostante Widiba ancora non sia attiva».

13mila visite per la tre giorni del Risparmio

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Oltre 13mila visitatori per la quinta edizione del Salone del Risparmio. La tre giorni del risparmio gestito, arrivata alla sua quinta edizione, ha potuto contare su più di 16mila iscritti, riunendo 153 marchi, oltre 100 espositori e altrettante conferenze.

Un evento in crescita, secondo quanto dichiarato dal neo eletto Presidente di Assogestioni: Giordano Lombardo. «Il successo di questa edizione conferma la centralità del risparmio gestito, settore che si candida ad assumere un ruolo sempre più importante nell’industria italiana ed europea».

Call4Ideas: la previdenza deve diventare virale

Protagonista di questa edizione 2014 del Salone del Risparmio è stato l’investimento a lungo termine e il rilancio della previdenza complementare, con la presentazione della 4 migliori idee emerse dalla Call4Ideas che Assogestioni ha lanciato in collaborazione con Italia Camp. Ad ottenere il maggior numero di voti (32%) dell’Auditorium dell’Università Bocconi è stata l’idea proposta da Doriana Silvestri dell’Associazione Cultura Previdenziale, intitolata “Comunicazione Efficace”, in cui si sottolinea l’esigenza di una comunicazione virale delle tematiche previdenziali.

Dall’Europa un contributo ai piani pensionistici

Fiducia e comunicazione, dunque, sono le due leve sulle quali puntare per riavvicinare gli italiani al tema della previdenza. Ne è convinto Fabio Galli, Direttore Generale di Assogestioni: «Su questi due fronti dobbiamo fare un salto di qualità, anche grazie all’Europa. La Commissione Europea, insieme al futuro Parlamento europeo – conclude Galli – porterà avanti il modello del personal pension: un cambio importante per l’industria che potrebbe favorire la maggiore diffusione di piani individuali pensionistici».

Promotori hi-tech per Montepaschi

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Il promotore fuori sede ha un tablet e tutti gli applicativi mobile capaci di valorizzare l’offerta a domicilio. Dopo una serie di sperimentazioni avviate lo scorso ottobre, Banca Monte dei Paschi di Siena ha consegnato a tutti i suoi promotori finanziari Surface Pro 2, un tablet evoluto di Microsoft dove sono presenti le applicazioni mobile della Banca.

«L’adozione di Surface Pro 2 abilita l’implementazione di processi paperless che ridurranno l’impegno del promotore nell’amministrazione delle pratiche, consentendogli di dedicarsi esclusivamente alle attività commerciali – spiegaMassimo Giacomelli, Responsabile Servizio Promozione Finanziaria di Banca Monte dei Paschi di Siena. Il progetto rappresenta l’attenzione della Banca ad assegnare alla rete dei Promotori una posizione competitiva all’interno dei nuovi progetti di Piano Industriale, caratterizzati da una tecnologia fortemente all’avanguardia. Un ulteriore segnale di coinvolgimento è stato dunque dotare i promotori di uno strumento che permette loro di allinearsi sin da ora a quelli che saranno gli standard tecnologici del futuro».

«La grande evoluzione originata dalla diffusione di nuovi strumenti tecnologici in termini di comunicazione, modalità di lavoro e fruizione dei servizi richiede anche agli istituti finanziari un cambio di marcia, per risultare sempre più efficaci ed efficienti nella relazione con i propri clienti – dichiara Claudia Bonatti, Direttore della divisione Windows di Microsoft Italia. In questo scenario, i promotori finanziari ricoprono un ruolo centrale e, grazie alle caratteristiche del tablet Surface Pro 2 unite alla flessibilità del sistema operativo Windows 8.1, dispongono ora di uno strumento unico per utilizzare anche in mobilità le applicazioni aziendali e per relazionarsi in maniera innovativa con i clienti, generando benefici per tutta l’azienda».

La seconda ondata del Mobile Banking: le transazioni di alto livello

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La “prima ondata” del mobile banking ha avuto risultati positivi: i consumatori hanno iniziato velocemente a effettuare transazioni con valore relativamente basso e la fiducia degli utenti nel mobile banking è stata da subito alta. Ma la seconda ondata del mobile banking, ossia la gestione delle grandi transazioni da parte dei clienti di alto livello, non sta procedendo nello stesso modo.

Ampliare i guadagni del mobile banking

Secondo The Wall Street Journal, da una ricerca del Federal Reserve, emerge che “il numero di utenti che utilizzano servizi bancari sul proprio cellulare è aumentato del 33% nel 2012. Quasi la metà di questi, nell’ultimo anno, ha effettuato l’accesso con lo smartphone ad applicazioni banking o alla versione mobile del sito web”. Tuttavia, secondo molti banchieri che abbiamo incontrato – tra i responsabili della banca d’impresa, della gestione patrimoniale e dei pagamenti – è necessario un cambiamento per andare incontro alla seconda ondata di mobile banking e gestire, quindi, le transazioni dei clienti di alto livello. Le conversazioni hanno un tema in comune, riassunto perfettamente dalle parole di un funzionario: “I device mobili non possono essere solo un altro canale in mano ai consumatori. La mobility deve diventare un vantaggio per le imprese e per i nostri clienti più facoltosi e per noi una fonte di guadagno. Altrimenti, è come giocare a mini-golf con i tuoi ferri migliori. Un investimento troppo grande per un guadagno troppo piccolo”.

La seconda ondata

È comprensibile che alcuni banchieri e i loro clienti siano stati in passato sospettosi riguardo la sicurezza dei dispositivi mobile, sia che essi siano telefoni cellulari, portatili, tablet o phablet. Lo stesso banchiere che garantisce il privato sui versamenti effettuati via mobile è meno ottimista quando ha a che fare con una grande azienda che, con le stesse modalità, deve effettuare pagamenti da milioni di dollari. E lo stesso cliente che è disposto a prendersi un rischio pagando la bolletta dell’acqua via mobile ha un approccio diverso quando è il momento di trasferire milioni di euro in pochi secondi. Ma la vastità del mercato potenziale impone una soluzione. TowerGroup prevede una crescita costante delle operazioni bancarie via mobile fino a raggiungere 17 miliardi di transazioni nel 2015. Inoltre, la domanda dei clienti è importante per la comodità che assicura il mobile. Una volta che gli amministratori di grandi transazioni si abituano a usare il mobile per le transazioni più comuni, diventa più semplice chiedergli perché non occuparsi dei loro affari allo stesso modo.

D’altro canto, se i clienti più facoltosi della banca possono effettuare tutti i controlli sul conto corrente usando i dispositivi mobili, sia aspettano che a breve le loro transazioni siano altrettanto comode. Come ha confermato un nostro cliente: “Si tratta di clienti particolarmente redditizi per noi, e sappiamo che la prime banche che attivano il servizio avranno un enorme vantaggio iniziale”.

Come ha dichiarato un manager della gestione patrimoniale, le persone facoltose hanno però un’altra preoccupazione: “L’attività di sorveglianza dello Stato. Le rivelazioni che riguardano l’NSA a proposito della raccolta di informazioni contenute negli smartphone ha spaventato sia me che i clienti. Le mie conversazioni devono restare private, e ancor meno vorrei che si introducessero nelle mie transazioni più importanti. E se andiamo avanti e pensiamo a Edward Snowden, il mio desiderio di effettuare grandi transazioni via mobile quasi evapora. Nonostante ciò, dovremo affrontare la questione, altrimenti i miei clienti la affronteranno con altri”.

Quindi cosa possono fare le banche per rendere il mobile una via percorribile anche per le grandi transazioni monetarie? Devono migliorare la percezione e l’effettiva sicurezza delle grandi transazioni. Innanzitutto c’è un problema diaccesso. Poi di conoscenza. Ipotizziamo di dover metter in sicurezza un edificio.

La tematica della sicurezza

Se ti avvicini a un edificio che contiene lingotti d’oro, e trovi il cancello di ingresso aperto e la porta socchiusa, avresti il sospetto che qualcuno abbia trascurato l’ingresso. E se supponiamo che tu debba usare una password speciale e il riconoscimento vocale per passare il cancello, e poi un riconoscimento facciale per varcare la porta? Bene. Abbiamo affrontato la questione dell’ accesso. Ma una volta dentro, potresti vedere porte con scritto “Ingresso vietato” e gli impiegati che guidano muletti su cui è scritto “Autorizzazione consentita solo agli addetti ai lavori”. Avresti più che un’idea su dove trovare i lingotti d’oro, vero? Avresti l’impressione che qualcuno abbia sottovalutato la conoscenza. Adesso sai esattamente dove mettere il naso se hai intenzione di infrangere il sistema.

Purtroppo, in questo modo funzionano molti degli attuali apparati di sicurezza: fanno un buon lavoro nel momento di vietare l’accesso agli utenti non autorizzati, ma, come hanno dimostrato Target, Snowden, G20 Summit e altri attacchi informatici dell’ultimo anno, i limiti di accesso possono essere infranti. Gli hacker possono entrare come utenti legittimati. Quando accade, i limiti di accesso alla conoscenza sono fondamentali. A noi piace dire: “Non puoi infrangere ciò che non puoi vedere”. Tornando all’edificio che contiene i lingotti d’oro, se un malintenzionato ti ha seguito fino alla porta ma i costruttori hanno assicurato l’accesso alla conoscenza, l’intruso non vedrà nulla – nessuna attività, niente porte, nessun segnale, nessun muletto. Niente da vedere, niente da attaccare. Tornando alla gestione del patrimonio delle aziende o ai ricchi che effettuano grandi transazioni via mobile, gli hacker devono essere inconsapevoli dell’esistenza di ingenti transazioni che eventualmente possono violare.

Un CIO del settore bancario ha posto la questione in modo ancor più semplice: “Non aspettiamo che si verifichi un evento dannoso. Di fatto, che noi lo vogliamo o no, i clienti business stanno effettuando grandi transazioni via mobile. I dipendenti sotto pressione per aiutare i clienti stanno forzando la nostra policy sul mobile. Dobbiamo affrontare la questione, invece di sperare di essere in grado di affrontare l’emergenza quando capita”.