3 Ottobre 2024, giovedì
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Interesse legittimo, il lavoratore pubblico recupera una “posizione”

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Nel pubblico impiego privatizzato, la procedura di selezione non concorsuale, ossia non soggetta alle specifiche norme previste per l’accesso al pubblico impiego, ma “idoneativa”, per l’affidamento di un incarico di responsabilità, rientra tra gli atti adottati in base alla capacità ed ai poteri propri del datore di lavoro privato.
Qualora l’amministrazione utilizzi il proprio potere discrezionale decidendo se utilizzare i risultati acquisiti di una precedente procedura, ovvero indirne una nuova, la questione cambia.

La decisione
Ciò è quanto affermato in una sentenza della Corte di cassazione del 3 febbraio 2014 . La Suprema corte ha ribadito il consolidato giurisprudenziale sulla giurisdizione del giudice ordinario in merito alle controversie relative ad atti aventi il carattere di determinazioni negoziali, ancorché unilaterali dell’amministrazione, ma ha anche affermato che “allorquando la controversia esuli dalla procedura avviata e dai relativi atti ed investa direttamente una scelta discrezionale ulteriore, come quella della indizione di una nuova procedura selettiva, la cognizione non può che appartenere al giudice amministrativo, in ragione della situazione soggettiva vantata nei confronti di tale scelta discrezionale della pubblica amministrazione”.
In pratica, se si controverte sulla scelta del ‘quomodo’, ossia come attribuire un incarico di responsabilità, ovvero posizioni o funzioni organizzative, con utilizzazione degli esiti di procedura selettiva o attraverso nuova procedura selettiva, il thema decidendum riguarda l’esercizio di un potere discrezionale della cui correttezza o meno ha cognizione soltanto il giudice amministrativo, non delineandosi a fronte di tale scelta diritti soggettivi .
In verità, la Cassazione ha già affrontato la materia in più occasioni, ribadendo che la determinazione di carattere organizzativo di procedere allo scorrimento della graduatoria già formata è una determinazione assunta in base ad una scelta effettuata mediante l’esercizio del potere amministrativo discrezionale a fronte del quale sono configurabili esclusivamente posizioni soggettive d’interesse legittimo, rientranti nella sfera di competenza del giudice amministrativo in sede di giurisdizione generale di legittimità . I precedenti, tuttavia, riguardavano la materia concorsuale e non l’esercizio di poteri in ambito privatistico.
La novità, quindi, risiede non nel considerare il frutto della valutazione discrezionale atto autoritativo, ma nell’equiparare, per così dire, l’albero, cioè ricondurre in ambiente pubblicistico la determinazione organizzativa di scelta del metodo per il conferimento di un incarico.

Il tema di fondo
Cerchiamo d’inquadrare il tema nell’attuale assetto delle fonti. Come noto, il confine tra pubblico e privato della materia organizzativa ha mostrato una traccia incerta sin dall’esordio della privatizzazione del pubblico impiego. La recente riforma del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, c.d. terza fase, che affonda le sue radici nella legge delega n. 15 del 2009 e nel decreto delegato 150 del 2009, interviene specificatamente su tale problematica con l’intento di meglio definire i domini di pubblico e privato, partendo dai contenuti relativi alle fonti, alle relazioni sindacali ed alla dirigenza.
Tale riforma rappresenta un continuum ambientale, nel senso che si colloca nel percorso di privatizzazione avviato agli inizi degli anni Novanta con il Dlgs n. 29/1993, ma pone in essere anche un elemento di discontinuità con il passato, relativamente alla contrattualizzazione della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici.
L’ampliamento degli spazi di regolazione di fonte unilaterale, infatti, accresce il potere privatistico del dirigente datore di lavoro, senza determinare una ripubblicizzazione.
Infatti, il riformato art. 5, comma 2, del Dlgs n. 165/2001, afferma la natura privatistica del potere datoriale: “nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all’articolo 2, comma 1, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatti salvi la sola informazione ai sindacati per le determinazioni relative all’organizzazione degli uffici ovvero, limitatamente alle misure riguardanti i rapporti di lavoro, l’esame congiunto, ove previsti nei contratti di cui all’ articolo 9. Rientrano, in particolare, nell’esercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti la gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunità, nonché la direzione, l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici” .
D’altronde, in base all’art. 2, comma 1, del Dlgs n. 165/2001, le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti:
•le linee fondamentali di organizzazione degli uffici;
•gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi;
•le dotazioni organiche complessive.
Sono, inoltre, escluse dalla contrattazione collettiva (art. 40, comma 1, del Dlgs n. 165/2001) le materie:
•attinenti all’organizzazione degli uffici;
•oggetto di partecipazione sindacale;
•afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli artt. 5, comma 2, 16 e 17;
•del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali;
•di cui all’art. 2, comma 1, lett. c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, tra le quali si ricordano le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell’espletamento di procedure amministrative; gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; i principi fondamentali di organizzazione degli uffici; i procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro.
In particolare, “il reclutamento del personale esprime […] la tipica attività governata dagli atti amministrativi ed eventualmente soggetta ai vizi tipici dei medesimi” .
Si rende evidente una certa “ridondanza e ripetitività di questa lista di materie, posto che in larga misura sia quelle oggetto di partecipazione sindacale, sia quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ex art. 5 (alle quali, del resto, rinvia lo stesso art. 9 nel definire lo spazio e i limiti di detta partecipazione), sia molte di quelle comprese nell’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 421/1992, in sostanza possono essere ricondotte alla materia dell”organizzazione degli uffici” .

Le posizioni organizzative
Il potere dirigenziale, in buona sostanza, è definito dall’incrocio di atti normativi o amministrativi di natura pubblicistica e di determinazioni organizzative e gestionali privatistiche, a carattere unilaterale ed esclusivo.
La contrattazione nazionale ha disciplinato, a partire dalla tornata 1998/1999, figure professionali e posizioni di responsabilità, anche con compiti di direzione, tecnico-scientifici e di ricerca, ovvero che comportino l’iscrizione ad albi professionali: le c.d. posizioni organizzative.
Le posizioni organizzative costituiscono “uno strumento volto a potenziare, nel sistema di classificazione del personale non dirigenziale, un modello organizzativo flessibile teso al recupero della meritocrazia ed al decentramento delle attività ed al conseguimento dei risultati” .
Esse possono essere attribuite al personale apicale , ovvero a personale inquadrato in apposita area per lo svolgimento di compiti che comportano elevate capacità professionali e culturali corrispondenti alla direzione di unità organizzative complesse e all’espletamento di attività professionali, o, ancora, a dipendenti, non necessariamente in posizione apicale, idonei a svolgere incarichi specifici, di particolare responsabilità, di natura organizzativa o specialistica .
Il conferimento dell’incarico di posizione organizzativa trova fondamento, quindi, nel contratto collettivo ed è:
•ad tempus, cioè con termine certo seppur rinnovabile;
•collegato ad una specifica retribuzione variabile, in quanto soggetta alla realizzazione di obiettivi di programma e di risultato;
•revocabile.
Il conferimento dell’incarico presuppone che le amministrazioni abbiano attuato i principi di razionalizzazione previsti dal Dlgs n. 165/2001.
Quindi, per meglio perseguire le finalità, è essenziale che l’incarico sia preceduto da una attenta valutazione dell’opportunità d’istituire la posizione organizzativa e dalla preventiva valutazione dei requisiti, delle esperienze e delle capacità dei candidati.
L’attribuzione della posizione organizzativa al personale non dirigente non corrisponde ad un mutamento d’inquadramento o di profilo professionale, ma soltanto ad una variazione di compiti e funzioni, fino al cessare dell’incarico.
La contrattazione collettiva, nella migliore delle ipotesi, definisce le linee generali in base alle quali l’amministrazione è tenuta a compiere la scelta del dipendente idoneo a ricoprire una posizione organizzativa od una funzione specialistica, mentre la materia di dettaglio è sottratta al negoziato. Anche il tavolo decentrato è competente unicamente per quel che riguarda la destinazione dei fondi accessori a copertura degli oneri finanziari corrispondenti alle posizioni attivate ed alla graduazione stabilita dall’amministrazione. L’ente pubblico ha, peraltro, il dovere di adottare una condotta trasparente e corretta, rendendo previamente noti i criteri che informeranno la propria azione, successivamente motivando le ragioni della scelta tra i candidati .

La giurisdizione
Da quanto detto, pare pacifico che le azioni relative alla procedura di razionalizzazione e definizione di dotazioni organiche e posizioni organizzative rientrino nella categoria degli atti negoziali, adottati con la capacità e i poteri del datore di lavoro, di cui al succitato art. 5, comma 2, del Dlgs n. 165/2001, esulando dall’ambito degli atti amministrativi autoritativi.
Tale qualificazione è dirimente ai fini della giurisdizione sulle relative controversie che sono, appunto, devolute alla giurisdizione ordinaria, non ostando la considerazione di atti amministrativi presupposti, atteso che anche in tale evenienza la tutela del pubblico dipendente mediante instaurazione del giudizio ordinario dovrebbe essere assicurata tramite la disapplicazione dell’atto ai sensi dell’art. 63, comma 1, del Dlgs n. 165/2001 .
Per contro, il dominio del diritto pubblico e l’ambito delle attività autoritative si estende soltanto ai procedimenti ed atti generali (normativi e non), a cui si aggiungono le procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, come chiaramente si evince dal dettato di cui all’art. 63, comma 4, del Dlgs n. 165/2001 che, lascia ferma la giurisdizione amministrativa sulle controversie relative, con una portata non soltanto processuale, ma anche sostanziale di diritto pubblico .

Osservazioni conclusive
Da quanto detto, emerge l’originalità della sentenza dello scorso febbraio, con la quale la Suprema corte risolve il profilo di giurisdizione affermando la potestas iudicandi del giudice amministrativo e l’appartenenza al merito amministrativo delle censure dedotte. Ciò in ragione della situazione soggettiva vantata nei confronti di una scelta discrezionale della pubblica amministrazione che non viene fatta rientrare tra le prerogative dell’amministrazione quale privato datore di lavoro.
Ciò pare corretto. È vero che nell’ambito del rapporto di lavoro privatizzato, alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, “il Giudice ordinario sottopone a sindacato i poteri esercitati dall’amministrazione nella veste di datrice di lavoro, sotto il profilo dell’osservanza delle regole di correttezza e buona lede, siccome regole applicabili anche all’attività di diritto privato alla stregua dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.” .
Tuttavia, ove l’azione non sia in tutela di posizioni di diritto soggettivo , ovvero in assenza di chiari limiti ai poteri attribuiti al privato datore di lavoro, in relazione a previsioni, normative o contrattuali, che sanciscano prescrizioni dell’esercizio del potere discrezionale, sul piano sostanziale o su quello procedimentale, suscettibili di essere integrati e precisati dalle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), la Corte esclude la configurazione di un mero interesse legittimo di diritto privato.
Si tratta di un recupero di tutela, laddove la compressione della contrattazione e l’ampliamento dei poteri datoriali unilaterali parevano accentuare quanto già precedentemente ipotizzato, a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, in termine di possibile arretramento della protezione delle posizioni giuridiche vantate dal dipendente pubblico nei confronti dell’amministrazione datore di lavoro .

Cgue, Tlc: invalida la direttiva sulla conservazione dei dati

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È una bocciatura su tutta la linea quella comminata oggi dalla Corte di Lussemburgo alla Direttiva 2006/24/CE sulla conservazione dei dati personali. Per i giudici, infatti, essa comporta «un’ingerenza di vasta portata e di particolare gravità nei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati di carattere personale, non limitata allo stretto necessario». Per cui, con la sentenza nella Cause riunite C-293/12 e C-594/12(disponibile solo in inglese), la Cgue ne ha dichiarato l’invalidità. E siccome la Corte non ha limitato gli effetti della sentenza nel tempo, la dichiarazione di invalidità ha efficacia dalla data di entrata in vigore della direttiva che aveva modificato la precedente direttiva 2002/58/CE. 

In sostanza, pur riconoscendo che la direttiva «risponde effettivamente a un obiettivo di interesse generale, vale a dire la lotta alla criminalità grave nonché, in definitiva, la pubblica sicurezza», la Corte ha ritienuto che il legislatore dell’Unione «abbia ecceduto i limiti imposti dal rispetto del principio di proporzionalità». Va ricordato poi che lo scorso anno la Svezia era stata condannata a pagare una somma forfettaria di 3 milioni di euro proprio per tardiva trasposizione della direttiva (sentenza C-270/11), oggi dichiarata invalida. 

I contenuti
La direttiva aveva l’obiettivo di armonizzazione le disposizioni degli Stati membri sulla conservazione di dati generati o trattati dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di una rete pubblica di comunicazione. Ed era volta a garantirne la disponibilità a fini di indagine, accertamento e perseguimento di reati gravi, come in particolare quelli in materia di criminalità organizzata e terrorismo. Per cui dispone che i fornitori debbano conservare i dati relativi al traffico, all’ubicazione nonché quelli necessari per identificare l’abbonato o l’utente. La direttiva non autorizza, invece, la conservazione del contenuto della comunicazione e delle informazioni consultate.

Il ricorso
 
L’Alta Corte irlandese nonché la Corte costituzionale austriaca hanno chiesto alla Corte di Giustizia di valutare la direttiva alla luce di due diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ossia il diritto al rispetto della vita privata e il diritto alla protezione dei dati di carattere personale. 

Il ragionamento della Corte
 
Secondo la Cgue i dati raccolti possono fornire indicazioni «assai precise sulla vita privata dei soggetti i cui dati sono conservati, come le abitudini quotidiane, i luoghi di soggiorno permanente o temporaneo, gli spostamenti giornalieri o di diversa frequenza, le attività svolte, le relazioni sociali e gli ambienti sociali frequentati». Con l’effetto di ingerirsi «in modo particolarmente grave nei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati di carattere personale». 

La sproporzione
 
Inoltre, anche se la direttiva «non è idonea ad arrecare pregiudizio al contenuto essenziale dei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati di carattere personale», in quanto non consente di conoscere il contenuto delle comunicazioni risulta tuttavia sproporzionata rispetto all’obiettivo.

I punti critici
 
Numerosi gli aspetti critici rilevati dalla sentenza. In primo luogo la direttiva trovaapplicazione generalizzata all’insieme degli individui e dei mezzi di comunicazione elettronica senza alcuna differenziazione o limitazione in ragione dell’obiettivo della lotta contro i reati gravi.

In secondo luogo, non prevede alcun criterio oggettivo che consenta di garantire che le autorità nazionali possano utilizzare i dati solamente per prevenire, accertare e perseguire i reati. Al contrario, la direttiva si limita a fare generico rinvio ai «reati gravi» definiti da ciascuno Stato membro nella propria legislazione nazionale. Inoltre, la direttiva non stabilisce i presupposti materiali e procedurali che consentono alle autorità nazionali competenti di avere accesso ai dati e di farne successivo uso. L’accesso ai dati, in particolare, non è subordinato al previo controllo di un giudice o di un ente amministrativo indipendente.

In terzo luogo, quanto alla durata della conservazione dei dati, la direttiva impone che essa non sia inferiore a sei mesi, senza operare distinzioni tra le categorie di dati a seconda delle persone interessate o dell’eventuale utilità dei dati rispetto all’obiettivo perseguito. 

Il rischio abusi
 
Neppure sono previste misure contro il rischio di abusi e contro accessi e utilizzi illeciti e non si garantisce la distruzione irreversibile dei dati al termine della conservazione. La Corte censura, infine, il fatto che la direttiva non impone che i dati siano conservati sul territorio dell’Unione.

Le ultime novità su Tasi, Tari e Imu

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Nelle Commissioni Bilancio e Finanze della Camera sono stati approvati alcuni emendamenti al decreto legge n. 16/2014 (c.d. “Salva Roma-ter”) contenente disposizioni urgenti in materia di tributi locali. Tali modifiche saranno ora vagliate dall’Aula per l’iter di conversione che dovrebbe avvenire entro il 5 maggio.

Le novità riguardano le modifiche alla disciplina del tributo per i servizi indivisibili (TASI), nonché alla disciplina della tassa sui rifiuti (TARI) e dell’IMU.

In particolare si è stabilito che:

a) le detrazioni introdotte per la TASI in ordine alle abitazioni principali e unità ad esse assimilate, a seguito di aumento fino allo 0,8 per mille (“super TASI”), possono generare carichi di imposta anche inferiori rispetto a quelli determinatisi con riferimento all’IMU;

b) per i termini di pagamento relativi alla TARI, il Comune può stabilire almeno due rate con scadenza semestrale e in modo differenziato rispetto alla TASI;

c) la TASI deve essere pagata in due rate, scadenti il 16 giugno e il 16 dicembre, in analogia a quanto previsto per l’IMU ai sensi dell’art. 9, comma 3, del DLgs. 23/2011. L’emendamento approvato, tuttavia, a differenza di quanto previsto dal citato art. 9, in cui si parla di due rate “di pari importo”, stabilisce per la TASI, una procedura di acconto e saldo che potrebbe condurre al versamento di due rate di importo diverso: il versamento della prima rata è eseguito, infatti, sulla base dell’aliquota e delle detrazioni dei 12 mesi precedenti, mentre il versamento della rata a saldo è effettuato, a conguaglio, tenendo conto delle deliberazioni di approvazione delle aliquote e delle detrazioni pubblicati dal Comune entro il 28 ottobre;

d) per l’anno 2014, per gli immobili diversi dall’abitazione principale, il versamento della prima rata è eseguito sulla base dell’aliquota base TASI, pari all’1 per mille, qualora il Comune non abbia deliberato una diversa aliquota entro il 31 maggio 2014.
Rimane intatta la facoltà di procedere al versamento di TARI e TASI, in un’unica soluzione, entro il 16 giugno di ciascun anno;

e) Tra le esenzioni dalla TASI, oltre agli immobili dello Stato e degli enti territoriali destinati esclusivamente ai compiti istituzionali, si annoverano i rifugi alpini non custoditi, i punti d’appoggio e i bivacchi.

f) in ambito TARI, inoltre, è stato previsto, attraverso modifiche dell’art. 1, comma 645 della legge di stabilità 2014, che l’utilizzo delle superfici catastali per il calcolo della tassa decorre dal 1° gennaio successivo alla data di emanazione di un apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate (previo accordo da sancire presso la Conferenza Stato-Città e autonomie locali) che attesta l’avvenuta completa attuazione delle disposizioni di cui al comma 647, il quale dispone un’apposita procedura, da attivarsi fra l’Agenzia delle Entrate e i Comuni, volta alla determinazione della superficie assoggettabile al tributo pari all’80% di quella catastale;

g) è stata prevista, in merito all’attività di produzione di rifiuti speciali assimilati agli urbani, l’abrogazione del comma 661 della legge di stabilità 2014, il quale prevedeva che la TARI non fosse dovuta in relazione alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero; eventuali riduzioni proporzionali della quota variabile possono essere previste dal regolamento comunale;

h) per gli anni 2014 e 2015, si consente ai Comuni di utilizzare coefficienti per la determinazione della tariffa rifiuti, superiori o inferiori del 50%, a quelli del c.d. metodo normalizzato (DPR n. 158 del 1999) e di non dare rilevanza ai coefficienti previsti dalle tabelle per l’attribuzione della parte fissa della tariffa alle utenze domestiche;

i) In ambito IMU, infine, è stato previsto che, nel caso di immobili oggetto di “multiproprietà” (diritti di godimento a tempo parziale), il versamento dell’imposta è effettuato dall’amministratore del bene, il quale può prelevare l’importo necessario dal fondo comune attribuendo le quote ai singoli titolari con addebito nel rendiconto annuale.

Elenchi dei soggetti formatori e delle aziende autorizzate ad effettuare i lavori sotto tensione

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Sulla Gazzetta Ufficiale 7 aprile 2014, n. 81 è stato pubblicato un comunicato attraverso il quale si informa dell’adozione del Decreto Dirigenziale 15 gennaio 2014, di cui al punto 3.4 dell’allegato I del decreto 4 febbraio 2011, dei «soggetti formatori» e delle «aziende autorizzate» ad effettuare i lavori sotto tensione di cui all’articolo 82, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 come modificato e integrato dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106.
Si ricorda, in proposito, che la vigente normativa prevenzionale pone il principio generale del divieto di eseguire lavori sotto tensione, fatta eccezione per i casi in cui le tensioni su cui si opera sono di sicurezza, secondo quanto previsto dallo stato della tecnica o quando i lavori sono eseguiti nel rispetto delle seguenti condizioni:
a) le procedure adottate e le attrezzature utilizzate sono conformi ai criteri definiti nelle norme tecniche;
b) per sistemi di categoria 0 e I purché l’esecuzione di lavori su parti in tensione sia affidata a lavoratori riconosciuti dal datore di lavoro come idonei per tale attività secondo le indicazioni della pertinente normativa tecnica;
c) per sistemi di II e III categoria purché:
1) i lavori su parti in tensione siano effettuati da aziende autorizzate, con specifico provvedimento del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, ad operare sotto tensione;
2) l’esecuzione di lavori su parti in tensione sia affidata a lavoratori abilitati dal datore di lavoro ai sensi della pertinente normativa tecnica riconosciuti idonei per tale attività.
I criteri per il rilascio delle autorizzazioni per sistemi di II e III categoria, semprechè i lavori su parti in tensione siano effettuati da aziende autorizzate (Cfr. art. 82, comma 1, let. c), D.Lgs 81/08), sono stati definiti dal D.M. 4 febbraio 2011.
In virtù dell’art. 3 del predetto decreto, lo svolgimento dei lavori sotto tensione eseguiti da parte di operatori agenti dal suolo, dai sostegni delle parti in tensione, dalle parti in tensione, da supporti isolanti e non, da velivoli e da qualsiasi altra posizione atta a garantire il rispetto delle condizioni generali per l’esecuzione dei lavori in sicurezza, è consentito alle aziende che abbiano ricevuto l’autorizzazione con decreto dirigenziale del direttore generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del direttore generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della salute.
Per ottenere l’autorizzazione le aziende devono essere in possesso dei requisiti di cui all’allegato II del predetto D.M. 4 febbraio 2011. Si ricorda poi che i lavori sotto tensione sono consentiti se eseguiti nel rispetto delle seguenti condizioni:
a)    i lavori siano effettuati da aziende autorizzate;
b)    l’organizzazione e le procedure di lavoro adottate siano tali da garantire la sicurezza dei lavori sotto tensione secondo le pertinenti norme tecniche. A tal fine si considerano idonee le pertinenti norme tecniche del Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI), quali in particolare le norme CEI EN 50110-1 e CEI 11-15;
c)    l’esecuzione dei lavori sia affidata dal datore di lavoro dell’azienda autorizzata a lavoratori in possesso del documento di abilitazione;
d)    le attrezzature utilizzate siano conformi (Cfr. art. 7, D.m. 4 febbraio 2011);
e)    i dispositivi di protezione individuale rispondano a quanto previsto dal decreto legislativo n. 81/2008.
Si evidenzia, infine, che l’elenco delle aziende autorizzate contenuto nel decreto dirigenziale 15 gennaio 2014 sostituisce integralmente il precedente elenco allegato al decreto dirigenziale del 30 maggio 2013.

Eventi e Turismo Campania, tutti gli eventi finanziati per la sessione giugno 2014 – gennaio 2015

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Con decreto dirigenziale n. 142 del 3 aprile 2014, Regione Campania ha reso l’elenco dei progetti ammessi, finanziati e non ammessi da inserire in un programma eventi di risonanza nazionale ed internazionale da tenersi sul territorio regionale nel periodo giugno 2014 – gennaio 2015. Per la realizzazione degli eventi in detto periodo sono state predisposte risorse finanziarie per € 8.000.000 (incremento delle risorse deliberato con deliberazione della Giunta regionale n. 692 del 30.7.2012).

Tra i progetti finanziati, solo per citarne alcuni:

  • Premio Charlot 2014, Comune di Salerno;
  • Ischia Global Film & Music Festival 2014, Comune di Ischia;
  • Pomigliano Jazz in Festival, Comune di Pomigliano d’Arco;
  • Meeting del Mare 2014, Comune di Camerota;
  • Negro Festival 2014, Comune di Pertosa.

Il dettaglio dei progetti finanziati, ammessi e non ammessi nei documenti da scaricare.

 

ITALIA, EUROPA, MONDO SCEGLIERE PER CONTARE

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Presentazione del rapporto IAI sulla politica estera italiana

Mercoledì 16 aprile 2014
ore 11.00 – 13.00

Sala Piazza Monte Citorio, 123/A – Roma

Politiche Agricole: al via il programma Campo Libero, piano di azioni per l’agroalimentare italiano

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Il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali  (Mi.P.A.A.F.)ha annunciato l’attivazione un piano d’azioni per l’agroalimentare italiano. Diciotto sono le linee di intervento che potranno essere implementate tenendo conto anche dei suggerimenti dei cittadini. Chi ha interesse a contribuire alla programmazione degli interventi può scrivere al seguente indirizzo e-mail: campolibero@mpaaf.gov.it. Saranno valutate le proposte inoltrate fino al 30 aprile 2014.

Di seguito le prime 18 azioni sulle quali poter intervenire.

Competitività e Lavoro

  • Mutui a tasso zero per imprese agricole condotte da giovani under 4;
  • Incentivi all’assunzione di giovani;
  • Stabilizzazione ed emersione dei rapporti di lavoro;
  • Credito d’imposta per e-commerce;
  • Credito d’imposta per piattaforme distributive all’estero;
  • Termine per l’attuazione della legge sull’etichettatura e avvio consultazione pubblica;
  • Taglio dei costi Enti e Società vigilate dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali;
  • Avvio Sistema nazionale consulenza aziendale agricola.

Semplificazioni

  • Registro unico dei controlli aziendali;
  • Apertura Società agricola in 60 giorni (riduzione dei tempi del silenzio assenso);
  • Estensione generalizzata della diffida prima delle sanzioni amministrative pecuniarie;
  • Semplificazioni per la vendita diretta;
  • Sportello telematico automobilistico anche per settore agricolo;
  • Semplificazioni per settori biologico e vitivinicolo;
  • Dematerializzazione registri carico/scarico per diversi prodotti;
  • Estensione della possibilità di adempimento volontario laddove è già consentito il pagamento in misura ridotta.

Sicurezza

  • Rafforzamento azioni per interventi nella Terra dei fuochi;
  • Più poteri di confisca dei beni contro chi trae profitto dal traffico illecito di rifiuti.

 

Che fare con Renzi? Guerra civile!

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Matteo-Renzi1-massone E’ ormai a tutti noto il fuorionda fra Giovanni Toti e Maria Stella Gelmini sul pensiero attuale di Silvio Berlusconi su Matteo Renzi, in relazione al quale non saprebbe cosa fare se allearsi o combatterlo. Se fossimo in lui lo combatteremmo.

Ormai Silvio Berlusconi si dovrebbe essere rassegnato a un eterno conflitto fra lui e un grande potere occulto internazionale che lo opprime e lo perseguita da anni. Già nel 1995 Silvio Berlusconi chiedeva il salvacondotto giudiziario e dunque sapeva a che cosa andava incontro solo per aver appoggiato in passato l’odiatissimo Bettino Craxi. Odiatissimo diremo un’altra volta perchè.

rothschild_rockefellerSullo sfondo di Matteo Renzi si staglia ancora una volta l’ombra sinistra dei suoi nemici di sempre e cioè la grande Massoneria che sostiene i grandi banchieri anglo-americani Rothschild e Rockefeller, dinastie folli e criminali le quali, avvalendosi del loro enorme potere economico e utilizzando il loro braccio armato della Magistratura aderente alla massoneria delle logge coperte (in Italia ce ne sarebbero tre una a Roma, una a Firenze e un’altra a Milano) hanno realizzato un dominio del mondo pressochè assoluto ma che ora sta crollando letteralmente perché è giunto a una tale degenerazione che l’intera parte occidentale del pianeta rischia di andare allo scontro con Russia e Cina e di perderlo come a suo tempo avvenne per i romani contro i barbari.

1Le misure a prendersi contro Matteo Renzi dovrebbero essere – secondo noi – le stesse misure che a suo tempo Silvio Berlusconi prese contro Gianfrano Fini e poi quelle prese contro Mario Monti. Con successo. Anzi con grande successo. Matteo Renzi – lo ricordiamo ai lettori meno informati – è figlio di Terenzio Renzi, per anni esponente di rilievo della D.C. toscana e primo venerabile di tutta la Massoneria fiorentina e dunque verosimilmente collegato anche lui ai vari Rothschild e Rockefeller e compagnia cantante. Quand’era ancora più giovane Matteo Renzi era l’autista e il portaborse di Renzo Lusetti, il quale ora è un militante dell’UDC. E i mentori di Matteo Renzi sono gli imprenditori Diego Della Valle (Corriere della Sera) e Luca Cordero di Montezemolo (Italicus) i quali non tradiscono le loro doppie scarpe una con Matteo Renzi, l’altra con l’UDC, se non proprio con Monti.

renzi merkelCome è noto l’estate scorsa Matteo Renzi senza nemmeno informare l’allora segretario del P.D. l’ex comunista Remo Epifani ma tenendo al corrente il suo omologo democristiano nel P.D. Enrico Letta, si recò in Germania e andò a baciare la mano della Merkel, in segno di sottomissione. La Merkel allora aveva due altri agit-prop in Italia che si chiamavano Gianfranco Fini e Mario Monti, anche essi con al seguito due piccoli partiti. Mario Monti – lo ricordiamo – subentrò come primo ministro a Silvio Berlusconi, regolarmente eletto, attraverso un vero e proprio colpo di stato ordito dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano, d’intesa appunto con la Markel.

Quindi l’area Renzi, l’area Monti, l’area Fini (che suppongo la Merkel voglia resuscitare) sono aree politiche fra loro contigue, favorevoli alla permanenza dell’Italia nell’euro e nell’Unione Europea, aree che singolarmente contano poco, ma che, unite, tendono a formare un partito estremista neo-liberista di destra che più che un potenziale alleato di Forza Italia ne sarebbe il suo primo nemico. Oltre che essere il propinatore di un ulteriore disastro politico, economico e sociale per tutto il popolo italiano.

Matteo Renzi punta insomma a ripetere la sfida già vista alcuni anni fa intrapresa prima da Gianfranco Fini con Massimo Ciancimino e poi da Mario Monti con la nota vicenda dello spread.

Contrariamente alla valorosa Magistratura di Palermo che fece fallire il piano Ciancimino-Fini, la militarizzata, mitizzata e santificata Magistratura di Milano dovrebbe dare ancora una volta il suo prezioso contributo ai golpisti merkeliani. E’ noto infatti come Rothschild, Rockefeller e massoneria deviata e coperta, trovino un valido supporto in numerosi magistrati massoni o filo-massoni, prezzolati, corrotti e politicizzati di questa povera, serva Italia di dolore ostello non donna di provincia ma bordello. La Rete ci informa che a Milano al tempo delle stragi (quinquennio 1989 -1993) su un organico di cinquanta magistrati in Procura a Milano, ce ne erano almeno sei iscritti a logge coperte della massoneria alle dipendenze dei vari Rothschild, Rockefeller e compagnia cantante. Quali erano questi Magistrati? I nomi – pensiamo noi – sono gli stessi che furono denunciati da Pierluigi Vigna perchè secondo questo valoroso Magiatrato coprivano l’autoparco milanese sicchìè Vigna li denunciò pubblicamente con un dossiere di 249 pagine. Tra questi Di Maggio Francesco (il quale, benchè giovanissimo oltre che essere fra i Magistrati che proteggevano la struttura mafiosa dell’Autoparco Milanese, era nelle inchieste più importanti della Procura di Milano, era nell’Alto Commissariato per la lotta alla mafia era nella trattativa Stato-Mafia, era insomma dappertutto), A Taranto in quello stesso periodo la Procura della Repubblica del luogo era retta da un Magistrato il quale addirittura ha poi scritto un libro su “I simboli della Massoneria”. Le frequentazioni massoniche di Giovanni Tinebra all’epoca Procuratore della Repubblica di Caltanisetta e artefice del depistaggio Scarantino, furono denunciate pubblicamente da Luigi De Magistris, il quale finì come finì. E non è ancora detto come finirà. Perché il partito che lo sosteneva (l’I.D.V.) è stato stranamente azzerato.

ayalaLa mano lesta di Giuseppe Ayala tesa a far sparire l’agenda rossa di Paolo Borsellino è ormai nota a tutti. Parliamo quindi di Magistrati discussi forse venduti, i quali occupavano e occupano ancora posti apicali all’interno della Magistratura (a riprova del fatto che depistare paga) e hanno coperto e coprono ancora i criminali e i crimini che servono questa cupola mondiale, bancaria e non.

boccassiniQuesta Magistratura discussa, depravata e venduta finge ogni giorno di non vedere la criminalità di organizzazioni come il bilderberg, la trilatere, l’aspen isitute, che ancora oggi fabbricano e smerciano ogni giorno titoli tossici in quantità (in Italia solo la Procura di Trani persegue i relativi reati) titoli all’acquisto dei quali spesso le banche subordinano la concessione dei prestiti, facendo poi fallire centinaia e centinaia di imprenditori onesti, laboriosi e geniali.

Un’accolita di depravati e di accattoni quella di questi Magistrati che rende possibile la esistenza e l’operatività di queste organizzazioni criminali, che tuttavia non si sarebbero mai così grandemente sviluppate se i Rothschild e i Rockefeller non li avessero sostenuti da circa 300 anni, per farne il loro braccio armato.

Il potere giudiziario e il potere bancario corrotto si sono sempre intruppati in questa unica cosca planetaria supportata ‘moralmente’ da una burocrazia politica altrettanto corrotta, nell’ambito di un controllo totale del sistema che, ai più alti livelli, se non sei massone, filo-massone, bilderberghino, trilaterino, aspenino ecc. non potrai mai essere nessuno oppure se sei contro, diventi un perseguitato come è già accaduto per Silvio Berlusconi, per Bettino Craxi, per Sergio Castellari, per Raul Gardini, per Gabriele Cagliari e per altri ancora e come sta accadendo in questi giorni per Marcello Dell’Utri e forse adesso anche – addirittura – per Massimo D’Alema se non se la smette di impedire l’elezione a presidente della repubblica del neo-liberistia estremista di sinistra Romano Prodi e sentenziare che se l’Europa è quella che si vede oggi, l’Europa della recessione, della disoccupazione, della eliminazione dello stato sociale allora è giusto che la gente la bestemmi. Musica per le nostre orecchie.

Che cosa fare dunque con Matteo Renzi? Una cosa sola, rispondiamo noi: la guerra civile! E subito!
Michele Imperio

Sulla natura giuridica delle soglie di punibilità di cui al D.Lgs. 74/2000

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Massima

Le soglie di punibilità previste per i reati tributari dal D.Lgs. n. 74/2000 hanno natura di elementi costitutivi del reato e non di condizioni obiettive di punibilità. Da ciò deriva che tali soglie devono essere ”investite” dal dolo, per cui se l’imputato non e’ consapevole di averle superate, non può essere condannato.

Il commento

1. Con la sentenza numero 42868 della terza sezione penale (in basso è disponibile il download delle motivazioni), la suprema Corte torna ancora una volta ad affrontare la questione della natura giuridica da riconoscere alle cd. soglie di punibilità previste dai delitti in materia di dichiarazione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 (oggetto del presente procedimento era, in particolare, l’art. 3 relativo alla dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici).
E’ noto, infatti, che nell’ambito di alcuni reati tributari (tra i quali proprio quello di cui al D. Lgs. 74/2000, art. 3) il legislatore conferisce rilevanza penale al fatto solo quando vi è il superamento di determinate soglie quantitative; tali soglie – definite come soglie di punibilità – hanno da sempre posto il problema della loro natura giuridica, tra chi sostiene che siano elementi costitutivi del reato e chi, al contrario, sostiene siano ipotesi da far rientrare tra le cd. condizioni obiettive di punibilità di cui all’art. 44 c.p.

2. Prima di vedere come la questione è stata risolta dal collegio, ricapitoliamo brevemente i fatti: la Corte di Appello – nel confermare la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale per il reato di concorso in dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici – riteneva non fondata la tesi dell’imputato (basata sulla natura di elementi costitutivi del reato e sulla mancanza, nel caso di specie, del dolo specifico consistente nella consapevolezza del raggiungimento della soglia di punibilità) e sposava l’orientamento minoritario secondo cui non si tratterebbe di elementi costitutivi del reato, bensì di condizioni obiettive di punibilità il cui verificarsi, dunque, non deve rientrare nell’ambito della rappresentazione volitiva dell’agente.
Ricorreva per cassazione l’imputato denunciando erronea applicazione della legge penale con riferimento al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, e art. 44 c.p., nonchè in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3 e artt. 42 e 43 c.p., nel punto in cui definisce le soglie di punibilità: dette soglie – secondo il ragionamento del ricorrente – non hanno natura di condizione di punibilità, ma sono elementi costitutivi del reato, sicchè sarebbe pertinente la censura sull’esclusione della loro rilevanza al fine del vaglio dell’offensività e della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, dovendo essere accertato se l’imputato avesse avuto non solo l’intenzione di indicare elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, ma anche di indicarli in misura superiore alla soglia di punibilità.

3. I giudici di legittimità hanno accolto, solo sul piano teorico, l’impostazione del ricorrente.
La questione, come accennato, consiste nello stabilire se il superamento della soglia medesima costituisca un elemento costitutivo del reato (con la conseguenza che, in mancanza di dolo, il superamento della soglia non determina la commissione del reato), oppure se debba essere fatto rientrare tra le cd. condizioni obiettive di punibilità di cui all’art. 44 c.p. (con la diversa conseguenza che il superamento della soglia comporterà in ogni caso la sussistenza del reato).
La pronuncia in annotazione – diversamente da quanto sostenuto dalla Corte di Appello – aderisce al prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale le soglie di punibilità avrebbero natura di elementi costitutivi del reato e non di condizioni obiettive di punibilità: di conseguenza, anche tali soglie – come tutti gli altri elementi costitutivi del reato – devono essere “investite” dal dolo, per cui se l’imputato non e’ consapevole di averle superate, non può essere condannato.
Tale soluzione, in particolare, pare confermata sia dal chiaro tenore della relazione Governativa di accompagnamentoal D.Lgs. n. 74 del 2000 (che espressamente qualifica in tal senso le due soglie), sia dall’orientamento delle Sezioni Unite del 12 settembre 2013, n. 37424, che hanno qualificato le soglie di punibilità come elementi costitutivi del reato.
Tra le pronunce in senso contrario v. Cass. Pen., Sez. III, n. 25213 del 26/05/2011, in Fisco, 2011, 29, 4715 secondo cui «nel reato di omessa dichiarazione, il superamento della soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa costituisce una condizione oggettiva di punibilità, come tale sottratta alla rappresentazione del fatto da parte del soggetto agente» o Cass. Pen., Sez. III, 16 gennaio 2003, n. 15164 in Riv. Pen., 2004, 134 secondo cui «la condizione che dal fatto derivi una evasione mensile non inferiore a cinque milioni di lire per la configurabilità del reato di cui all’art. 37 della legge 24 novembre 1981 n. 689, che punisce il datore di lavoro che omette registrazioni o denuncie obbligatorie o esegue denunzie false al fine di evadere i contributi previdenziali, costituisce una condizione oggettiva di punibilità, atteso che inerisce ad un limite quantitativo dell’evento».

Terra dei fuochi: il nuovo delitto di combustione illecita di rifiuti

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Il d.l. 10 dicembre 2013, n. 136, convertito in legge, con non trascurabili modificazioni, dalla legge 8 febbraio 2014, n. 6 recante “Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate”, è il provvedimento con cui il Consiglio dei Ministri è intervenuto per affrontare la situazione di degrado ambientale che interessa, ormai da anni, quella porzione di territorio nazionale tristemente nota con l’appellativo di terra dei fuochi.

La vicenda si colloca nell’ambito della più ampia riflessione sull’ormai ventennale “emergenza rifiuti” nella quale è stretta la Regione Campania, ed in particolar modo le province di Napoli e Caserta.

Allo scopo di porre un argine al drammatico fenomeno dei roghi di rifiuti, e di preservare la sicurezza delle produzioni agricole, la riforma ha inciso su molteplici aspetti, prevedendo per un verso interventi atti a garantire la sicurezza del comparto agroalimentare della Regione Campania ed il monitoraggio e la tutela dei territori della medesima Regione e, per altro verso, introducendo nel Testo unico dell’ambiente il novello art. 256 bis, che disciplina il delitto di combustione illecita di rifiuti.

Il presente contributo si propone di sottoporre a vaglio critico la nuova figura delittuosa tanto sotto il profilo formale quanto sotto quello contenutistico.