Le elezioni europee sono state caratterizzate da due novità di rilievo: la crisi che ha colpito, ma non affondato, il progetto comunitario, provocando l’evaporazione del consenso popolare verso l’Unione e la decisione dei partiti europei di scegliere il proprio candidato alla presidenza della Commissione.
Nel caso della crisi, i governi hanno compiuto l’azzardo di ritenere che i debolissimi segnali di ripresa avrebbero spinto gli elettori a dimenticare il livello elevato della disoccupazione, l’annientamento dello stato del benessere, le asimmetrie sociali e le tensioni fra governi.
Apparente governo europeo
Nel caso della scelta dei candidati alla presidenza della Commissione invece, i partiti europei hanno compiuto l’azzardo di ritenere che questa forzatura – in un sistema ancora a metà strada fra Vestfalia (il potere agli Stati) e Westminster (il potere al Parlamento) – avrebbe rafforzato la dimensione politica dell’Unione.
L’elevata astensione (57% di non votanti, senza calcolare schede bianche o nulle), la crescita dei movimenti euro-ostili e di partiti euro-critici, il rovesciamento di almeno una dozzina di maggioranze da sinistra a destra e da destra a sinistra sono stati i segni inequivocabili della distanza enorme fra governanti e governati.
Questa distanza non è stata colmata dalle candidature alla presidenza della Commissione. La grandissima maggioranza dei partiti nazionali ha deciso di non stare al gioco dei partiti europei (avete sentito Matteo Renzi, Angelino Alfano o Silvio Berlusconi rivendicare i meriti europei di Martin Schulz, candidato del Partito socialista europeo, o Jean Claude Juncker, candidato del Partito popolare europeo?).
Gli elettori non hanno mostrato alcun interesse all’apparente scontro fra apparenti candidati alla guida di un apparente governo europeo. Il dibattito elettorale – laddove non si è perso nelle diatribe nazionali – si è concentrato sulla dimensione delle politiche europee e sulla dimensione politica dell’Unione.
Nodo Juncker
È totalmente astratta la campagna di chi dice: “Juncker (che non si è candidato alle elezioni europee come Tsipras, tutti e due ben avvinghiati al loro seggio nazionale, ndr) è stato scelto dalla maggioranza degli elettori europei e spetta a lui la presidenza della Commissione”.
Risibile è poi l’opinione di chi sostiene che, se cade Juncker, la carta passa a Schulz e via di seguito con gli altri quattro candidati come se il fatto di essere stati scelti nei congressi di confederazioni europee di partiti nazionali li abbia tutti unti con l’olio santo della democrazia europea.
Sembra che Juncker voglia iniziare un tour de force per consultare i capi-gruppo uscenti al Parlamento europeo (Pe), fra i quali troviamo – oplà, il gioco è fatto! – anche Schulz che si è dimesso da presidente dell’uscente Pe per partecipare a queste inedite consultazioni.
Consultazioni che Juncker, ex-primo ministro lussemburghese ed ex-presidente dell’Eurogruppo, ha deciso di avocare a sé (sottraendole a Van Rompuy) sostenuto dal suo sfidante Schulz che dice di agire per ragioni istituzionali.
Ricetta per la dimensione politica dell’Ue
Per contribuire al rispetto dello spirito dei trattati, creando contemporaneamente nuovi spazi alla democrazia europea in statu nascendi, l’Ue deve seguire la seguente road map.
a) Il Consiglio europeo del 26-27 giugno discute sul metodo per arrivare a formulare la proposta di un candidato alla presidenza della Commissione e sul suo profilo “tenuto conto delle elezioni europee”.
b) Nel Pe, durante e dopo la sessione costitutiva del 1°-2 luglio, viene verificata l’esistenza di una possibile coalizione intorno al nome di un candidato e a un programma di governo per la legislatura.
c) Il presidente del Consiglio europeo constata, durante “appropriate consultazioni”, l’esistenza di una possibile ampia maggioranza intorno a un nome e un programma.
d) Il Consiglio europeo propone a maggioranza qualificata (doppia: ponderata e di governi) il nome del candidato alla presidenza della Commissione secondo le indicazioni emerse dalle consultazioni.
e) Il candidato-presidente incontra i gruppi politici. I partner dell’eventuale coalizione gli sottopongono quattro condizioni da cui fanno dipendere la sua elezione: un programma che rappresenti il massimo comun divisore fra culture e priorità dei partiti che faranno parte della maggioranza; la composizione di un collegio che sia coerente con la coesione della maggioranza (per dirla in chiaro: se i conservatori britannici o i popolari ungheresi e svedesi o i liberali olandesi non votano “sì” non poss0no avere un commissario); l’attribuzione dei portafogli non per rispettare equilibri nazionali, ma per collegarli a un nuovo modo di far politiche nell’Unione (sarebbe opportuno unificare energia e ambiente o avere un commissario per il Mediterraneo); l’impegno ad agire per rafforzare il ruolo politico della Commissione ora a trattato costante, ma aprendo la strada ad una riforma del sistema.
f) Il candidato-presidente ottiene la maggioranza assoluta dei membri del Pe.
Così nasce la dimensione politica dell’Unione.