Bruxelles – L’allargamento dell’Unione Europea torna sotto i riflettori, questa volta con le conclusioni del Consiglio Affari Generali UE che si allinea al pacchetto di allargamento pubblicato dalla Commissione Europea lo scorso 30 ottobre. I progressi dei Paesi candidati all’adesione – Albania, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina – sono stati analizzati uno per uno dai 27 Stati membri, con luci e ombre che evidenziano il ritmo disomogeneo delle riforme.
In generale, pur ribadendo l’impegno per l’allargamento e la necessità di rispettare i criteri di Copenaghen (i parametri fondamentali per entrare nell’UE), il Consiglio ha espresso preoccupazione per l’allontanamento di alcuni Paesi candidati dal percorso europeo, soprattutto in politica estera, diritti umani e Stato di diritto.
Moldova e Montenegro in testa, ma gli altri arrancano
Un plauso arriva per la Moldova, definita “fuoriclasse” nei progressi verso l’adesione. Il Paese ha dimostrato un impegno significativo nelle riforme economiche, nel rispetto dei diritti umani e nella tutela delle libertà fondamentali. Anche il Montenegro si distingue per i miglioramenti costanti e la coerenza delle riforme.
Situazione più complessa per altri candidati. L’Albania è ancora indietro, soprattutto per quanto riguarda la libertà di espressione e l’‘accesso ai media’, sebbene si notino lievi progressi. Peggio fa la Bosnia-Erzegovina, dove le riforme risultano ferme al palo e i diritti umani restano una questione critica. Anche la Macedonia del Nord è in affanno: nonostante abbia inserito l’integrazione europea come obiettivo strategico, i progressi pratici sono insufficienti rispetto alle attese.
Serbia, Turchia e Georgia: i “casi spinosi”
I problemi più gravi emergono con Serbia, Turchia e Georgia, già finite sotto la lente della Commissione Europea e ora nuovamente criticate dal Consiglio. Questi Paesi mostrano un’inquietante vicinanza a Mosca, uno scenario mal tollerato dall’Unione Europea, impegnata a sostenere l’Ucraina nel conflitto contro la Russia.
Per la Serbia, oltre all’allineamento con Mosca, resta irrisolta la questione della normalizzazione dei rapporti con il Kosovo. Il Consiglio ha chiesto a Belgrado di “rispettare gli impegni presi” e accelerare le riforme per risultati “concreti e tangibili”.
La Turchia, dal canto suo, vive un limbo permanente. Sebbene sia stato riconosciuto un buon livello di cooperazione con l’UE sui flussi migratori, il processo di adesione resta congelato dal 2018. La vicinanza tra Erdogan e Putin, unita a gravi problematiche su democrazia, Stato di diritto e alla storica questione cipriota, continua a pesare enormemente. La situazione è definita “persistente e profondamente preoccupante”.
La situazione in Georgia appare altrettanto tempestosa. La vittoria del partito filorusso Sogno Georgiano, guidato dall’oligarca Bidzina Ivanishvili, ha allarmato Bruxelles. La distanza tra governo georgiano e posizioni europee appare sempre più ampia, tanto che il Consiglio ha espresso rammarico per la decisione di sospendere il processo di adesione fino al 2028. Una scelta in netto contrasto con la volontà europeista di gran parte della popolazione georgiana.
Ucraina: un caso a parte
Discorso diverso per l’Ucraina, il cui percorso europeo è inevitabilmente condizionato dalla guerra in corso. Nonostante il conflitto, i progressi registrati nel campo delle riforme economiche e della governance sono stati accolti positivamente, riconoscendo lo sforzo straordinario del Paese guidato da Volodymyr Zelensky.
Il messaggio del Consiglio: responsabilità e credibilità
Alla vigilia di un nuovo Vertice UE-Balcani occidentali e del Consiglio europeo, il messaggio dei leader dei 27 Stati membri è chiaro: i Paesi candidati devono dimostrare responsabilità politica, credibilità degli impegni presi e progressi tangibili. La strada verso l’allargamento rimane complessa e accidentata, ma per chi saprà rispettare i valori e le regole dell’UE, il traguardo resta a portata di mano.