Oggi, 3 dicembre 2024, si conclude uno dei processi più seguiti d’Italia, quello a carico di Filippo Turetta, reo confesso dell’omicidio brutale di Giulia Cecchettin, avvenuto l’11 novembre 2023. La Corte d’Assise di Venezia è chiamata a pronunciarsi su una condanna che, salvo imprevisti, potrebbe essere l’ergastolo, richiesto dalla Procura per un caso che ha sconvolto il Paese e acceso i riflettori sulla piaga dei femminicidi.
Giulia Cecchettin, 22 anni, è stata vittima di una morte atroce: 75 coltellate inferte da Turetta, con le prime a soli 150 metri dalla sua abitazione tra Vigonovo e Fossò. Il corpo è stato poi abbandonato in Friuli, presso il lago di Barcis, dopo un tentativo fallito di suicidio da parte dell’assassino. La successiva fuga all’estero si è conclusa in Germania, dove Turetta è stato arrestato e rimpatriato in Italia con un volo militare.
L’omicidio si è distinto per la sua efferatezza e per la chiarezza con cui i fatti sono stati documentati, dalle premesse alle tragiche conseguenze. La lista degli strumenti trovata in possesso di Turetta – coltelli, scotch, sacchi della spazzatura, una corda – dimostra la pianificazione del delitto, elemento che il pubblico ministero Andrea Petroni utilizza per sostenere l’aggravante della premeditazione.
La Procura di Venezia ha richiesto la massima pena, l’ergastolo, motivando la sua richiesta con tre aggravanti: premeditazione, crudeltà e stalking. L’accusa descrive Turetta come pienamente consapevole e deciso nel suo piano omicida, dimostrato anche dalle 25 ferite da difesa sul corpo di Giulia, che testimoniano il disperato tentativo della giovane di salvarsi.
La difesa, tuttavia, insiste sull’instabilità emotiva e sull’indecisione del giovane, sostenendo che la lista trovata sia segno di confusione e non di pianificazione fredda. Inoltre, la difesa cerca di ridimensionare l’accusa di stalking, affermando che, pur essendo ossessivo nei confronti della vittima, Giulia non ha mai cambiato le sue abitudini, accettando persino di uscire con lui la sera dell’omicidio.
La vicenda ha scosso profondamente l’opinione pubblica, rappresentando l’emblema delle relazioni tossiche e delle tragiche conseguenze di una cultura che ancora non riesce a debellare la violenza di genere. Il caso ha evidenziato come, anche in contesti considerati benestanti e culturalmente avanzati, la rottura di una relazione possa sfociare in un’escalation di violenza mortale.
Il padre di Giulia, Gino Cecchettin, ha trasformato il dolore per la perdita della figlia in un impegno attivo nella lotta contro i femminicidi, istituendo una fondazione dedicata alla sua memoria. Il suo obiettivo è portare avanti un cambiamento culturale e giuridico che renda le pene per questi crimini più gravi e certe.
Nel frattempo, Filippo Turetta vive in una sezione protetta del carcere di Verona. Secondo fonti interne, il 22enne si dedica allo studio dell’inglese, suona in una band carceraria e si allena in palestra. Ha la possibilità di proseguire i suoi studi in ingegneria biomedica, anche se la sua futura libertà rimane un’ipotesi remota.
Oggi, l’ultima udienza offrirà a Turetta l’opportunità di dichiarazioni spontanee, se deciderà di intervenire. Una volta concluso il dibattimento, i giudici togati e popolari si ritireranno per decidere il verdetto, che sarà accolto con estrema attenzione da un Paese che spera in una condanna esemplare.
Questo caso ha assunto un valore simbolico nell’ambito della lotta contro la violenza di genere, riaccendendo il dibattito sulla necessità di misure più efficaci per prevenire i femminicidi, che in Italia continuano ad avvenire a un ritmo drammatico. Il nome di Giulia Cecchettin si è unito a quello di altre vittime, diventando un monitor per la società e un richiamo a un impegno più concreto contro questa piaga.