3 Ottobre 2024, giovedì
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Riconsiderare l’Europa: Verso una Riforma Federale in un contesto di frammentazione

A cura di Ionela Polinciuc

In un’epoca di sfide globali e crescente frammentazione sociale e politica, il futuro dell’Unione Europea è al centro di un acceso dibattito. Ho avuto l’opportunità di intervistare l’avvocato Francesco Petrillo, che ha condiviso una riflessione illuminante su un tema cruciale: la necessità per l’Europa di superare la sua attuale mancanza di statualità.

Secondo Petrillo, l’assenza di una reale identità collettiva europea e di una dimensione comunitaria potrebbe compromettere la stabilità dell’Unione, già messa a dura prova da conflitti interni e tensioni geopolitiche. Durante la nostra conversazione, ha analizzato con profondità le dinamiche politiche, culturali e sociali che caratterizzano l’UE, sostenendo che una riforma post-elettorale possa essere la chiave per affrontare le sfide attuali e gettare le basi per una cooperazione più solida tra le nazioni europee.

Petrillo ha proposto un modello di federalismo che, pur rispettando l’autonomia nazionale, promuova un’architettura statale comune. Questo approccio, secondo lui, sarebbe necessario per ricostruire un senso di appartenenza e identità condivisa tra i cittadini dell’Unione Europea.

Avv. Petrillo: qual è la Sua opinione sul concetto di “Europa senza statualità” e quali potrebbero essere i vantaggi e gli svantaggi di un’Unione Europea meno centralizzata?
La ringrazio per una domanda che ricalca il titolo di un mio volume scritto circa dieci anni fa. In realtà, come cerco di spiegare nel mio libro un’Europa senza una spiritualità di comunità e quindi di statualità è, fin dalla sua fondazione, destinata a non durare. Senza costruire una dimensione di comunità gli apparati sono destinati a sgretolarsi fin dalle prime difficoltà, cioè guerre più che crisi economiche, scelte politiche più che scelte amministrative.
Quali sono le principali sfide che l’Unione Europea affronta attualmente e come potrebbero essere attraverso una riforma post-elezioni europee?
La riforma è impensabile se non si traccia una linea politica per l’Europa e cioè quali sono le scelte comuni di fondo che si vogliono fare tutt’insieme su ambiente, politica territoriale, politiche migratorie, rapporti con i popoli non appartenenti all’UE. Non credo sia possibile alcuna riforma allo stato delle cose.
Quali sono le aspettative conseguenti alle elezioni europee e quale potrebbe essere l’impatto di queste elezioni sul futuro dell’Unione Europea?
Credo, lo dico con grande umiltà, ma anche con profonda convinzione, che queste ultime elezioni non avranno alcun impatto sul futuro dell’UE. Si prende le mosse da premesse politiche ormai datate e inattuali e non riesco ad immaginare come tali premesse possano permette conseguenze diverse da quelle del passato.
Quali la Sue proposte per una riforma dell’Unione Europea e come potrebbero influenzare il processo di integrazione europea?

Sul punto ho scritto fin troppo nel mio libro, cercando di individuare, dopo un’analisi destruens, la possibile prospettiva costruens, dieci anni fa, della strutturazione possibile di un unico stato europeo, di dimensione federale, con politiche comuni e soprattutto sostrato spirituale comune, inteso come comunanza ragionata e direzionata dello stare insieme su un territorio. Rilevavo come, per l’Europa la dimensione statuale necessaria non fosse quella giuridico-amministrativa, ma quella dell’accettazione politica dell’essere parte di uno stato unitario, giuridicamente federale o, anche no, da parte di ciascun cittadino europeo. Il problema per me allora era quello di formare e costruire la comunità in tal senso piuttosto che soltanto nella direzione finanziaria e contabile. Credo, a distanza di dieci anni, che sia ormai un pò tardi. Le guerre in Europa sono tornate e di fronte alla frammentazione dello scontro tra popoli è difficile ricominciare a tessere sostrati politico-culturali comuni. Se la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi, anche la guerra non è altro che il definitivo modo idoneo a sanzionare la cessazione della
Come potrebbe essere conciliata la necessità di maggiore autonomia delle nazioni europee con la cooperazione e l’integrazione europea?
La questione era da me stata approfondita nel mio volume e ne ho ridiscusso di recente occupandomi dell’ideologia indottrinante del Manifesto di Ventotene. In realtà, la premessa costruens è da rivedere. Se la statualità, intesa come struttura sintetizzante gli interessi di un popolo su un determinato territorio, rimane in testa a ciascuno stato, anche nei sistemi federali diventa difficile l’integrazione. Si pensi agli Stati Uniti d’America. I cittadini, a partire dalla Dichiarazione delle Colonie, sono concordi, a prescindere dagli stati di provenienza, su cosa significhi essere Americani. Poi, i singoli Stati possono avere leggi diversi su divorzio, aborto, etc. La soluzione sta nel fatto che essere della Florida significa comunque avere una statualità americana. Non mi pare, invece, che un Polacco si senta Europeo quanto un Francese! Perché?
Perché non c’è una comune statualità europea. Dunque, per un’integrazione maggiore, bisogna lavorare sulla statualità. Lo stato europeo deve contenere le autonomie dei vari Paesi. Anche sul piano del diritto costituzionale e amministrativo, in tal modo si faciliterebbero le cose. Lo stato può concedere un’autonomia – amministrativa per esempio -, ma è difficile che un Paese autonomo dallo stato riconosca un’autorità amministrativa cogente esterna a sè. E’ un pò l’a,b,c, ma sfugge alla politica e alle consulenze giuridiche troppo strumentali al potere politico. Intendo quello vero, quello effettivo, non quello degli eletti al Parlamento europeo.
Qual è il ruolo dell’Italia all’interno di un’Europa senza statualità e come potrebbe contribuire alla riforma dell’Unione Europea?
La migliore partecipazione dell’Italia all’Europa si è determinata, in questi anni, nell’attività di formazione. L’Europa e la statualità europea appartengono alla sfera dell’educazione. Meglio dell’Italia, in tal senso, ha fatto solo la Spagna. Un grande politico, che, più tardi, la storia comincerà a riconoscere fino in fondo per la visione politica di grande prospettiva, José Aznar, dalla metà degli anni ’90 dello scorso secolo ha compreso meglio di tutti i politici europei cosa potesse diventare l’UE per il suo Paese, come potesse essere utilizzata per cambiare la gente, per produrre un upgrade, dal cittadino spagnolo al cittadino europeo. Gli Spagnoli forse ancora non hanno capito fino in fondo cosa ha fatto Aznar, ma, sta di fatto, che la Spagna, oggi, è UE dal punto di vista cultura, molto più di tanti Paesi del CentroEuropa. Ma su questo si dovrebbe approfondire e lo spazio di un’intervista non è sufficiente. Sta di fatto che fare la statualità è più difficile che fare lo Stato.
Non sono il primo a dirlo. Non sarò nemmeno l’ultimo.
Il Federalismo su quale strada ci conduce? E’ modello di semplice libertà o di vera democrazia?
Sul federalismo come fides da rapportarsi al federalismo come foedus ho scritto tanto, forse troppo.
E mi permetto di rimandare ai miei lavori. In questa sede finirei per semplificare troppo. Mi pare, però, che la storia abbia ormai dimostrato quanto all’Europa servisse fin dalla sua nascita un federalismo come fides piuttosto che un federalismo come foedus, del tutto inutile a risolvere le questioni che oggi incombono sulle popolazioni europee, a noi tutti fin troppo note. Come si dice? I soldi sono importanti, ma a cosa servono se ti manca l’acqua nel deserto?

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