8 Settembre 2024, domenica
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Lavoro per i detenuti una risorsa per la società civile 

A cura di Alfredo Mariani 

Accendere una luce nel buio del carcere, un’oscurità da cui non sempre si torna indietro. Negli ultimi anni la scia di suicidi dietro le sbarre non si arresta, nei primi sette mesi dell’anno scorso si erano tolte la vita 34 persone detenute, mentre sono 56 nello stesso periodo del 2024, una ogni tre giorni. Dalla notte dell’anima e della vita, in celle spesso sovraffollate dove il tempo non scorre ma sembra dilatarsi o addirittura fermarsi, è possibile anche rivedere il giorno. La possibilità di tornare a essere un membro della società, utile a sé stesso e agli altri, capace di garantirsi un’autonomia economica e sociale e condizioni di vita dignitose, è il raggio di sole che spunta all’alba. Permettere a chi è recluso di imparare una professione e metterlo in contatto con le realtà esterne alle mura del penitenziario che possono trasformarsi in opportunità di lavorofa parte del trattamento rieducativo previsto dall’articolo 27 della Costituzione. E’ l’occasione che viene data a undici reclusi nella casa circondariale di Como, diventare operai specializzati nella realizzazione di quadri elettrici.

Sovraffollamento e recidiva

Carcere affollato, quello lariano, dove i detenuti (433) sono quasi il doppio dei posti regolamentari (226). Problema che non riguarda solo questo istituto, perché il sovraffollamento delle carceri italiane è ormai un fenomeno strutturale. Attualmente la popolazione detenuta è di 61.480 persone a fronte di una capienza di 51.234. Più della metà probabilmente ha già conosciuto la vita in cella. Secondo uno studio realizzato da Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) ed European House Ambrosetti, sei detenuti su dieci aveva già scontato una pena in carcere. E’ la cosiddetta recidiva, cioè quando dopo una condanna si commette un altro reato. Se non cambiano le condizioni che hanno portato alla detenzione, quella persona potrebbe continuare a delinquere magari per sopravvivere. La recidiva però può essere abbattuta fino al 2%, sempre secondo il rapporto, se si trova un impiego.

Detenuti lavoranti

L’occupazione può essere sia alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria sia di soggetti esterni, come cooperative sociali e imprese, che possono organizzare corsi e laboratori per la formazione di persone detenute che assumerle con stipendio, malattia e contributi. Al 31 dicembre 2023 i reclusi lavoranti erano circa un terzo del totale, 20.071, di cui tremila e ventinove dipendenti da soggetti esterni. Da qui all’inverno, il gruppo del carcere comasco può contare sull’opportunità offerta da una rete solidale che lega banche, aziende e associazioni.

Visione del futuro

A partire da un’idea di don Gino Rigoldi, storico cappellano del carcere minorile milanese “Beccaria”, il gruppo bancario Intesa Sanpaoloha deciso di sostenere le attività della casa circondariale lariana e dagli incontri con le istituzioni e le realtà del territorio si è deciso di investire in un progetto che permettesse ai detenuti di vedere di nuovo un futuro. “Si è pensato di proporre un impiego qualificato spendibile sul mercato del lavoro”, spiega a Interris.it Laura Telloni, referente di area dei progetti sociali della Cooperativa Ozanam di Saronno, nel varesotto, “perché siamo in una zona abbastanza ricca di attività industriali che richiedono professionalità specifiche”. Si opta per la figura del tecnico cablatore. Insieme al carcere, alla coop e alla banca prendono parte al progetto l’azienda MekTech di Giussano (Monza-Brianza) e il Centro servizi per il Volontariato dell’Insubria.

Il progetto

I lavoratori sono selezionati dagli educatori del Bassone tra chi non ha una luna pena da scontare, a partire da competenze pregresse e attitudini personali, per seguire un corso di formazione per tecnico cablatore ed elettricista, con il rilascio di un attestato di partecipazione e la qualifica. Un primo passo, perché praticamente nessuno di loro ha un’esperienza pregressa di elettricista, per studiare i disegni dei quadri elettrici e conoscere gli elementi da montare, come pulsantiere e pannelli, per poi realizzarne uno di collaudo e infine produrli per gli impianti dell’azienda brianzola. “Fanno un tirocinio con la nostra cooperativa e dopo la teoria c’è la pratica. Già si occupano, in parte, dei prodotti da consegnare all’azienda partner”, illustra Telloni. La speranza di un domani migliore ha bisogno di un po’ di novità darsi la spinta. Gli spazi che accolgono i detenuti lavoranti sono stati rinnovati e ampliati e in 180 metri quadri ci sono, oltre al laboratorio di cablaggio e assemblaggio, anche una palestra e un’aula di informatica a disposizione anche degli altri detenuti – “apportare migliorie a vantaggio di tutti è sempre un buon risultato”, nota la referente di Ozanam.

Sentirsi utili

In un luogo come il carcere l’emergere del lato umano commuove più che altrove, perché solitamente chi ci vive e ci lavora si ripara dietro una corazza in cerca di una protezione dalle difficoltà e dalle criticità di un posto dove si viene privati della libertà personale. Uno dei momenti emozionanti in quello di Como è avvenuto durante l’inaugurazione del progetto, quando ha preso la parola uno degli undici partecipanti. Racconta Telloni: “Uno dei ragazzi ha detto cose molto toccanti, grazie alla possibilità che gli viene offerta può guadagnare e acquistare da sé quello che gli serve senza sentirsi più un peso per la sua famiglia e la società”. “Chi riconosce l’importanza del lavoro su di sé e sul contesto che lo circonda non ti chiede per prima cosa quanto lo paghi, perché la cosa più importante è sentirsi utile e in grado di poter dare qualcosa”, aggiunge.

Spiccare il volo

Cosa c’è dopo questi sei mesi? chiediamo a Telloni. “Il secondo step del progetto sarà l’apertura a Saronno di un laboratorio di cablaggio per ospitare in una prima fase alcuni di loro e dargli modo di aprire le ali per spiccare il volo nel mercato del lavoro”, risponde. “Qualcuno sarà assunto dalla cooperativa in base alla produttività di un settore che a quel punto si dovrà autosostenere” – conclude – “la speranza è che trovino quanto prima una collocazione nel mondo del lavoro ‘normale’”.

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