8 Settembre 2024, domenica
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MELONI E LA SCELTA GIUSTA IN UE

A cura del Prof. Avv. Giuseppe Catapano

Occupiamoci di quali sono i riflessi, per l’Europa e per l’Italia, di questo importante passaggio politico francese (che a mio giudizio non segnerà la fine della Quinta Repubblica basata sulla settima versione della Costituzione, introdotta nel 1958, come invece molti soloni si sono affrettati a sostenere). Coloro che speravano che la vittoria dell’estrema destra in Francia potesse cambiare gli equilibri in Europa e archiviare nei libri di storia l’asse franco-tedesco su cui poggia, se ne facciano una ragione, e chi invece lo temeva si rassicuri: non accadrà. E ciò è tanto più importante perché accade proprio mentre l’autocrate ungherese Viktor Orbán da un lato raggruppa ed egemonizza (altro che Le Pen) tutte le destre radicali continentali, Lega italiana compresa, e dall’altro approfitta maramaldescamente della presidenza di turno dell’Unione per consolidare il suo servilismo putiniano e inaugurare quello trumpiano al grido “make Europe great again” (senza dimenticare la Cina).  

Quanto all’Italia, smaltita la doppia sbornia delle illusioni in salsa francese – con il voto, quella della destra vincente in Europa, e con il dopo voto, quella che la sinistra radicale possa andare al governo se non addirittura guidarlo – ora è sperabile che Giorgia Meloni sappia trarre tutti gli insegnamenti che la tornata elettorale continentale – europea, inglese, francese – offre. Il primo dei quali dovrebbe essere che la destra, così come la sinistra, se non costruiscono alleanze con il centro, non vincono e che la tentazione di fare un referendum su se stessi è l’idea più stupida che possa loro venire in mente. Come leggo da qualche fonte storica  “nelle democrazie parlamentari si deve essere capaci di tessere alleanze – vuoi nel programma, vuoi nelle urne, vuoi in Parlamento – a seconda dei diversi sistemi e chi rappresenta soltanto la propria tifoseria e non può avere alleati, giacché tutti gli altri lo schifano, perde o resta a far testimonianza di settarismo”.Un’ insegnamento di cui far tesoro riguarda la legge elettorale: quale che sia, funziona bene se è radicata nella storia e nelle tradizioni politiche del paese, se è consolidata e non si cade nella tentazione di cambiarla ad ogni cambio di maggioranza con l’idea di piegarla alle proprie convenienze (tra l’altro di solito è un boomerang), ma soprattutto se è coerente con il sistema politico-istituzionale che si è scelto. Ci sono tre sistemi consolidati a cui si può guardare: il tedesco, il francese e l’inglese; si scelga ciò che si preferisce – su cui c’è maggiore convergenza – ma per favore si eviti l’effetto mille colori  o, peggio, la pura invenzione.

Naturalmente anche la sinistra, e il Pd in particolare, dovrebbe riflettere su quanto è avvenuto. Quando Elly Schlein si infervora per il risultato francese e ne deduce che “uniti si vince”, prende un abbaglio: uniti forse si impedisce alla destra di prevalere, nulla di più e nulla di meno, mentre per governare ci vogliono valori e indirizzi di fondo compatibili se non coincidenti, un programma concordato e tanto sano realismo. Tutte cose che nel “campo largo” latitano. Ripetiamo anche a lei l’invito rivolto a Meloni: sia assennata, eviti di ascoltare le prediche degli “insoumis de noaltri”, secondo cui Mélenchon “dopo la sua straordinaria vittoria (??) ha fatto bene a rivendicare le sue proposte economiche e sociali”, evitando di dire che con quelle non solo non aggrega alcun’altra forza, ma spacca lo stesso fronte popolare.

Meloni nella sua veste di presidente del Consiglio, che ci interessa di più perché ci sono di mezzo le sorti dell’Italia, per lei la prova del nove sarà , quando dovrà decidere una volta per tutte se e con quale modalità approvare la riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Ue. Le voci che le suggeriscono di far prevalere gli interessi del paese che guida anzichè quelli (peraltro presunti) del suo partito, sono talmente tante che sono ormai diventate un coro. Mi unisco anch’io, ma con una variante: se darà i suoi voti lo faccia alla luce del sole, non nel segreto dell’urna (si vota a scrutinio segreto) perché non si può rivendicare ciò che l’Italia merita in seno all’Unione europea e poi scambiare miseramente una manciata di voti, probabilmente neppure determinanti, per una vicepresidenza o un posto di commissario di rango. Se invece disgraziatamente vorrà ripetere l’errore commesso in sede di Consiglio europeo, allora sappia che consegnerà alla marginalità assoluta non solo se stessa – e sono fatti suoi – ma anche e soprattutto l’Italia, e questi sono fatti nostri. Considerato che dall’Europa dipende la sorte di un paese come il nostro super indebitato, che deve fare una Finanziaria non avendo un becco di un quattrino (salvo tagliare la spesa corrente, ma chi lo fa?) e avendo sulle spalle una procedura d’infrazione per deficit eccessivo e che in Europa, tra Mes non firmato e Pnrr in ritardo, non gode certo di grande credibilità.

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