16 Settembre 2024, lunedì
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IL PARTITO DEL TERZO POLO SARÀ UN FLOP?

A cura del Prof. Avv. Giuseppe Catapano

Diciamolo chiaramente: fin qui tanto Azione quanto Italia Viva sono stati, pur con modalità e intensità diverse, partiti personali, nati per volontà dei rispettivi fondatori e gestiti a loro immagine e somiglianza. Fonderli come se fossero due società per azioni, badando solo ad evitare che nessuno dei due lanci un’opa ostile nei confronti dell’altro, non produrrà, temo, qualcosa di migliore. Né, temo per loro, qualcosa di successo, inteso come forza durevole capace di sopravvivere all’eventuale parabola declinante del o dei “padroni”. Diverso, invece, è se nascerà un nuovo soggetto, senza un leader preconfezionato, che a me personalmente piacerebbe avesse l’obiettivo di dare una casa ai riformisti (o riformatori, se si preferisce) accogliendo tutti coloro che non si riconoscono nel bipopulismo italico, trasformazione peggiorativa del già pessimo bipolarismo della Seconda Repubblica. Quindi non una fusione – operazione che peraltro nella politica italiana non ha mai portato bene a nessuno di quelli che l’hanno praticata – ma l’azzeramento di ciò che c’è a favore di un nuovo partito, creato attraverso un congresso fondativo privo di un esito predeterminato, in cui si confrontano tesi e personalità politiche fino a definire maggioranze, minoranze, gerarchie. Per capirci, l’esatto opposto del modo con cui nell’ottobre del 2007 nacque il Pd, con Veltroni già incoronato e il dosaggio delle componenti predisposto prima del congresso, che fu – lo ricordo, ero presente – solo ed esclusivamente celebrativo. Altrimenti è meglio limitarsi ad un semplice “cartello elettorale”, come sembra volere Emma Bonino, seppure più per non avere ancora digerito quello che lei chiama il “voltafaccia” di Calenda rispetto all’alleanza con il Pd alle scorse elezioni politiche. Per il resto, lo spazio politico del “partito che (per ora) non c’è”, è enorme. Sia perché la nomina di Elly Schlein sposta il Pd a sinistra e lo schiaccia sui 5stelle, costringendolo più di quanto già non fosse su posizioni che saranno un mix di massimalismo, radicalscicchismo e populismo (vedi i distinguo in salsa pacifista sull’Ucraina e i contorcimenti sul termovalorizzatore a Roma), del tutto indigeribili a qualunque riformista.

E sia perché le turbolenze dentro la maggioranza di governo, con Meloni da una parte e Salvini e Berlusconi dall’altra in un singolare rovesciamento delle parti tra moderati e non, potrebbero mettere da un momento all’altro in movimento il quadro politico, aprendo spazi sul fronte del centro del centrodestra. Inoltre, è certo che una componente assai larga del crescente partito dell’astensione sia formata da elettori che via via non si sono più riconosciuti, fino al punto da rimanere a casa al momento del voto, nelle due alleanze del sistema politico, per via della soffocante polarizzazione che gli hanno dato, e che dunque sono ampiamente recuperabili se gli si prospetta di scegliere non l’ennesimo partitino ma qualcosa che si ponga l’obiettivo di una rifondazione della politica italiana.

Il “campo largo” non è quello che si realizza facendo alleanze con altre forze, né a sinistra né a destra, ma quello rappresentato dalla prateria degli elettori stanchi e disillusi cui occorre riaccendere la speranza nel presente e nel futuro offrendo loro un progetto che abbia solide radici culturali e vada ben al di là delle parole d’ordine, degli slogan oppositivi, del piccolo cabotaggio quotidiano. Sollecitazioni ad andare in questa direzione sono venute da tanti amici: Marco Bentivogli, Giuliano Cazzola, Beppe Facchetti, solo per citarne alcuni. Per non parlare del lavoro che fa Christian Rocca con la sua Linkiesta e l’iniziativa presa da Alessandro De Nicola a Milano nel mondo liberaldemocratico. Si tratta di non lasciarle cadere nel vuoto di una discussione che, finora, ha riguardato più le figure di Calenda e Renzi che altro. La proposta di grande respiro e fuori dagli schemi con cui la “casa di tutti i riformisti” potrebbe – dovrebbe – presentarsi agli italiani e chiamarli alla partecipazione, magari articolando le posizioni interne tra le sue diverse componenti, e le relative proposte di leadership, sulle scelte specifiche che i neo-padri costituenti saranno chiamati a fare per rendere più moderna ed europea l’Italia. Se così sarà il nuovo partito avrà un senso e vita lunga. Altrimenti temo che rappresenterà l’ennesima occasione sprecata.

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